I racconti segreti della Sardegna
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Info su questo ebook
Sono innumerevoli le storie che, basandosi su fatti realmente accaduti, documenti o testimonianze, raccontano il lato nascosto della Sardegna, una regione in cui magia ed esoterismo hanno accompagnato nel corso dei secoli la vita quotidiana. Protagonisti di questo libro sono uomini e donne straordinari che hanno esplorato l’isola con il preciso scopo di individuare e raccogliere i segreti custoditi in questa terra. Antiche leggende, avvenimenti e superstizioni rappresentano il filo di Arianna di questo viaggio alla scoperta della Sardegna più occulta, una guida indispensabile per coloro che sono affascinati dall’ignoto. Il mistero, infatti, è racchiuso in ognuna delle storie raccontate, vicende che portano alla luce aspetti inconsueti e ancora sconosciuti di un’isola straordinaria al centro del Mar Mediterraneo.
Un viaggio alla scoperta dei misteri e delle storie meno note dell’isola
Tra i racconti segreti:
• DONNA LUCREZIA, ANTICA DIVORATRICE DI DAME • GIUSEPPE PERBOLLO, IL BOIA UCCISO DAGLI SPIRITI • GLI IRREQUIETI FANTASMI DI PALAZZO BELGRANO • SEDUTE SPIRITICHE PAGATE CON IL SANGUE • ROSA MURRU, LA CONCUBINA FINITA AL ROGO • L’OBELISCO MAGICO DEGLI ADEPTI • LEONARD DE PRUNNER E IL TEMPIO DI ISIDE • IL CUORE DEL TEMPLARE BATTE ANCORA A SIETE FUENTES • I FANTASMI DEL CARGO SOVIETICO • LO SPIRITO PROTETTORE DELLA MANIFATTURA DEI TABACCHI • LADY LAWRENCE L’INVOCATRICE DI SPIRITI • LA MAGIA DI SAN PIETRO DI SORRES • FONTI SACRE, FONTI MAGICHE • LE ANIME PENITENTI DELLA GROTTA DEI GIARDINI • GLI SPETTRI DEL TEMPIO DEL SOLE • MONSIEUR CHARLES, FORNAIO, MAGO E ALCHIMISTA
Pierluigi Serra
È nato a Cagliari nel 1960. Giornalista e autore, ha collaborato con diverse testate giornalistiche, scritto per antologie e riviste e ha realizzato documentari per la televisione. Si occupa da diversi anni di esoterismo e dei fenomeni legati alla magia e alla spiritualità. Attualmente scrive per il quotidiano «L'Unione Sarda» nella pagina della cultura. La Newton Compton ha pubblicato Sardegna misteriosa ed esoterica, Storia e storie di magia in Sardegna e I racconti segreti della Sardegna.
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Anteprima del libro
I racconti segreti della Sardegna - Pierluigi Serra
691
Il disegno nel capitolo Il cappellaio matto è di Pascale Vargiolu
Prima edizione ebook: luglio 2020
© 2020 Newton Compton editori s.r.l., Roma
ISBN 978-88-227-4837-9
www.newtoncomptoneditori.com
Edizione elettronica realizzata da Corpotre, Roma
Pierluigi Serra
I racconti segreti
della Sardegna
Storie del mistero, tra viaggiatori, maghe e iniziati
marchio.tifNewton Compton editori
Indice
Il primo passo di un lungo viaggio
Donna Lucrezia, antica divoratrice di dame
Giuseppe Perbollo, il boia ucciso dagli spiriti
Gli irrequieti fantasmi di palazzo Belgrano
Il candelabro funesto di Monsieur Antoine Lambert
Sedute spiritiche pagate con il sangue
Rosa Murru la concubina finita al rogo
L'obelisco magico degli adepti
Leonard de Prunner e il tempio di Iside
Racconti di amore e di mare. Mercede e il piccolo fauno
Il tesoro segreto di Jean-Paul Marat
Un diario, un grande amore e spiriti colmi di gratitudine
Il dono ammorbato di peste per vendicare l’amata uccisa
la vendetta della monaca
Giovanni di Sardegna, il valdese arso sul rogo
Il cuore del Templare batte ancora a Siete Fuentes
I misteri del monastero di Santa Caterina
Caterina Blondel e il diario segreto del corsaro Digby
Confetti e fantasmi in glassa francese
Il mistero del libro proibito
Enrico Serpieri e il tesoro della miniera di Gibbas
Il mistero di Villa Tasonis
La strega di Gabriele D’Annunzio
Il re Carlo Alberto e la magia nera
I fantasmi del cargo sovietico
Lo spirito protettore della Manifattura dei Tabacchi
Un medium torinese a Cagliari
Teresa Arrighi una sensitiva al Convitto Nazionale
La vendetta dell’inquisita
Il bordello di Gina e la bella Dominique
Lady Lawrence l’invocatrice di spiriti
I fantasmi del Caffè Svizzero
Assan Agà lo schiavo diventato pirata
Il mio nome è Camille, Camille Fevrier spiritista e mago
L’Attila dei boschi
Il racconto di Maria Zara
La magia di San Pietro di Sorres
Il fantasma del Lazzaretto
La memoria di Antonia Usay
Fonti sacre, fonti magiche
L’urlo oscuro del cavalier Luigi Toro
Le anime penitenti della grotta dei Giardini
L’esploratore dei mari
L’Isola dei Naufraghi, l’isola delle anime perdute
Gli spettri del Tempio del Sole
Monsieur Charles, fornaio, mago e alchimista
Il fantasma del lago Omodeo
Il cappellaio matto
Amori libertini e magia d’amore
Questa è la mia storia. Io sono Violante
Playlist
Bibliografia
Alla purezza dell’Anima
A B. Pascale
IL PRIMO PASSO DI UN LUNGO VIAGGIO
Cinquanta come gli Argonauti che partirono alla ricerca del Vello d’Oro, cinquanta le storie che si basano su fatti realmente accaduti, su documenti e su testimonianze; storie che raccontano di un’Isola che ha attratto nel corso dei secoli personaggi legati al mistero, alla magia e all’esoterismo. Donne e uomini che hanno dentro il proprio animo la fiamma della ricerca, il gusto del conoscere, il sapersi rapportare – anche fuori dagli schemi imposti dalle società che si sono succedute nei tempi – con l’Alto e con l’Ignoto. Viaggiatori in partenza dalla Sardegna o che fanno tappa nell’isola del Mediterraneo, con il preciso scopo di individuare e raccogliere le energie sottili racchiuse in questa terra. Antiche leggende, avvenimenti ed entità sconosciute rappresentano il filo di Arianna che lega ogni singolo fatto, ogni donna e ogni uomo che ha scandagliato gli aspetti più profondi di questi territori nei quali, ancora oggi, si avverte tutto il fascino dell’ignoto, dell’inatteso.
Il totalmente diverso è racchiuso nelle storie, nelle vicende che sono svelate, portando alla luce aspetti inconsueti di protagonisti famosi e meno noti. È un itinerario che parte da lontano, dal momento nel quale l’uomo sente il bisogno e la necessità di trascendenza: così anche il comunicare con l’oltre, con lo sconosciuto, con le anime dei trapassati, segue un lungo filo rosso documentato nei testi precristiani, nei poemi, nelle saghe e nella stessa Bibbia.
Il mondo misterioso troverà poi nell’Ottocento un proprio canale di comunicazione, puntellato da medium, sensitivi, nuovi e antichi alchimisti, maghi e stregoni, fattucchiere buone e donne avvolte dall’aura della negatività. Un filo rosso unisce personaggi come Gabriele d’Annunzio e Honoré de Balzac a figure meno note ma altrettanto significative per il contributo e la ricerca svolta nell’ambito spirituale. Un lungo viaggio attraverso i secoli, percorrendo pagine di storia, per scandagliarne le righe ancora nascoste: così affiorano le narrazioni delle donne che giungono da territori lontani e trovano il terreno fertile per le loro azioni magiche, insieme a ricercatori dell’occulto che attraversano l’Isola in tutta la sua estensione.
9.tifCarta geografica della Sardegna di Sigismondo Arquer,
xvi
secolo.
La Sardegna attrae per il suo aspetto ancestrale, attira e capta energie antiche: qui i culti delle origini difficilmente vengono estirpati dagli emissari di Roma e del soglio pontificio. Neppure il martello inquisitoriale riesce a sradicare ciò che si è sedimentato, cementato negli anni e nei secoli precedenti l’arrivo dei rappresentanti di una religione che mostrerà gli eccessi della tortura contro ogni pensiero sovversivo. Sovversive sono le donne che curano, entrando in concorrenza con la medicina praticata nei conventi, divengono loro l’oggetto di una campagna discriminatoria che le ghettizza e le circoscrive nel recinto della stregoneria.
Diverse strade d’Europa portano nell’Isola, conducendo in questo itinerario chi ha livelli differenti di percezione: sensitivi, studiosi di scienze arcane e iniziati alle arti alchemiche, passando attraverso le maglie delle organizzazioni esoteriche e iniziatiche. I protagonisti dei racconti, con le loro storie, si collocano in epoche ben precise, caratterizzate dall’influsso che le differenti società hanno sul mondo sconosciuto dell’Oltre. La scia del positivismo trascina dietro la sua coda un esercito di adepti del mistero: nascono anche nell’Isola, importati dalla Torino esoterica o dalla magica terra di Francia, i primi tavoli nei quali s’uniscono le mani per evocare le anime dei defunti. Ma a volte sono gli stessi trapassati che si presentano al cospetto dei vivi, ricordando quanto effimero sia il confine tra il reale e l’irreale. Le donne e gli uomini di questo viaggio sono persone reali, con una loro vita pubblica e con loro enfasi private: spesso caratterizzati dal comune obiettivo della ricerca. Molti hanno trovato, altri – nel loro spirito – proseguono il cammino e il viaggio. Li incontrerete tutti, con una proposta di sottofondo musicale che ha fatto da colonna sonora alla ricerca.
Buon Vento.
DONNA LUCREZIA, ANTICA DIVORATRICE DI DAME
In un’afosa giornata estiva del 1655 la peste nera, dopo aver imperversato nel nord dell’Isola, giunge alle porte di Cagliari: i primi a incontrare il carro dell’Oscura Signora sono gli abitanti del quartiere di Villanova che, inconsapevoli untori, contagiano una delle più alte cariche spirituali della Chiesa sarda. Muore, straziato nelle carni, l’arcivescovo nativo di Saragozza don Bernardo de la Cabra¹. A poche centinaia di metri, nella parte alta di via Dritta, l’attuale via Lamarmora, il convento delle Clarisse Francescane veniva immediatamente sigillato impedendo ogni contatto con l’esterno. Le monache, che per tradizione provenivano in gran parte da famiglie nobili della Sardegna o della Penisola, vissero per quasi un mese nella totale solitudine, alternando i momenti di preghiera alle poche attività terrene loro concesse.
Fu in quel frangente che intorno al convento e alle sue abitanti, iniziarono a circolar voci sempre più insistenti legate a presunte ricchezze che, grazie alle indicazioni fornite da una ignota benefattrice, venivano ritrovate nottetempo in prossimità dei sotterranei del convento. Erano sicuramente le vicende costruttive della chiesa e del complesso monastico ad aver dato l’avvio alle leggende nate intorno alla rete di cunicoli e camminamenti presenti sotto all’edificio: già durante la costruzione del luogo di preghiera, finanziato dalla nobile cagliaritana Gerolama Rams Dessena, erano affiorate – nascoste tra le antiche fondamenta del preesistente tempio dedicato a Santa Elisabetta – le tracce di camminamenti segreti occultati nel sottosuolo, in un reticolo che si perdeva nelle viscere del quartiere. Tra le monache e soprattutto tra le novizie vi era chi mostrava non poco timore nell’avvicinarsi ai sotterranei dai quali provenivano rumori e suoni inspiegabili, lamenti notturni che sembravano ululati: seppure la logica poteva suggerire di individuare la causa del frastuono nel vento che si incanalava negli anfratti del quartiere, la suggestione o la particolare sensibilità di alcune consorelle addebitava ogni evento alle anime racchiuse tra le antiche mura.
Fu in occasione del terremoto che fece tremare Cagliari il 4 giugno del 1616² che ogni fenomeno – non spiegabile fisicamente – si moltiplicò nella portata e nella violenza. La scossa sismica, di cui rimane testimonianza scritta in una lapide conservata nella cattedrale, aprì un profondo varco tra le fondamenta del complesso monastico, in prossimità dell’attuale struttura che fino a pochi anni orsono ospitò l’Istituto Magistrale: fu una novizia d’origine provenzale ad avere il primo e terribile incontro con una delle figure spettrali che – nel corso degli anni – avrebbero percorso le sale del monastero. Attirata da una voce suadente, soffusa e invitante, suor Marie – questo il nome che verrà poi tramandato nei racconti delle consorelle – si trovò quasi inconsapevolmente sulla soglia del varco che s’era creato durante il terremoto. La figura che le apparve non aveva nulla di terreno, se non nelle fattezze sfumate che potevano ricordare una immagine femminile. L’apparizione, avvolta in un sudario bianco, sembrava distaccata dal terreno, trasportata da una forza invisibile che la faceva fluttuare nell’aria rarefatta, quella carica di umidità caratteristica delle stanze monastiche.
12.tifVecchia in costume. Incisione di Antoni Peppe Piras del 1951.
Muta e impietrita dal terrore, la monaca stette a osservare i movimenti dello spettro, in quell’indicare e mostrare che pareva un modo di segnalare un particolare luogo dei sotterranei. Dita ossute, quasi fosforescenti nella luce fioca che proveniva dalle candele, segnalavano alla suora un punto preciso, un piccolo varco nel terreno. Ripresasi dal terrore, la monaca ebbe il tempo di socchiudere gli occhi per assistere alla scomparsa del fantasma che, in una lenta smaterializzazione, fu inghiottito dal varco del terreno. Il giorno successivo, in compagnia di altre due consorelle alle quali aveva confidato tutta la sua disperazione, la paura e l’orrore per l’incontro, la monaca ebbe la forza di ripercorrere i passi che l’avevano portata all’incontro con lo spettro: nell’illuminare l’anfratto ebbe un sussulto di paura.
Rannicchiato, in una posizione fetale, stava uno scheletro, ancora avvolto da abiti sontuosi, che teneva stretto tra le dita in una morsa d’artiglio un cofanetto di legno sul quale era incisa una lettera, una elle dorata. Fuggendo da quella visione le tre religiose ebbero la certezza che le orbite della defunta si fossero improvvisamente illuminate di una luce sinistra mentre alle loro spalle una voce ripeteva una lenta litania.
Un nome, quello di Lucrezia, che risuonava come un rombo nell’anima delle religiose. Donna Lucrezia Wirtz giunse a Cagliari diversi anni dopo, ben oltre la morte delle religiose: d’aspetto leggiadro e dalla pelle candida, retaggio della sua origine nordica, la nobile aveva preso alloggio nel quartiere di Castello con il giovane sposo Mattia Cunas. Era ignara, donna Lucrezia, che il suo nome era segnato da un destino funesto, legato alla sorte di una nobile pisana, anche lei Lucrezia, uccisa nella antica chiesa di Santa Elisabetta. Frequentando la Purissima, la giovane ebbe più volte la sensazione d’essere osservata da occhi invisibili.
Sensazioni fastidiose accompagnate dal suono del suo nome che si riverberava nelle volte gotiche della chiesa. Fu ritrovata priva di vita la sera del 2 maggio del 1721, dinnanzi a una delle cappelle laterali: lo sguardo fissato nel terrore mentre al fianco stringeva un frammento di legno sul quale era incisa una elle
dorata. La sepoltura³ della sfortunata donna è ben visibile all’interno della chiesetta di Castello, a celebrare il luogo del trapasso, mentre nelle sere di luna piena pare che s’aggiri ancora per le stanze del monastero lo spirito della prima Lucrezia, in cerca di vittime nelle quali reincarnarsi. Si avvertono i suoi passi e i suoi lamenti, nell’avanzare circospetto tra le celle delle religiose, nel refettorio; sparisce immergendosi nei sotterranei, quando i primi raggi di luce illuminano il Castello.
1 Don Bernardo de la Cabra, nativo di Saragozza, in Aragona, fu nominato arcivescovo di Cagliari nel Concistorio segreto voluto da papa Urbano
viii
il 13 gennaio 1642. Morì di peste a Cagliari il 20 dicembre 1655, il 23 gli fu fatto il funerale pontificale con seppellimento nel Duomo cittadino. Fece l’ufficio il decano, Vicario per la Sede Vacante, don Nofre Geruna.
2 Nella sagrestia della cattedrale di Cagliari, in quella che viene comunemente chiamata Aula dei Beneficiati è possibile ancora osservare l’iscrizione graffita che ricorda il terremoto del 4 giugno 1616.
3 La lastra tombale della donna riporta la seguente dedica: «Hic jacet Dona Lucretia Wirtz et Lazana cui Dalmatia Cunas Sicilia sponsum Helvetum et Sardinia funestum tumulum dedit aetatis suae annorum 32 D. 2 mensis Maj. ann. 1722. Requiescat in Sancta pace».
GIUSEPPE PERBOLLO, IL BOIA UCCISO DAGLI SPIRITI
La notte che precedette il suo decesso Giuseppe Perbollo⁴, di professione esecutore di morte incaricato di svolgere la propria attività a Cagliari, ebbe l’opportunità di sperimentare la profondità della paura, il terrore che per decine di volte aveva letto negli occhi dei condannati alla pena capitale, i suoi clienti
come amava definirli. Costretto nel letto dell’Ospedale cittadino, allo scoccare della terza ora della notte incontrò nuovamente le persone giustiziate, i condannati finiti sul patibolo eretto presso la croce giurisdizionale di Sant’Avendrace: fu subito chiaro all’anziano boia che quelle visite non erano frutto di un sogno o del delirio, soprattutto perché le mani ossute degli spiriti, infierendo sul suo corpo, lasciavano segni profondi, simili ai tagli causati da artigli.
Ammutolito dal terrore, inerme dinanzi alla vendetta di quanti avevano terminato ingiustamente i loro giorni, Giuseppe Perbollo – ultimo tra i boia cittadini – rivide la sua vita da sbandato, le risse, i furti, l’attività originaria di tagliapietre che l’aveva portato a Cagliari dalla provincia di Roma dove era nato nel 1811. Gli spiriti dei defunti per sua mano erano ritornati per accompagnarlo verso il viaggio finale, compagni terribili delle ultime ore di vita: ricevette la visita, altrettanto terrifica, dello spirito di uno dei suoi più fidati compagni di malefatte, quel maccarroni
il cui soprannome aveva oramai soppiantato un cognome perso nel tempo, rimasto solo nel registro dei defunti delle carceri cittadine. Quando due giorni dopo, oramai cadavere fu seppellito nel cimitero di Bonaria, nella fossa numero 4 alla linea 30, Perbollo venne accompagnato dalla figlia, unica parente che, in un atto di pietà, partecipò – senza che una lacrima le rigasse il viso – alla cerimonia. Negli occhi di Cristina Perbollo forse non c’era odio ma solo rassegnazione, quel senso di deprivazione che l’accompagnava dall’età di dodici anni, quando era stata costretta a frequentare l’Osteria di Bonifacio Pili⁵, nel quartiere di Stampace, dove le veneri pubbliche venivano offerte a marinai, viaggiatori e nostrani frequentatori della casa. Fu proprio nel silenzio tetro del cimitero che la giovanissima Cristina ebbe un sussulto, un fremito che le percorse tutto il corpo quando, riempita la fossa con la cassa che conteneva il corpo del genitore, si accorse di una presenza evanescente, una figura femminile ritta a osservarla a distanza di pochi metri.
Sotterranei cagliaritani (foto di Pierluigi Serra).
La riconobbe subito per via della statura e per lo sguardo così profondo: si trattava di Rosina Belmonte che come lei faceva parte delle ospitate nelle due case gestite da Carlo Bertagnolio, bolognese di origine, trapiantato in città per gestire l’attività del meretricio pubblico. Le due giovani erano ben note all’autorità di Pubblica Sicurezza non solo per l’attività esercitata ma anche per l’esuberanza con la quale avevano partecipato – non ancora sedicenni – ad una rissa tra clienti e prostitute in via Corte d’Appello, diverbio che si era concluso con il ferimento di due giovani marinai. Cristina, nata nel 1868 in una casa fatiscente di via Giardini, era stata costretta dalla madre, originaria di Sarroch, a prestare prima servizio presso una famiglia di Castello e poi a vendere il suo corpo in una delle case di tolleranza cittadine. Qui aveva conosciuto Rosina e con lei aveva spartito le camere fatiscenti gestite da Giuseppe Di Bernardo ai numeri 42 e 44 di via Dritta a Stampace: case di malaffare e malsane, ben lontano dalle ovattate stanze dello Chabanais parigino frequentato da nobili e ricchi europei. Erano state le due giovani a portare davanti al giudice, nel 1883, il Di Bernardo, accusandolo di maltrattamenti e percosse: carceriere e sfruttatore che avrebbe di lì a qualche tempo saldato i suoi conti con la vita finendo suicida nel fossato di San Guglielmo. Fu proprio il giorno del funerale del padre a cambiare la vita di Cristina, che ebbe la fortuna di aver al suo fianco, come angelo custode, lo spirito dell’amica: lei che era conosciuta tra gli avventori delle case del piacere con il nomignolo di figlia del boia
, costretta a vendere il proprio corpo si ritrovò a essere salvata in più di una occasione dal fantasma della Rosina. Come la sera in cui un cliente ubriaco tentò di strozzarla per portarle via i pochi oggetti d’oro: il disperato dovette fare i conti con lo spirito adirato, quel fantasma protettore che si manifestò all’uomo in tutta la propria ira. Si raccontò delle urla disumane che l’uomo lanciò alla vista del fantasma e di come scappò dalla via Santa Margherita in preda a spasmi e convulsioni.
Certo Cristina non ebbe la fortuna di conoscere gli agi di una vita spensierata, così come era stata instradata in una esistenza decadente: quando nel 1912 terminò il suo percorso terreno in una casa di Tunisi, ove era emigrata da alcuni anni, a raccogliere la storia della sua vita fu un infermiere di origine italiana che ebbe modo di tramandare la vicenda di una donna impegnata negli ultimi anni a soccorrere e aiutare quante erano state costrette a prostituirsi. Cristina Perbollo divenne speranza e sostegno, anche economico, per molte giovani grazie anche alle monete d’oro che nottetempo uno spirito femminile lasciava in dono alla donna.
4 Giuseppe Perbollo, così come risulta dei registri cimiteriali, muore a Cagliari all’età di 77 anni, il 16 dicembre 1888. Sarà sepolto nella nuda terra, nel
iv
quadrato di Bonaria.
5 Il nome di Bonifacio Pili compare sovente nei Registri di Pubblica Sicurezza, nei faldoni inerenti la prostituzione, conservati presso l’Archivio di Stato di Cagliari.
GLI IRREQUIETI FANTASMi DI PALAZZO BELGRANO
Chissà se Francesco Antonio Boi⁶, celebre anatomista cagliaritano passato alla storia per aver commissionato e portato nel capoluogo le meravigliose cere anatomiche del Susini, si pose mai il quesito sulla provenienza dei rumori sordi, delle stoviglie spostate da mani invisibili e del continuo vociare sommesso proveniente dalle grandi sale del palazzo Belgrano, luogo dove le ombre prendevano forma e si muovevano alle prime ore della notte. Lui, uomo di scienza, nominato protomedico da Carlo Felice che ne finanziò il soggiorno presso le più importanti cattedre anatomiche dell’epoca, era divenuto proprietario della grande e lussuosa dimora situata nella contrada di Sant’Eulalia, nella omonima via, in seguito al matrimonio segreto con donna Giuseppa Angioy, terza figlia di Giovanni Maria e Anna Belgrano.
Eppure l’uomo di scienza, dalla mente matematica, avrebbe dovuto aver qualche avvertimento, ascoltando soprattutto i racconti della servitù e dell’anziana domestica Efisia Porcu testimone di tutti i fatti particolari e inspiegabili che ebbero come teatro il grande palazzo signorile dei Belgrano. Era noto, e non solo ai familiari, l’episodio nel quale il padre delle tre ragazze – il nostro Giovanni Maria Angioy – supplicò il suo confessore don Gavino Muroni, di liberare le figlie dall’insulto dé maligni
: quale che fosse questa infestazione non è spiegato, restando tuttavia ben chiara la preoccupazione del genitore sul ripetersi di episodi avvolti da una cappa oscura e pesante. L’accortezza e la sagacia negli affari avrebbero dovuto guidare già la scelta di Ramon Belgrano, quando nella metà del 1700, acquistò un vasto lotto di terreno situato a ridosso della chiesa di Sant’Eulalia, terreno che confinava – e forse inglobava il cimitero attiguo alla parrocchiale della Marina. Cagliaritano, nato proprio nel quartiere prospiciente il porto nel 1724, Ramon aveva ipotizzato per la sua casata una dimora lussuosa e prestigiosa, specchio del potere economico accumulato con le tonnare e con il commercio del sale: così non si curò neppure delle lamentele e delle lagnanze degli operai, impegnati nello scavo delle fondazioni del palazzo quando iniziarono ad affiorare sepolture recenti e antiche, risalenti a quella Cagliari romana, di cui sono rimasti resti di edifici che ancora oggi si ammirano negli scavi di Sant’Eulalia. Si afferma che ogni luogo mantenga memoria non solo fisica ma anche eterea del passato, rilasciando in particolari periodi le tracce (o le anime) delle persone che lo frequentarono. Se a questo si aggiunge il carattere e la sensibilità di qualche intermediario
si ottiene una chiave in grado di aprire porte verso mondi sconosciuti.
La sala settecentesca della Biblioteca universitaria di Cagliari (foto di Giova81 su licenza
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Il capostipite della famiglia, deceduto a cinquantacinque anni, dovette assistere alla morte delle figlie Francesca e Anna, trapassate in giovane età, lasciando una ricca eredità alla moglie donna Giuseppa Novaro Belgrano: signora di polso e abituata a far fronte alle avversità della vita, aveva ricevuto in dote anche il cipiglio e il rigore che caratterizzavano la stirpe genovese dalla quale proveniva, un carattere forte che suscitava un forte timore nelle lavoranti che accudivano alle faccende domestiche del palazzo. Ma vi era un altro aspetto, poco conosciuto, a far trasalire chi ne fissava lo sguardo: donna Peppina, così era conosciuta, pareva ammantata a detta delle sue governanti di un’aura funesta ulteriormente avvalorata dai lunghi ritiri