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Kalevala: Il grande poema epico finlandese
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E-book953 pagine7 ore

Kalevala: Il grande poema epico finlandese

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Info su questo ebook

Il Kalevala, come l’Iliade e l’Odissea, fiorì a partire da una ricchissima tradizione orale le cui radici affondano in epoca preistorica. Durante il primo millennio dell’era moderna, popolazioni di lingua uralica – un ceppo non indoeuropeo – si stabilirono sulle coste orientali del Baltico e svilupparono un’arte poetica che sopravvisse fino al XIX secolo. Quest’alta espressione di una sensibilità lirica, mitica e religiosa costituì il materiale per l’opera che il filologo Elias Lönnrot compilò e diede alle stampe in forma definitiva nel 1849. A cent’anni dalla pubblicazione della storica traduzione metrica in italiano di Paolo Emilio Pavolini il mondo misterioso e leggendario degli eroi Väinämöinen, Ilmarinen e Lemminkäinen rimane ancora pressoché sconosciuto al pubblico italiano. La presente edizione in prosa, tradotta e curata da Marcello Ganassini, unica versione filologica integrale del prezioso classico, pone fine a decenni di attesa costituendo una novità editoriale imperdibile e uno scorcio suggestivo verso ciò che Tolkien descrisse come “una completa enoteca riempita con bottiglie di un vino straordinario di una varietà e di una fragranza mai gustata prima”.
LinguaItaliano
Data di uscita14 nov 2013
ISBN9788827223963
Kalevala: Il grande poema epico finlandese
Autore

Elias Lönnrot

(1802-1884) Medico e botanico finlandese, dedicò gran parte della vita allo studio delle origini del suo popolo e contribuì alla trasformazione del finlandese in lingua moderna. Viaggiò in Finlandia, Lapponia, Estonia e Carelia alla ricerca delle versioni originarie di saghe, miti e leggende nordiche. Primo presidente della Società letteraria finlandese, divenne professore di lingua e letteratura finlandese presso l’Università di Helsinki. Scrisse numerosi saggi sulla lingua ugro-finnica, raccolte di canti popolari tradizionali finlandesi, di proverbi,di indovinelli e il dizionario finnico-svedese. Il 28 febbraio, giorno della pubblicazione della sua opera maggiore, il Kalevala, viene ancora oggi festeggiato in Finlandia.

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    Anteprima del libro

    Kalevala - Elias Lönnrot

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    KALEVALA

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    Il grande poema epico finlandese

    ELIAS LÖNNROT

    Prefazione di Luigi G. de Anna

    Introduzione di Elias Lönnrot

    Traduzione e note di Marcello Ganassini

    Orizzonti dello spirito / 88

    Collana fondata da Julius Evola

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    Copyright

    KALEVALA - Il grande poema epico finlandese

    a cura di ELIAS LÖNNROT

    Prefazione di Luigi G. de Anna

    Introduzione di Elias Lönnrot

    Traduzione e note di Marcello Ganassini

    Pubblicato con il contributo per la traduzione del FILI

    Finnish Literature Exchange

    In copertina:

    Akseli Gallen-Kallela, La difesa del Sampo (Sammon puolustus),

    tempera su tela, 1896, Museo delle Belle Arti di Turku.

    Quadro ispirato a un tema centrale del ciclo epico alla base del Runo 43. Väinämöinen, Ilmarinen e Lemminkäinen s’impadroniscono del Sampo, mulino portentoso e misterioso simbolo cosmico conteso dai popoli di Kalevala e di Pohjola. Veleggiando verso casa vengono sorpresi dalla signora del Nord che, tramutatasi in uccello, affronta gli eroi di Kalevala con le proprie armate nel tentativo di recuperare il prezioso oggetto. Nella colluttazione il Sampo precipita in acqua: la carcassa diviene fonte di ricchezza del mare, mentre i frammenti trascinati a riva dalle onde contribuiscono al rigoglio delle terre. L’età degli eroi è al crepuscolo e solo la virtù della grazia celeste potrà garantire agli uomini la pace che la spada di Väinämöinen non seppe difendere. "Tuost’ on siemenen sikiö, alku onnen ainiaisen, tuosta kyntö, tuosta kylvö, tuosta kasvu kaikenlainen! Tuosta kuu kumottamahan, onnen päivä paistamahan Suomen suurille tiloille, Suomen maille mairehille!Da questi pezzi germoglierà un seme, l’inizio d’una prosperità perpetua, vi saranno campi arati, seminati, ne avremo colture d’ogni sorta! Grazie ad essi la luna brillerà, il sole della fortuna splenderà sui gran feudi di Finlandia, sulle nostre dolci terre!" [43, 297-304].

    ISBN 978-88-272-2396-3

    © Copyright 2013 by Edizioni Mediterranee

    Prima edizioni digitale 2013

    Via Flaminia, 109 - 00196 Roma

    www.edizionimediterranee.net

    Versione digitale realizzata da Volume Edizioni srl - Roma

    Prefazione

    Poche opere della letteratura mondiale hanno rivestito un’importanza metaculturale pari a quella del finlandese Kalevala. Si può infatti a ragione affermare che non ci sarebbe stato risveglio nazionale, quel movimento politico e culturale che molto ricorda il nostro Risorgimento, senza il poema raccolto da Elias Lönnrot (1802-1884). Il movimento di identità nazionale finlandese esigeva infatti un modello culturale e linguistico cui rifarsi, che diventasse il simbolo della ritrovata fennicità, ritenuta essere stata oppressa prima dall’appartenenza al regno di Svezia e, dopo il 1809, all’impero zarista. Iniziato il periodo russo, per i finlandesi si concludeva dunque una lunga fase storica, iniziata nel XII secolo, che li aveva visti essere parte della monarchia svedese, la quale aveva affidato loro il non sempre conveniente ruolo di bastione a protezione dei confini orientali del regno. Con l’integrazione nell’impero russo, nasceva il problema dell’identità dei finlandesi, i quali non erano più svedesi, non desideravano diventare russi e quindi non potevano che trovare nel loro passato le radici della propria, autentica cultura. E queste radici erano profondamente immerse nell’humus della poesia popolare.

    Questa ricerca assumeva però anche una forte valenza politica per un popolo, come appunto quello finlandese, che non godeva dell’indipendenza. È dunque in questo contesto storico-ideologico che va inserito il Kalevala, tenendo per di più presente il clima culturale del romanticismo, con la sua riscoperta delle tradizioni popolari nazionali, con il suo desiderio di ritrovare le radici völkisch della nazione, con il suo studio appassionato della lingua nazionale. Lo sforzo compiuto dalla intelligentsia finlandese fu enorme e certamente doloroso: infatti praticamente tutti i padri del risveglio nazionale finlandese erano di lingua svedese, per i quali l’abbandono della propria lingua madre non dovette essere cosa né facile né indolore. Un’intera classe dirigente cambiò pelle, si può dire, mutò la propria lingua madre dallo svedese al finlandese, cambiò il proprio cognome per prenderne uno di fantasia o calcato sull’antico. La nuova Finlandia stava nascendo.

    Questo movimento di ri-creazione di un carattere nazionale aveva però bisogno di un testo che lo riassumesse e lo corroborasse. La Finlandia avrà così il Kalevala, non solo racconto di eroi, ma ricostruzione del cammino storico del popolo finnico. Il Kalevala vuole infatti raccontare la storia degli abitanti della Finlandia, la terra di Kaleva, il personaggio mitico che dà il nome al poema senza però mai comparirvi, dagli albori fino all’arrivo del cristianesimo, quando il vecchio mondo deve farsi da parte per lasciare il posto al fanciullo concepito dalla vergine Marjatta. Che poi il Kalevala fosse in realtà assai poco storico nella verità effettuale, poco importò ai finlandesi, pronti a credere che la loro nazione esistesse già in età antichissima, e che il suo declino fosse dovuto proprio allo scomparire di quell’antica società, fatta di maghi dai molti incantesimi, di fabbri capaci di dar vita ai simulacri, di cavalieri terribili con i nemici e dolci con le dame.

    Il Kalevala non rappresenta un’operazione puramente filologica di collazione di antichi testi; anzi, in molte parti risulta essere di pugno di chi aveva trascritto quel materiale, cioè Elias Lönnrot, il quale aveva raccolto, grazie ai viaggi fatti in molte province della Finlandia, anche quelle più isolate, una enorme quantità di materiale epico e di materiale lirico, circa 2400 poemi per 75.000 versi complessivi. Il primo formerà il nucleo del Kalevala e il secondo della Kanteletar, raccolta di poemi lirici del popolo finnico.

    La prima edizione del Kalevala, nota come Vanha Kalevala (Vecchio Kalevala), fu curata da Elias Lönnrot (1802-1884) nel 1835, il quale divise la materia in 32 runi per complessivi 12.078 versi. Continuata l’opera di raccolta del materiale epico nelle varie regioni della Finlandia, Lönnrot pubblicherà nel 1849 la versione definitiva del poema Uusi Kalevala (Nuovo Kalevala), comprendente 50 runi per 22.795 versi. Il lavoro di Lönnrot verrà subito notato all’estero e presto si comincerà a tradurlo (a tutto il 2009, le traduzioni del poema sono comparse in 61 lingue). Esistono almeno 38 traduzioni complete e in metrica del Kalevala. In versione abbreviata in poesia o in prosa è pubblicato in 16 lingue. In totale le traduzioni sono circa 150 e le edizioni delle medesime circa 250. La prima traduzione del Kalevala è quella svedese del 1841, si tratta però del Vanha Kalevala. L’Uusi Kalevala esce per la prima volta in traduzione in Germania nel 1852.

    In Italia, il primo brano kalevaliano viene pubblicato nel 1872 dal professor Antonio Lami, al quale si deve quindi la prima traduzione parziale in prosa, da lui inserita, con una breve introduzione, nel volumetto per nozze Dal Kalevala. Frammenti degli Hää runot o Canti Nuziali. Prima versione italiana, pubblicato a Livorno. Nello stesso anno usciva anche la prima traduzione parziale in versi, curata dal filologo classico Ottaviano Targioni-Torzetti, il quale sul periodico pure pubblicato a Livorno, Il Mare, in due numeri (11 e 12) scriveva una recensione del lavoro di Lami, aggiungendo annotazioni sulla poesia epica finlandese, che corredava di una traduzione in endecasillabi sciolti di 52 versi del XXXVI runo, riguardante la tragica morte di Kullervo. Queste due traduzioni sono basate su quelle tedesca in versi di A. Schiefner, uscita a Helsinki nel 1852 e francese in prosa di Léouzon Le Duc (Parigi 1867). Le due versioni italiane ebbero il grande merito di far entrare il Kalevala nel novero delle nuove opere ora note, che il tardo romanticismo aveva prodotto in regioni d’Europa poco familiari agli italiani. Sarà Antonio Fogazzaro a scrivere il primo, importante saggio critico sul Kalevala, da lui letto nella traduzione di Le Duc attorno al 1870. Sulla rivista milanese Il Convegno (3, fasc. 2 e 3) nel 1874 compaiono dunque i Cenni sull’epopea nazionale finnica, che contengono anche esempi di traduzione poetica, alcuni dei quali sono ristampati, con alcune modifiche, nel 1881 in una pubblicazione per le nozze Lampertico-Balbi (Frammenti di canti nuziali finnici. Versione libera, Milano 1881). Un fortissimo impulso alla conoscenza del Kalevala fu impresso da Domenico Comparetti, il quale nel suo fondamentale saggio Il Kalevala o la poesia tradizionale dei Finni pubblicato nel 1891 (si trattava in origine di una conferenza tenuta all’Accademia dei Lincei) si era imposto all’attenzione della critica kalevaliana anche in Finlandia.

    Mentre Comparetti si dedicava alla benemerita opera di studiare criticamente il Kalevala, altri si occupavano di tradurne i runi. Italo Pizzi nel 1877 inseriva in una Antologia epica tratta dalle principali epopee nazionali (Roma-Torino-Firenze 1877) le traduzioni dei runi XXXII (parziale), XXXIII-XXXV e XXXVI (parziale), cui era dato il titolo di Avventure di Kullervo. Nel 1881, a Ferrara, il figlio di Ottaviano Targioni-Tozzetti, Giovanni, dava alle stampe un opuscolo per nozze contenente la traduzione dal titolo Il XXXVII Runo del Kalevala. Nel 1890 Domenico Ciampoli pubblica la traduzione dei runi VIII e L (Il Kalevala. Epopea finnica, Tradotta sul testo di Elias Lönnrot con prefazione e note da Domenico Ciampoli, Catania, 1890).

    Il Novecento si apre con le prime prove nella traduzione del Kalevala fatte da parte di coloro che diventeranno i suoi migliori traduttori, Igino Cocchi e Paolo Emilio Pavolini. Nel 1902, dunque, Cocchi rende in italiano quasi interamente il runo I e parte del III e IV come appendice a La Finlandia. Ricordi e studi, Firenze 1902. Nello stesso anno Pavolini si cimenta nel XLI runo (Il XLI Runo del Kalevala tradotto da P.E. Pavolini, Milano-Palermo 1902). Nel 1906 Cocchi stampa altri 17 runi in un’edizione di 100 esemplari (Kàlevala. Poema epico finnico. Runot scelti. Versione in canti italiani del prof. Igino Cocchi, Arezzo 1906), per un totale di circa 4500 versi. Nel 1909 Cocchi porta a termine la traduzione integrale del poema, Kalevala. Poema finnico. Versione italiana di Igino Cocchi, con Prefazione di Domenico Ciàmpoli, Firenze-Città di Castello, voll. 2., 1909. La qualità della traduzione è stata lodata, anche se si riscontra una certa manipolazione del testo, dovuta al fatto che egli ebbe sì sott’occhio l’originale finnico ma si basò soprattutto sulla versione di Léouzon Le Duc.

    Contemporaneamente a Cocchi, anche Pavolini lavorava alla traduzione integrale, uscita come Kalevala. Poema nazionale finnico, Tradotto da P.E. Pavolini, Milano-Palermo-Napoli [1909-1910]. Pavolini aveva iniziato a tradurre il poema nel 1903 come esercizio nell’apprendimento del finlandese. Terminò il lavoro nel 1907; questo però uscì solo più tardi, corredato di una introduzione e di molte note. La traduzione di Pavolini fu considerata, e lo è tutt’ora, la migliore tra quante sono state pubblicate in Italia. Neppure la traduzione di Pavolini è però esente da critiche. Una riguarda l’uso reiterato della rima finale, del tutto secondaria e incidentale nel testo finnico, che con la sua insistenza rende il componimento innaturalmente cadenzato. In aggiunta a ciò, l’adozione dell’ottonario, pur fedele alla forma primitiva, fa sì che i versi così come risuonano in italiano perdano in vivacità. In effetti, a lungo andare l’ottonario pavoliniano diventa monotono, e la rima finale rende ulteriormente stucchevole il testo, che comunque si apprezza per la fedeltà a quello originale. L’edizione di Cocchi fu ristampata nel 1913 a Firenze, ma fu soprattutto quella di Pavolini ad avere successo, venendo ripresentata, in forma abbreviata, dall’editore Sansoni nel 1935, 1948 e 1984.

    Nel 1912 usciva la traduzione integrale prosastica, opera di Francesco di Silvestri-Falconieri, Kalevala. Epopea nazionale finlandese. Traduzione italiana con prefazione e note di F. di Silvestri-Falconieri, Lanciano 1912, ristampata con una lunga prefazione nel 1927. Di Silvestri-Falconieri si era servito della traduzione tedesca di Herman Paul (1885-1886) e del solito Léouzon Le Duc, pur facendo riferimento anche all’originale finlandese.

    Oramai la parte più rilevante del lavoro di traduzione era stata fatta, e nel giro di soli quattro anni si erano avute tre versioni complete, sia in poesia sia in prosa. È naturale che negli anni seguenti il Kalevala non abbisogni di ulteriori traduzioni italiane, ma comunque l’interesse per il poema e per la materia da esso trattata non si esaurisce, anzi, sembra rinvigorirsi a livello di opere indirizzate ad un pubblico più vasto, soprattutto infantile e giovanile. oppure destinate ad un uso scolastico. Già nel 1926 era comparso presso l’editore Bocca di Torino la tradizione di un riassunto del Kalevala, che Miguel Escalada aveva unito ad una sintesi di altri poemi o testi eroici, Le epopee. Il Ciclo Indiano, l’Iliade, l’Eneide, La Gerusalemme Liberata, Kalevala, I Nibelunghi, Fanciulli e Vecchi della Bibbia, I Lusiadi, La Divina Commedia, Don Chisciotte. Traduzione autorizzata del prof. A. Gerardi de’ Carriero. Nel 1941 Elena Primicerio pubblicava Finlandia terra di eroi. Racconti del Kalevala, Firenze, Marzocco, che ha una seconda edizione nel 1965 e una terza nel 1973. Nel 1949 Giuseppe Pennazza raccoglieva alcuni episodi kalevaliani sotto forma di favola: I racconti del mago. Quattordici favole da poter esser lette ai fanciulli ed ai vecchi. Volume edito a cura di G. Pennazza, Avezzano 1949. Nel 1957 Pino Bava pubblicava, sempre in prosa, presso la S.E.I. di Torino Kalévala. Il poema della Finlandia narrato in prosa. Era poi la volta di Giovanni Randone Tra gli eroi di Kalevala. Miti e leggende finniche, Palermo 1971; al testo sono unite alcune illustrazioni tratte da dipinti di Akseli Gallen-Kallela. Come se l’offerta nazionale non bastasse, nel 1980 per l’editore La Scuola di Brescia viene ripresa dall’inglese una scelta di racconti di tema kalevaliano a cura di Ursula Synge, Racconti finlandesi (Kalevala), traduzione di Liliana Calimeri. A dimostrare la vitalità del poema giunge nel 1988 una nuova traduzione integrale prosastica, curata da Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini, pubblicata nei popolari Oscar Mondadori, Kalèvala. Miti incantesimi eroi nella grande saga del popolo finlandese, Milano. Questa non è però tradotta direttamente dal finlandese, ma si basa sulle edizioni in versi di Pavolini e in prosa del di Silvestri-Falconieri, nonché su quella francese in versi di J.L. Perret (Paris, 1931) e quella inglese in prosa di F. Peabody Magoun Jr (Harvard University Press, 1963). Nel 2007 Il Cerchio di Rimini riproponeva l’edizione integrale pavoliniana (Kalevala. Poema nazionale finnico. Traduzione in versi di Paolo Emilio Pavolini. A cura di Cecilia Barella e Roberto Arduini).

    La nuova traduzione poetica di Marcello Ganassini rappresenta un ulteriore passo avanti nella diffusione di questa fondamentale opera della coscienza popolare europea, in quanto presenta in una versione moderna il grande capolavoro.

    Luigi G. de Anna

    Università di Turku

    Nota del traduttore

    Come il tradurre nel significato etimologico di traducere (trans ducere), condurre oltre, attraverso, far passare, è per forma e sostanza affine al tradere (trans dare), consegnare, alla radice di tradizione, così la traduzione di un classico come il Kalevala, maestoso monumento alla Tradizione Primordiale ed alle successive stratificazioni, significa restituire ciò che già fu dato alle nazioni, il simbolo della rapsodia ed il suo suono, attraverso lo steccato degli idiomi e le mura della Babele immaginifica che la cultura occidentale ha costruito attorno all’opera sin dalla sua prima diffusione.

    Mai un poema epico compilato in epoca moderna ha dato origine ad una tale profusione di versioni, dalle edizioni ridotte ed illustrate a quelle a fumetti alle volgarizzazioni per uso scolastico agli adattamenti per teatro, cinema e televisione fino alle storiche ed autorevoli traduzioni metriche ed in prosa che arricchiscono le biblioteche di tutto il mondo. Il proliferare d’interpretazioni eterodosse ha tuttavia oscurato la prospettiva di un ritorno filologico al testo nella sua integrità, presupposto per un’esegesi orientata in senso tradizionale.

    Scopo della presente traduzione è offrire alla lingua italiana i sacri versi che il Mito Universale formò e che il genio dei popoli balto-finnici consegnò alla penna del Lönnrot conservando elementi e peculiarità proprie all’edizione originale del 1849 attraverso una prosa gentile nella quale il risultato ritmico non sia subordinato ad un’interpretazione arbitraria dell’originale. Laddove si è realizzata una congruenza metrica (viru siinä se ikäsi, che tu giaccia là per sempre) anche in presenza di cesura (ui siitä ulomma maasta, poi nuotando prese il largo), ciò non è un atto d’ossequio alla prosodia ma il risultato dell’effettiva conformità al significato della fonte cui a fortiori si è coniugata la conservazione delle parti del discorso.

    Il rispetto dell’originale è esteso a tutte le caratteristiche dell’opera. L’impostazione tipografica mantiene il testo in doppia colonna, i riassunti dei Runi in testa agli stessi con riferimento numerico ai versi laddove presente, l’indicazione dei sortilegi in margine nonché punteggiatura, spaziatura e grafia della prima edizione. Gli elementi morfologici proprî della lingua e specifici della sintassi poetica vengono rigorosamente restituiti in traduzione ove ciò non guasti la scorrevolezza della prosa: pronomi agglutinati (on noita itselläniki, ne ho anch’io quanti mi pare), pronomi dimostrativi (tuop’ on nuori Joukahainen, costui il giovane Joukahainen), pronomi avverbiali (sen sitte sulittelevi, sopra ad esso egli fissava), pronomi suffisso (maallani oli parempi, stavo meglio al mio paese), avverbi (siinä vanha Väinämöinen, quindi il vecchio Väinämöinen), alterazioni (vesille venosen mieli, la barchetta aspira all’acqua), interiezioni (ohoh, sinua, ukko utra, ohoh, tu, misero vegliardo).

    Nell’onomastica si è voluto conservare toponimi (Tapiola, Nälkäniemi, Hiitola, Kalma) ed antroponimi di carattere poetico, magico e mitologico (Tapio, Ahti, Hiisi, Kalevatar), come pure i nomi direttamente derivati da appellativi (Kaukoniemi, Pellervoinen, Märkähattu, Ukko), riportando in nota le varianti d’ambito lirico ed un’approfondita esposizione sull’origine, lo sviluppo ed il significato della parola o del morfema alla radice del nome. Fanno eccezione i casi nei quali è possibile una traduzione letterale (Saari, Isola, Otava, Orsa Maggiore) come pure gli appellativi di natura analoga (Ahti Saarelainen, Ahti l’Isolano, Luoja, Creatore), per i quali è stato conservato il carattere tipografico maiuscolo dell’originale. In presenza di polisemia suffragata dall’analisi etimologica, si è ricorso a traduzioni specifiche in conformità con il ruolo del personaggio e con il contesto narrativo del distico (da palvoa, servire, antico careliano palvuo, invocare, Palvoinen tradotto con Officiante nel parallelismo con Virokannas e con Venerabile in riferimento a Tuuri), anche laddove nella variante s’impernia un’altra linea di significato dettata da accostamento accidentale per omofonia (Pauanne, come appellativo di Ukko tradotto con Tonante per l’interferenza di paukkua, emettere un suono fragoroso).

    Perifrasi ed eufemismi d’ambito lirico sono stati tradotti letteralmente solo quando immediatamente comprensibili (maidon antajat, donatrici di latte per mucche), mentre in presenza di figure difficilmente decifrabili si è rimandato il significato originale in nota (gran botte per "viisivantehinen, cinque cerchî"). I versi dal contenuto marcatamente cosmico, cosmogonico od iniziatico hanno dato licenza ad una maggiore libertà d’interpretazione, come nel caso di sinä ilmoisna ikänä, letteralmente nei tempi mondani, tradotto con l’espressione liturgica cristiana nei secoli dei secoli poiché nel contesto mitologico il termine ilma, alla base del sintagma essivo ilmoisna, assume un significato universale omologo a quello di saeculum nella locuzione latina.

    Nel caso di glosse attorno alle quali gli studiosi non hanno maturato un’opinione unanime si è tenuto presente delle posizioni più condivise e documentate. Ne è esempio rutimoraita, epiteto della quercia immensa che oscura il cielo con le sue fronde, tradotto con albero infernale coerentemente con l’interpretazione di Uno Harva che individua nel primo costituente il tema del lappone rut-, rota-, ruta-aibmo, luogo mitologico frutto del sincretismo pagano-cristiano, purgatorio ove le anime peccatrici attendono la discesa all’inferno.

    Parrebbe ovvio affidare alla traduzione di un classico il compito di restituire integralmente forma e significato del testo originale. Tuttavia per anni si è negato al pubblico l’accesso diretto allo scrigno dorato di queste magiche strofe. In tal senso il presente lavoro costituisce un elemento di assoluta novità ed originalità nel panorama editoriale italiano.

    Marcello Ganassini

    Rivolgo un ringraziamento particolarmente sentito a Gianfranco de Turris, senza il cui prezioso aiuto questa traduzione non avrebbe mai visto la luce.

    INTRODUZIONE ALL’EDIZIONE DEL 1835

    Benché questi canti siano ora pronti per la pubblicazione, risultano purtroppo ancora incompleti. Coltivo la speranza di proseguire l’opera di raccolta dei versi e non mi permetterei di dare prematuramente alle stampe il mio lavoro se sapessi che esso è destinato a rimanere per sempre incompleto. È già accaduto che tentativi e imprese migliori della mia finissero poi per arenarsi.

    Considero anzitutto mio dovere spiegare il metodo di raccolta di questi Runi. Alcuni erano già inclusi in forma forse più incompleta nelle compilazioni di Lencqvist, Ganander, Porthan e Topelius, ma la maggior parte di essi è ancora inedita. I canti sono il frutto del materiale che ho raccolto nel corso degli anni presso la Carelia russa e finlandese, come in parte anche nella regione di Kajaani. Molti mi sono stati inviati per iscritto da altre regioni. I luoghi dove ho recuperato il maggior numero di versi sono le parrocchie di Kitee, Kesälahti, Tohmajärvi, Ilomantsi e Pielinen nella Carelia finlandese, Vuokkiniemi, Paanajärvi e Repola nella Carelia russa, Kuhmo e Kianta nei pressi di Kajaani. In altri luoghi dove sono stato non v’era niente di particolarmente interessante. Nel 1828 ho visitato le località della Carelia finlandese già menzionate, nel 1831 e negli anni successivi Kuhmo e Kianta, nel 1832 Repola e infine, trasferitomi a Kajaani, ho portato a termine escursioni di alcune settimane nelle parrocchie oltre confine.

    È probabile che la memoria popolare conservi altri canti oltre a quelli che ho raccolto, ma non c’è dubbio che nei tempi passati essi dovettero essere assai più numerosi. A Latvajärvi, presso Vuokkiniemi un vecchio contadino di ottant’anni, i cui versi ho trascritto come meglio potevo per due giorni ininterrottamente, mi disse al riguardo: Quando ero bambino andavo a pescare a Lapukka con mio padre. Avevamo un garzone, un uomo del posto, anch’egli un buon cantore, ma non certo paragonabile a mio padre. Passavano le notti a declamare i versi senza mai ripetere due volte la stessa strofa. Ragazzetto magrolino sedevo attorno al fuoco e li ascoltavo sforzandomi di ricordare le loro parole, ma solo una parte di quello che sentivo mi restava in testa. Se mio padre fosse ancora in vita, non basterebbero due settimane per trascrivere tutto quello che sarebbe riuscito a recitare. Cantori come lui non nascono più, e gli antichi versi del popolo stanno gradualmente scomparendo. La gente d’oggi dimentica quei canti meravigliosi e preferisce comporne di proprî, per lo più vicende scherzose tra ragazze e ragazzi con le quali non vale neanche la pena di sporcarsi la bocca.

    Ho cercato d’imprimere un ordine a questi Runi, tale era l’obiettivo che mi ero prefissato. Poiché a quanto so nessuno si è mai cimentato nell’impresa o ne ha manifestato l’intenzione, occorre spiegare come ho maturato quest’idea. Già leggendo le raccolte precedenti e in particolare quella curata dal Ganander, mi chiedevo se non fosse possibile giustapporre i canti su Väinämöinen, Ilmarinen, Lemminkäinen e altri nostri illustri progenitori, ottenendo così periodi narrativi di grande respiro come venne fatto per gli antichi cicli epici di greci, islandesi e d’altre civiltà. Il proposito si è consolidato a partire dal 1826 quando, con l’aiuto di Reinhold von Becker, professore associato di storia all’Università di Turku, scrissi un saggio su Väinämöinen, e solo allora potei constatare la mole di materiale narrativo attorno alla figura dell’eroe. Mi chiesi perché a suo tempo il Ganander non si fosse cimentato in una redazione completa, ma presto capii che non aveva tra le mani un numero sufficiente di versi. I passaggi migliori, raccolti e pubblicati in Mythologia Fennica, erano ancora troppo scarni. Quanto a Zacharias Topelius, una morte prematura gli impedì di cimentarsi in questo lavoro.

    Se fossi certo del consenso unanime sull’ordine con cui ho raccolto i canti, mi fermerei qui e non aggiungerei nient’altro. Ma se alcuni considerano l’opera ormai completa, altri la ritengono ancora inadeguata. Sono persuaso che le strofe scorrano egregiamente nell’ordine che ho loro impresso, ma potrebbero essere ancor più fluide se accostate in altro modo. Nella compilazione mi sono attenuto a due principî: ho seguito la disposizione fornita dai cantori più valenti e, ove non potevo avvalermi del loro aiuto, ho tentato di desumere l’ordine dei canti dal loro contenuto componendoli di conseguenza.

    Il lettore si chiederà se i nostri antenati cantassero i Runi in successione o singolarmente. A me sono giunti in sequenze singole. I canti su Väinämöinen, Ilmarinen e Lemminkäinen non possono esser stati composti da un unico soggetto. Laddove un cantore ricordava una cosa, un secondo ne aveva in mente un’altra alla luce di quanto avevano visto e udito. Non vi è un canto conservatosi integralmente nella sua forma originale fino ai nostri giorni. Chiunque sappia con quanta schiettezza il popolo si dedica all’ufficio della lirica si renderà conto che, quale che sia l’oggetto trattato, neppure chi è dotato della memoria più brillante potrà ricordare parola per parola un lungo canto esattamente come l’ha udito. Memorizzerà facilmente l’argomento passaggio per passaggio, terrà a mente il maggior numero di versi e li trasmetterà ad altri dimenticandone alcuni e perfezionandone altri. La trama di un Runo si allontanerà gradualmente dal suo carattere originario per essere poi narrata in una forma del tutto diversa. Lo stesso fenomeno si è verificato per la gran parte dei nomi proprî. Con la diffusione del cristianesimo i nomi subirono una trasformazione: le figure maschili divennero Kiesus (Gesù), santta Pietari (san Pietro), Ruotus (Erode), Juutas (Giuda) e così via e le figure femminili furono condensate in quella della Vergine Maria.

    Non tutto il contenuto dei Runi è privo di autenticità, ma è ormai difficile distinguere cosa sia originale, cosa descritto in un modo diverso e cosa del tutto inventato. Se esaminati attentamente, molti argomenti, persino quelli più astrusi e poco credibili, possono trovare una spiegazione razionale. Nessuno di noi crede alle fatiche di Väinämöinen e Ilmarinen per recuperare il sole e la luna scomparsi, né ritiene che la signora di Pohjola li abbia nascosti in una montagna. Ma se ricordiamo quanto ci hanno detto circa i nostri antenati giunti ai confini del Nord da terre più meridionali, tenendo presente quanto lunghe siano le notti d’inverno alle alte latitudini, possiamo convenire che il fenomeno dovette sembrar loro straordinario al punto da suscitare il timore che il sole fosse davvero scomparso. Quando poi dovettero condividere vasti territori con i lapponi che già abitavano le regioni dell’attuale Finlandia e che avevano motivo di temere in quanto detentori di una magia più potente della loro, risulta evidente il motivo per il quale la colpa dell’oscuramento sia ricaduto proprio sulla signora di Pohjola. Alla scomparsa del sole è stata poi aggiunta quella della luna e delle stelle.

    In tutti i canti si narra di due popoli, Pohjola e Kalevala, in perpetuo conflitto tra loro. Secondo la tradizione, a capo del popolo di Pohjola vi è Louhi, figura temibile ora descritta come signora del Nord. La stirpe di Kalevala conta una schiera di eroi a capo dei quali vi sono Väinämöinen, Ilmarinen e Lemminkäinen. Per quanto riguarda quest’ultimo, i canti non offrono elementi sufficienti per confermare l’appartenenza all’uno o all’altro popolo. Nei Runi analoghi a quelli che ho selezionato, lo vediamo spesso al fianco di Väinämöinen, oppure per proprio conto muover guerra contro Pohjola, corteggiare la figlia del Nord e altro ancora, mentre altrove viene descritto mentre è intento a sedurre la fanciulla di Päivälä (il regno del sole), o presso il popolo divino degli jumaliset, nomi che sembrerebbero riconducibili a Kalevala. Joukahainen può essere altresì considerato un eroe, probabilmente l’unico, appartenente al popolo di Pohjola, come dimostrano i luoghi nei quali è citato come lappone o figlio del Nord. Così è descritto nelle varianti dell’episodio nel quale viene liberato dalla palude da Väinämöinen o nel primo Runo quando, in agguato presso il fiume, si accinge a colpire l’eroe. Anche la sorella promessa in sposa a Väinämöinen compare come figlia della signora del Nord, la quale già da tempo nutre il desiderio che l’eroe diventi suo genero [XI, 346].

    Con l’espressione popolo di Kaleva ho voluto indicare la nazione alla quale i canti riconducono Väinämöinen, Ilmarinen, Lemminkäinen. Ma poiché molti associano il nome di Kaleva a quello dei dèmoni Hiisi e Lempo e qualcuno potrà imputarmi un fraintendimento, mi sia concesso di approfondire il mio pensiero. Sono persuaso che Kaleva sia il più antico degli eroi finnici, per quanto sporadiche siano le informazioni che ci sono pervenute. Si tratta forse di colui che per primo s’insediò sulla penisola finlandese lasciando poi una discendenza che si sparse per queste terre. Nella descrizione dei luoghi in cui vivono Väinämöinen e gli altri eroi, compare spesso il nome di Kalevala; in altri passi vengono menzionate le brughiere, le terre debbiate, i pozzi, i cani e i cuculi di Kaleva: ad esempio in un’antica ballata careliana una fanciulla chiede al futuro sposo: Sei stato a Kalevala?, e il fidanzato: Sì, sono stato a Kalevala, Abbaiano i cani di Kaleva per le brughiere di Kalevala?, Abbaiano, ecc., Cantano i cuculi di Kaleva sulla via del pozzo presso i campi debbiati di Kalevala?, Cantano, ecc., Si affacciano le vergini di Kaleva alla finestra di Kalevala?, Si affacciano ecc.. Laddove incontriamo argomenti dilettevoli come i corteggiamenti tra giovani, trovo del tutto inappropriato accostare Kalevala ad Hiisila, la terra di Hiisi o Lempo. Come potremmo associare la terra degli eroi a Manala o Tuonela, il regno della morte?

    Il motivo della connotazione negativa di Kaleva potrebbe derivare dal fatto che per le genti di Pohjola il suo nome suonava terrificante e dannoso, così come fino ad oggi abbiamo considerato i turchi, i cinocefali e il Barbarossa non come esseri umani, ma alla stregua di potenti entità malefiche. D’altronde per i nostri antenati il papa era Dio in persona, mentre oggi il ruolo del pontefice è assai diverso. Non si parta dunque da presupposti moderni per trarre conclusioni su elementi appartenenti al mondo antico senza approfondire l’argomento. Come abbiamo detto, le genti del Nord provavano un certo timore verso il nome di Kaleva, ma col passare del tempo i lapponi cominciarono a mescolarsi con i finni: ridotti a schiavi e salariati, girarono per la Finlandia contribuendo ad un ridimensionamento della nomea di Kaleva od alla sua completa sparizione. Alla loro influenza si aggiunse poi quella della nuova fede. È singolare che l’immagine di Väinämöinen e Ilmarinen abbia conservato intatta il suo prestigio. Vi sono altri argomenti per spiegare la rapidità con la quale si verificano mutamenti di questo genere. Nelle campagne prevale ancora la credenza secondo la quale le prime chiese finlandesi furono opera dei giganti. Nei miei viaggi non ho trovato un’antica chiesa di pietra attorno alla quale non fossero nate voci come queste: quale potrebbe esserne il motivo? La spiegazione che ho cercato di dare è la seguente: mentre in Finlandia si diffonde il cristianesimo, nelle foreste e nei luoghi più selvaggi si trovano ancora lapponi pagani ostili alla nuova dottrina. Non comprendendo appieno il progresso cui i finni erano protagonisti, ne attribuirono la causa all’influenza del cristianesimo e questo accrebbe l’insofferenza verso la religione dominante. Mentre si costruivano le chiese, i lapponi sentivano l’esigenza di distruggerle e così la notte abbattevano il frutto del lavoro diurno. Ma poiché i finni erano dotati di corporatura e mezzi migliori, i lapponi finirono per considerare i costruttori di quegli edifici dei giganti diffondendo la credenza per tutta la Finlandia, tanto che ancora ai giorni nostri alcuni finlandesi considerano la costruzione delle chiese un’impresa titanica, senza sapere che quei titani sono loro stessi. Inoltre, le periodiche rappresaglie diedero luogo alla leggenda popolare, qua e là ancora presente, secondo la quale erano gli stessi giganti a distruggere nottetempo gli edifici.

    Ho spiegato questo per invitare a riflettere su come l’immagine di Kaleva possa aver vissuto un cambiamento così profondo. Perciò si è finiti per accostare il nome di Kaleva a parole come hirviätä, mostruoso, surmaavaista, letale, o ad altre del tipo di kalpa, emaciato, kalma, oltretomba, kallo, teschio, kalu, cateratta, kuolla, morire.

    Nella tradizione popolare contemporanea, i figli di Kaleva godono di reputazioni antitetiche. C’è chi li considera giganti malvagi, mentre altri li chiamano Väinämöinen, Ilmarinen, Lemminkäinen, Joukahainen, Kihavanskoinen, Liekkiö, Kullervo e via dicendo, senz’alcuna accezione negativa fatto salvo per quest’ultimo che, a causa del suo carattere, viene scacciato da casa. Per quanto concerne l’argomento titanico, abbiamo fornito una spiegazione, mentre poco sappiamo riguardo ai nomi dei figli di Kaleva. La tradizione vuole che essi siano dodici. Non siamo in grado di dire con certezza se Väinämöinen fosse un figlio di prima generazione o d’una successiva. Personalmente sarei propenso a sostenere che appartenesse ad una generazione precedente a quella degli altri eroi, poiché in caso contrario sarebbe fratello d’Ilmarinen, argomento privo di fondamento, seppure in alcuni passi l’uno chiami l’altro fratello o figlio della propria madre. Del pari Lemminkäinen dovrebbe essere considerato fratello di Väinämöinen, anche se questi non lo chiama mai così, limitandosi a considerarlo in alcuni passi il suo più grande amico. Anche gli eroi appartenenti alle generazioni successive hanno buon diritto d’essere menzionati come figli di Kaleva; del resto ancora oggi gli ebrei si riconoscono come figli di Abramo e d’Israele. Da ciò si comprende come Kullervo, chiamato figlio (ovverosia discendente) di Kaleva, venga venduto ad Ilmarinen, anch’esso designato come tale. Aggiungo che ho più volte sentito nominare anche Antero Vipunen tra le fila del popolo di Kaleva, come del resto esplicitato in un passo del Runo di cui è protagonista.

    Non è possibile fare ulteriori osservazioni, ma sono convinto che Kaleva sia una figura molto più antica di quella di Väinämöinen, d’Ilmarinen e di altri eroi, e come ho già accennato potrebbe essere stato colui che per primo condusse i finni in queste zone. La regione abitata dai suoi successori avrebbe preso il nome di Kalevala, terra di Kaleva, corrispondente ad altri toponimi particolari, Väinölä, terra di Väinämöinen, Ilma, da ilma, cielo, Utuniemi, promontorio nebbioso, Terhensaari, isola brumosa, Suomela, terra di Finlandia, Kaukoniemi, promontorio remoto, Päivilä, regno del sole, Vuojela, Lapponia, Luotola, terra scogliosa, Jumaliset, terra degli Dei. Kalevala è il teatro della vicenda epica e io ho voluto che la mia raccolta di canti ne prendesse il nome.

    La mitologia finnica, già studiata e divulgata da Lenqvist, Ganander e Porthan, presenta ancora contenuti inesatti e questioni irrisolte. Ancora poco è stato detto a proposito di Kaleva e sui suoi figli, e ci piacerebbe sapere a partire da quando si è voluto considerare Ilmarinen una divinità del vento, del cielo e del fuoco. Il simbolo uranico sembrerebbe derivare dal nome, mentre il ruolo di creatore del fuoco è suffragato dal passo nel quale, accompagnato da Väinämöinen, riaccende le fiamme nel firmamento. Nei Runi questa funzione divina gli è tuttavia estranea. Per invocare i venti ci si rivolge sempre ad Ukko, colui che regna tra i cieli, mentre la tempesta che sorprende Ilmarinen in fuga da Pohjola sembra spaventarlo più degli altri. Alle prese con la forgia del Sampo, l’eroe riesce a far soffiare i venti, ma il fatto può esser facilmente spiegato senza ricorrere ad una funzione divina specifica. Inoltre, se fosse un dio del cielo, difficilmente Väinämöinen lo avrebbe mandato a Pohjola contro la sua volontà, trascinato dai venti che egli dovrebbe dominare, ed è ancora Väinämöinen e non Ilmarinen a stregare la signora di Pohjola allorché costei minaccia di mandare pioggia, grandine e gelo per distruggere i frutti del Sampo prodigioso. Secondo i versi lirici, Ilmarinen è un fabbro del ferro, del rame, dell’argento e dell’oro, un uomo coscienzioso, leale e sincero, almeno quando lo vediamo preso dal suo lavoro e indifferente ad ogni altra cosa. Questa è la sua dignità e non ha bisogno di fregiarsi del titolo divino e celeste.

    In tempi remoti l’eroe che oggi conosciamo come Väinämöinen forse è stato chiamato in altro modo: nessuno ha titolo per provare il contrario. La creazione del mondo, della luna e delle stelle potrebbe esser stata attribuita a qualche divinità il cui nome è caduto nell’oblio e successivamente sostituito con quello di Väinämöinen. Per qualche ragione Kaleva, Ukko il dio supremo e altre autorevoli figure sono rimaste pressoché estranee alla vicenda lirica, benché nel ciclo di Antero Vipunen si ricordi che al suo cospetto Väinämöinen non era che un giovinetto.

    Se in alcuni passi l’originale ruolo divino dell’eroe viene sminuito, non ne sono responsabile. Ho voluto riportare tali brani senza curarmi del fatto che in essi Väinämöinen venisse considerato o meno una divinità. Da tempo immemore ci siamo abituati a vedere in esso un nume dei nostri antenati, fama che sembra non gli riconoscessero, preferendo considerarlo un eroe possente dotato di una grande saggezza. Sovente egli rivolge richieste d’aiuto ad Ukko, riconoscendogli in tal modo il titolo di divinità suprema. In realtà Väinämöinen gode di fama e prestigio anche senza attributi divini: meglio il nobile mezzadro del rozzo possidente, più santo il saggio del vuoto idolo di legno. Ancor’oggi, nelle regioni dove la tradizione orale è più viva, se chiediamo alla gente cosa rappresenti Väinämöinen la risposta più immediata è: un eroe memorabile dei nostri primi antenati e un celebre rapsodo; ma se domandiamo chi sia il loro dio, la maggioranza indica Ukko, il creatore del cielo e della terra nonché l’oggetto delle preghiere. Non ho alcun dubbio che già prima dell’avvento del cristianesimo i nostri antenati riconoscessero un’unica divinità cui a volte attribuivano il nome letterale, altre volte quello di Ukko od il titolo di Creatore, e non possiamo accusarli d’ingenuità se non furono in grado di elaborare un vero e proprio pantheon come fecero altri popoli dell’antichità.

    Generalmente nei Runi Väinämöinen è menzionato come uomo intrepido, saggio, profetico, magnanimo verso le generazioni future, una personalità di grande scienza, tra i più abili nel canto e nella musica e un eroe della Finlandia intera. L’appellativo più comune è quello di vecchio, anche se l’età veneranda non sembra essergli d’ostacolo nei suoi corteggiamenti.

    Di tutt’altro carattere è Lemminkäinen, spensierato, giovane, superbo, arrogante nella forza e nell’indole, noncurante del futuro, talvolta eroico e coraggioso. Le prove alle quali viene sottoposto presso Pohjola sembrano puramente accidentali, perché sono sostanzialmente le stesse alle quali altrove viene sottoposto Ilmarinen. Ho quindi scelto le varianti nelle quali i compiti assegnati all’uno e all’altro eroe presentano caratteristiche differenti.

    Non farò menzione di altri nomi che troviamo nei Runi, per i quali potremmo correggere alcune inesattezze e arricchire la nostra conoscenza in materia di mitologia. È stato ad esempio un errore considerare kave un personaggio autonomo, laddove non viene mai descritto come essere umano o creatura d’altro tipo, così come si è commesso uno sbaglio nell’assimilare Väinämöinen alla figura di Ukko.

    Non intendo qui soffermarmi sui passi che illustrano gli antichi costumi in voga: potrei esporre un gran numero di casi se solo ne avessi il tempo. Nel Runo 13 viene spiegato come un tempo si cucinasse versando acqua sulle pietre roventi. Troviamo spesso testimonianza di come i genitori venissero tenuti in considerazione, con l’eccezione di Lemminkäinen che, in un empito di orgoglio virile, si oppone al volere della madre. Veniamo inoltre a sapere come fosse in uso sottoporre i pretendenti a prove di carattere iniziatico. Le vicende amorose e i corteggiamenti sono frequenti al punto che qualcuno potrebbe considerare l’intera opera alla stregua di un moderno romanzo. Sia pure così, ma non dimentichiamo che i nostri antenati non godevano di stimoli tanto variegati quanto i nostri: le attività più memorabili e degne d’esser raccontate erano i fidanzamenti, le guerre, la caccia e la pesca. Perciò nei loro canti questi temi sono ricorrenti.

    […]

    Come è stato già scritto, la poesia lirica finnica si divide in due generi: il canto narrativo e quello magico. In alcuni testi si è specificato come i canti magici fossero in origine carmi narrativi soggetti in seguito ad una trasformazione. Quelli raccolti in questo testo sono il fior fiore dei Runi narrativi. Ai fini dell’indagine sul mondo antico i versi che ho ritenuto fondamentali non hanno tuttavia maggior rilevanza di tutte le altre varianti che ho avuto modo di udire. In tutti i casi si tratta di materiale proveniente dalle stesse regioni e risalente alla medesima epoca. Ho registrato i singoli Runi dalla bocca di un gran numero di rapsodi e in forme assai diverse una dall’altra: pertanto mi si è presentata la questione di quale fosse la versione migliore e più significativa. In altri casi ho avuto difficoltà a raccogliere il materiale da una fonte all’altra in una forma sufficientemente completa.

    Taluni hanno un’altissima considerazione dei nostri antichi carmi, mentre altri negano loro il minimo valore. Io non mi sentirei di disprezzarli o di sostenerne l’incontestabile grandezza. Sarebbe sbagliato affiancarli alla lirica di greci e romani, ma dovremmo accontentarci di mostrare quanto i nostri antenati fossero animati da aspirazioni spirituali tutt’altro che futili, cosa di cui hanno sempre dato prova.

    Questo lavoro non mi è stato di peso, né ha richiesto un grande impiego di denaro: sull’argomento non avrei quindi altro da aggiungere. Ciò che viene fatto per passione e senza costrizioni deve esser considerato un piacere: non ho raccolto e ricomposto questi versi su richiesta ma per libera scelta. Ho inoltre avuto un’ulteriore soddisfazione nel constatare che molti hanno apprezzato il mio sforzo. Sono loro grato per le parole di stima e d’amicizia.

    Altri hanno tratto stimolo per i proprî studî e approfondimenti, nutrendo la speranza di portare a termine raccolte pregevoli. Nel mio caso tale speranza è spesso venuta a mancare. Incerto sulle mie capacità di realizzare un’opera valida, durante la redazione di questo lavoro sono stato assalito da dubbi crescenti, fino ad essere sul punto di gettare tutto alle fiamme. Ero convinto di non avere le capacità per dare al materiale raccolto la forma che desideravo, e mai avrei voluto consegnare al giudizio della scienza il frutto ancora acerbo delle mie fatiche. Orsù andate per la vostra strada, Runi del Kalevala, sebbene non siate ancora del tutto pronti: tanto tempo avete passato tra le mie mani, né il fuoco vi farebbe più completi!

    Elias Lönnrot

    Kajaani, 28 febbraio 1835

    INTRODUZIONE ALL’EDIZIONE DEL 1849

    1. L’ordine dei Runi. Quest’opera, che tratta delle condizioni di vita e delle attività dei nostri antenati, viene ora presentata in una forma più completa di quella dell’edizione precedente, ed è probabile che tale rimanga: non è infatti possibile trovare altre strofe dello stesso genere, poiché i luoghi nei quali vi era qualche speranza che esse venissero ancora recitate sono stati ripetutamente esplorati ed esaminati da un gran numero di studiosi. Tenendo presente che questi versi costituiscono la più antica testimonianza giunta fino a noi del popolo e della lingua di Finlandia, era d’obbligo raccoglierli con ogni cura e scrupolo per ricomporli nel modo migliore, includendo tutte le informazioni che essi contengono riguardo ai costumi, ai modi di vita e alle vicissitudini di quei tempi. Nella fase di raccolta ho dovuto più volte ricorrere all’arbitrio, poiché nemmeno i migliori rapsodi erano in grado di fornire molti canti d’uno stesso ciclo ed essi pure erano sovente esposti in forme differenti, tanto che è stato necessario basarsi sul contenuto intrinseco del materiale, distaccandosi dall’ordine adottato nella precedente edizione del Kalevala. È probabile che questa nuova stesura non soddisfi pienamente tutti e lasci spazio a qualche critica.

    2. I nomi proprî. I Runi raccolti differiscono da un cantore all’altro non solo nell’ordine, ma anche per i nomi dei personaggi. Un rapsodo attribuisce a Väinämöinen gesta eroiche che un altro assegna ad Ilmarinen e un terzo a Lemminkäinen; ciò che uno canta di Lemminkäinen l’altro attribuisce a Kullervo od a Joukahainen. In luogo di Kullervo che parte per pagare le imposte [35, 69-358] altri collocano Tuiretuinen, Tuurikkinen, Lemminkäinen o

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