Infernomuto
Di Marco Melis
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Fantascienza - racconto lungo (42 pagine) - Abbandonata per anni a incendi e siccità, la Sardegna reinventa un rapporto con le specie viventi che la abitano
Al centro di un Mediterraneo bruciato dal cambiamento climatico, che non si è voluto o potuto arrestare, la Sardegna è una terra profondamente offesa: disabitata, desertificata, rinselvatichita. Eppure nel continente c’è chi mette gli occhi su angoli paradisiaci per ricchi che vogliono tornare a esperienze più “naturali”; così Nik, rampollo di un rampante imprenditore milanese, viene spedito nell’Ogliastra con i suoi giovani amici ad acquistare il terreno per edificare un resort. Ma sull’isola, lontana e trascurata, gruppi di abitanti hanno riscoperto antichi modi di vivere, alternativi alla razionalità scientifica, e recuperato remote tradizioni che si rifanno a credenze ancestrali, a un rapporto paritario con la terra e gli organismi che la abitano, animali e vegetali; e adesso sono assolutamente intenzionati a respingere qualsiasi tentativo di reintrodurre una modernità che è il cavallo di troia di un consumismo di rapina. Così, Nik e i suoi dovranno vedersela con la rivisitazione di antichi riti, con le janas e soprattutto con Codadifuoco.
Catastrofe climatica, rapporto con il territorio, civiltà post industriale in un racconto lungo di Marco Melis
Marco Melis è nato in Sardegna, ma vive in Abruzzo. Ama leggere di biologia, di biotecnologia, di Homo sapiens e di altre forme di vita: di questi temi e letture parla sul suo profilo instagram @biobooks7 e sul portale Solarpunk.it. Giunto finalista al Premio Urania 2020 con il romanzo Preutopia, con il racconto Oasi esordisce nella narrativa.
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Anteprima del libro
Infernomuto - Marco Melis
1
Janas
Diventare jana allora significava tante cose. Dovevi imparare a tessere: vestiti, codici, sogni e speranze, il destino delle persone che incontravi. Dovevi saper danzare, ammaestrare il fuoco, conoscere le erbe e i cicli della luna. Porre fine alle vite malate vestendoti da accabadora. Diventare una vecchia pascifera alla vista dei bracconieri. E tutto questo e molto altro consacrandoti alla Dea Madre.
Da questo si evince che era dalle janas che dipendeva il destino della foresta.
Nera aveva in mano il tab: la maestra le aveva inviato i testi scolastici del nuovo trimestre. C’era un libro intitolato Manifesto Cyborg. Un altro: Zero, uno, di Sadie Plant. Delle dita adunche e rugose glielo portarono via: – Avanti, non tergiversare. Ci stanno aspettando.
Nera seguì Mater fuori dalla domus. L’anziana aveva una camminata dondolante, le caviglie tumide per via della ritenzione idrica. Sfilò la maschera taurina da un gancio arrugginito sul muro in pietra e gliela porse.
La ragazzina la fissò tra le mani, sfiorando le linee nere e spigolose con esili dita. La capovolse e la indossò, come le avevano insegnato. Le lenti a specchio colmarono le fessure nel taglio severo degli occhi, e l’ambiente acquisì un colore più caldo, sanguigno.
Mater oltrepassò il cortile, proseguendo senza aspettarla. In alto, sulle nuvole oscure della notte rifulgevano le fiamme di un mondo morto. Petali di cenere mulinavano nei turbini di aria calda, si mischiavano alle folate fredde e sferzanti dell’inverno. Nera strinse lo scialle nero e ricamato attorno al busto.
– Ho paura…
– È normale aver paura – disse Mater, senza rivolgerle lo sguardo – Siamo esseri umani anche noi, ma bisogna vestirsi di tenebra per scacciare il male vero.
Accanto a loro c’era un corridoio di janas, accorse da altri villaggi per assistere alla celebrazione. Scialli scuri e decorati sulle spalle, o avvolti attorno ai visi, coperti anch’essi da una maschera nera. Ogni maschera aveva espressioni e caratteri facciali diversi dall’altra, ma tutte avevano in comune qualcosa di grottesco e spigoloso. Mostri. Demoni. Animali. Non ne aveva mai viste così tante. Attorno a lei c’erano sicuramente janas che conosceva, ma ora sembravano solo esseri sconosciuti.
In fondo al sentiero un falò di foglie e frasche, le fiamme proiettavano ombre vive e danzanti fino ai suoi piedi. Nera si muoveva come per evitarle, poi affrettò il passo e raggiunse la donna, tenendosi al suo grosso braccio, per procedere in mezzo alle fiaccole.
– Mater, Codadifuoco non ci farà del male, vero?
– No, certo che no. Da oggi, Codadifuoco sarà tuo amico, il tuo protettore.
– Moriranno gli animali?
– Non moriranno.
– E perché non moriranno?
– Perché noi li proteggiamo.
– Il fuoco non fa loro del male?
– Il fuoco non fa loro del male.
Le ombre delle fiamme giocavano con quelle dei rami della foresta. Giunte al falò, Mater intinse le dita raggrinzite all’interno di un olio caldo, in un piccolo recipiente di ferro appeso vicino al fuoco. Il tepore profuse nell’aria un odore di lentisco e caprifoglio.
Ci fu un attimo di silenzio, poi dalla folla s’innalzarono vocalizzazioni cavernose, un’armonia di bassi e contralti che producevano note metalliche. A Nera vennero i brividi.
– Sarda Mater portaci il Sardus Pater – invocò la donna.
Le fiamme nel cielo avvamparono come in un incendio. Il volto da bovide di Codadifuoco emerse dalle nubi: aveva lineamenti enormi, color carbone, il taglio degli occhi taurini che brillavano di scintille e le lunghe corna parallele che pungevano il nimbo ottenebrato della luna. L’apparizione sfumava appena sotto il petto possente e villoso.
La ragazzina fece un passo indietro. La divinità sembrava abbracciare l’intero villaggio.
Mater le si avvicinò e percorse con il pollice unto le decorazioni intagliate sulla maschera di Nera. Si soffermò sulla fronte. Le lenti a specchio mostrarono un flebile ologramma arancio al centro della visuale, dove ora c’era il petto della donna. Le linee geometriche del fiore della vita a sei petali, che assomigliava a un sole