Cercare lavoro è un lavoro: Una guida pratica per la ricerca sistematica ed efficace del lavoro giusto
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Cercare lavoro è un lavoro - Angelo Salvatori
1
Il mercato del lavoro italiano
Se avete fretta di fare, passate al capitolo successivo, più operativo. Ma sarebbe utile capire qualcosa di più sul mercato del lavoro italiano. Descrivere le caratteristiche del nostro mercato del lavoro significa parlare del tessuto produttivo italiano e delle sue peculiarità, che lo differenziano in parte da altri mercati dei Paesi occidentali avanzati.
Iniziamo con una prima osservazione: mercato significa che ci sono due entità diverse che devono incontrarsi, secondo le regole della domanda e dell’offerta. Detto in parole semplici, c’è chi cerca il lavoro, e chi lo offre. Paradossalmente, chi cerca lavoro ha un punto di forza: una volta individuato chi offre, può indagare a suo piacimento sulle caratteristiche dell’azienda che cerca, mentre chi cerca deve impegnarsi in complesse e costose valutazioni dei candidati che si propongono. Da questa osservazione deriva un primo consiglio pratico: conosci il tuo potenziale datore di lavoro, prima che lui conosca te. Oggi le possibilità che ha un candidato di conoscere l’azienda che vorrà o dovrà incontrare sono infinitamente più ampie rispetto all’era pre-internet ed è possibile ottenere una serie di informazioni che prima era molto difficile reperire; studiare chi si deve incontrare è nel nostro interesse.
Ma siamo andati troppo avanti, dobbiamo meglio definire i giocatori di questa partita. Il primo giocatore (o giocatrice) lo definiremo candidato, il secondo datore (o datrice) di lavoro, e d’ora in poi utilizzeremo questi due termini per i nostri ragionamenti.
Intanto la definizione di candidato implica una funzione attiva dello stesso, cioè la volontà di cercarsi un’occupazione, quindi sono escluse dalla nostra trattazione tutte le persone che non studiano e non cercano lavoro. Sembra assurdo ma questa è una platea molto vasta, che non ci riguarda, perché i nostri consigli sono indirizzati solo a chi è parte attiva e consapevole nel processo. È chiaro che un individuo può sempre passare da comportamenti passivi a una fase attiva, e in questo caso può essere di nuovo definito candidato.
Chiunque può trovarsi nella condizione di cercare lavoro, sia che non ne abbia mai avuto uno sia che lo abbia perso, o che semplicemente sia in cerca di una nuova posizione, di un miglioramento di qualunque genere, a prescindere dal livello di istruzione. Occorre però seguire un metodo, che cercheremo di illustrare. Ecco che si affaccia un nuovo concetto: cercare lavoro è un lavoro, quindi va svolto seguendo un metodo che potremmo definire scientifico, che porta a una soluzione statisticamente positiva in una grandissima maggioranza di casi.
Ma dobbiamo definire il nostro territorio di caccia, poi studiarlo, e per studiarlo bisogna avere consapevolezza dei numeri coinvolti; ovvero, dobbiamo conoscere il tessuto produttivo italiano.
Un po’ di storia: l’economia italiana è cambiata profondamente nella sua struttura a partire dal secondo dopoguerra, passando in pochi anni da un’economia basata sull’agricoltura a un’economia di produzione, di industrie manifatturiere. La crescita si è consolidata negli anni del boom economico (’50-’70) ed è continuata durante il secolo scorso. A questa crescita si è accompagnata una profonda trasformazione della società, con spostamenti migratori dalle aree depresse del sud alle aree maggiormente industrializzate del centro-nord, con notevole spinta all’urbanizzazione, legata alla parallela trasformazione del mercato del lavoro. La fase di industrializzazione è arrivata a compimento negli anni ’80, poi è cominciata una fase di terziarizzazione dell’economia italiana con lo sviluppo dei servizi di ogni genere: bancari, assicurativi, commerciali e della comunicazione, tuttavia l’industria italiana rimane una delle maggiori al mondo per livelli produttivi.
I dati Istat ci dicono che il sistema produttivo italiano è ancora caratterizzato da una grande frammentazione e una grande propensione all’imprenditorialità; questo significa che sono molti i giovani che preferiscono affrontare il rischio di aprire una piccola attività imprenditoriale ‒ e questo avviene con maggiore frequenza in Italia (64 imprese ogni 1000 abitanti) che non in Francia (38,8 imprese ogni 1000 abitanti), nel Regno Unito (27 imprese ogni 1000 abitanti), o in Germania (26,4 imprese ogni 1000 abitanti). Questi dati sono molto importanti perché smentiscono in parte la convinzione diffusa che in Italia, a causa di una burocrazia ottusa, sia difficile creare una piccola impresa. In realtà, non è creare un’impresa che è difficile, è gestirla che lo è, specie per chi non ha mai avuto a che fare con la burocrazia, in tutti i suoi livelli di inutile complicazione.
Più avanti in questo volume tratteremo anche, da vari punti di vista, ciò che riguarda la creazione di una start up.
Continuando a esaminare i dati Istat, rileviamo che, ad esempio, nel 2018 erano attive in Italia circa 4,4 milioni di imprese con circa 17,3 milioni di addetti. Questo dato ci fa capire quanto sia ampio il mercato del lavoro privato. La struttura dimensionale delle imprese è caratterizzata da una spiccatissima prevalenza di piccole imprese con meno di 50 addetti, che rappresentano oltre il 99% del totale imprese, ma impiegano solo il 64% degli addetti complessivi e producono solo il 47,8% del valore aggiunto.
Altri due aspetti caratterizzano in modo marcato il nostro sistema produttivo: il grandissimo numero di piccole imprese con meno di 10 addetti e la relativa scarsità, invece, di grandi imprese e di pochissime imprese italiane realmente multinazionali. Un’altra particolarità che caratterizza il sistema italiano è la scarsa attenzione che i politici di tutti i colori hanno posto nella difesa e nella creazione dei cosiddetti campioni nazionali, che invece sono una caratteristica prevalente per esempio del sistema francese.
In definitiva le grandi imprese, cioè quelle con oltre 250 dipendenti, sono in Italia meno di 1400, mentre in Germania sono oltre 4400, ma anche il numero di dipendenti varia, avendone loro il 50% in media più di noi. In Francia, che ha un numero simile di grandi imprese, queste hanno in media l’82% di dipendenti in più rispetto a noi.
Negli anni 2000 l’economia italiana conosce una fase di stagnazione, caratterizzata da una crescita estremamente bassa. Verso la fine del decennio, anche in conseguenza della crisi planetaria, il Paese entra in una vera crisi recessiva, con crescite successive modestissime poi pesantemente aggravate dalla pandemia di Covid-19, che ha determinato una notevole perdita di posti di lavoro. Quindi i dati Istat illustrati in precedenza vanno attualizzati a causa dell’evento pandemico, che ha colpito tutta l’Europa ma che, per cause ancora da chiarire, inizialmente si è particolarmente accanito in Lombardia, ovvero il cuore pulsante della nostra economia. I dati rilevati da uno studio della Banca d’Italia mostrano con chiarezza che nel primo periodo, il più acuto, della pandemia, cioè da febbraio a giugno 2020, si sono persi circa 595.000 posti di lavoro rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Successivamente, e nel complesso, sono stati recuperati ed anzi superati, ma rimane ancora oggi un numero di posti non elevato in assoluto, e una differenza importante nella composizione degli occupati, con un forte ricorso al lavoro a tempo determinato anziché a tempo indeterminato, segno di una fragilità del sistema.
I contratti di lavoro a tempo determinato hanno assorbito gran parte di queste cessazioni, per ovvie ragioni, durante la prima fase dell’emergenza sanitaria. Le regioni più colpite sono state quelle del nord, i settori che hanno sofferto meno sono quelli del terziario, mentre quelli che complessivamente hanno sofferto di più sono quelli del turismo.
Quindi oggi è ancora più necessario prepararsi per affrontare il mercato. L’economia italiana ha ceduto l’8,9% nel 2020 rispetto all’anno precedente, e il 2021 sembra essere cresciuto del 6,5% circa, quindi abbiamo recuperato ma non tutto, cosa che ci auguriamo avvenga nel 2022: un ulteriore rimbalzo, dove però riteniamo che il mercato del lavoro sarà diverso, più specialistico e più competitivo, e dovrà essere approcciato da parte dei candidati con una modalità più scientifica.
Questo manuale si propone proprio di dare risposte alle mutate condizioni di ricerca del posto di lavoro. Quindi, andando avanti, cercheremo di identificare le linee direttive del metodo che ci consente di avere le massime possibilità di successo.
Un altro passo in avanti consiste nell’osservare che ciascun candidato ha un suo mercato del lavoro, in base alla preparazione scolastica, alle proprie aspirazioni, al proprio stile di vita, ai propri desideri e banalmente anche in base a dove abita e a dove è disposto ad andare. Delineare il proprio mercato, in parole povere, significa quindi identificare quelle aziende alle quali io posso concretamente dare un contributo.
In molti casi, l’identificazione del proprio mercato è facile. Facciamo l’esempio di un perito chimico, che avrà come mercato primario le aziende chimiche, farmaceutiche, sia nella produzione sia nella ricerca e sviluppo, oltre che nelle vendite o nel marketing (questa scelta dipende dall’indole della persona che sta cercando lavoro). Utilizzando le informazioni facilmente ricavabili su internet e stabilendo il range di fatturato (ad esempio sopra i 10 milioni di euro), gli sarà utile compilare un elenco scritto di tutte le aziende che rientrano in questi parametri, che saranno quelle che costituiranno il suo territorio di caccia principale. Ma non è tutto: oltre al mercato primario esiste anche un mercato secondario di aziende che, pur non essendo chimiche, hanno necessità di un chimico nei servizi qualità o nei servizi tecnici; questo è un po’ più difficile da individuare, ma internet può sempre fornire utili risposte. Ad esempio, le industrie conciarie hanno rilevanti problemi di gestione dei residui chimici che derivano dal trattamento delle pelli.
Come abbiamo visto, il mercato del lavoro italiano è particolarmente frammentato, poiché le aziende con meno di 10 addetti sono la stragrande maggioranza, e considerarle significa disperdere molte energie per poterle raggiungere con gli strumenti che vedremo successivamente, quindi è necessario calibrare bene il proprio mercato sia in termini di fatturato sia di numero di addetti. Una buona calibratura consente di individuare un grande numero di aziende dotate di sufficiente potenziale di assunzione, quindi il primo imperativo categorico è non disperdere le forze e concentrare gli sforzi. Per costruire il proprio mercato, bisogna utilizzare i siti che mettono le aziende in graduatoria per fatturato e numero di addetti; nel web sono numerosi i siti che offrono queste informazioni gratuitamente.
Tali informazioni sono però in costante cambiamento: ciò che è gratis ora potrebbe diventare a pagamento fra cinque minuti, quindi l’unica è armarsi di tanta pazienza e usare un motore di ricerca come Google.
La pandemia ha innescato un certo cambiamento nella modalità di svolgimento del lavoro e