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KALABRIA PERDUTA. Edizione economica: Il background umanistico e giuridico della  Calabria  magno greca,  tra megalopoli ricche e  maledette, lusso sfrenato e guerre catastrofiche
KALABRIA PERDUTA. Edizione economica: Il background umanistico e giuridico della  Calabria  magno greca,  tra megalopoli ricche e  maledette, lusso sfrenato e guerre catastrofiche
KALABRIA PERDUTA. Edizione economica: Il background umanistico e giuridico della  Calabria  magno greca,  tra megalopoli ricche e  maledette, lusso sfrenato e guerre catastrofiche
E-book178 pagine2 ore

KALABRIA PERDUTA. Edizione economica: Il background umanistico e giuridico della Calabria magno greca, tra megalopoli ricche e maledette, lusso sfrenato e guerre catastrofiche

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Nella Calabria magno greca si ergevano città potentissime, vere e proprie superpotenze economiche e politiche tra le cui mura si possono scorgere gli albori di alcuni rami del Sapere e dove in parte affonda le radici il Diritto europeo continentale. In un contesto sociale e politico così favorevole si distinse, grazie a una serie di primati, una megalopoli da trecentomila abitanti, ricchissima e al contempo maledetta: distrutta da un esercito nemico e ingoiata dal fango, più volte rifondata sui rottami e sulle macerie, alla fine il destino la consegnò a un triste oblio. Oggi, di quella realtà urbana e delle diverse città rifondate sulle macerie di essa non restano che due piccoli centri urbani dell'Alto Ionio calabrese, insieme a poche testimonianze della perduta Magna Grecia.
LinguaItaliano
Data di uscita2 feb 2024
ISBN9791222717500
KALABRIA PERDUTA. Edizione economica: Il background umanistico e giuridico della  Calabria  magno greca,  tra megalopoli ricche e  maledette, lusso sfrenato e guerre catastrofiche

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    Anteprima del libro

    KALABRIA PERDUTA. Edizione economica - Ettore Bruno

    Prologo

    (La Dea Sybaris)

    Il giovane pescatore ebbe una visione di acqua limpida, poi udì una voce dolce e fanciullesca chiamarlo per nome: «Sto venendo da te!». Vide qualcosa balenare nelle profondità delle acque, e pensò a un pesciolino dalle squame rilucenti che stesse risalendo in superficie. Si trattava, invece, del sinuoso corpo di una giovane che nuotava verso di lui. Una testa spezzò il pelo dell'acqua, ed egli vide che si trattava di una donna con i lunghi capelli inzuppati che le grondavano sul viso come un luccicante velo argenteo. Una voce melodiosa si irradiò da quella visione rivolgendosi a lui: «Figlio delle Acque. Tu sei posato sulla palude primordiale della Creazione, da cui emergerà la città dalle mille colonne, che si erigeranno intorno a te simboleggiando una fitta foresta in cui la luce potrà a stento penetrare tra il fogliame. Al di sopra di essa la sfavillante volta celeste, a cui si eleva, la avvolgerà amorevole tra le sue braccia. Al pari di una Dea Ella diventerà colta, florida e magnifica. La più potente e gloriosa di tutte».

    Poi si immerse con fare aggraziato in profondità; le braccia lungo i fianchi, scalciando con le esili gambe per portarsi ancora più in basso, mentre i capelli fluenti ondeggiavano dietro di lei come un vessillo argenteo.

    Che fosse stato un sogno o una leggenda non è dato saperlo, ma secoli e secoli dopo si narra ancora di una giovane e leggiadra fanciulla che vagava nelle notti della potente Sybaris, reggendo in una mano un calice e nell'altra una piccola anfora con cui versava agli dèi dell'Olimpo il nettare di cui si cibavano, assieme all'ambrosia, per restare giovani ed immortali. Mentre Ella si cibava delle fragole delle rigogliose e fertili pianure, intinte in un miele dolcissimo e soave al palato. Spremeva nelle sue mani i grappoli d’uva, per assaporarne i primi sentori del nobilissimo vino, spalmava sulla sua pelle il raffinatissimo olio che condiva le gustose pietanze dei prelibati e abbondanti banchetti. E quando la luna raggiungeva il massimo splendore, si elevava sul piedistallo dell’Agorà, danzando con movenze intriganti e sensuali. Avvolta da stoffe così eleganti e raffinate da esaltare le sue forme divine, la sua drammatica bellezza, e talmente sottili e leggere che lasciavano traslucere la pelle come se fosse preziosa ambra.

    Maestosamente eretta e avvolta solo da fluenti veli dalle tinte sgargianti, tante quante erano le sfumature della sua anima; mentre il nero della notte colorava i suoi occhi ipnotici e cangianti, rilucenti come perle raccolte nei più profondi abissi dell'oceano e riportati finalmente alla luce. Infine, i suoni di una musica celeste e passionale avvolgevano il suo corpo e lei ritornava a danzare. Dapprima con sinuosa soavità, ma poi, man mano, con passionale primordialità. Un travolgente, forsennato vortice che conduceva al parossistico apice, nel quale, proprio come in un atto d’amore giunto al suo culmine, le energie si disperdevano dal corpo spossato, ormai affrancato da zavorre arcaiche e falsi miti, per lasciare spazio alla pura contemplazione e all’estasi. Al pari di un liberatorio percorso della sua anima che aveva tranciato le catene delle false credenze e dei dogmi, delle inibizioni e delle costrizioni. Un sentiero tra la realtà e il sogno, tra visioni e magia, talmente potente che le forze naturali, presenti tra la Terra ed il Cielo, le avevano consentito l’acquisizione di un grande potere occulto, durante quelle notti d’incanto, che le avevano dischiuso un mondo parallelo, aprendole le porte delle Acque Superiori.

    Così, ad ogni alba, si ripeteva la stessa magia: il regno inconscio della Luna si connetteva col mondo conscio rappresentato dal Sole; e quando la Luna si apprestava suadente a lasciare il dominio della volta celeste al Sole nascente, Ella aveva saputo attingere al pozzo del sapere e della conoscenza, dissetandosi con voluttà e senza limiti, negli infiniti e straordinari giorni della sua più fulgida bellezza. Dunque, paga e consapevole della sua sapienza, si immergeva estasiata a contemplare le interminabili serie delle altissime colonne, sintesi visiva delle altezze vertiginose raggiunte.

    Esse sorreggevano, con soave leggerezza, quei templi della cultura dove le anime, pervase dal desiderio della conoscenza, potevano librarsi vorticosamente, per poi andare oltre quelle magnifiche mura intrise di saperi antichi, e arrivare a compiere, nelle acque dei fiumi Crathis e Sybaris, il rito primordiale della purificazione. Entrava in una fucina di suggestioni mistiche nella quale l’infinita policromia del sapere l’avrebbe avviluppata e incatenata in una affascinante avventura, catapultandola oltre i confini della mente in uno scatenato scintillio di perle di luminosa conoscenza.

    Divenne matematica, astronoma e filosofa. Fu innovatrice, rivoluzionaria e solidale. Ma per molti fu soltanto eretica. E per questo, forse, finì per essere uccisa, con il pretesto della lussuria e della lascivia delle sue notti intriganti e passionali, da chi aveva la mente sbarrata da pregiudizi e paure. O forse fu assassinata soltanto perché era una donna dedita alla Scienza e alla Conoscenza ed emanava una Luce così abbagliante che nessuno avrebbe potuto godere della sua Bellezza a meno che non fosse penetrato profondamente nei meandri più reconditi della sua fulgida anima. Nei secoli a venire si narrò di lei e dell’idea di un luogo della perdizione che la Dea Sybaris in realtà non fu. Ella era un luogo in cui non regnava la lussuria sfrenata e la traboccante opulenza, ma la fiamma viva della Luce e della Saggezza. Il Luogo dove si allineavano in perfetto equilibrio Cuore, Mente, Corpo e Spirito. Il Luogo dell’Anima e della sua Quintessenza.

    «Chi emana luce dona sapere e bellezza soltanto a chi li apprezza, mentre oscura e rende rabbiosi gli avidi, gli invidiosi e gli arroganti, e, talvolta, è destinata ad un destino nefasto» ˗ sembrano così riecheggiare, dalla notte dei tempi, le parole della Dea Sybaris ˗ «la gloria della bellezza non si può distruggere. Dopo aver percorso sentieri impervi e aridi, trova sempre la via per riemergere. E’ questa la mia promessa. La mia battaglia non può dirsi vinta, ma la verità della sapienza non può essere battuta con la violenza, vola sempre più in alto di tutto. Il suo unico baluardo è il tempo, che la rende una fortezza inespugnabile».

    Marisa Casciaro

    Prefazione

    Io ed Ettore Bruno abbiamo avuto occasione di scambiare opinioni riguardo a vari argomenti, tra cui la storia e l’attualità politica del nostro Paese; analisi su quello che hanno rappresentato alcuni territori calabresi nel corso del tempo, ma anche la valutazione delle potenzialità mai compiutamente espresse dalla nostra regione. In uno di questi momenti, in una serata di agosto, Ettore mi ha raccontato dei suoi studi e delle ricerche effettuate, e di come stesse lavorando alla stesura di un testo sull’antica città di Sibari. Il suo riferimento ad alcuni Istituti Giuridici moderni, conosciuti già e utilizzati nell’antica Sibari o in altre colonie della Magna Grecia, hanno destato in me un notevole interesse e, contestualmente, mi hanno spinto a cogliere l’opportunità per approfondire quelle curiosità che non avevo avuto prima occasione di soddisfare. Del resto Sybaris ha sempre suscitato in ognuno uno spontaneo interesse verso la storia dell’antica Polis, ma l’autore, in questo caso, ha aggiunto ulteriori e importanti elementi di novità.

    Quella grande Città, sottoposta certamente ad un processo di crescita continua e di rinnovamento, ebbe la capacità di regolare la vita della comunità con l’introduzione di nuove norme giuridiche, modificandole nel corso del tempo e adattandole all’evoluzione della comunità, sino a costituire un complesso ed efficace Ordinamento Giuridico. Questo avvenne anche attraverso la produzione di norme che ancora oggi sono ricollocabili, per le origini, alla città di Sibari. La più grande Colonia della Magna Grecia sviluppò un insieme di opinioni, convinzioni e atteggiamenti da formare una vera e propria cultura giuridica, ed un insieme di regole che, oltre a disciplinare la vita della comunità, furono capaci di resistere e svilupparsi nei secoli, sino a individuarne oggi il collegamento con le antiche colonie esistite prima di Cristo.

    Appena ricevuta la copia del manoscritto, ho iniziato a leggerne il contenuto con l’attenzione che il testo richiede. Ho colto l’ambizione e la sfida dell’autore di voler dare a Sibari la grande quella giusta collocazione, che merita, nella storia, rimuovendola da quel rango secondario rispetto ad altre città della Magna Grecia (quali Taranto, Crotone, Reggio Calabria e Siracusa), in cui era stata ingiustamente relegata da scrittori che non hanno adeguatamente celebrato la città per quello che ha effettivamente rappresentato. L’autore fornisce l’opportunità di conoscere gli aspetti caratterizzanti della grandezza di Sybaris, oltre alle motivazioni della distruzione della città stessa e, con la completezza del suo scritto, ci offre lo strumento per cogliere delle peculiarità che hanno contribuito alla crescita politica, economica e sociale della città, anticipando addirittura di secoli questioni di cui ancora oggi c’è traccia o di cui si discute. Al lettore attento non sfugge certamente quanto siano incomplete le fonti antiche in cui sono narrate le vicende della città e di come sia stata tramandata una fama negativa, probabilmente immeritata, che ha accompagnato Sybaris nel corso della storia: la damnatio memoriae sibaritica. Sibari non è stata sempre raccontata nel corso dei secoli per quello che ha realmente rappresentato.

    Attraverso l’attenta ricostruzione di fonti rigorose, viene ridefinita nel testo di Ettore Bruno la centralità che la città ricopriva. La costante capacità di intrecciare relazioni favorì la crescita economica, politica e culturale che la caratterizzarono nel corso della propria esistenza e sino alla distruzione. Una città colta e pacifica, con l’intuito di favorire l’integrazione e di vivere la diversità come fonte immediata di crescita culturale e di sviluppo futuro. Era facile acquisire lo status di cittadino, il che portò la città alla crescita costante, grazie come prima anticipato alla capacità di creare rapporti sociali, sino a diventare una megalopoli. Una città antica che anticipò di secoli quei grandi temi, come la concessione della cittadinanza e l’integrazione, ancora oggi dibattuti e mai completamente risolti. La cittadinanza come condizione di appartenenza ad uno Stato, la cui concessione può unire o dividere, come dimostra l’ampio dibattito odierno sullo ius soli o lo ius culturae in Italia, ma che nell’antica Sybaris si dimostrò, attraverso la facile concessione dello status di cittadino, come i viandanti si sentissero non più stranieri, ma appartenenti alla Polis e capaci di contribuire allo sviluppo complessivo: un idem sentire (un comune sentire) che oggi dovrebbe sempre esistere come Idem sentire in Res Pubblica, ma che a volte sfugge e si perde in semplici interessi di appartenenza.

    Dai resti dell’Antica Polis più ricca e importante del Mediterraneo, spuntano riflessioni attualissime: i flussi migratori, la concessione della cittadinanza, il moralismo di altre importanti città verso Sibari e la propaganda dei detrattori per screditarne la grandezza. Sibari fu distrutta da Crotone, ma lo scontro finale risulta preceduto dalla propaganda con cui vennero precostituiti pretesti (ex ante quindi) per giustificarne l’attacco e la distruzione.

    Interessante, nel libro, la ricostruzione di un fantasioso processo penale che vede protagoniste le città di Crotone e Sibari, e che permette di introdurre e approfondire il

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