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Schegge
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E-book306 pagine4 ore

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Info su questo ebook

Un collage di storie brevi, improntate su rapidità e suspense, dove i protagonisti si scontrano con avversari pronti a tutto. Il filo conduttore è la dinamicità della trama. Ogni racconto rispecchia il poliziesco-thriller, senza mai perdere il sapore ironico dei personaggi che lo vivono.
LinguaItaliano
EditoreLisa Adler
Data di uscita21 mar 2013
ISBN9788867557622
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    Anteprima del libro

    Schegge - Lisa Adler

    tempo.

    L'OMBRA

    «Fermi! Che fate? Vigliacchi lasciatelo in pace!»

    Will afferrò per le spalle un tipo tozzo e pieno di brufoli scaraventandolo a terra, poi sferrò un pugno allo stomaco all'altro, era magro e con un incipiente calvizie, questi rimase accasciato qualche secondo, ma appena vide Will partire di nuovo alla carica, dette un'occhiata al compare e i due in un nanosecondo sparirono.

    «Stai bene?» Chiese Will, al giovane davanti a sé, che si stava massaggiando la mascella dov'era stato brutalmente colpito.

    «Tutto okay, grazie per l'aiuto.»

    «Figurati non c'è di che, potresti essere mio figlio, in un certo senso me lo ricordi.»Abbozzò un sorriso amichevole.

    L'altro annuì, poi si mise seduto sul muretto vicino alla porta d'ingresso della tavola calda IL PIT STOP, da qualche giorno sostava lì e raggranellava qualche dollaro dai clienti di passaggio.

    Si posizionò il suo cartello a lettere cubitali sul petto e fece un cenno di saluto all'indirizzo di Will per congedarlo.

    Ma Will non riuscì a salutarlo e basta, quel giovane per qualche motivo aveva catturato la sua attenzione. Il cartello poi; la scritta era tutta un programma, 1$ SALVA LA VITA.

    Prese 1$ e lo mise nel barattolo vicino al giovane, poi sorrise.

    «Una frase che cattura, qual è il senso?» Domandò incuriosito.

    «A me la salva, se tutti quelli che passano lasciano 1$, posso continuare a viaggiare e mangiare!» Rispose diretto il giovane.

    «Esaustivo non c'è che dire.» Pensò fra sé Will.

    «Ti va di mangiare un boccone con me?» E prima che l'altro rifiutasse, aggiunse: «Offro io s'intende!»

    Il giovane fece un cenno affermativo e si alzò.

    «Come ti chiami?» Chiese Will mentre entravano nel locale.

    «Bud.» Dichiarò alzando il mento il giovane.

    «Bene, io sono Will, piacere di conoscerti Bud.» Si diedero un'energica stretta di mano.

    Il locale era semivuoto, ordinato e classico come la maggior parte delle tavole calde che si trovavano nei pressi di Reno, per il lusso bisognava entrare in città, fra grandi alberghi e casinò.

    Ordinarono bistecche e patate arrosto, niente alcolici, solo una bibita a testa.

    Calò il silenzio mentre mangiavano, poi Will attaccò discorso.

    «Posso chiederti come mai un ragazzo come te, forte e aitante, si accontenti di qualche dollaro, anziché essere al college a costruirsi una brillante carriera?»

    Bud alzò gli occhi, lo fissò per un momento, poi con calma affermò: «La vita è breve, io voglio vedere il mondo, quindi viaggio tutto l'anno.»

    Will era sorpreso, ma Bud dava l'impressione di sapere il fatto suo, ed ispirava fiducia.

    Forse fu questa la molla che lo fece partire, sfogando su Bud tutte le sue amarezze.

    «Ti ho detto che mi ricordi mio figlio, Jim, vent'anni, ma non è vero, tu sembri sapere quel che vuoi, anche se sinceramente preferirei saperti al college; lui invece, sta buttando via la sua vita e mia moglie Kate è distrutta per questo.» Scosse la testa sconfitto.

    «Perché?» Chiese schietto Bud.

    Will non sapeva se continuare, però sentiva di doverlo fare, come spinto da un bisogno soverchiante di vuotare il sacco.

    «Jim è un drogato ed un violento, ha mandato Kate in ospedale più volte perché rifiutava di dargli i soldi per la roba. Proprio in questi giorni lei è a casa con la gamba ingessata, grazie alle gentili attenzioni di Jim, io non so come fermarlo, le ho provate tutte, dalla comunità, alla polizia, agli psicologi. Lavoro parecchio, noi stiamo a Carson City e faccio avanti e indietro quasi tutti i giorni fino qui a Reno, un'ora e cinque. Sono un programmatore di video games, quando sono fuori, lui e i suoi due pseudo amici Karl e Jade l'aggrediscono, non so quanto ancora potremo andare avanti così, Kate è disperata e terrorizzata.» Sospirò amareggiato.

    «Scusa, non so perché ti sto raccontando tutto questo, forse proprio perché potresti essere mio figlio.»

    Osservò Bud che non sembrava scioccato dai suoi discorsi, infatti tranquillamente asserì fra un boccone e l'altro.

    «Io non mi drogo e non bevo, penso che dovresti mandare tuo figlio e i suoi amici in trazione con le gambe fratturate in più punti.» Rise di gusto, come se avesse semplicemente consigliato il terapeuta più in voga degli Stati Uniti.

    Will rimase sconcertato, ma in fondo non era una così cattiva idea, forse avrebbe davvero dovuto farlo, magari Jim avrebbe definitivamente chiuso con la droga.

    «Dove sei diretto?» Gli chiese.

    «Ovunque.» Rispose a bocca piena.

    «Io torno a casa a Carson City, se ti va ti do un uno strappo fin lì.»

    L'altro parve riflettere, poi annuì con la testa.

    Arrivarono che era pieno pomeriggio, Kate li accolse con un caloroso sorriso, si aiutava con le stampelle, quando Will le presentò Bud dicendole che viaggiava per vedere il mondo, lei esclamò un bel, «beato te, fallo finché sei giovane!» I due entrarono subito in sintonia.

    Bud rimase loro ospite per alcuni giorni, aiutava in tutto Kate e dava una mano anche a Will, lo seguiva come un'ombra, dappertutto e in qualsiasi lavoro o incombenza fosse impegnato. L'incontro con Jim e i suoi amici fu tutto un altro paio di maniche. Jim era un bullo e uno strafottente, i suoi seguaci altrettanto. Bud li studiava attentamente, non lasciava mai Kate sola con loro, di questo era contento anche Will. Si sentiva più tranquillo sapendo che Bud si trovava nei paraggi a tenere testa a Jim. Lo aveva rimesso in riga almeno in un paio di occasioni. Era semplice: Bud gli intimava risoluto di avere maggior rispetto per i genitori, punto e basta.

    Era sera tardi, Will e Kate erano già andati a dormire, ma Bud si sentiva irrequieto, così scese in cucina per bere un bicchier d'acqua, fu lì che sentì Jim, Karl e Jade progettare l'assassinio di Will e Kate.

    «Dobbiamo solo far uscire il gas in cucina e assicurarci che le finestre siano ben chiuse.» Ridacchiò sguaiatamente Jim mentre illustrava quel piano atroce.

    «Sei sicuro che rimarranno stecchiti?» Chiese serio Karl.

    «Assolutamente, poi se per bontà divina dovessero sopravvivere, ci penserò io a dargli il colpo di grazia!» Affermò spavaldo Jim.

    «Sei certo che l'assicurazione pagherà senza problemi?» Domandò Jade, più interessato ai soldi che alle modalità di eliminazione.

    «Al cento per cento, sicuro come l'oro, pagheranno entro trenta giorni, ho letto bene la polizza, dopo finalmente, niente più scocciatori e via libera alla bella vita!» Esclamò soddisfatto Jim.

    Bud capì che non c'era tempo da perdere doveva agire in fretta.

    Dopo colazione sganciò la bomba.

    «Devo rimettermi in marcia, parto.» Dichiarò.

    «Guarda che puoi restare, a noi fa piacere, sei di grande aiuto qui.» Disse con fervore Will, si unì alla sua supplica anche Kate, ma Bud ringraziò calorosamente i due, li abbracciò con grande affetto come fossero davvero la sua famiglia e partì.

    Un colpo secco si abbatté sulla testa, poi un altro e un altro ancora.

    Il buio.

    Gli occhi si aprirono appannati, il dolore al cranio martellante, mani e piedi legati stretti, lo spazio angusto.

    «Ehi, gran figlio di vacca, facci uscire! Liberaci!» Ringhiò Jim, seguito da Karl e Jade nelle urla e nelle imprecazioni.

    «Niente da fare! Verme spregevole! Volevi ammazzare i tuoi, non te lo lascerò fare canaglia!» Sentenziò Bud lapidario.

    «Apri subito la portiera brutto bastardo!» Sbraitò Jim.

    Ma Bud non lo fece e inserì il tubo flessibile sigillando bene il finestrino dell'auto in moto, il monossido di carbonio fece il resto, i tre pian piano furono accolti dal sonno eterno.

    Will spense l'auto, tolse il tubo, slegò i tre farabutti e lasciò addosso a Jim un souvenir, riprese il leggero bagaglio, la sua sacca, e sparì.

    «1$ SALVA LA VITA.»

    Piangendo e tremando Will andava avanti e indietro sul ciglio della strada. Gli agenti di polizia avevano ritrovato Jim e i suoi amici chiusi nell'auto, morti, e quel bizzarro cartello poggiato sul suo petto, con sopra attaccato 1$.

    Kate sconvolta armeggiava col cellulare del figlio e con orrore trovò alcuni sms, lo porse subito al poliziotto di fianco, vennero immediatamente esaminati anche i due di Karl e Jade, il piano studiato per uccidere lei e Will con tutti i dettagli, lì, proprio davanti ai loro occhi.

    Will e Kate si abbracciarono forte.

    Si guardarono scioccati, ma la disperazione fu sostituita all'istante da gratitudine.

    Bud, l'ombra, gli aveva salvato la vita.

    L'ALBA

    «Fermo! Non lì! Torna indietro Book, vieni qui!»

    Ma il cane sembrava attratto da una forza sovrannaturale e benché i primi raggi di sole stessero inondando e schiarendo la distesa d'acqua e il manto celeste che la sovrastava, lì sulla spiaggia era ancora piuttosto buio, l'alba stava in quel momento avanzando a piccoli passi.

    Dopo una notte tremendamente afosa, Keith era uscito presto per godersi almeno un po' di tempo ad una temperatura accettabile, con a fianco il suo inseparabile pastore tedesco Book, avanzavano speditamente sulla battigia.

    D'altronde, Miami beach in Giugno, nelle ore diurne era un vero forno, il caldo era insopportabile, l'umidità toglieva il respiro, era una fatica immane uscire di casa.

    Il cane abbaiando e in preda ad una improvvisa frenesia si era messo a correre come un fulmine, cercò di richiamarlo a sé inutilmente, Book continuò imperterrito la sua corsa, diretto ad una barca a remi rovesciata al limitare della spiaggia, Keith si arrese all'evidenza e gli andò dietro, nella speranza di riportarlo verso le onde, dove il refrigerio e l'estasi erano il premio ideale per un buon inizio di giornata, scosse la testa sconsolato lasciandosi alle spalle il magico mondo acquatico.

    «Ma che diavolo...» Soffocò un imprecazione e dire che in tanti anni di servizio come detective al 21° distretto di polizia del dipartimento di New York, era più che pronto a giurare di averne viste di cotte e di crude e quella immagine non era molto diversa dall'enorme catalogo di cose orrende contenute nel suo bagaglio personale.

    Fatta una piccola eccezione, davanti ai suoi occhi, una vita molto giovane spezzata.

    Si gettò immediatamente in ginocchio accanto al corpo inerte, per capire se ancora ci fosse qualche segno di vita, purtroppo la speranza si spense all'istante, prese la piccola torcia che aveva attaccata al portachiavi ed esaminò attentamente il corpo, cercando di fare luce su ogni particolare.

    Dal colore bluastro che cominciava a diffondersi sotto le unghie delle mani, ne dedusse che la morte doveva essere avvenuta almeno da quattro ore.

    Prese dalla tasca dei pantaloncini un fazzoletto di carta e girò in su i palmi delle mani, proprio sui polpastrelli si vedeva chiaramente del colore verde, forse un colore per dipingere o dell'inchiostro, difficile a dirsi su due piedi.

    Intimò a Book di stare qualche metro più in là, il cane ubbidiente non se lo fece ripetere e si mise seduto come un bravo assistente in attesa di ulteriori istruzioni.

    Gli occhi vitrei, aperti, fissi al cielo, il corpo atletico, a giudicare dalla tonicità e dal colore della pelle circa vent'anni, a quella vista Keith sentì stringersi il cuore, era sempre uno strazio trovarsi di fronte a certe immagini.

    Si impose di riprendere il controllo, non era il momento di lasciarsi andare, doveva essere freddo e professionale come lo era stato un tempo.

    La ragazza stesa a terra, forse una studentessa, non mostrava ferite evidenti, o segni di aggressione tanto da spiegarne la morte, ma per esperienza sapeva che spesso è ciò che non si vede, a fare la differenza fra vita e morte.

    Frugò ancora in tasca dei pantaloncini, estrasse il cellulare e digitò il 911.

    Più che sulla scena di un crimine, la polizia di Miami, sembrava al raduno domenicale per la classica partita, scapoli contro ammogliati.

    Alla faccia del preservare il luogo!

    C'era chi camminava avanti e indietro come se stesse arando un campo per la semina, senza curarsi minimamente del corpo della ragazza.

    Chi non usava nemmeno gli indispensabili guanti in lattice e peggio ancora, si sprecavano le battute fuori luogo, quasi fosse una scampagnata fra amici, senza il dovuto rispetto per una giovane donna spedita prematuramente al creatore.

    Keith fremeva come i pistoni del motore di un' auto da corsa spinta a trecento all'ora, non sapeva per quanto ancora si sarebbe trattenuto da spaccare il muso a qualcuno di quegli incompetenti, era a tanto così dal tuffarsi in mezzo al loro e ridurli tutti quanti in poltiglia, veder svolgere un lavoro importante e delicato come quello, in simili circostanze, lo stava facendo uscire di senno.

    Ad un certo punto non ci vide più, sbottò e al suo: «Ehi! Dannati incapaci! Dico a voi! Che ne dite di darci un taglio e cominciare l'indagine come si deve, lavorando con perizia, anziché inquinare tutte le prove!» Urlò tanto forte che probabilmente fu udito dall'altra parte del pianeta.

    Tutti si voltarono allibiti e un agente piuttosto scocciato gli si avvicinò con passo deciso, era basso e tozzo, gli si parò davanti a gambe divaricate e mani sui fianchi, l'espressione minacciosa ricordava una caricatura più che un uomo di legge.

    «Tu chi diamine sei?» Esordì, «smamma o ti sbatto dentro per intralcio alle indagini!»

    Keith lo guardò dall'alto in basso, lo sovrastava di un bel po' e con il suo sguardo argenteo lo trafisse, abbozzando un sorriso beffardo e digrignando i denti.

    «Fallo! bellimbusto da quattro soldi, e giuro che entro stasera ti ritrovi a dirigere il traffico giù a Bayside, ho anch'io i miei agganci che credi!»

    L'altro sgranò gli occhi, ma prima che potesse ribattere, Keith tirò fuori il suo tesserino identificativo, incollandolo con un movimento fulmineo a pochi centimetri dal viso paffuto dell'agente.

    «Keith Sanders NYPD, 45 anni. Da New York? Che ci fai qui a Miami?» Chiese irritato l'agente.

    «In pensione.» Rispose divertito Keith dall'espressione stupita del suo interlocutore.

    Soddisfatto di essersi finalmente guadagnato la sua attenzione proseguì senza esitazione.

    «Dopo venticinque anni di onorata carriera, ho detto stop, questo mestiere alla lunga ti ruba l'anima e si porta via un pezzo alla volta la tua vita, quindi ho deciso che era ora di cambiare aria ed eccomi qui al caldo sole del sud. Ora collega visto che ti ho raccontato la storia della mia vita, perché non incoraggi i tuoi colleghi ad adempiere al proprio dovere e magari darsi una mossa, vista la gravità del caso? Altrimenti bello mio sarò costretto a fare una denuncia formale sul modo che avete di condurre le indagini per omicidio.» Parlò forte e chiaro in modo che anche gli altri udissero bene tutto il discorso.

    L'altro mandava lampi dagli occhi, ad un certo punto si accigliò piegando la testa di lato, come per cercare di schiarirsi le idee e formulare una frase di senso compiuto.

    «Ma quale omicidio?» Guardava smarrito i suoi colleghi come a chiedere aiuto, era evidentemente confuso.

    Keith alzò gli occhi al cielo e rassegnato allargò le braccia in segno di resa. Poi imitò l'agente guardandosi intorno per avere un qualche sostegno, che ovviamente non arrivò.

    «Ma qui i distintivi li regalano?» Chiese in preda allo sconcerto più totale.

    La reazione dell'agente non si fece attendere e a denti stretti si mosse verso Keith.

    «Attento a come parli gran pezzo di...» Inveì a gran voce.

    «Calma non ti scaldare!» Disse sarcasticamente Keith.

    «A proposito agente...?» Domandò tornando serio e con tono perentorio.

    «Ryan Pert.» Rispose irato, ma tirò fuori il distintivo e glielo mostrò.

    Keith lesse. Il tipo aveva superato di poco i cinquanta, però a guardarlo si sarebbe detto fosse suo nonno.

    Nel frattempo si avvicinò un altro agente, che si presentò come Sam Lanter, era alto e allampanato, «evidentemente a Miami avevano esaurito le scorte di poliziotti forti e scattanti.» Pensò sconsolato Keith fra sé.

    «Sei tu che hai telefonato al 911 all'alba?» Con quella domanda pose fine al battibecco intercorso con l'agente Pert e alle riflessioni nella testa di Keith.

    «Sì, faccio questo tratto di spiaggia la mattina presto, col mio cane.» Indicò con la mano Book, che si era accucciato poco distante da tutto quel via vai di gente.

    «Hai notato nulla di insolito?» Chiese Lanter scarabocchiando domande e risposte su un taccuino, come un bravo studente.

    Keith era sull'orlo di un'eruzione di proporzioni bibliche.

    «Invece che perdere tutto questo tempo in chiacchiere inutili, che possono essere fatte anche più

    tardi, perché non fate venire qui subito quelli della scientifica? E perché no? Anche il medico legale?» Sbraitò fuori di sé davanti a tanta negligenza, infischiandosene di parlare a due poliziotti in servizio.

    Lanter con una calma snervante chiuse il taccuino e lo ripose nel taschino dell'uniforme, poi guardò negli occhi Keith.

    «Perché?» Domandò senza scomporsi.

    A quel punto era ormai al limite e non si trattenne più.

    «Perché brutti idioti! Questa ragazza è stata quasi certamente ammazzata e se voi caproni che non siete altro, continuate a inquinare le prove, quel criminale che l'ha uccisa, la farà franca tranquillo e beato!» Urlò in preda alla frustrazione più completa.

    I due lo fissarono come se fosse un alieno.

    «Tralasciando per un attimo l'oltraggio a pubblico ufficiale, è probabile che qui non sia stato ucciso nessuno, infatti se guardi bene, ti renderai conto che la ragazza non mostra né ferite, né segni di violenza subita, è possibile che ieri sera abbia partecipato ad una festa in spiaggia, quelle che vanno tanto di moda adesso, ed abbia ingurgitato qualche pastiglia di troppo, faranno l'autopsia domani con calma all'ufficio del medico legale, vedrai se non ci ho visto giusto.» Per amplificare il concetto Lanter diede una gomitata a Pert, che annuì prontamente.

    «Sentite non so a che gioco state giocando, ma ci sono macchie evidenti di inchiostro verde sui polpastrelli e a ben vedere anche sotto le unghie, come se avesse opposto resistenza e si sia difesa dal suo aggressore, come se non bastasse ha una posa scomposta, non esattamente rilassata, del tipo: sono in piena estasi, capite?» Keith digrignava i denti e sbuffava come un toro, mentre esprimeva a fatica le sue analisi.

    «E' tutto fiato sprecato!» Pensò furibondo.

    In quel momento si avvicinarono un uomo e una donna di mezza età, appena fu mostrato loro il cadavere, l'aria intorno tremò al grido disperato e straziante della donna.

    Erano i genitori. George e Laura Still.

    Keith lasciò perdere gli agenti, aveva già capito che non ne avrebbe cavato un ragno dal buco e si avvicinò invece alla coppia.

    Per prima cosa fece le condoglianze ed espresse un grande rammarico per la grave perdita che si trovavano ad affrontare, poi con molto tatto, lasciò il suo nome e numero di telefono.

    In caso avessero avuto bisogno di aiuto, magari perché non troppo convinti dello svolgimento delle indagini. Guardò torvo in direzione degli agenti, in modo inequivocabile.

    Lo ringraziarono un po' perplessi, senza capire esattamente il motivo di quell'offerta.

    Keith dirigendosi verso Book, si soffermò ancora un attimo vicino al corpo della ragazza, qualcosa attirò la sua attenzione, brillò accanto ad una mano, si chinò per guardare meglio, era una medaglietta e senza essere visto dagli agenti, la raccolse svelto.

    Ritraeva un arcobaleno con colori fluorescenti e sul retro due lettere JC, l'avvolse nel solito fazzoletto di carta e borbottando un fugace saluto all'indirizzo degli agenti sparì col suo cane.

    Lo squillo del telefono lo riscosse dalla ricerca infruttuosa in internet, che lo aveva tenuto occupato per tutto il giorno, cercando informazioni su chi o cosa fossero il logo e le iniziali impresse sulla medaglietta.

    «Pronto?» Con tono spazientito Keith pronunciò la parola nella cornetta del telefono.

    «Signor Sanders? Sono George Still, io e mia moglie vorremmo vederla se è possibile, come aveva previsto, non siamo per niente convinti di come vengono svolte le indagini.»

    Non ne era affatto sorpreso.

    Keith chiese il loro indirizzo e dopo una decina di minuti sedeva nel soggiorno, con in mano una tazza di caffè e davanti a sé una foto di una bellissima ragazza di diciotto anni, che sorrideva felice e piena di vita.

    «Pamela voleva diventare chirurgo.» Singhiozzò la madre.

    «Ed era molto brava negli studi.» Asserì il padre con una punta di orgoglio nella voce, mentre abbracciava la moglie nel tentativo di darle conforto e sostegno.

    Keith non aveva dubbi sulle doti scolastiche di Pamela Still, ne era una conferma nonché prova inconfutabile, la borsa di studio conquistata per la Boston University, dove si sarebbe dovuta trasferire in autunno, per realizzare il suo sogno.

    «Ora non più.» Rifletté dispiaciuto Keith, per come a volte sia crudele il destino.

    Cercò di schiarirsi le idee per formulare le domande giuste, così da acciuffare il farabutto o i farabutti responsabili di un'atrocità simile.

    «Pamela frequentava qualcuno? Sì, insomma aveva un ragazzo? Non so, avete idea del perché fosse in spiaggia sulla Ocean Drive ieri sera?» Domandò con calma Keith, reduce dal suo retaggio di detective, intento a scandagliare ogni pista possibile.

    «Non che io sappia, almeno, l'unica stranezza è che ieri sera dopo una telefonata, piuttosto breve a dire il vero, era agitata, non è da lei, in genere è calma, appena le ho chiesto cos'era successo, ha risposto che avevano sbagliato numero, poi ha sorriso come al solito e ha detto che doveva incontrarsi con degli amici al Toffee Apple, tutti ragazzi che conosciamo bene, ci ha rassicurati e come ogni sabato sera è uscita. Durante la settimana non lo fa mai, deve studiare.» Affermò solenne il padre e la madre confermò, non correggendo il marito, che in ultimo aveva parlato come se la figlia fosse ancora lì fra loro, la cosa colpì come un macigno Keith nel profondo.

    «Non vi viene in mente altro di inusuale, capitato in questo periodo?» Formulò la domanda, riflettendo sulla possibilità di poter risalire alla telefonata ricevuta da Pamela la sera prima, aveva un paio di agganci anche a Miami, per rintracciare l'utente tramite le compagnie telefoniche in zona.

    Poteva tentare, mai lasciare niente al caso.

    I due ci pensarono un po' su poi sorrisero al ricordo.

    «Pamela ci ha chiesto il premesso per farsi fare un tatuaggio, diceva che le avrebbe portato fortuna all'università, noi non eravamo troppo d'accordo, ma alla fine l'ha spuntata, ha promesso di farselo molto piccolo, così qualche giorno fa è tornata a casa con un quadrifoglio verde smeraldo dietro la nuca, alla base del collo, carino direi.» Disse Laura compiaciuta.

    Keith rimuginò un po' sul tatuaggio, poi tirò fuori dal portafogli la medaglietta trovata vicino a Pamela, sulla spiaggia e la mostrò ai signori Still.

    «Avete mai visto questo logo?» Non sperava in una risposta unanime, che invece arrivò, forte e chiara.

    «Certo, è l'All Colours, il negozio di tatuaggi dov'è andata, il proprietario

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