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San Fantino e Tauriana: un viaggio alla scoperta di una storia sconosciuta
San Fantino e Tauriana: un viaggio alla scoperta di una storia sconosciuta
San Fantino e Tauriana: un viaggio alla scoperta di una storia sconosciuta
E-book506 pagine5 ore

San Fantino e Tauriana: un viaggio alla scoperta di una storia sconosciuta

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San Fantino, l'antica città di Tauriana, la Madonna Nera, i Templari e molto altro. Il mito dei Cavalieri Templari, si è sempre autoalimentato con nuove rivelazioni e suggestioni, nutrito anche da una certa letteratura nella quale verità e speculazioni si sono troppo spesso mescolate tra loro. Le pagine di questo libro, invece, trascinano il lettore in un racconto straordinario ma sempre documentato che ripercorre un sentiero sino ad oggi inesplorato. È questo un sentiero che si snoda lungo le strade della Tauriana italica, romana, precristiana, e medievale, lungo le strade percorse dai cristiani d'Oriente, dai primi cristiani d'Occidente, da San Fantino e dai Cavalieri Templari, che qui avevano dato vita ad una loro importante Commanderia.

Il libro, però, non vuole essere una mera ricerca sui Cavalieri Templari, tuttavia da questa premessa nasce un accurato studio sul collegamento di questi con l'antica Tauriana, della quale vengono riportate tante notizie inedite, o poco conosciute della sua lunghissima storia, dal IV sec. a.C. fino al medioevo. È "una storia di splendori e meraviglie, ma anche di distruzioni e decadenza, tra terremoti, invasioni, ricostruzioni, fede, prodigi e misteri".
LinguaItaliano
Data di uscita26 ago 2022
ISBN9791221422207
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    Anteprima del libro

    San Fantino e Tauriana - Domenico Bagalà

    Capitolo I

    Il contesto storico/territoriale

    Calabria centro della storia

    La Calabria è così lunga e stretta, che ben due carte geografiche le sono dedicate nella Galleria Vaticana. Chi viene dalla parete con le città portuali d’Italia (è il percorso che faceva il papa, rovesciato rispetto a quello attuale dei turisti) incontra prima la Calabria ulterior, poi quella Citerior, è l’antica divisione storica della penisola calabrese: Citerior (dal latino citra, al di qua) è la parte settentrionale che sta fra Maratea e la Sila e che è più vicina a Napoli, capitale del Regno delle Due Sicilie; ulterior è la parte che si prolunga verso sud fin quasi a toccare la riva settentrionale della Sicilia e aperta al Medio Oriente, da dove arrivò il sapere e il Verbo.

    Frastagliate sono le coste della penisola calabrese, fitte di promontori e di insenature. Spesso le stupende montagne precipitano verso il mare come in Aspromonte o a Capo Vaticano e sono rivestite da folti boschi.

    Antonio Paolucci, La Galleria delle Carte Geografiche Edizioni Musei Vaticani – Sillabe- Giunti Città del Vaticano, 2011

    Mare nostrum, così i Romani chiamavano il mare Mediterraneo, che non è solo un mare, è un insieme di mari, di civiltà, di culture, di popoli, di paesaggi, un mare senza confini, una sorta di mare/ponte, che collega tre continenti: Europa, Asia e Africa, ma anche Oriente ed Occidente, Nord e Sud senza soluzione di continuità, un mare che da sempre ha permesso lo scambio dei saperi e, quindi, dello sviluppo delle civiltà.

    Cerniera di raccordo di questi diversi mondi è sempre stata la Calabria, un luogo di incontro e di fusione delle culture, tra storia e mito in queste acque navigavano guerrieri e marinai, filosofi e commercianti che cercavano terre nuove, nuovi approdi, nuovi popoli con i quali scambiare conoscenze, commerciare, fondare nuove città.

    Sulle sponde del Mediterraneo sono sorte grandi civiltà, quelle che hanno contribuito a formare la nostra cultura, la nostra identità, la storia: come non ricordare l'intraprendenza navale dei Fenici, la civiltà Minoica e Micenea, la grandiosità degli Egizi, degli Etruschi, dei Cartaginesi, come non ricordare i popoli delle origini della civiltà: i Sumeri inventori della scrittura, e del mattone; gli arabi ideatori dei numeri e della matematica; gli Assiri creatori della moneta; i Babilonesi inventori del tempo dividendolo tra giorno e notte, ore, minuti e secondi, e dividendo l’anno in dodici mesi ed i mesi in quattro settimane; i Persiani che inventarono l’ingegneria idraulica (il sistema di intercettazione e di trasporto), che permise lo sviluppo dell’agricoltura; e come non ricordare la poliedricità del mondo ellenico con le sue raffinate ed elevate forme del pensiero, con le sue espressioni artistiche di insuperata bellezza. Nell'ambito della cultura ellenistica anche la scienza rappresentò probabilmente il punto più alto raggiunto dal sapere nel mondo antico, si pensi all’importanza di Alessandria d’Egitto; ed ancora, la civiltà dei Romani che attuò la prima globalizzazione.

    Questa magnifica punta dello stivale italiano, aveva fatto il suo ingresso ufficiale nella grande storia, grazie ai coloni Greci che l'avevano apprezzata, popolandola fin dall'ottavo secolo prima dell'era cristiana. La loro luminosa cultura creò la Megas Hellas, la grande Grecia d’Occidente, con la fondazione delle poleis, lasciando un numero impressionante di tracce della loro civiltà. Secondo alcune fonti la Calabria aveva dato i natali ai poeti Orfeo, Ibico e Stesicoro, al legislatore Zaleuco nativo di Locri Epizefiri, che fu il primo legislatore del mondo occidentale, citato da Strabone e Cicerone, che nel suo De Legibus, lo indica come padre del primo codice occidentale di leggi scritte, in vigore nella città di Locri Epizefiri; di quella città citiamo ancora: Nosside la più grande poetessa della Magna Grecia e il filosofo Timeo, citato per le sue opere da Platone (Timeo,II) e Dante Alighieri (Divina Commedia Paradiso, canto IV, 4951), di Medma conosciamo Filippo, editore di Platone, che aveva riconosciuti come suoi cittadini Erodoto e Pitagora.

    L'historia intessuta di mito comincia con Italo, nipote di Odisseo, fondatore di quel regno che da lui, si dice, prese il nome di Italia; secoli d'intraprendenza commerciale segnano la storia della terra degli Italici, perché la denominazione Calabria, per questa penisola fra il Tirreno e lo Ionio, chiusa a nord dal massiccio del Pollino, ma aperta al Sud verso l’Oriente dove tutto cominciò, risale al tempo della dominazione bizantina, quando la regione assunse il nome che era stato in precedenza della Puglia meridionale.

    Ancora prima, gli antichi scrittori di cultura classica descrivono la Calabria come la terra di Saturno, capostipite delle divinità olimpiche, inventore dell'agricoltura; gli scrittori di cultura giudaico-cristiana parlavano di una terra abitata fin dal Diluvio da Aschenaz, pronipote di Noè, che navigando con la sua famiglia dall'Asia era giunto fino alla terra dello Stretto per dar vita a un nuovo popolo; e fu Eracle, il semidio dalla form a misteriosa, a fondare nuove città, furono i compagni di Ulisse, viaggiatori senza più patria, a cercare in questa terra un luogo dove fermarsi, per ripartire e cominciare una vita nuova.

    La Calabria, nella sua storia indigena evidenzia la presenza umana fino a 15000 anni or sono, a questa data risalgono alcuni reperti della grotta del Romito presso Papasidero, ma anche a Nardodipace e nei pressi di Caulonia e Stilo, grandi megaliti ancora da studiare e miti da confermare come la grotta dei Re a Stignano. A Campana una scultura di un elefante è risalente a 10.000 anni a.C. In età neolitica si datano i frammenti dipinti a Praia a Mare, nonché la ceramica di Sant’Angelo di Cassano e quella impressa di Favella a sud di Sibari; Un’iscrizione lapidea su granito locale risalente agli inizi del VII secolo a.C. è stata scoperta a Cortale, nel catanzarese, è l’iscrizione più antica della Magna Grecia e della Sicilia finora rinvenuta: sembrerebbe una dedica a Ercole Boario, paredro di Astarte e la forma del betilo è elemento che si collega anche al famoso mito dell’impresa condotta da Ercole che portò i tori di Gerione dalla Spagna sino alla Grecia passando proprio dalle coste della Calabria ed anche da Tauriana?

    L'immagine preistorica più celebre della Calabria è un toro: il famoso bos taurus primigenius, che si trova su una parete della grotta del Romito a Papasidero, nel cosentino. Risale al paleolitico superiore, circa 12.000 anni fa, venne scoperta nel 1961 da Paolo Graziosi che la giudicò una delle più belle ed importanti manifestazioni di tutta l'arte preistorica italiana.

    La rappresentazione dell'animale fu realizzata dall’Homo Sapiens esattamente da un antico rappresentante di questa specie, l’Uomo di Cro-Magnon che viveva praticando la caccia e la raccolta di piante spontanee. Il Toro forse propiziava la caccia e simboleggiava una divinità che dava la vita, inoltre il toro ricorda soprattutto l’etnico più antico, il populus dei Tauriani.

    Un tratto di costa dove tutto accadde.

    Nella Costa Viola, il territorio tra Porto Oreste e il Metauros, per la sua posizione geografica al centro del Mediterraneo, aveva già dall'origine il destino segnato come terra di transito e di incontro. Molte popolazioni vi giunsero da parti diverse e progressivamente si scontrarono, si sovrapposero, si fusero, fu proprio la contaminazione fra varie culture che facilitò lo scambio dei saperi, che favorì lo sviluppo della conoscenza e del progresso.

    Questo specialissimo tratto di costa costituisce pertanto la sua unicità, tanto da essere definita dal Prof. Serge Collett (ricercatore del C.N.R.S. Francese, collaboratore della Commissione Europea per le ricerche etno - archeologiche dei popoli del mare), il tratto di costa dove tutto accadde, intendendo con questa espressione la molteplicità di relazioni dirette, siano esse pacifiche o antagoniste, favorite nell’evoluzione storica grazie alla speciale posizione geografica e punto terminale di due importanti correnti marine: quella detta mediterranea che dallo stretto di Gibilterra arriva nel Canale di Sardegna scendendo verso il basso Tirreno fino all’arcipelago Eoliano per incontrarsi con l’altra corrente proveniente dallo Stretto di Messina, creando un flusso che termina nel tratto di costa tra porto Oreste e il fiume Petrace (Metauro) vicino Taureana. Testimone e prova di questo fenomeno è l’abbondante pietra pomice proveniente dai Vulcani di fronte, che arriva copiosa in questo tratto di costa; studi universitari oggi mettono in relazione queste correnti con l’evoluzione storica di questo territorio, le quali hanno probabilmente favorito o addirittura determinato l’arrivo delle civiltà antiche" e altri popoli fino al medioevo ¹, ciò spiega perché sono accertate frequentazioni di antichi popoli del Mare riconducibili all’età preistorica, come sul terrazzo di Cropo sul fiume Metauros e sul neolitico Monte terzo ad Est di Tauriana; del periodo del bronzo medio e tardo vi è il sito sepolcrale di S. Leo (Pontevecchio); in epoca protostorica il Portus Orestis e le grotte di Trachina, dove in uno scavo archeologico effettuato da Prof. Vincenzo Tinè, è stato ritrovato un altare sacrificale, numerosa ossidiana e una ceramica rarissima micenea del periodo mesoelladico (1600 a.C.), di quasi due secoli prima della più antica ceramica trovata nelle Isole Eolie.

    pochi insediamenti di questo periodo sono conosciuti in occidente attraverso scavi sistematici, per questo rendono Trachina tra le cavità più interessanti d’Italia - Vincenzo Tinè ².

    Un altro sito di cui ci siamo interessati assieme a Serge Collet e Domenico Minuto, sin dal 1991, è quello di Pignarelle, a valle di Palmi, poco distante da Trachina, risalente al periodo altomedioevale che ci parla delle migrazioni monastiche. Si tratta di un vasto insediamento rupestre ancora inesplorato, dove vi sono grotte scavate a mano d’uomo di diverse grandezze e a vari livelli. In alcune di esse vi sono incise delle croci nelle pareti e sugli ingressi ad arco, la cui la fattura sembrerebbe medio orientale e ci rimanda ai monaci cristiani provenienti dalla Siria, Giordania, Palestina, Libano, Egitto, Armenia, dalla Grecia e anche di altri luoghi ³.

    Nella grotta dell’Egumeno ci sono incise lettere forse con l’alfabeto armeno, una croce e il labirinto, detto anche il Sole bizantino, nella grotta di Vallaretta troviamo le croci Copte. Nella grotta grande vediamo, icisioni e segni del tecnica insediativa che rimanda ai primi monaci del deserto.

    Un’altra grotta, la più antca, ricorda il culto degli antenati.

    Questo insediamento, certamente il più importante non è isolato, vi sono a Palmi altri siti rupestri collegati da sentieri, come le grotte di Trachina, dove, oltre ai periodi protostorici è stata accertata una frequentazione medioevale.

    L’insieme ci consente di poter configurare un sistema di insediamenti rupestri collegati tra loro, Rocca Campana, s. Maria dell’Uccellatore, meglio conosciuta come Affaccio, Rinella (s. Leonardo), Contura, s. Mercurio, Cafuni, Spoliti, Fosso Cropo e s. Michele di Vitica (grotta poi crollata). Di grande interesse le gebie e i quanat che ricordano la tecnologia araba della Conca D’oro" presenti a Palmi lungo il suddetto vallone, dove si leggono ancora tracce legate a misteri medievali …

    I Tauriani, le radici dimenticate

    Per le fonti su Taurianum italica, la Tauriana romana, e l’identificazione del sito, si rimanda ad Antonio De Salvo - 1899, vi sono inoltre gli interessanti elenchi dei reperti trovati durante la costruzione della ferrovia nell’800 da parte dell’Ispettore ai monumenti e artista - pittore di Palmi, Domenico Augimeri (G. Fiorelli, 1889), seguono le ricerche di Paolo Orsi - 1916, Salvatore Settis- 1987, a Felice Costabile – 1999, a Rossella Agostino - Gli Italici del Metauros – 2005, Rossella Agostino e Maria Maddalena Sica - Sila Silva … il territorio … 2009.

    Nel 1991, fui contattato dal Prof. Serge Collet, antropologo del C.N.R.S. di Parigi e collaboratore della CAST di Bari guidata dall’archeologo Francesco Carofiglio e composta da archeologi, geologi, etnoantropologici, storici e altre figure professionali specializzate che operavano in collaborazione con le Soprintendenze nell'ambito della ricerca e valorizzazione dei Beni Culturali, in particolare lo studio e la conoscenza della frequentazione antica: dalla preistoria ai centri indigeni italici, dalla Magna Grecia alla romanizzazione, dal Medioevo, all’età post-rinascimentale e barocca.

    L’equipe ha utilizzato delle tecnologie applicate alla ricerca che hanno permesso la realizzazione di analisi archeometriche di vario genere, studi antropologici, paleobotanici e archeozoici e rilievi fotogrammetrici effettuati con tecniche diverse.

    Questi esperti, in quel periodo, stavano effettuando ricerche di etnoarcheologia nell’Eparchia marittima nel Sud della Calabria, con la Soprintendenza ai beni archeologici di Reggio Calabria, la mia conoscenza dei luoghi era utile per condurli nei siti che in parte conoscevano sulla carta, ma non sul territorio. Questo approccio, cioè la conoscenza del territorio, unita alle competenze professionali ed accademiche, ha permesso di individuare, e dare valore storico a molti siti e manufatti fino ad allora poco conosciuti o sottovalutati. Fu in quel periodo che vennero studiati ed elaborati specifici progetti di Etnoarcheologia del complesso medievale di S. Fantino nell’Eparchia delle Saline, ma anche di fare un focus sugli antichi popoli del Metauro in base alle fonti letterarie antiche, di individuare il monastero diAulinas e i resti del Monastero Imperiale di S. Elia il Giovane nel gioco delle lotte tra insediamenti religiosi normanni"; l’individuazione delle grotte di Caforchie, e, come già accennato, ad accertare a Palmi l’importanza storica delle grotte di Trachina e di Pignarelle, il Villaggio di Murgià e del Vallone s. Michele quale zona produttiva normanna.

    Guardavamo il territorio con altri occhi, era l’inizio per noi di una avventura straordinaria. Un viaggio nei luoghi ma anche nel tempo, che ci ha portato a conoscere e salvaguardare il sito di San Fantino con la Cripta, definiti da noi i più antichi della Calabria, oggi dato certo. Una delle civiltà più affascinanti è stata certamente quella dei Tauriani, un popolo per molti sconosciuto, ma sicuramente con una storia bellissima con un fascino incredibile. Pertanto, per far conoscere meglio questa storia così emozionante, abbiamo deciso di dedicare uno spazio in questa pubblicazione sull’argomento degli antichi italici Tauriani, per capire cosa è stato fatto dagli archeologi, quanto la ricerca e le scoperte hanno contribuito a svelare la loro cultura, ma, soprattutto, quanto ci possono ancora insegnare questi antichissimi italiani, perché il percorso della nostra storia è costellato di grandi momenti, di civiltà importanti, di altre meno note, ma certamente gli Italici Tauriani costituiscono un punto fondamentale non solo per la storia della Calabria pre romana, ma per l’identità dell’intera Nazione.

    Sugli Italici hanno parlato i greci, i romani, a volte ammirandoli, a volte temendoli, a volte criticandoli, e noi proprio grazie anche alle loro descrizioni, agli originari scritti , cercheremo di tornare nel mondo di questi antichi italiani, ma lo faremo anche grazie alle parole dei moderni, cioè degli storici, ricercatori, degli archeologi, cercando quindi di tracciare un identikit di questa civiltà scomparsa che è in realtà una eccellenza, non solo calabrese, ma italiana, un unicum, perché i Tauriani sono esistiti solo qui, in questo territorio, mente i greci e i romani, sono stati anche altrove, quindi i Tauriani fanno parte del nostro patrimonio archeologico, artistico, genetico, forse anche linguistico, ma soprattutto culturale, proprio per questo dobbiamo conoscerne meglio la storia, valorizzarla e tutelarla.

    Le recenti ricerche archeologiche promosse dalla Soprintendenza di Reggio Calabria, hanno permesso di individuare, nell’attuale Parco Archeologico dei Tauriani, resti di strutture abitative, nonchè piani pavimentali, muri, canalette e assi stradali, riconducibili, secondo gli archeologi, al populus italico dei Tauriani, in un'età compresa tra IV ed il I secolo a. C., in cui, dai dati stratigrafici, risultano attestate diverse fasi di vita funzionali all'organizzazione dell'abitato. Inoltre, sotto il livello italico, vi sono i resti di capanne dell’età del bronzo IV millennio a. C.. Poco distante, il podio di un tempio pagano con triportico, e nei pressi, un altro abitato dei Tauriani del IV sec. a. C., dove, tra l’altro, è stato messo in luce un mosaico.

    La casa del mosaico prende appunto il nome dal ritrovamento di un magnifico mosaico in vermiculatum con scena di caccia all’orso. Il mosaico, realizzato con tessere policrome di piccole dimensioni, forse doveva occupare il centro della sala.

    Vi è rappresentata una scena di caccia all’orso, con due cavalieri e un portatore di giavellotti che si dispongono ai lati di un orso già ferito, posto al centro della scena, vi sono tre cani che attaccano l’orso e un cinghiale posto in basso. Poco piu avanti, nella sala del Simposio detta anche nella stanza dei bronzi sono stati ritrovati i frammenti di klinai bronzee con inserti in argento.

    Il bellissimo pavimento a mosaico, si trovava in questo edificio pubblico che poteva essere anche residenza privata con carattere di alta rappresentanza, oppure sede dei sacerdoti del Tempio?

    Questa ultima ipotesi sembrerebbe la più credibile, essendo datato tra il II-I secolo a.C., si privilegi l’ipotesi che probabilmente l’intero impianto sia stato italico, e dal I a. C. anche romano.

    Taurianum Città degli antichi Italiani

    La prima notizia (a noi nota) dei Tauriani ci è data da un brano delle Origines di Catone, in cui sono messi in risalto i sette fiumi I Thesunti Tauriani, egli dice: traggono il nome dal fiume che scorre vicino la loro città, prima posseduta dagli Aurunci e poi dagli Achei, che ritornavano da Troia; il loro territorio è solcato da sei fiumi ed un settimo, che si chiama Pecoli. Qui si dice che sia giunto Oreste, assieme a Ifigenia e Pilade per espiare le colpe per l'uccisione della madre. Fino a poco tempo addietro si poteva vedere una spada confitta in un albero, lasciata lì, si dice, da Oreste».

    Secondo Catone, il toponimo Taurianum (Città dei Tauriani) deriva dall’etnico attestato anche in lingua osca (italica) sui bolli laterizi ritrovati a Tauriana.

    Il caso ha voluto che solo due frammenti delle Origines di Catone si salvassero dalla distruzione, quelli riferiti ai popoli del Bruzio: uno che riguarda una civitas (Petelia), l’altra l’oppidum di Taurianum (Città dei Tauriani), accomunata dalla relazione mitica con gli aurunci e gli Achei reduci da Troia.

    L’italicità come valore è stata giustamente indicata quale tratto peculiare delle Origines catoniane, pertanto Taurianum è indicata quale erede del mito di Oreste legato al Fiume Metauros o Matauros, mentre Petelia quale erede del mito di Filottete.

    Catone, in questo territorio con un forte passato greco, mette in risalto l’originaria connotazione italica dei due centri, riservando solo a Taurianum una cronologia storica, definendola oppidum degli Aurunci, che, in virtù della derivazione latina Aurunci da Ausone, è generalmente intesa come un semplice rimando alla ben nota connotazione Ausona dell’area tirrenica che apparteneva alla tradizione poetica stesicorea. Cfr. S. Settis 1964.

    Infatti è ben nota l’origine campana degli aurunci e risulta evidente l’origine aurunca attribuita ai Tauriani da Catone, e ciò giovava anche a marcare la differenza con Messana e Reggio e comportava un riconoscimento di parentela più forte tra Tauriani e Romani.

    Infatti, non si può escludere che un qualche filo possa aver legato Taurianum all’area dei campani, anche solo per aggregazione etnica, di lingua, culturale o politica.

    A conferma di ciò la letteratura antica tramanda la notizia di insediamenti osco-sannitici nell’estrema regione meridionale durante l’età dionisiana (IV secolo a.C.).

    Dei Tauriani scrive anche lo storico Livio, distinguendoli da quei Brettii che nel 213 a. C., ritornarono alleati di Roma in occasione della guerra annibalicaeodem tempore in Bruttiis ex duodecim populis, qui anno priore ad Poenos desciverant, Consentini et Tauriani infidem populi Romani redierunt (Liv., Ab urbe cond., XXV, 1, 2). Difatti, il Prof. Salvatore Settis, negli anni '80, sostenne l'identificazione dei Tauriani (autonoma rispetto ai Bretti), ricordati da Livio come quelli che occuparono il territorio a sud del fiume Metauros - (tuttavia i Tauriani da alcuni storici furono spesso confusi con i Bretti).

    Sempre a Tauriana è ambientata un’altra interessante narrazione, quella dell’eroe Tauro, leggendario fondatore di Tauriana e Taormina, figlio adottivo del re Remaldo e della regina Mènia, il cui regno era dall’attuale Piana di Gioia Tauro, a Reggio e fino a Pellaro.

    Si tratta di una lunghissima opera agiografica, anonima, conservata in una dozzina di codici databili tra il X e il XVII secolo, quasi tutti greci, tranne uno, in latino. Tra i più importanti il Vat. Gr. datato all’anno 964, il Crypt. B. B. V del se. X, il Mosqu. Synod. 15 datato all’anno 1023 e l’Athon. Lavr. 58 del secolo XI. L’enorme successo di questa opera è testimoniato anche dalle versioni in numerose lingue, dallo slavo al bulgaro, al georgiano, all’armeno ed ancora all’arabo, Questa opera che ci appartiene, inedita nella nostra lingua, sarà pubblicata a cura dello scrivente successivamente a questo lavoro.

    Il territorio dei Tauriani ha dato il nome all’Italia?

    Scrive Plinio Metaurus amnis; Tauroentum Oppidum, portus Orestis et Medma, cioè il fiume Metauro; la Città di Tauriana, il Porto di Oreste e Medma. (Plinio il Vecchio, Naturalis historia, XIII, 5, 10).

    Tauroentum, secondo l’interpretatio graeca, vuol dire luogo abbondante di tori, essendo presente nel lessico greco con lo stesso significato del latino e delle lingue italiche, su questo etnico è scaturito il rapporto paretimologico tra il nome Italia, ristretta -come è noto- prima di Antioco, all’appendice tirrenica meridionale della Calabria, a Sud dei due istimi, e il nome indigeno del vitello (il toro piccolo), come tradizione locale raccolta da Elladico li Lesbo, e per metonimia da quello per vitello a quello per toro Tauroentum, così Plinio il vecchio chiama il territorio dei Tauriani, questo rapporto diventa l’identificativo del nome Italia, come si trova ampiamente esplicitato nella monetazione della guerra sociale. In altre parole, la presenza di una popolazione che aveva nel nome la trasparenza semantica del termine toro viteliu - vitilus - vitello (comune anche al greco), poteva, in un contesto interlinguistico, evocare l’associazione del coronimo con il nome di quell’animale come designazione della terra dei tori.

    Da qui il territorio dei Tauriani come madre del nome Italia il cui nome significherebbe quindi abitanti della terra dei vitelli. Cfr. Paolo Poccetti: Problemi linguistici degli Italici del Metauro, pagg. 79-80 in Italici del Metauros, a cura di Rossella Agostino - LA Ruffa Editore R.C. 2005.

    Aristotele e Antioco ci narrano anche che un re leggendario, Italo, avrebbe conquistato la regione e creato insediamenti stabili, secondo alcuni Italo era re degli Itali, identificabili con gli Enotri, gli Aurunci e perfino con gli Achei (…), ma la versione mitica è che il nome di re Italo deriverebbe anche qui da quel vitulus (vitello-toro) e da qui Vitulia (terra dei vitelli-tori), per approdare infine al nome di Italia, che poi è diventato quello dell'intera Nazione. Ovviamente non tutti sono d'accordo e già nell’antichità, Ellanico di Mitilene, seguito da Timeo e da Varrone, contrappone un'altra leggenda: quella di Ercole, che avrebbe condotto i vitelli rubati a Gerione, passando dalla Calabria fino alla vicina Sicilia, terra dei siculi e dei Sicani, che sarebbe denominata arditamente, quindi, a sua volta, Vitulia. Ma anche se i tempi sono remoti e incertissimi, più che le fonti predomina il mito.

    Nell'antichità, i territori dell'odierna Calabria vennero diversamente indicati: Ausonia, per le proprie ricchezze; Esperia, perché per i Greci in direzione dell'Occidente; Enotria, terra del vino o da Enotrio re di Arcadia; Italia, terra dei vituli - Vitaliu -vitelli da (Tauroentum -Taurianum, Città dei Tauriani); Magna Grecia, perché diventò splendente più della madre patria; Bruzia, perché vivevano i Bretii e infine, sotto i Bizantini nel VI secolo d.C., Kalavria etimologicamente terra d'ogni bene. Dei Tauriani sappiamo che nel sec. IV rappresentavano già una comunità politica autonoma, essendo uno dei 12 populi di cui si componeva a quel tempo la confederazione Italica, che (a differenza dei Bretii Cosentini) rimasero fedeli a Roma fino alla fine. Cfr. Gli Italici del Metauro, a cura di Rossella Agostino pag. 61, ricerca di Giovanna De sensi Sestito.

    Tuttavia è ancora difficile definire i contorni di una cultura molto antica come quella italica dei Tauriani, cosi come identificati da Catone e Livio, perché i Tauriani forse avevano radici Aurunche, anch’esse italiche di lingua osca, ma di origine campana, ed ebbero contatti anche con altre culture, come ad esempio quella degli Achei, vale a dire quei popoli presenti in questo territorio dall'età coloniale (VIII sec. a.C.), i quali ebbero contatti anche con gli Italici del Metauros. In tal senso, riferisce il Prof. Felice Costabile, che in merito alle popolazioni italiche e indoeuropee, ha rivisto il passo di Catone, e vedrebbe come accertata storicamente una presenza achea nel possesso di Tauriana, presenza interpretabile nell’ambito dei nostoi da Troia, come attestato dai contatti tra questo territorio e la civiltà micenea.

    Questo dato induce a ipotizzare che la presenza in questo territorio degli italici sia molto più antica del sec. IV. Infatti era già nota da tempo al mondo greco, poiché in un frammento comico attribuito ad Aristofane, del V-VII sec. a.C., si parla della "oscura, orribile lingua brettia (oscia).

    Inoltre la presenza di popoli indigeni prima dell’arrivo dei coloni greci apre prospettive di lettura sulle dinamiche insediative e relazionali tra la paralia greca e la mesogaia indigena degli italici Tauriani, che, in età alto arcaica, fanno perno sul comprensorio del Métauros, dove è accertato il loro insediamento, come è stato da più parti considerato anche in relazione ai santuari urbani. Cfr. Massimo Osanna 1992; Greco 1997; Leone 1998, in Gli Italici del Metauros, a cura di Rossella Agostino.

    I Coloni greci arrivati in Calabria riferirono di essere arrivati nella terra degl’Itali o Italioti, nel senso di abitanti dell’Italia, stabilitisi a sud, che siamo autorizzati a chiamare Tauriani C.fr. A.N. Sherwin White, Rom. Citiz. (1939). Gli stessi coloni greci poi finirono anch’essi ad essere chiamati dai greci della patria Italioti. Cfr. Polibio, Strabone (libri V e VI), Pomponio Mela (II, 58 segg.), Plinio (Nat. Hist., III, 38 segg.). Sappiamo ancora che, allo stato delle ricerche, dalla seconda metà del IV secolo e la fine del III a. C. i gruppi italici, Brettii, staccatisi dai Lucani, si resero politicamente liberi e autonomi, con un loro territorio ben definito: …La parte restante chiamata Italia, poi è stretta e allungata e termina con due punte una delle quali finisce allo stretto di Sicilia (l’attuale Calabria), l'altra al capo Japigio (l’Attuale penisola Salentina, Puglia), essa è abbracciata dal mare Adriatico da una parte, dal mar Tirreno dall'altra. La parte restante la occupano i Brettii e alcuni dei Lucani...(Strabo, Geogr., V 1, 3 C 211). Tutte queste genti italiche sono unite dall'uso di linguaggi derivanti da un unico ceppo, quindi, alla base della nozione italici vi è la constatazione che genti che parlano la medesima lingua devono avere avuto, un tempo, comuni esperienze di vita ed un comune bagaglio culturale. Per trovare conferme circa il territorio degli italici Tauriani (chiamati erroneamente Brettii) in età ellenistica, bisogna attingere a quanto scritto dagli storici antichi: I Brettii (leggi Tauriani) occupano il territorio fra i Locresi ed i Reggini nel quale si produce la pece migliore e più abbondante (Chrestomathiae e Strabonis Geographicorum, VI 12)- Strabone sta parlando del territorio dei Tauriani, il cui confine, a nord, era delimitato dal fiume Metauros, al di là del quale vi era la città di Metauria sotto l’influenza di Medma, cioè dei Locresi, mentre a sud il confine era delimitato dal Torrente Sfalassà, sotto l’influenza dei Reggini, cioè dei Calcidesi, spesso in guerra con i locresi.

    Pertanto il geografo, storico e filosofo greco Strabone ha perfettamente indicato il territorio occupato dagli Italici Tauriani, compreso tra i due fiumi nell’odierna Costa Viola.

    Digressio:

    Lo Sfalassà è il torrente di Bagnara antica (Belarus Porto), come riferisce Appiano (Bellum Civilis IV, 85), anche nota con il toponimo Portus Balnearum, come chiamato in età medievale dal portolano Compaso de Navigare ricordandola tra gli scali commerciali dove veniva imbarcata una buona parte della seta prodotta nella zona dai bizantini.

    La parte più antica però si trova nell’area della rocca, dove è possibile riconoscere il nucleo originario dell’insediamento di età medievale, sede di una delle prime abbazie normanne in Calabria, quella di Santa Maria dei XII Apostoli, edificata nell'XI secolo, a cui furono assegnate le rendite della chiesa di s. Giorgio de Palmis e di s. Michele di Vitica, cioè della Valle di san Michele, detta anche Valle dei mulini (la zona industriale di Palme).

    Quindi sulla costa tirrenica il territorio dei Tauriani era fra due città greche, di cui conosciamo inoltre anche il confine Est che si estende su una ampia parte pre-aspromontana del territorio, dove, oltre a esserci un altro insediamento Tauriano a Mella, vicino Oppido vecchia (Sant’Agata bizantina), vi sono una serie di fortificazioni a presidio del territorio che rivelerebbe una specializzazione inedita nell’organizzazione della difesa del territorio: scrive Settis che tra Locri e Tauriana, il confine fosse per natura segnato dal crinale della Melia, con il passo che permetteva il passaggio tra la costa jonica (locrese) e quella tirrenica (dei Tauriani); l’interesse dei Locresi sul lato tirrenico era dettato dalla presenza di due loro città Medma(Rosarno) e Metauria(Gioia Tauro) quest’ultima al confine nord dei Tauriani.

    La posizione del sito non lascia dubbi sulla sua funzione di sbarramento e controllo dell’accesso ai valichi istmici da parte dei Tauriani che occupavano, intorno al IV sec. a C., il bacino del Fiume Metauro. In questa logica difensiva è da ritenersi valida la tesi che il fortino di Serro di Tavola, nel territorio di S. eufemia di Aspromonte, segua un modello locale italiota di controllo dell’entroterra aspromontano, a cui probabilmente anche il sito di contrada Palazzo deve la sua concezione. La decisione di stanziare una guarnigione su questi luoghi strategici, può essere nata da circostanze particolari, come l’organizzazione dei Tauriani nelle forme attestate a Castellace, Oppido C.da Mella, C.da Palazzo, Serro di Tavola, certamente per difesa (Serro di Tavola è vicino il fiume Sfalassà di Bagnara, posto al confine Sud del territorio dei Tauriani con quello dei

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