L'incantatore di satelliti
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Info su questo ebook
La narrazione placida di Mame Bougouma Diene ci racconta con estrema onestà come il capitalismo ci condurrà verso un baratro, ma anche come è possibile trovare musica e pace in mezzo alla fine del mondo. Le illustrazioni di Marta Punxo giocano con i colori dell’apocalisse e con le speranze di un nuovo mondo, lontano, tra le stelle.
Traduzione di Stefano Ternavasio
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Anteprima del libro
L'incantatore di satelliti - Mame Bougouma Diene
© 2022 Mame Bougouma Diene, Marta Punxo,
Stefano Ternavasio
Titolo originale: The Satellite Charmer
Progetto grafico di copertina a cura di Denis Pitter
Logo della collana Cuspidi realizzato da Miriam Tritto
Logo Moscabianca Edizioni realizzato da Veronica Carratello
© 2022 Moscabianca Edizioni
ISBN 9788831982757
Prima edizione: dicembre 2022
www.moscabiancaedizioni.it
info@moscabiancaedizioni.it
L’incantatore di satellitiIndice
L’incantatore di satelliti
Glossario
Biografie
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«Lo vedi?»
Abdou era un idiota. Certo che Ibrahima lo vedeva. Entro uno spazio di cinquecento chilometri chiunque poteva vederlo: un raggio di violenza rosso sangue che precipitava dal cielo e si conficcava nel terreno con l’irruenza di un dito che schiaccia una formica. Qualcuno aveva raccontato a Ibrahima che le formiche erano le creature più forti del mondo, capaci di sostenere cento volte il loro peso, eppure avrebbe potuto ucciderle facilmente con un mignolo.
In piedi sulla rupe che sovrastava l’antica riserva naturale del Niokolo-Koba, intento ad ammirare la distesa di praterie lussureggianti nutrite dalle piogge estive, Ibrahima scorgeva la polvere sollevata dal calpestio frenetico degli animali che correvano in cerca di un riparo prima che quelle nubi scure scatenassero un acquazzone. Assaporava l’umidità nell’aria, gli occhi che lacrimavano al vento. Udiva il boato lontano delle nubi; ma più di tutto, percepiva il raggio.
L’elettricità statica nelle correnti mutò quando il raggio si fece strada tra le nubi, avanzando con la famelica aspettativa di un uccello saprofago. Ogni muscolo nel corpo di Ibrahima si contrasse e da qualche parte, nelle profondità della sua mente, qualcosa si aprì. Succedeva sempre così. Ibrahima avrebbe voluto chiedere agli altri se qualcuno di loro provava la stessa sensazione, ma per qualche motivo non aveva mai espresso la domanda a voce alta. Forse non voleva sottolineare un’ovvietà come faceva Abdou, nel caso in cui fosse stato così per tutti. O forse no. Forse temeva le domande che gli avrebbero rivolto se fosse stato il solo a provare quella sensazione.
Il raggio era morte: lo sapeva; ma per lui era vita, in un modo che non era in grado di comprendere appieno. Quando scendeva dal cielo e inondava le nuvole di un rosso profondo, i suoi sensi si acuivano e ogni azione avveniva con una frazione di secondo in anticipo. Il futuro non era tanto davanti a lui, ma piuttosto già lì presente, in attesa che lui arrivasse a toccarlo, se soltanto fosse riuscito a evadere dal proprio corpo. A volte aveva quasi l’impressione di potercela fare; sentiva che se avesse fatto un passo in avanti, oltre la rupe e verso una morte certa, non sarebbe caduto. Il suo corpo sarebbe rimasto indietro mentre lui avrebbe fluttuato tra le correnti, uno spirito nell’aria elettrica, in comunione con i suoi antenati. In comunione con il mondo. Possibilità infinite. Ma non osò muoversi.
Invece disse: «Sì».
«È bellissimo, vero?»
Il più delle volte era difficile non prendere a pugni Abdou. Il ragazzo era privo di qualsiasi buonsenso. Se si fosse trovato davanti un leone lanciato alla carica, sarebbe stato capace di restarsene fermo ad ammirare lo scatto della belva e commentare la sua folta chioma. Oppure avrebbe potuto andarsi a cacciare in mezzo a uno sciame di zanzare senza pensare due volte alla malaria, attratto dal ronzio degli insetti. Non era propriamente uno stupido, ma era un idiota.
«Certo», rispose Ibrahima. «Finché non te lo trovi dritto sopra la testa».
Abdou scrollò le spalle. «Non succederà. L’ho chiesto a mio padre. Il Califfato permette soltanto alla ChinaCorp di scavare nel Settore del Faso, e si fa pagare per questo. Si fa pagare caro».
Ibrahima lo guardò, poi tornò a osservare il raggio. Forse era vero che il Califfato si faceva pagare; forse il califfo sedeva su cuscini di velluto e beveva acqua estratta da miele e rugiada. Ma allo stesso modo in cui il formicolio nelle vene gli dava la sensazione di essere il padrone del mondo, Ibrahima sapeva che dietro quella faccenda si nascondeva qualcosa di più sinistro.
«Abdou, tuo padre è un uomo saggio. Ma siamo anche noi cittadini del Califfato di Massina-Sokoto. Hai mai visto quel denaro arrivare fin qui? Io no».
Abdou si piegò all’indietro, tirò su un denso grumo di saliva e gettò il corpo in avanti per lanciare lo sputo al di là della rupe e nella vallata là sotto.
«Sai qual è il tuo problema, Ibrahima?»
«Di certo ne ho più di uno».
«Pensi sempre di saperla più lunga degli altri».
«Non capisco dove sia il problema».
«Ecco, vedi? È proprio di questo che sto parlando».
«Tu parli troppo, Abdou. Forse dovresti provare a pensare di più».
«Va’ al diavolo», ribatté Abdou, guardando Ibrahima in cagnesco. «Me ne torno a casa».
Ibrahima lo fissò. Per un attimo vide il