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A notte fonda
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E-book168 pagine2 ore

A notte fonda

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Info su questo ebook

Ci sono eventi nella vita di una persona che pur nella loro rapidità riescono a cambiarne il corso con brutale violenza. Questo accade a Stella Laporta in un giorno d’infanzia, quando, a notte fonda, la sua famiglia si sgretola per sempre. Da quel momento, la sua costruzione di sé come persona, come donna e come madre è stata improntata alla ricucitura di quello strappo e ha delineato un percorso di vita inusuale e intrigante. Un percorso che in più punti si intreccia e si scontra con quello di sua madre, ma anche della altre donne della sua famiglia, fatto di amori e delusioni, di abusi e di riscatti, che nella commossa lucidità con cui Stella guarda oggi alla propria storia trova redenzione. E come la sua storia è stata trasmessa di madre in figlia, oggi Stella consegna questo racconto ai suoi figli e alle nuove generazioni, a cui è affidato il compito di ripensare la femminilità e il rapporto con il maschile, la famiglia e una nuova concezione dell’amore libero dalla violenza.

Stella Laporta è nata in Germania il 4 febbraio 1969 e vive da due anni a Ostuni, in Puglia. è sposata, ha cinque figli e ha lavorato per quasi trent’anni nel marketing per il settore immobiliare e pubblicitario.
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2022
ISBN9791220130783
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    Anteprima del libro

    A notte fonda - Stella Laporta

    Capitolo 1

    Accadde in una notte fonda, quando sentimmo bussare alla finestra. Un suono ritmico, BUM BUM, si ripeteva sempre più forte. Ci guardammo con ansia. Ancora spaventate ma ipnotizzate dal rumore fissammo la finestra. Mia sorella si alzò e sollevò le tende. Fuori c’era il babbo. Elsa aprì gli infissi e lui entrò. Iniziammo a parlare, ci disse di stare tranquille e di non fare rumore, ma noi non lo capimmo e facemmo mille domande.

    Pochi secondi dopo si scatenò l’inferno. Nostra madre, svegliata dal trambusto, entrò, si accorse di lui e si mise a strillare. Nostro padre la afferrò per il braccio e la trascinò fuori dalla stanza. Noi rimanemmo terrorizzate nella nostra camera. Ci sentivamo in colpa, avevamo sbagliato ad aprire? Aspettammo lì immobili senza sapere cosa fare, pensare o dire. Passarono secondi, minuti oppure ore, non lo saprei dire.

    Finalmente la porta si aprì e il babbo si ripresentò, dicendo a Elsa con voce fredda di venire con lui, e se ne andarono. Era venuto a prendere mia sorella, la sua figlia grande, per portarla con sé. Mia madre non ebbe la forza di opporre resistenza. Da quel giorno Elsa doveva vivere con lui, mentre io restavo con la mamma. Nel giro di un mese non avevo solo perso mio padre, ma anche la mia sorella adorata.

    Capitolo 2

    Al termine delle lezioni, Matilde si avviò verso casa con passo leggero. Era l’ultimo giorno di scuola, fra poco avrebbe iniziato il suo primo lavoro come commessa nel negozio alimentare della signora Schmitt. Avrebbe guadagnato un salario di ottanta marchi e, potendo risparmiare, si sarebbe comprata un vestito nuovo per sé senza più dover portare gli abiti usati delle sorelle maggiori, già tante volte rattoppati. Gli occhi le brillavano a quel pensiero. Anche se doveva dare la maggior parte dello stipendio ai genitori, una piccola parte le sarebbe comunque rimasta.

    Invece di tornare subito a casa si diresse verso il negozio di abbigliamento del suo paese per vedere se i saldi estivi fossero già iniziati. Da tempo sognava un vestito all’americana con un petticoat e voleva vedere se c’era qualcosa nella vetrina dalla signora Meyer. Si immaginava già a ballare con un bel ragazzo avvolta in una gonna che le dondolava intorno alle gambe, proprio come quella che stava davanti a lei in vetrina, bianca e nera con il bordo di tulle.

    Ma non era tempo di fantasticare, ora doveva tornare a casa per aiutare la mamma in cucina. Sua madre era una donna stanca, che si trascinava, ormai, in un corpo consumato dalla nascita di undici figli. Matilde invece si sentiva bella, piena di vita, e non voleva finire come lei. Era la più piccola e abitava ancora a casa insieme a due dei suoi fratelli; i grandi lavoravano ed erano già sposati, e sua sorella maggiore era persino andata in America! Emilia le aveva mandato una foto in cui portava un vestito con il petticoat e da quando l’aveva vista si era messa in testa che doveva averne uno anche lei.

    Suo padre era seduto sui gradini davanti al loro condominio. Con una birra in mano cantava una canzone e chiacchierava con i vicini, come faceva di solito da quando aveva perso il lavoro. Dopo la guerra aveva lavorato come bigliettaio e Matilde era fierissima di lui, vedendolo ogni giorno andare al lavoro nella sua elegante uniforme. Ma ormai non c’era più bisogno dei bigliettai sui tram di Colonia e da un paio di mesi passava la maggior parte del suo tempo sugli scalini del palazzo. Era un uomo bello e carismatico a cui piaceva flirtare con le signore; ogni volta che lo beccava, Matilde si vergognava di lui, ma quel giorno, soprattutto, fu presa dalla rabbia, perché sapeva che se la madre se ne fosse accorta ne avrebbe sofferto.

    La vita di Gertrude, sua moglie, che non era mai stata facile, era diventata ancor più complicata. Ma lei non si lamentava più, si era arresa tanti anni prima. All’inizio del diciannovesimo secolo, la sua famiglia si era trasferita dalle zone paludose della Pomerania a Colonia nella speranza di trovare una vita migliore nella grande città. Poi era venuta la Prima guerra mondiale e in quel contesto Gertrude era stata fortunata a trovare un marito: non erano tanti gli uomini che erano tornati sani dalla guerra. Ludovico l’aveva conquistata corteggiandola, facendola ridere e sentire apprezzata. Dopo un breve periodo di felicità erano arrivati i figli, uno dopo l’altro. Gertrude aveva cresciuto nove degli undici figli che aveva dato alla luce, nonostante avessero dovuto attraversare la Seconda guerra mondiale, durante la quale spesso non sapeva come sfamarli. Già nei dieci anni precedenti, in realtà, non era stato facile nutrire la famiglia numerosa e avevano dovuto patire molte privazioni. Con il miracolo economico anche la loro vita era migliorata: da allora avevano ogni giorno un pasto caldo in tavola e lei ne era grata. Adesso era riuscita a sistemare quasi tutti i suoi figli, dal momento che i maschi lavoravano, le femmine erano sposate e solo i tre più giovani vivevano con lei e suo marito.

    Matilde baciò il padre e corse su per le scale a preparare il pranzo. La madre non era sola, c’erano anche due delle sue sorelle con i loro bambini: in questa casa non si sapeva mai quante persone ci sarebbero state a pranzo. I piccolini le fecero festa, le saltarono addosso e lei subito iniziò a giocare con loro. Adorava i nipotini e quando si fu assicurata che non c’era bisogno del suo aiuto in casa, scese con loro in strada per farli giocare.

    Mentre era lì incontrò il suo compagno di classe Walter. «Ehi, Matilde, che fai stasera?» le chiese «Vuoi venire con noi a prendere una coca-cola?». «Non so» gli rispose. Walter era innamorato di lei, lo sapeva, ma non era il suo tipo. Passeggiò nei dintorni insieme a Chiara e Roberto, i nipoti, finché le sorelle li chiamarono per pranzo. A casa era in corso un’accesa discussione tra Rita e Clara sul futuro di Emilia, se avrebbe fatto ritorno dall’America o si sarebbe sposata lì. Aveva scritto una lettera in cui raccontava che era andata con degli amici al cinema e poi a ballare; ciò aveva animato la fantasia di Rita e Clara, che la vedevano già sposata.

    Due mesi dopo lo vide per la prima volta. Era un bel giovanotto con i capelli castani, uno sguardo seducente alla James Dean e ogni lunedì mattina veniva in negozio a comprare le sigarette. Era alto e secondo lei doveva avere circa vent’anni. Sbirciava i suoi movimenti nascosta tra gli scaffali, che era suo compito tenere in ordine, spolverare e riempire con la nuova merce.

    Matilde iniziò a farsi più bella il lunedì, ma ancora non trovava il coraggio di rivolgergli lo sguardo. Un giorno si convinse che arrivato il momento di incontrarlo e tornò a casa di buon umore: non vedeva l’ora di mettere in moto il suo piano per incontrare quel bel ragazzo il prossimo lunedì.

    Ma la fortuna l’assisteva e già tre giorni dopo, mentre attraversava la strada, vide sfrecciare accanto a sé una moto e nel motociclista riconobbe proprio lui, che le rivolse un sorriso e poi si allontanò. Il suo cuore fece un balzo e batté forte. Il lunedì seguente si fece coraggio e spuntò fuori dal suo nascondiglio con la scusa di prendere qualcosa dal magazzino. Nel momento in cui gli passò davanti, vide negli occhi del giovane un guizzo: l’aveva riconosciuta e le stava sorridendo. Da quel momento ogni primo giorno della settimana i due cercarono di vedersi e lanciarsi sguardi furtivi e sorrisi timidi, finché una sera lui la aspettò davanti al supermercato per chiederle se volesse andare a ballare la domenica seguente. Matilde, con la gola secca e la mente annebbiata, non riuscì a dire una parola. Annuì sorridendo e si precipitò a casa.

    Il quartiere di Colonia in cui viveva Matilde era povero. Le case erano costruite con ciò che si trovava dopo la guerra, il bagno era condiviso con gli altri inquilini e il lavandino in cucina fungeva anche da lavabo. La stufa a carbone serviva sia da mezzo di riscaldamento che da fornello. Ogni mattina prima dal lavoro, toccava a lei scendere in cantina a prendere il carbone per la giornata e fare altri servizi in casa. Perciò, non voleva che Giorgio venisse a prenderla: si vergognava delle condizioni umili in cui viveva e inoltre sapeva che, se i familiari avessero saputo che lei andava a ballare con un ragazzo, sarebbe scoppiato uno scandalo. Quindi a Matilde serviva una scusa. Doveva inventarsi qualcosa, ad esempio la festa di una ex compagna di classe.

    La domenica stabilita, con la scusa di andare alla festa di compleanno della sua amica Erika, Matilde uscì di casa, eccitata all’idea di rivedere Giorgio e di poter andare a ballare. La città notturna brulicante di vita, i bar e i locali in cui i giovani si incontravano per bere qualcosa insieme e ballare, posti in cui ci si conosceva e ci si innamorava, erano sconosciuti a Matilde, che fino ad allora aveva condotto una vita ordinaria scandita dalla scuola, dagli impegni casalinghi e occasionalmente da una passeggiata con qualche amico per prendere un gelato o una coca-cola. Giorgio la introdusse in questa realtà nuova e vivace, nella Colonia che era rinata dopo la guerra e recuperava energia e bellezza, proprio come accadeva a Matilde che era nel fiore dei suoi anni.

    Ballarono insieme tutta la sera, perdendosi tra i twist e i balli più provocanti come il letkiss, nel quale al termine di alcune mosse ci si doveva dare un bacio, e così sentirono crescere quell’attrazione nata dagli sguardi fugaci tra gli scaffali del negozio. Quando per Matilde arrivò il momento di tornare a casa, lui la riaccompagnò fino al portone del palazzo e prima di lasciarla andare la baciò. Fu una sensazione bellissima per lei, che non aveva mai sperimentato quelle emozioni, né la tensione dell’attesa che fa tremare e battere il cuore né il desiderio timido che si affaccia sulle labbra. Stordita, ma felice, andò a dormire.

    Continuarono a frequentarsi di nascosto, cercando di vedersi il più possibile per andare a ballare o anche solo per fare una passeggiata. L’attrazione crebbe e si trasformò in amore, un sentimento che a Matilde si svelò allora: fu con Giorgio che scoprì come tutte le cose conosciute sembrassero diverse, più vivide e brillanti, quando stavano insieme e come la città apparisse più bella quando l’attraversavano mano nella mano; fu con lui che fece l’amore per la prima volta, di notte, in un campo illuminato solo dalle stelle. Ne furono così presi che scordarono il tempo e i doveri. Quando Matilde rientrò a casa, alle due del mattino invece che a mezzanotte come era stato pattuito, i suoi genitori l’aspettavano preoccupati e suo padre, per darle una lezione, la picchiò con la cintura.

    Furono più cauti da quel momento, ma non rinunciarono a vedersi né a fare l’amore non appena potevano. In effetti, il loro amore fu molto passionale e, forse, fu proprio questo a sostenere la loro relazione: ancora molti anni dopo, quando li vidi insieme, riuscii a percepire, nel modo in cui si guardavano e parlavano, delle vibrazioni particolari che all’inizio non riuscivo a decifrare e che solo in seguito riuscii ad attribuire al ricordo di quell’intensa attrazione fisica che avevano provato l’uno per l’altra.

    Capitolo 3

    Le giornate di Matilde scorrevano tra l’apprendistato da commessa, le faccende domestiche e la relazione segreta con Giorgio. In quei due anni, nei quali soltanto Erika e pochi altri ne erano a conoscenza, la vita appariva a Matilde piena di promesse. Era felice e spensierata poiché, data la giovane età, nessuno in famiglia si preoccupava del fatto che non avesse ancora un fidanzato; una delle sue sorelle più grandi, d’altronde, si era soltanto da poco sposata. Ma questa situazione di calma non durò a lungo: arrivò il momento in cui non poté più nascondere la storia con Giorgio.

    Accadde quando, nei giorni previsti, non le arrivarono più le mestruazioni. Nonostante, tesa e impaurita, continuasse ad aspettarle, neanche nei giorni seguenti tornarono. Capì di essere incinta e di non avere altra scelta che rivelare la verità alla sua famiglia.

    Le crollò il mondo addosso: non voleva un figlio così presto, perché sapeva quale vita l’avrebbe aspettata da allora in poi. E quando lo confessò alla sua famiglia, ne ebbe la conferma: la biasimarono per ciò che aveva fatto, facendole ricadere addosso tutta la colpa di quello che era successo, della vergogna di cui aveva ricoperto la famiglia come mai prima di allora nessuno aveva osato. Le dissero che non c’era altra soluzione: lei e Giorgio dovevano sposarsi e vivere come una famiglia.

    Al tempo, nel 1962, una donna che aveva un

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