Tunnel - 2020 storia di una catastrofe annunciata
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Tunnel - 2020 storia di una catastrofe annunciata - Luciano Marastoni
1
PROLOGO
Badia Calavena, XVII secolo
… e le donne, con i capelli rasati e denudate dalla violenza delle percosse, giacevano riverse e scomposte, su carrette sbilenche trainate dai bovi nella fanghiglia. Celavano pudenda con i pochi stracci rimasti addosso e nei loro occhi si leggevano solo paura, ansia e disperazione […] con strani copricapi sulle teste rase, uomini macilenti e sanguinanti erano legati come bestiame destinato al macello e si trascinavano penosamente a piedi nudi in quel triste corteo.
Calpestavano gli escrementi degli animali e a testa bassa subivano gli insulti triviali della gente stipata ai lati del loro percorso. Le loro ruvide vesti erano stracciate e, come quelle delle donne, lasciavano intravvedere i segni delle torture […] Nella piazza c’erano numerosi cumuli di fascine accatastate attorno ai pali: le pire in attesa. Su una tribuna a più livelli proprio di fronte al supplizio, già sedevano conversando amabilmente gran signori e alti prelati sontuosamente vestiti. Erano disposti secondo un ordine gerarchico molto rigoroso […] l’araldica ecclesiastica e nobiliare campeggiava con orgoglio, ammirata dal popolo plaudente. Insegne e blasoni multiformi variamente colorati erano presenti in gran numero e la loro sistemazione definiva in maniera chiara il rango dei maggiorenti. Tutta la piazza era gremita di folla […] gente comune inneggiante e festante al cupo rullar dei tamburi e una fitta cortina di occhiute guardie armate ne controllava gli eccessi. La torma non fece velo a tre infanti che, tenendosi per mano, fissavano attoniti e con le lagrime agli occhi l’orrida scena […] Questi spettacoli non erano per nulla rari, ma ciò che rendeva imperdibile quello che andava in scena era la qualità dei condannati alla gogna.
Erano frati e monache, giudicate colpevoli di eresia, blasfemia, occultismo e stregoneria. Pertinaci anche sotto tortura, mai confessarono le loro empietà e la Santa Inquisizione dispose che, senza abiura, solo il fuoco poteva mondare le loro anime. Un corvo nero pose fine all’autodafé generale, leggendo, con tono piatto e sbrigativo, i capi d’imputazione e, infine, pronunziò con voce stridula e squillante l’estrema penitenza per le loro colpe. Legati ai pali e accese le pire, due condannati, un uomo e una donna, ebbero la fortuna di restare vicini fino all’ultimo disperato anelito di vita e di guardarsi negli occhi l’un l’altra pietosamente.
«Caro fratello, mio amore, sii coraggioso, il paradiso ci attende, ti sono sempre stata accanto con gioia» gli sussurrò con voce ferma, fissando il volto dello sventurato compagno, «poiché solo di gioioso amore ci siamo nutriti oltre che di preghiera e lavoro.»
«Cara sorella, mio amore, sii forte, il paradiso ci attende» le rispose l’uomo, «ci siamo amati in povertà e preghiera e vissuto felici per la gloria del Signore […] questo sacrifizio nostro è il trionfo del demonio. Uno dei tanti […] I nostri carnefici sono strumenti del maleficio […] questi roghi sono le diaboliche fucine, dove si forgiano gli incubi peggiori degli umani peccatori. Ancora molti in questo mondo non l’hanno compreso, ma quelli seduti sul palco in prima fila ben lo sanno» e poi aggiunse con impeto im provviso, «essi sono proni al maligno e da sempre hanno cercato di trasformare i luoghi di pace, di serenità e di amore, come la nostra casa di preghiera, in regni di abominio e di perversione» e alla fine con infinita dolcezza regalò alla sua donna l’ultimo sorriso, «guarda i nostri figlioletti laggiù per l’ultima volta, amor mio, essi saranno […] recitiamo insieme e per loro un’ultima preghiera:
Pater noster qui es…
»
Di colpo le fiamme divamparono con incredibile violenza quasi a voler soffocare in fretta e furia quest’ultimo atto di devozione […] e lo scoppiettio, pur fortissimo, della legna che bruciava non coprì le urla strazianti degli impenitenti. Il fragore della catasta ardente ammutolì la folla. Molti, tra la povera gente, provarono orrore e vergogna. Alcuni si coprirono gli occhi e piansero.
Poenitentiam agite, appropinquavit enim regnum caelorum
(1)
☧ Tre dies ante Diem Passionis Domini – 21 Iunius – A.D. 1600 (2)
___________________
¹ ^ Fate penitenza, ché il regno dei cieli è vicino
(Matteo 3,2; 4,17)
² ^ Fonte anonima da un archivio parrocchiale segreto (N.d.A.)
2
Sede del Gruppo Speleologico Veronese
Venerdì 17 giugno 1988 ore 20
Durante la consueta riunione settimanale al gruppo speleologico cittadino, Luca propose di rivisitare la grotta Taioli. Lo scopo dell’uscita riguardava principalmente la ripresa delle risalite in tecnica artificiale dei cosiddetti camini che, dalla base del salone principale, si perdevano nell’oscurità della volta. Non era possibile valutarne l’altezza, neppure con le luci più potenti. Durante una precedente visita un ragazzo aveva raccolto, all’inizio di una fangosa strettoia, qualcosa di assai strano. Disse che si trattava di una specie di cucchiaio, un mestolino di terracotta o di qualche altro materiale non meglio definito. In pochi avevano visto l’oggetto e stranamente costui lo aveva custodito sempre gelosamente, in modo quasi maniacale, tant’è che attorno a questo insolito ritrovamento si erano create nel tempo svariate ipotesi e leggende. Una di queste diceva che l’oggetto era caduto dall’alto dove le planimetrie di quei luoghi indicavano antichi siti preistorici. Era l’invenzione di qualcuno; in realtà quei siti si trovavano sopra la galleria, ma quasi alla fine della prima tratta, lontani oltre 2 chilometri dalla grotta. Era un sistema carsico, costituito da dedali di gallerie a più entrate, per lo più abitate, nel Pleistocene, dall’orso delle caverne (Ursus Spelaeus) e, all’interno di quegli ambienti assai noti, non era mai risultata la presenza dell’uomo preistorico. La posizione stessa degli ingressi, tutti rivolti a nord, rendevano quelle ipotesi quanto mai azzardate. Le campagne di scavo, organizzate dal museo di storia naturale del capoluogo, confermavano che mai là dentro erano state rilevate tracce di presenza umana. Nulla in proposito fu mai riportato dalla letteratura specialistica e, anche se fosse stato il contrario, di certo in quelle caverne non furono mai cucinate minestrine o minestroni
. Fu storicamente provato, invece, che quei luoghi erano stati sfruttati come vere e proprie miniere d’ossa di animali del periodo geologico Quaternario.(3)
Quel venerdì 17 giugno gli speleologi stabilirono la data per quella missione esplorativa e, dopo un approfondito scambio di punti vista, si accordarono per il martedì successivo: il 21 giugno 1988. Era un giorno assai strano per andare nelle grotte. Di solito sono i fine settimana quelli usuali, ma quella volta una serie di disponibilità per quel giorno, proposto da Renzo e altri ragazzi di punta, permise di formare comunque una bella squadra. In tre o quattro, assolutamente vogliosi di vedere per la prima volta quella mitica cavità, veramente singolare, si presero un giorno di ferie per non perdersi la bella opportunità.
«Allora è deciso, martedì pomeriggio si va alla Taioli» disse Luca a fine riunione, «su, forza! Prepariamo qualche sacco di materiale e un po’ di corde, quella da venti metri mettiamola in quello giallo. La useremo per il primo saltino che dal pezzo di tunnel abbandonato porta alla base del salone. Poi quelle per la risalita, compresa la dinamica d’alpinismo, per la sicura, in caso di sbottonamento degli ancoraggi, e magari vediamo di non dimenticare i fix(4) come l’ultima volta!»
Nelle occasioni, che precedevano l’uscita, veniva a crearsi una sorta di euforia collettiva. La preparazione dei materiali rappresentava un rituale al quale pochi volevano rinunciare e l’addetto al magazzino faticava a mantenere l’ordine. Ciascuno proponeva questo o quello, come qualcosa di assolutamente utile e indispensabile, col bel risultato che spesso gli oggetti veramente importanti e necessari restavano a casa. Quella volta, però, c’era Luca a dirigere l’orchestra e non ce n’era per nessuno. Con quattro parolacce sbatté tutti fuori dal magazzino, salvo Carletto e Mina(5), non perché quest’ultima fosse particolarmente organizzata, ma semplicemente perché Luca aveva un debole per lei…
«Ma in quanti siamo stavolta? ci vorrà un bus» esclamò Carletto. Intervenne Mina e, senza mascherare una certa perplessità, chiese:
«Ma viene anche P?»
«Yes, così sembra, dice che non c’è mai stato in quel buco e che ci tiene a vederlo» le rispose Luca, «non sta nella pelle…!» e aggiunse, «ma perché fai questa domanda, hai qualcosa in contrario?
«No, no per carità, è che quelli là fuori continuano a menarla con quella storia dell’entusiasmo e allora…»
«Ma va là, non crederai mica a quella vecchia faccenda, lascia perdere.»
«Boh, dicono che porti sfiga quando P si carica in questa maniera...»
All’epoca P aveva circa cinquant’anni, era sposato con figli e aveva un buon lavoro. Autodidatta, coltivava molti altri interessi naturalistici: mineralogia e paleontologia, studioso di micologia e gran raccoglitore di funghi mangerecci. Era entrato tardi, secondo gli standard correnti, nel mondo delle grotte, ma, avvezzo alle miniere, nelle caverne naturali si ritrovò come un pesce nell’acqua. Aveva imparato in fretta le tecniche di progressione moderne, avendo tempo a disposizione e libertà d’azione. Si era integrato, nonostante il divario d’età, con tutti i giovani del gruppo. Amante della convivialità e di buon carattere, polemizzava su svariati argomenti solo all’epilogo di serate spinte, ponendosi alla vista, spesso divertita, di tutti. Non era molto alto di statura, un po’ tondetto nella figura, ma sempre in buonissima condizione fisica. Nell’ambiente speleologico P era diventato famoso, suo malgrado, quella volta che con grande entusiasmo si era offerto volontario per versare il tracciante Fluoresceina sodica dentro un corso d’acqua ipogeo, all’interno di un grande complesso carsico in Asia. Mentre i suoi compagni erano impegnati a posizionare i fluorocaptori alle risorgenze dei corsi d’acqua sotterranei, era successo il finimondo. Le risaie di mezza Palawan nelle Filippine si colorarono di verde. Nonostante le istruzioni e raccomandazioni, evidentemente P aveva sbagliato le dosi. Affermò di essere stato vittima di un piccolo incidente:
«Sono scivolato sul viscido e ho rovesciato un mucchio di roba nel posto sbagliato» questa fu la sua versione.
Furono fermati dalla polizia e costretti a bere l’acqua di un bel verde turchino di fronte ai capi villaggio, sbigottiti e infuriati per quanto accaduto. Avevano dovuto dimostrare in tal modo di non avere avvelenato le coltivazioni e che quella bibita alla menta
non era pericolosa per la salute. Dopo una settimana di cattività, tenuti in debita osservazione, erano stati rilasciati a Manila. Si disse che quella era stata una spedizione storica, ma forse non molto riuscita… Questa chicca fu a lungo narrata da speleo scarpa
nella rubrica fattacci e fettucce
.
___________________
³ ^ Da quei depositi millenari le ossa furono per secoli trasportate con le carrette giù in città per scopi commerciali e industriali, per farne sapone .(N.d.A.)
⁴ ^ I fix, più versatili dei vecchi spit roc, sono tappi di acciaio ad espansione che, una volta inseriti dentro un foro praticato in parete, permettono il fissaggio di placche metalliche e moschettoni per la risalita, oppure discesa nei pozzi. (N.d.A.)
⁵ ^ In realtà si chiamava Erminia, ma odiava quel nome e, allora si faceva chiamare Mina. (N.d.A.)
3
Martedì 21 giugno 1988, partenza dalla città
Si ritrovarono, piuttosto tardi, all’appuntamento davanti alla sede del gruppo.
«Tanto le giornate sono lunghe…» disse uno, «questo è il giorno più lungo dell’anno.»
Avevano a disposizione tre macchine per otto persone, tra maschi e femmine; altri tre si sarebbero aggregati strada facendo. La compagnia delle ragazze non limitò il solito rosario
di parolacce liberatorie in uso. Erano abituate e raramente si leggevano nei loro sguardi segnali di riprovazione. A volte qualcuno si tratteneva in loro presenza, altre no!
«Sempre stipati come le sardine, nella mia macchina che non manca mai!»
Bofonchiò lo Zanza, polemico come il solito, l’unico col fuoristrada. Quando era ora di conti, lui calcolava: carburante, consumo olio, gomme, svalutazione e accidenti d’altro, scatenando la rabbia di alcuni e l’ironia di altri.
Percorsi una ventina di chilometri, quella compagnia piuttosto varia arrivò, tramite una sconnessa