Un principe in fuga (eLit): eLit
Di Raye Morgan
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Info su questo ebook
David Dykstra, vero nome Darius, principe di Ambria, è abituato a dormire con un occhio solo. Anche la minima distrazione potrebbe costargli cara, i suoi inseguitori non aspettano altro. Ma non è preparato al fatto di svegliarsi nel cuore della notte e trovare in casa una giovane donna, Ayme Sommers, bella da mozzare il fiato, insieme a una neonata. Chi le ha mandate lì? E perché lei insiste nel dire che la piccola è figlia del principe Darius? Non c'è tempo per le spiegazioni. Lui deve fuggire e portarle con sé, cercando di non farsi distrarre dall'affascinante bionda al suo fianco.
Raye Morgan
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Un principe in fuga (eLit) - Raye Morgan
successivo.
1
Il principe Darius Marten Constantijn della casa reale di Ambria, al momento deposto e in incognito col nome di David Dykstra, non aveva il sonno pesante.
Di solito il più piccolo rumore l'avrebbe visto strisciare silenziosamente lungo i muri del lussuoso attico con un'arma letale in mano, pronto a difendere la propria privacy, nonché la vita.
L'idea che la sua persona potesse essere in pericolo non era affatto strana. In qualità di membro vivente della deposta famiglia reale, la sua stessa esistenza costituiva un rischio per il regime dittatoriale che aveva preso il controllo del paese.
Quella notte però, l'istinto di proteggere il proprio territorio era stato messo a tacere. David aveva organizzato un cocktail per una quindicina di londinesi dell'alta società che si erano trattenuti fino a notte fonda. Come risultato, lui aveva finito per bere troppo.
Per questo, quando sentì un bambino piangere, sulle prime pensò di essere in preda a un'allucinazione.
«Neonati» borbottò tra sé, aspettando che la stanza smettesse di girargli intorno prima di arrischiarsi ad aprire gli occhi. «Perché non tengono per sé i loro problemi?»
Il pianto s'interruppe all'improvviso, ma ormai si era completamente svegliato. Tese l'orecchio e restò in ascolto. Doveva essersi trattato di un sogno. Non c'erano bambini in quella casa. Era impossibile. Nel condominio vivevano solo adulti.
«Interdetto ai bambini» mormorò, richiudendo gli occhi per scivolare di nuovo nel sonno.
Ma li spalancò un attimo dopo, quando il pianto si ripeté. In realtà si trattava di un debole gemito, ma era reale: non si trattava di un sogno.
Nello stato di confusione da sbornia in cui si trovava, David non era in grado di ricostruire quel mistero. Non aveva alcun senso. Era impossibile che nel suo appartamento si trovasse un neonato; se uno qualunque dei suoi ospiti di quella sera ne avesse portato uno con sé, se ne sarebbe accorto. E se la stessa persona maleducata avesse dimenticato il bambino nel guardaroba, a quell'ora sarebbe senza dubbio tornato a reclamarlo.
Cercò di scuotersi di dosso l'intera faccenda e tornare a dormire, ma ormai era impossibile. Imprecando tra i denti si alzò dal letto, infilò i jeans che aveva gettato sulla spalliera della sedia e cominciò a fare il giro delle stanze della casa.
In salotto erano ancora sparsi bicchieri di vino vuoti, piatti e tovaglioli. Aveva mandato via gli impiegati del catering a mezzanotte e ora si chiese se non fosse stato un errore. Ma chi poteva immaginare che i suoi ospiti non se ne sarebbero andati prima delle tre di notte? Poco male, la donna delle pulizie sarebbe arrivata di lì a poche ore e tutto sarebbe tornato all'ordine di sempre.
«Niente più feste» promise a se stesso, scalciando lontano da sé un boa di piume che qualcuno aveva dimenticato sul pavimento e riprendendo la ricerca.
E poi trovò il bambino.
Stava dormendo quando David aprì la porta dello studio che usava di rado e lo vide. Il piccolo era stato sistemato in un cassetto aperto, evidentemente adibito a culla improvvisata.
La piccola bocca era aperta e le guancette rotonde si gonfiavano a ogni respiro. Era un bel bambino, ma David non l'aveva mai visto prima. Mentre l'osservava, il piccolo ebbe un sussulto, tese in avanti le braccine per poi farle ricadere sui fianchi un attimo dopo, senza mai svegliarsi. Avvolto in una tutina piuttosto spiegazzata e macchiata, sembrava comunque a proprio agio in quella posizione.
Quando dormivano, i bambini non erano male, ma David non volle pensare a cosa sarebbe successo quando si sarebbe svegliato.
L'intera faccenda era assurda e irritante. Non gli occorse molto per stabilire che la colpa doveva essere della donna bionda e dalle gambe lunghe, addormentata in una posa poco elegante sul divano. Non aveva mai visto prima neppure lei.
«Che cosa diavolo succede qui?» domandò a bassa voce.
Né la donna né il bambino si svegliarono, il che per David fu un sollievo. Aveva bisogno di qualche minuto in più per riflettere sulla situazione, analizzarla e prendere una decisione razionale al riguardo.
Il suo istinto di conservazione era al massimo livello d'allerta. I due intrusi non erano semplici ospiti che avevano deciso di passare la notte in quella casa: piuttosto, dovevano avere a che fare col suo passato, la sua storia di ribellione e il suo futuro incerto.
Peggio ancora, David sentiva di trovarsi di fronte a una minaccia, forse la stessa che si aspettava da una vita.
Ormai era completamente sveglio. Doveva pensare in fretta e con lucidità. Il suo sguardo si spostò sulla bionda e malgrado fosse sospettoso la sua prima reazione fu un'istintiva attrazione. A dispetto del modo in cui si era addormentata, con le gambe in una posizione tale da ricordare un puledro ai primi passi, erano gambe molto belle. La gonna corta che indossava si era sollevata durante il sonno, mettendone in mostra una buona porzione e riscontrando tutta l'approvazione maschile di David.
Buona parte del viso era nascosto da una massa di capelli ricci. Spuntava soltanto un orecchio, piccolo e dalla forma perfetta di una conchiglia. Il busto invece era avvolto in una pesante felpa marrone.
Non era una ragazzina, ma la sua posizione la faceva sembrare poco più di una bambina e qualcosa nel suo aspetto inteneriva al primo sguardo. In altre circostanze, quel fascino sottile l'avrebbe indotto a sorridere, ma vista la situazione, corrugò la fronte.
Lo sguardo gli cadde di nuovo sull'orecchio visibile. Al lobo luccicava un orecchino della grandezza di una moneta che gli sembrò familiare. Si avvicinò per guardare meglio e si accorse che l'orecchino recava l'antico stemma della deposta famiglia reale di Ambria.
Quella vista agì su di lui come un'iniezione di adrenalina. Il cuore prese a battergli più velocemente e si pentì di non aver preso la pistola che di solito portava con sé di notte. Solo un minuscolo gruppo di persone al mondo sapeva del suo legame con Ambria e la sua vita dipendeva dalla propria capacità di tenere segreto quel fatto.
Chi diavolo era quella donna?
«Ehi, svegliati.»
Ayme Negri Sommers strinse a sé il cuscino e cercò d'ignorare la mano che le scuoteva la spalla. Ogni molecola del suo corpo si rifiutava di rispondere a quella sveglia. Dopo i due giorni appena trascorsi, aveva bisogno di dormire più che di qualsiasi altra cosa.
«Dai» riprese a dire una voce di uomo. «Ci sono delle domande a cui voglio che tu risponda.»
«Più tardi» borbottò lei. «Per favore.»
«Adesso» la corresse lui, scuotendola di nuovo. «Mi stai ascoltando?»
Ayme lo sentiva benissimo, ma gli occhi si rifiutavano di aprirsi. «È già mattina?» riuscì a domandare con voce soffocata.
«Chi sei?» volle sapere lui, ignorando la domanda. «Che cosa ci fai qui?»
Ayme capì che lui non se ne sarebbe andato. Al contrario, presto sarebbe stata costretta a parlargli, eventualità che la spaventava. Le palpebre le dolevano, e non c'erano garanzie che sarebbe riuscita a svegliarsi anche volendo.
In qualche modo però ce la fece. Sbatté le palpebre più volte per proteggersi dal getto di luce che filtrava dalla porta aperta e sollevò lo sguardo sull'uomo chiaramente arrabbiato che torreggiava su di lei.
«Se mi concedessi anche solo un'altra ora di sonno, potremmo discutere in modo razionale» propose lei. «Sono così stanca da non essere nemmeno umana in questo momento.»
Era una bugia. Per quanto a pezzi si sentisse, la vista del padrone di casa scatenò in lei una reazione che non era soltanto umana, ma anche decisamente femminile. Per dirla tutta, quell'uomo era uno schianto.
Attraverso le palpebre semichiuse prese nota dei capelli scuri che gli ricadevano sulla fronte, i penetranti occhi azzurri, le spalle ampie e il torace nudo coi muscoli ben delineati.
Wow.
Lo aveva intravisto qualche ora prima, ma solo da lontano e completamente vestito. Così vicino e mezzo nudo era molto meglio. In circostanze diverse, avrebbe sorriso di quel pensiero.
Ma la situazione non invitava al sorriso. Al contrario, spiegargli perché si trovasse lì non sarebbe stato per nulla piacevole. Lentamente si mise in posizione seduta, cercando al contempo di dare una regolata ai capelli che le ricadevano scomposti sul viso, il tutto mentre pensava alle parole adatte per introdurre l'argomento.
Qualcosa le diceva che non gli sarebbe piaciuto.
«Potrai dormire tutto il tempo che vorrai una volta che sarai tornata a casa tua, ovunque sia» commentò lui, acido. «Di certo non è qui.»
«È qui che ti sbagli» replicò lei mestamente. «Sono qui per una ragione, purtroppo.»
La piccola Cici mormorò qualcosa nel sonno ed entrambi gli adulti smisero di parlare all'istante. Ma la bambina riprese a dormire e Ayme sospirò di sollievo.
«Se sveglierai la bambina, te ne dovrai occupare tu» l'ammonì lei. «Io sono in trance e non ne sarei capace.»
Un'occhiata nella direzione del padrone di casa le disse che lui non aveva gradito quell'informazione. Ma poteva anche sbagliarsi, non era nella disposizione adatta a emettere giudizi.
Di nuovo, lei sospirò e si strinse nelle spalle. «Senti, so che non sei al massimo della forma nemmeno tu. Ti ho visto quando siamo arrivate ed è chiaro che ti stavi godendo la festa un po' troppo. È per questo che non ho cercato di parlarti al mio arrivo. Sai meglio di me che dormire farebbe bene a entrambi.» Arricciò il naso e lo guardò con occhi speranzosi. «Dichiariamo una tregua per ora e...»
«No.»
Lei lasciò ricadere la testa sullo schienale del divano. «No?»
«No.»
«E va bene» si arrese Ayme sollevando gli occhi al cielo. «Se proprio insisti. Ma ti avverto, non so se quanto dirò sarà coerente. Non dormo da giorni.»
Lui non si lasciò intenerire e restò fermo a incombere su di lei con le mani sui fianchi. I jeans scoloriti dall'uso erano bassi in vita e mettevano in mostra il ventre piatto e l'ombelico più sexy che lei avesse mai visto. Ayme restò a fissarlo, sperando così di distogliere l'attenzione di lui dal discorso che si aspettava.
Non funzionò.
«Le tue abitudini notturne non sono affar mio» le fece notare lui con freddezza. «Non sono interessato. Desidero solo che tu te ne vada da qui e torni da dove sei venuta.»
«Mi dispiace» obiettò lei, scuotendo la testa, «ma è impossibile. Il volo col quale siamo arrivate è ripartito per Zurigo da parecchio, ormai.» Lanciò uno sguardo in direzione della bambina, ancora addormentata nel cassetto della scrivania. «Lei ha pianto per quasi tutto il viaggio dal Texas.»
Poi sollevò lo sguardo su di lui, aspettandosi una simpatia che non trovò. «Capisci che cosa significa?»
Lui aveva la fronte aggrottata, come se stentasse a comprendere la situazione. «Siete arrivate qui direttamente dal Texas?»
«Be', non esattamente. Abbiamo cambiato volo a New York.»
«Texas?» ripeté lui, come fosse incredulo.
«Sì. Sai, lo stato della stella solitaria. Quello grosso, che confina col Messico.»
«So dove si trova il Texas» sbottò lui con impazienza.
«Bene. Siamo piuttosto suscettibili al riguardo noi di quelle parti.»
Lui scosse la testa. «Sembri davvero un'americana.»
«Certo, che altro dovrei essere?»
Lui stava fissando i suoi orecchini. Ayme sollevò una