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Il regno dei gatti - La trilogia
Il regno dei gatti - La trilogia
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E-book1.089 pagine14 ore

Il regno dei gatti - La trilogia

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Info su questo ebook

Il pomeriggio della vigilia di Natale, Margo si ritrova solo nel bosco durante una bufera di neve. Qui al cospetto di un immenso albero di cristallo, i suoi due peluche prendono vita rivelandogli di essere abitanti di un pianeta lontano. Grazie al compimento di un'antica profezia, i tre riusciranno a ritrovare la sovrana perduta del pianeta mutaforma, e a spezzare la maledizione della perfida signora delle ninfe, Yennah. Ha così inizio un viaggio che li condurrà oltre il tempo e lo spazio, tra pericoli e inquietanti presenze. Un afoso deserto circondato da monti infuocati rappresenterà la via d'accesso per il misterioso e stravagante regno dei gatti, un antichissimo pianeta ormai dimenticato e popolato da gatti parlanti. Nel frattempo Yennah ha capito che qualcosa si muove alle sue spalle e così inizia a organizzare la resistenza, mentre anche il regno dei gatti è scosso da moti di rivolta. La memoria non è stata cancellata, e il passato è pronto a riemergere dalle profondità degli abissi per presentare il suo conto nel modo più imprevisto. La verità cruda e violenta non può dimenticare e insinuandosi tra le pieghe del destino riporterà alla luce dolorosi e antichi ricordi.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2022
ISBN9791221455502
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    Anteprima del libro

    Il regno dei gatti - La trilogia - Giuseppe Scuderi

    Il regno dei gatti

    La trilogia

    Giuseppe Scuderi

    Youcanprint

    Copyright © 2022 Giuseppe Scuderi

    Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e luoghi sono frutto della fantasia dell’autore. Qualsiasi riferimento a persone, luoghi o cose realmente esistenti è da intendersi come assolutamente casuale.

    Copyright © 2019, 2020, 2021 Giuseppe Scuderi

    Tutti i diritti riservati.

    Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il preventivo assenso dell’Autore.

    Cover design: © Giuseppe Scuderi

    #ILREGNODEIGATTI #GIUSEPPESCUDERI

    Instagram: @ilregnodeigattiofficialsaga

    TikTok: Giuseppe Scuderi

    Twitter: @ilregnodeigatti

    Good Reads: Giuseppe Scuderi (Author)

    A voi che rendete tutto possibile Al mio amore, a chi comunque resterà, per sempre…

    Contents

    Title Page

    Copyright

    Dedication

    LIBRO PRIMO

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    LIBRO SECONDO

    Della genesi del male

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Capitolo 24

    Capitolo 25

    Capitolo 26

    Capitolo 27

    LIBRO TERZO

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Capitolo 24

    Capitolo 25

    Capitolo 26

    Capitolo 27

    Capitolo 28

    Capitolo 29

    RINGRAZIAMENTI

    About The Author

    Books By This Author

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    LIBRO PRIMO

    Il regno dei gatti

    Capitolo 1

    Margo

    Molte sono le storie dagli inizi avventurosi, tante altre seguono invece trame e direzioni tradizionali. La storia di Margo va ben oltre tutti questi aspetti. All’epoca in cui la sua vita si fece interessante, Margo, un bimbo di otto anni, viveva in una casetta ai margini della periferia di un paesino di provincia italiano immerso tra i boschi e la natura. Il piccolo ogni mattina si recava a piedi nella più vicina cittadina per frequentare la scuola elementare; non poteva ancora saperlo, ma ben presto si sarebbe reso conto di non essere come gli altri. Margo era un bambino speciale, il suo destino all’orizzonte gli avrebbe riservato grandi cose. Nonostante fosse un bimbo dall’aspetto gradevole, sempre attento a vestire in maniera ordinata ed educato nei riguardi altrui, il suo rapporto con i compagni di scuola e soprattutto con le insegnanti era a dir poco disastroso. Da molti dei suoi compagni era considerato addirittura il ragazzino da evitare; fin troppo strano per essere considerato normale. La sua caratteristica distintiva era quella di vivere in un mondo a sé stante. Per fare alcuni esempi: Margo, al contrario della stragrande maggioranza dei suoi coetanei, detestava tutto ciò che in qualche misura potesse dirsi tecnologico; inoltre non amava assolutamente i videogiochi, di qualunque natura essi fossero, e anziché trascorrere le sue giornate a stordirsi davanti a TV e PC preferiva dedicarsi alla lettura di un buon libro. Margo amava anche occuparsi delle sue tante piantine, e avendo vissuto buona parte della propria esistenza in una casa nel bel mezzo del bosco, in questo senso era stato avvantaggiato. La predilezione per la botanica non avrebbe rappresentato un caso singolare, il vero motivo per il quale Margo era stato preso come bersaglio dai compagni era la sua ferma e sostenuta convinzione che anche gli oggetti inanimati potessero essere considerati vivi. Margo, nello specifico, era un grande collezionista di peluche, ma contrariamente a quanto si possa credere egli era convinto che questi possedessero anima, identità e dunque sentimenti.

    Sosteneva con fermezza tutte le proprie idee, ritenendo che solo credere fino in fondo in uno o più sogni rende possibile la loro realizzazione; e Margo, paladino della contraddizione e del paradosso, in questo caso rappresentava il capro espiatorio per molti, poiché è più semplice attaccare chi sembra apparentemente diverso piuttosto che affrontare i demoni della propria esistenza. Da quanto era in grado di ricordare, il ragazzino aveva sempre vissuto in casa con la madre Roberta e la nonna Clorinda. Le condizioni economiche della famiglia erano precipitate pochi mesi dopo la nascita del bambino, il che aveva contribuito non poco a deteriorare i rapporti fra i suoi genitori. Adesso, ghettizzato dai suoi coetanei e vittima di bullismo, si ritrovava alla soglia dei nove anni, solo, povero, pieno di sogni e bisognoso di affetto. Non aveva mai sofferto troppo all’idea della solitudine e nonostante i compagni lo isolassero ogni santo giorno, egli trovava sempre lo stimolo per andare avanti anche laddove spesso il peso delle offese e delle ingiustizie era decisamente troppo grande da sopportare. La nonna Clorinda era proprietaria della casa nella quale vivevano, mentre Roberta, madre di Margo e figlia di Clorinda, era disoccupata da un paio d’anni e, anche se per un limitato periodo di tempo si era data da fare come possibile con piccoli lavoretti saltuari, senza mai però riuscire a trovare un impiego stabile che le consentisse di prendere parte attiva alle necessità della famiglia. I disagi familiari però ebbero inizio quando il padre di Margo, Giordano Melian, stanco di gestire un rapporto ormai finito, aveva deciso di mollare la moglie e il figlio e lasciare la periferia in cerca di fortuna altrove. Il divorzio tra i due non era stato consensuale, Roberta era ancora molto legata al marito e prima che questi partisse definitivamente, aveva tentato ogni mezzo possibile per riconquistarlo, anche se invano. Nei mesi seguenti, il dolore per l’improvviso fallimento del suo matrimonio fece precipitare la donna nell’infausto vortice della depressione, un male di vivere totalizzante e assoluto, che a lungo andare le fece dimenticare perfino di essere madre. Giordano dal canto suo, dopo il divorzio, non avrebbe mai voluto troncare in modo definitivo i rapporti con il figlio, ma gli eventi della vita dai quali si fece travolgere non gli lasciarono grandi alternative. A Roma, dove si era trasferito, Giordano aveva conosciuto Domitilla, la ricca figlia di un noto imprenditore, impettita, arrogante e viziata. Domitilla, pur consapevole dell’esistenza di Margo, mal tollerava qualsiasi aspetto potesse essere riconducibile al passato del compagno, facendo di tutto affinché questi si mantenesse il più distante possibile dalla sua ex moglie e dal loro bambino. La decisione di Giordano di chiudere ogni forma di contatto con Margo costituiva per il piccolo motivo di grande dolore; per questo, pur non buttandosi giù, aveva ormai smesso di credere nella possibilità di un riscatto. Roberta, intanto, si aggravava sempre di più e dedicava ogni secondo della propria giornata a devastarsi, quasi come se volesse farsi deliberatamente del male. La donna ambiva a sparire per sempre dal mondo, confidando nella morte e ricercandola in tutti i modi possibili. In questa triste situazione familiare, l’unico vero spiraglio di speranza e serenità Margo riusciva a trovarlo nella figura salda e amorevole di nonna Clorinda. Era una donna di bell’aspetto di circa ottanta anni, era solita portare i lunghi capelli argentei raccolti in una crocchia ben definita e i suoi occhi esprimevano amore e rispetto. Clorinda aveva da sempre vissuto nella piccola dimora di proprietà con la sua famiglia. Dopo la morte dell’amato marito Umberto la nonna, ormai rimasta vedova, senza perdersi d’animo aveva tanto faticato per garantire un futuro adeguato alla sua unica figlia. Molti anni dopo Roberta, all’età di diciotto anni, aveva conosciuto e sposato il giovane scavezzacollo Giordano Melian, e Clorinda, sebbene dapprima avesse manifestato qualche perplessità sul futuro genero, non ebbe più nulla da obiettare quando alcuni mesi dopo la giovane le annunciò di essere incinta, ma anzi, accolse Giordano in casa proprio come un figlio. Nel corso dei primi mesi di matrimonio il rapporto tra i due neo sposi parve ben consolidato, fu dopo la nascita del piccolo Margo che ebbero inizio i primi dissapori. I caratteri di Giordano e Roberta, per natura troppo differenti l’uno dall’altro, si scontravano quotidianamente, spesso anche per motivazioni inutili e banali. Giordano, pur dandosi da fare come possibile per trovare un lavoro, trascorreva gran parte delle proprie giornate in casa, senza occupazione, mostrando spesso segnali di insofferenza soprattutto nei riguardi del piccolo appena nato. Roberta e Clorinda dal canto loro, pur non potendo contare su un prestigio economico di rilievo, provvedevano, con la pensione della nonna, al mantenimento della famiglia. Giordano Melian, da superbo quale era, non gradiva affatto l’aiuto economico proveniente dalla suocera, ma al contempo i suoi soldi non gli dispiacevano affatto, e sognava di impadronirsi di tutto, cacciando l’anziana in una lontana casa di riposo. I litigi erano sempre più frequenti e l’intera situazione familiare era divenuta ormai insostenibile. Fu così che un giorno, senza troppi preamboli né preavvisi, Giordano prese l’amara decisione di abbandonarli tutti, chiedendo alla moglie il divorzio. Per Roberta il trauma fu insostenibile, l’amore che nutriva nei riguardi del marito, infatti, era davvero infinito nonostante le continue discussioni, e trovarsi da un giorno all’altro sola e senza la speranza di poterlo avere accanto rappresentò per lei un momento di totale devastazione. Il cuore di Clorinda intanto, sempre più addolorato, trovava un po' di speranza e consolazione nella figura del piccolo Margo, un bimbo dai vivacissimi occhi castani e dal sorriso contagioso. La nonna così, era per il piccolo l’unico punto di riferimento adulto al quale ispirarsi ed egli crebbe imparando a godere delle piccole grandi ma semplici cose; perché come continuamente gli ripeteva la nonna: solo la semplicità apre il mondo verso orizzonti che la maggior parte delle persone non riesce nemmeno a immaginare. Fu proprio grazie a Clorinda che Margo iniziò a comprendere se stesso; fu lei in una certa misura l’artefice di un progetto molto più grande che più avanti si sarebbe compiuto in lui, mutando il corso del destino per tanti. Margo cresceva giorno dopo giorno, sviluppando doti uniche e meravigliose, e nonostante a volte gli adulti cerchino di proteggere i bambini celando loro scomode verità, va detto che Margo comprese fin da subito che i genitori mai l’avevano amato e difficilmente lo avrebbero amato in futuro. All’età di cinque anni Margo iniziò a frequentare la scuola elementare del più vicino paese e contrariamente alle aspettative della nonna, il suo rapporto con la scuola fu conflittuale. Durante le mattinate, mentre Margo era a scuola, Clorinda si dedicava alla cura della casa e in modo particolare all’assistenza della figlia Roberta, ormai sempre più distante dal mondo reale perché inghiottita dal tunnel infinito dell’alcolismo e delle sostanze stupefacenti. La ragazza trascorreva gran parte del giorno a dormire; Margo, ormai rassegnato all’idea di non avere una madre, tornava a casa e dopo un pranzo fugace in compagnia della nonna si rifugiava in camera per studiare, anche se spesso trascorreva la maggior parte del tempo a fantasticare di realtà lontane e magnifiche. Durante i tanti pomeriggi trascorsi in casa con la nonna, Margo aveva imparato a disegnare e a rinvasare le piante disposte lungo il vialetto principale della loro casetta. Un giorno, assieme a nonna Clorinda, aveva trovato un gattino nei pressi del bosco che vagava solo e affamato; così i due credettero di potersene occupare. Le isterie di Roberta però, alla lunga li costrinsero a rinunciare, e il povero Miao, così lo avevano chiamato, pur restando nei pressi dell’abitazione, doveva rimanere fuori in attesa che Margo o Clorinda gli portassero qualcosa da mangiare e un po' di compagnia. Margo amava tantissimo Miao e quando d’improvviso il gattino non si fece più vedere in giro, fu per lui un dramma senza fine. La sensibilità profonda che contraddistingueva il carattere di Margo si estendeva ben oltre l’immaginabile, per questo spesso era in grado di trasferirsi in un mondo talmente suo da poter addirittura immaginare quella realtà vivida all’interno della propria mente. Nei momenti di svago a sua disposizione il bimbo amava leggere i tanti libri stipati all’interno di una vecchia libreria, e poi forse per un eccesso di solitudine o più semplicemente per una spiccata sensibilità Margo dialogava con i suoi peluche. Quest’ultimo aspetto, in modo specifico, rappresentava il punto sul quale spesso e volentieri insistevano tutti ogni qual volta sostenevano che Margo fosse strano. Questa sua peculiarità divenne l’aspetto identificativo di tutto il suo essere. Il suo intero mondo, il suo segreto, il suo stesso futuro. Nonna Clorinda dal canto suo non aveva mai trovato nulla di eccessivamente strano o sconcertante nei discorsi del nipote, spronandolo anzi a credere nei suoi sogni. Per lui Clorinda era l’unica creatura al mondo che tentasse di comprenderlo anche quando tutto il mondo gli era contro. A scuola le maestre e i compagni di Margo si erano sempre chiesti perché il ragazzino fosse così strano, era come se talvolta appartenesse a un altro mondo.

    «È instabile, troppo distratto... è come se fosse assente» aveva concluso la maestra di matematica, parlando con la nonna in una delle tante riunioni scolastiche.

    «I compagni tendono a isolarlo e credo che la colpa sia in parte anche sua, non fa nulla per tentare di integrarsi, guardi qui...» disse con sguardo torvo la maestra di italiano, «questo è l’ultimo tema in classe, la consegna prevedeva di raccontare una vacanza con la famiglia.» La nonna l’aveva interrotta, spiegando che probabilmente, viste le condizioni familiari, per Margo quella tipologia di tema avrebbe potuto rappresentare un problema, ma la maestra aveva continuato: «Signora mi creda, non penso proprio che il problema sia legato agli eventuali traumi dell’infanzia di Margo, sono un’insegnante da più di venticinque anni e le assicuro che di casi tristi ne ho visti tanti, per cui… A ogni modo mi consenta di leggerle un estratto del tema, se non le dispiace. Forse così potrà rendersi conto da sé di quanto suo nipote abbia bisogno di aiuto».

    Dal tema: Le mie vacanze con la famiglia di Margo Melian

    Le vacanze, soprattutto d’estate, io le trascorro con la mia famiglia. Oltre che con mia nonna Clorinda, sto insieme ai miei amici Maccu, Pidipidi, Marcello e Delino. Nessuno di noi ha l’opportunità di viaggiare perché la nonna non ci può dare i soldi che ci servirebbero, lei ha solo la pensione e non può pagare le vacanze per tutti. Io sono felice lo stesso, anche se non abbiamo tanti soldi, quello che conta è la compagnia. Mi dispiace però che i miei compagni non credono che i miei amici siano veri e questo perché forse hanno il cervello troppo chiuso per capire. […] Non mi sento diverso solamente perché gli altri non mi capiscono, io so che un giorno quello che sostengo da sempre sarà chiaro per tutti.

    La nonna aveva sorriso bonariamente, lo stesso non poteva certo dirsi della maestra che non appena ebbe finito di leggere il tema esclamò indispettita: «Capisce cosa sono stata costretta a leggere? Quando gli ho chiesto come mai i suoi amici avessero tutti dei nomi un po' fuori dal comune, lui mi ha risposto che questi in realtà erano peluche… Per quanto io abbia tentato di impedirlo, i suoi compagni sono scoppiati a ridere, e non posso biasimarli. Non capita tutti i giorni di sentir parlare un bambino di otto anni in questo modo, è come se non avesse ancora raggiunto una certa soglia di maturità, come se mancasse di qualcosa di importante». La nonna riteneva che l’atteggiamento delle insegnanti fosse a dir poco eccessivo; la donna era convinta che la fantasia e la fervida immaginazione fossero qualità rare e preziose, e che dunque bisognasse incoraggiarle anziché tentare invece di sopprimerle. Per tali motivi, dopo essersi congedata con educazione dalle maestre, se ne andò convinta che non vi fossero motivi seri dei quali preoccuparsi.

    Così passavano le settimane e dal momento che nessuno in famiglia prese provvedimenti di sorta, il comportamento di Margo continuò a essere quello di sempre; immerso nella totale convinzione che il suo mondo immaginario fosse reale, il bambino iniziò a poco a poco a trascurare perfino i suoi doveri più importanti. Spesso presentandosi a scuola senza aver svolto i compiti per casa e addirittura senza nemmeno aver aperto un libro. Le insegnanti allora, non vedendo altra scelta, ritennero opportuno rivolgersi alla dirigente che fece pervenire tempestivamente a casa del bambino una lettera di richiamo. Per uno strano caso del destino, in assenza di Clorinda, quando quella mattina suonarono alla porta, la raccomandata della scuola era stata ricevuta dalla mamma di Margo, Roberta. Inizialmente non aveva ritenuto necessario scomodarsi per vedere ma dopo aver udito chiaramente il campanello suonare con insistenza, la donna si era alzata e aveva aperto la porta indispettita. Quando vide che il postino aveva posta da recapitare proprio a lei, si affrettò a firmare la ricevuta della raccomandata e rientrò in casa con la sigaretta accesa in bocca. Gettò la raccomandata sul tavolo, incurante di quello che potesse esservi scritto, continuando a girovagare senza scopo per la casa. Poi in modo quasi inaspettato decise di aprire la busta che conteneva una breve lettera dalla scuola di suo figlio; non comprendendone almeno in prima istanza nemmeno il significato, continuò a leggere fino a che una normale mente non fosse stata in grado perfino di impararla a memoria; pur essendo totalmente disinteressata alle sorti del figlio, sapere che questi con il suo comportamento avrebbe potuto rappresentare un problema per lei, le dava i nervi. Dopo aver accantonato la lettera di richiamo, accese un’altra sigaretta, quando un’idea improvvisa le attraversò la mente. Senza esitazioni prese il cellulare e scorse tutti i numeri presenti in rubrica fino a che non ebbe trovato quello dell’ex marito, aveva cliccato sul tasto della chiamata, con il cuore che intanto le scoppiava in petto, e aveva atteso che qualcuno rispondesse. Dopo circa cinque squilli al telefono rispose una voce femminile, Roberta esitò poi prese con molta dignità.

    «Pronto… vorrei parlare con Giordano, sono Roberta Saltrero.»

    Qualche istante di silenzio accompagnò il resto della telefonata, poi Roberta poté chiaramente udire la voce di Giordano seguita da fastidiosi risolini femminili.

    Capitolo 2

    Una strana famiglia

    «R oberta, mi stupisce questa tua telefonata» aveva esordito Giordano, «credevo che avessimo deciso di non sentirci più dopo l’ultima volta.»

    Roberta esitò, poi prese: «Credimi, non sono affatto pervasa da alcun tipo di gioia, purtroppo mi vedo costretta a chiamarti. Proprio poco fa ho ricevuto una lettera da parte della scuola di Margo, sembra che nostro figlio… ecco pare che... abbia dei problemi. La preside ci esorta a presentarci nel suo ufficio per parlarne».

    Giordano rideva. «Non vedo in che modo la mia presenza possa esserti utile…»

    Roberta adesso era indispettita: «Oh davvero? Io invece credo che la tua presenza sia necessaria, sono sette anni che mi occupo di nostro figlio con il solo aiuto di mia madre, adesso ritengo che sia giunto il momento che anche tu ti assuma le tue responsabilità… Mia madre è molto anziana ormai, e inizio a temere che presto dovrò trovare una soluzione anche per lei». Giordano taceva all’altro capo del telefono, tuttavia in lontananza Roberta poteva chiaramente udire ancora i risolini divertiti della voce femminile che poco prima aveva risposto al telefono.

    «Ascolta, se la mia telefonata ti fa sorridere o fa sorridere la tua amica, che non ha smesso un solo istante di divertirsi come una demente da quando ho cominciato a parlare, può anche farmi piacere, tuttavia io ho chiamato per un motivo ben preciso. Non posso più occuparmi di Margo, è un problema, e ogni giorno la situazione peggiora sempre di più, ti chiedo di intervenire… non posso occuparmene più. È il momento che tu ti assuma le tue responsabilità» aveva continuato la donna con il cuore che scalpitava senza sosta.

    «Roberta, se hai bisogno di soldi io…» esordì l’uomo gelandola.

    «Mi offendi profondamente, come puoi credere che il motivo della mia telefonata siano i soldi? Non ho forse pensato a tutto da sola in questi anni?» aveva ripreso lei stizzita, rimarcando il concetto con un tono di voce più definito.

    «Non fraintendermi, è solo che non capisco come potrei esserti utile» aveva continuato Giordano. «La mia vita è molto cambiata da quando stavamo insieme, adesso sono un uomo d’affari, giro il mondo, e ogni giorno per questioni di lavoro sono in una città diversa, come credi che potrei seguire il bambino?» concluse caustico. Era sempre stato così, Roberta lo sapeva bene, non avrebbe mai accettato di assumersi le proprie responsabilità, il tempo non lo aveva cambiato, continuava a essere un bambino cresciuto.

    «Oh e allora sappi che non mi importa in che modo riuscirai a conciliare il tuo lavoro con il tuo dovere di padre, so soltanto che dovrai farlo, e per cominciare potresti farmi sapere quando sei disponibile per andare a scuola… Sii uomo almeno una volta nella vita, non puoi fuggire ogni volta che le situazioni si fanno troppo pesanti per te.» Sapeva di aver esagerato un po', ma anche se Giordano le avesse riattaccato il telefono in faccia almeno ci aveva provato. Tuttavia l’uomo, contrariamente a ogni più rosea aspettativa e sentendosi pervadere da un crescente senso di colpa in realtà mai sopito nel corso degli anni, a quelle parole si era limitato a dire soltanto:

    «Lunedì mattina, a casa tua per le nove, se per te va bene.»

    Il cuore di Roberta scalpitava, ora più che mai riuscì a sussurrare un molto più simile a un soffio che a un’affermazione, non riusciva davvero a credere che si sarebbero rivisti. Avrebbe voluto urlare per la gioia e l’emozione, si sentiva una donna nuova, come risorta dopo un lungo periodo di morte nel quale aveva annegato ogni suo dolore.  Un pomeriggio, nei giorni che seguirono quella strana telefonata, in un impeto di improvvisa quanto mai rara felicità, era corsa in camera del figlio e per la prima volta lo aveva stretto in un caldo e tenero abbraccio materno. Era la prima volta da che il piccolo ne avesse memoria. Le manifestazioni di affetto e amore nei confronti del bimbo non erano tuttavia elementi isolati, Roberta infatti aveva mutato radicalmente tutte le proprie cattive abitudini al punto che sia Margo sia Clorinda ne erano rimasti confusi. Pur non avendo avuto modo di parlarne tra loro, entrambi sospettavano che dietro quell’improvviso cambiamento ci fosse qualcosa. In modo particolare, Clorinda, sapeva che dopo la separazione la vita per lei aveva smesso di avere un senso, e quindi vederla improvvisamente ritornare a sorridere da un lato le dava pace e serenità, dall’altro la impensieriva. In questo clima di rinnovata ma apparente tranquillità, giunse il tanto agognato lunedì mattina. Roberta, con i capelli castani sulle spalle acconciati alla meglio, indossava un tailleur grigio fumo lievemente stropicciato e seduta sul tavolo da pranzo della cucina fumava con fare nervoso, sorseggiando caffè in attesa che l’orologio battesse le nove. Alle nove meno cinque Clorinda annunciò che sarebbe uscita sul retro per occuparsi dell’orto, Roberta non potendo credere a tanta fortuna, scattò immediatamente fuori dalla porta d’ingresso lasciando la povera madre all’oscuro dei loschi progetti che ormai da giorni aveva architettato. Era un freddo e grigio mattino d’autunno, le foglie ingiallite degli alberi intorno si stagliavano lungo il selciato che dalla casetta conduceva al bosco; intorno alle nove e cinque Roberta udì il suono di un motore provenire dalla stradina attigua. Levò lo sguardo in direzione del sentiero principale e poi lo vide, Giordano, alla guida di un magnifico bolide sportivo dai vetri oscurati. L’uomo, capelli cortissimi a spazzola lievemente brizzolati e occhiali scuri, indossava un gessato color cenere perfettamente aderente alle forme del suo corpo ancora atletico e perfetto. Il suo fascino negli anni non era affatto sminuito. L’uomo accostò l’auto accanto alla donna, rimasero in silenzio per alcuni istanti, poi la invitò a salire a bordo. Roberta sedette sul sedile anteriore dell’auto intrisa del profumo costoso di Giordano e del sapore agrodolce delle sigarette.

    «Vedo che non sei cambiato…» esclamò d’un tratto Roberta mentre alla radio risuonava un noto pezzo rock anni ‘80. «La musica è sempre la stessa» concluse con una lieve nota di sarcasmo nella voce.

    Giordano rise, accendendosi una sigaretta e offrendone una alla donna poi riprese: «La musica di qualità rimane tale anche dopo cento anni…»

    «Oh, non lo metto in dubbio» ribatté Roberta caustica.

    «Cosa c’è? Qualcosa non va?» chiese con garbo l’uomo.

    «Oh, nulla… è solo che… mi fa un certo effetto oggi essere qui con te, dopo così tanto tempo, e non litigare.»

    «Beh su questo mi vedo costretto a darti ragione, da un po' non riuscivamo più a stare insieme nello stesso momento senza urlarci addosso. È un miglioramento non trovi?» disse accennando un sorriso. «Parlami di Margo, ecco, ha mai chiesto di me?» chiese Giordano con una vena speranzosa nel tono della voce. Roberta, che intanto fumava convulsamente, distratta dal rumore delle frasche del bosco attraverso il finestrino, colse in ritardo la richiesta dell’ex marito.

    «Oh, Margo, giusto… beh è un bambino particolare, a essere sincera noi non parliamo molto. In passato comunque sì, è capitato che abbia chiesto di te, ovviamente non si ricorda quando sei andato via. Non ha memoria di nulla che ti riguardi, ma penso sia anche normale, a ogni modo io non l’ho mai capito molto; l’unica persona con la quale abbia un rapporto umano è quella mezza matta di mia madre. La cosa non mi dispiace, perché in fin dei conti è lei a doversene occupare, però come ti dicevo anche al telefono, non credo che questa situazione potrà perdurare ancora per molto tempo.» Giordano, rabbuiandosi, non disse più nulla fintanto che non furono giunti al paese, di fronte alla scuola di Margo.

    «Non penso che perderemo molto tempo, puoi stare tranquillo, so che per te è stato un sacrificio venire fin qui, però credo che sia giusto capire cosa stia succedendo a nostro figlio» mentì Roberta, sforzandosi il più possibile di apparire credibile.

    Entrarono dal portone principale, mentre intanto il cielo iniziava a diventare nuvoloso minacciando pioggia. Non appena furono nell’atrio vennero accolti da una bidella grassoccia, dai corti capelli rossi e gli incisivi molto pronunciati che le conferivano l’aria di un vecchio castoro.

    «Posso esservi utile?» chiese gentilmente la donna.

    «Siamo i genitori di Margo Melian, abbiamo ricevuto una convocazione nello studio della preside, vorremmo sapere se può riceverci» disse Roberta in tono apatico. La bidella li invitò a sedersi su una panchina disposta alla sinistra della scrivania ove di solito sedeva quest’ultima. Dopo qualche minuto la donna fu di ritorno sorridente annunciando che potevano accomodarsi nello studio della dirigente al terzo piano. Entrarono nello studio vuoto e rimasero in silenzio fino all’arrivo della preside, una donna sulla sessantina, dall’intenso sguardo materno, avvolta in un delicato cappottino di tweed inglese a scacchi impreziosito da una spilla in oro che faceva capolino tra le pieghe del colletto della camicia bianca appena visibile. «I genitori di Melian, dico bene?» chiese con un evidente sorriso di circostanza stampato in viso. I due assentirono tacitamente, poi la preside riprese. «Accomodatevi prego» disse indicando due sedie di fronte la scrivania, «vi sarete sicuramente chiesti il motivo di questa improvvisa convocazione urgente. Io sono davvero desolata, ma non ho visto alternative. Sono lieta che abbiate risposto celermente alla mia richiesta di incontrarvi, perché ritengo che sia necessario agire quanto prima.» Giordano, imbarazzato e in parte infastidito da quella discussione, cercava con lo sguardo gli occhi di Roberta che in quel momento tuttavia viaggiava su una dimensione parallela, e nemmeno stava ascoltando quanto la preside aveva da dire.

    La dirigente intanto continuò come un fiume in piena a parlare: «Dunque, la sua media scolastica sebbene precedentemente non fosse eccelsa, è comunque terribilmente peggiorata nell’arco delle ultime settimane. Il bambino non è seguito e mi spiace dover essere così franca con voi, ma questo è quanto mi è stato riferito dalle insegnanti. Non si applica, è distratto e i suoi rapporti con compagni sono pessimi; Margo non ha amici e questo perché va in giro dicendo che i suoi amici sono piante e peluche. Vi renderete conto di come questo modo di fare non invogli minimamente i suoi coetanei ad avvicinarlo? Inoltre negli ultimi giorni è diventato maleducato e risponde a tono perfino ai rimproveri. Noi tutti abbiamo discusso e siamo concordi nel sostenere che il bambino possa vivere una qualche sorta di disagio personale. Insomma per capirci, lo scopo di questo colloquio non è di carattere meramente scolastico, piuttosto di tipo sociologico e mi spiace essere ancora una volta così diretta, ma anche di natura psicologica.» Giordano e Roberta tacevano, pieni di imbarazzo. Era chiaro che la tela di menzogne intessuta da Roberta al solo fine di rivedere l’ex marito stava per inghiottirla; Giordano era furente, si sentiva umiliato dalle parole della preside.

    «Mi faccia capire, preside» continuò Giordano, «lei sta dicendo quindi che nostro figlio mostra sintomi simili a quelli di un ritardato, un disadattato insomma?»

    La preside, non senza imbarazzo, chinò il capo sulla scrivania e sfilandosi gli occhiali da lettura con fare distratto sospirò esclamando: «Vedo che ci siamo capiti signor Melian, il concetto è proprio questo. Io ho tentato di parlare più volte con Margo, il bambino non è uno stupido, attenzione, è solo ostinato nel difendere le proprie convinzioni e rifiuta di vedere la verità. È convinto che esista una realtà differente dalla nostra, dove peluche, piante e animali sono in grado di comprendere e parlare come gli esseri umani. Inizialmente, quando le colleghe insegnanti me ne hanno parlato, nemmeno io volevo credere fino in fondo che un bambino di otto anni potesse credere davvero a cose del genere, poi però parlando con lui ho cominciato a rendermi conto dell’entità del problema».

    «Ma quindi...» chiese Giordano preoccupato, «cosa possiamo fare noi per… per aiutarlo?»

    La preside sorrise, poi disse: «Un aiuto specialistico. Il dottor Sempione, uno dei migliori nel settore della psichiatria infantile, è anche uno dei nostri più fidati collaboratori. Si occupa di seguire i bambini difficili del nostro istituto, se voi siete d’accordo, potremmo contattarlo e fissare subito un appuntamento».

    Capitolo 3

    Un padre dal passato

    Roberta fissava il vuoto attraverso gli occhialoni scuri che le incorniciavano il viso. Giordano era furibondo, non aveva mai seguito il percorso di vita di suo figlio, ma non per questo avrebbe potuto immaginare che il bambino fosse stato lasciato in balia di se stesso. Si sentiva profondamente in colpa: come avrebbe fatto ad aiutare un figlio che nemmeno conosceva, in che modo avrebbe potuto imporre la sua figura paterna, così all’improvviso? Una volta giunti in macchina accese nervoso una sigaretta, mise in moto, poi rivolto a Roberta esclamò rabbioso: «Perché hai aspettato tutto questo tempo, prima di informarmi? Non venirmi a raccontare che non lo sapevi perché non ti credo!» Roberta esitò, ma Giordano era inarrestabile. «Che razza di madre sei? Come hai fatto a non accorgerti di nulla, nostro figlio è un ritardato e tu nemmeno te ne sei resa conto. Cosa credevi di fare richiamandomi qui adesso? Hai voluto umiliarmi davanti alla preside?» La rabbia gli ottenebrava i pensieri.

    Roberta era livida, per la frustrazione e il nervosismo, poi esplose gridando: «Tu… osi dire a me che sarei una pessima madre? Dove sei stato tu in questi anni? Torni dietro mia insistente richiesta, dopo sette anni che non ti fai né sentire né vedere. Sette anni nei quali per quanto te ne importa avremmo anche potuto essere morti, dici che io sarei una cattiva madre e che dovrei vergognarmi? Come puoi essere così spregevole? Hai distrutto tutto, è colpa tua, e io sono solo una stupida perché nonostante tutto ti amo ancora». Giordano sobbalzò, Roberta adesso era incapace di trattenere le lacrime.

    «Che cosa?» chiese lui con voce tremante. «Tu… no… non puoi dire sul serio.» il pensiero che Roberta lo amasse ancora lo aveva turbato, non si era atteso una simile rivelazione.

    «E invece è così, per mia disgrazia. Non ho mai smesso di amarti, nemmeno per un secondo. Ti amo Giordano, non puoi nemmeno immaginare quanto, ho sfruttato la lettera della scuola di Margo, lo ammetto, ma se l’ho fatto è stato… è stato solo per risentirti, non ho creduto nemmeno per un secondo che tu potessi accettare di venire a scuola con me e che quindi ti avrei rivisto ancora. Ma non posso negarlo, dentro di me la speranza è sempre rimasta viva. Da quando ci hai abbandonati non ho mai pensato a Margo, per me esisteva solo ciò che avevo perduto e cioè il tuo amore Giordano; sono arrivata perfino a odiarlo quel bambino, imputandogli la colpa di tutto. Hai ragione, forse ti ho ingannato, forse avrei dovuto dirti la verità sul fatto che non conosco affatto nostro figlio e che in tutti questi anni è stata mia madre a prendersene cura, ma è da incolpare il bisogno mai sopito d’amore che vive in me da quando sei andato via? Mi vergogno di me stessa, ma non posso più fingere ormai. Tu hai abbandonato tutti noi, io ho solo la colpa di averti amato troppo, e credimi vorrei non amarti più ma non posso imporre al mio cuore sentimenti che non gli appartengono.»

    Giordano rimase dapprima in silenzio, come preso in tralice da quelle improvvise quanto inaspettate dichiarazioni della sua ex moglie, poi con sguardo truce riprese.

    «Ci sono tanti modi per abbandonare qualcuno Roberta, pensi che Margo abbia sofferto di più per la mia assenza fisica oppure per il tuo totale disprezzo e disinteresse nei suoi confronti?»

    «Non hai diritto… tu non puoi… e poi io non ho detto di averlo disprezzato, è vero non l’ho mai amato però…» tentò di controbattere Roberta invano, dal momento che era perfettamente consapevole di aver detto a Giordano di aver odiato il figlio. Giordano, dal canto suo, sembrava essere precipitato in una voragine di sentimenti che gli erano inediti, per la prima volta sentiva di aver dei doveri precisi, soprattutto nei riguardi di un figlio al quale fino a quel momento sapeva di non aver mai dato nulla.

    «Adesso è giunto il momento di prendere in mano la situazione, confesso di avere anche io le mie colpe, su questo sfortunatamente non posso darti torto. Ho commesso degli errori in passato, ma d’ora in avanti le cose cambieranno, ho deciso di conoscere il bambino, di parlare con lui, ho il diritto e il dovere di capire se abbiamo davvero messo al mondo un mentecatto…» esitò, poi concluse Giordano, «temo che dovremo farcene una ragione ed eventualmente tentare di aiutarlo per quanto possibile.» Non disse più una parola fintanto che non furono giunti a casa, dove intanto nonna Clorinda, trepidante, si chiedeva dove fosse Roberta. La risposta le piombò addosso non appena dalla finestra della cucina che dava in cortile vide scendere dall’auto la figlia seguita dall’ex marito. Clorinda impallidì.

    «Buongiorno Clorinda» esclamò Giordano, una volta entrato in cucina al seguito di Roberta.

    «Oh…» disse l’anziana donna colta un po' alla sprovvista. «È davvero un piacere rivederti.» Il tono cortese e al contempo formale e glaciale lasciava trasparire invece sentimenti del tutto opposti a quelli appena espressi. Roberta intanto accese una sigaretta e prese a fumare in modo convulso, fissando come di consueto un punto perso nel vuoto. Clorinda continuava a tacere, poi Giordano esordì: «Immagino che la mia visita dopo tanto tempo ti abbia stupito, dico bene Clorinda? Non mi offri nulla? Non hai una birra in frigo per me?»

    La donna, le cui labbra erano adesso serrate e ridotte a fessura parlò sforzandosi di mantenere calma e indifferenza. «Purtroppo no Giordano, sai, da un po' di tempo a questa parte le cose qui sono cambiate, e non ho proprio nulla da offrirti dal momento che non ti aspettavamo. Inoltre non vedo cosa possa averti ricondotto qui tra noi poveri comuni mortali.» Giordano rise sarcastico: «Da quanto ne so adesso sei un uomo in carriera, non credere che non abbia seguito i tuoi movimenti in questi anni. Hai anche potuto prenderti gioco di mia figlia, ma sei pur sempre il padre di mio nipote…» lo rimbeccò Clorinda, lasciandolo interdetto.

    «Vedo che non hai perso le cattive abitudini allora…» controbatté impettito Giordano. «Sempre a ficcare il naso nelle questioni che non ti competono. A ogni modo, non posso farci nulla se la vita mi ha dotato di capacità superiori alle vostre… ebbene sì, sono un uomo d’affari adesso, gestisco un patrimonio anche molto cospicuo. E per inciso, poiché lo hai specificato, non credere che sia tornato di mia libera iniziativa, se sono qui dobbiamo ringraziare la nostra Robertina.» E così dicendo si rivolse sprezzante alla ex moglie, che intanto era sempre più fuori di sé dalla rabbia, in preda a un’imminente crisi di nervi. Clorinda era allibita, non riusciva a capire cosa stesse cercando di dire Giordano, ma l’uomo proseguì. «Allora, cara la mia Clorinda, devo dedurre che quindi tu non fossi al corrente di niente… allora se mi permetti lascia che ti illumini. Stamattina siamo stati a scuola di Margo, la preside ci ha convocati per parlare del suo pessimo rendimento scolastico e non solo. Margo è un bambino problematico, ma questo forse tu dovresti saperlo, anzi mi stupisco del fatto che tu non me ne abbia fatto parola prima» concluse con la sua solita spocchia, accendendo un’altra sigaretta con fare distratto.

    Clorinda, nonostante tutto, non intendeva in alcun modo dargli soddisfazione e con strano tono pacato disse: «E perdonami Giordano, cosa avrei mai potuto dire a un uomo che ha abbandonato la sua famiglia e suo figlio senza una valida motivazione? Credi forse che questi ultimi anni siano stati facili per noi? Pensi che Margo non abbia sofferto al pensiero di essere stato abbandonato da suo padre? Ora dimmi, per un attimo prova a metterti nei miei panni, cosa avresti detto al posto mio a un bambino che nel giorno del suo compleanno, ogni anno, piange ritenendosi motivo di vergogna per suo padre? Potrei continuare all’infinito se solo volessi, ma non ti reputo nemmeno degno di altre spiegazioni. Ti chiedo solo cortesemente di uscire da casa mia e di continuare a non darti pena per noi, come del resto hai fatto negli ultimi sette anni».

    Giordano continuava a ridere spavaldo, poi rivolto all’anziana donna disse con aria di scettica e apparente indifferenza: «No, no, no, mia cara Clorinda. Vedi, per quanto non provi alcun piacere nel sostare in quella che tu definisci casa, ma che a me ricorda solo il periodo peggiore di tutta la mia vita, non posso in alcun modo permettermi di andare via, non prima che Margo sia rientrato da scuola».

    «Che cosa? Cosa vuoi da lui?» Clorinda, era ora terrorizzata.

    «Nulla di particolare, nonnina, voglio soltanto conoscerlo, è quello che mi avete sempre rinfacciato no? Meglio tardi che mai. È pur sempre mio figlio non trovi? Sono suo padre, non mi hai sempre ricordato le mie responsabilità? Eccomi, a tua disposizione, non appena Roberta mi ha chiamato sono subito arrivato, quindi mi dispiace di doverti contraddire, ma io in realtà non sono mai andato via, sono sempre stato disponibile a qualsiasi forma di contatto. Siete state voi a non cercarmi.» Roberta piangeva come una sciocca all’angolo della cucina, quando accadde l’impensabile. Clorinda, esasperata, si avvicinò con fare minaccioso a Giordano e prese a urlare.

    «Ti avverto, insulso verme strisciante, se oserai far del male al bambino dovrai vedertela con me. Non ti permetterò di entrare nella sua vita per sconvolgere i suoi equilibri, qualsiasi cosa tu abbia intenzione di fare dovrai vedertela con me!» concluse paonazza in volto.

    Giordano, ora lievemente intimorito, placò i toni: «Vedi Clorinda, io non ho alcuna intenzione di fare del male a Margo. È mio figlio, vorrei solo far parte della sua vita, per cercare di capire cosa ci sia di sbagliato in lui, e cercare di aiutarlo, tutto qui».

    «Non c’è nulla di sbagliato in Margo, lui è un bambino meraviglioso, il fatto che non sia un genio a scuola per me è del tutto irrilevante, non diventerà un grande luminare della scienza forse, e quindi? Credi forse che io possa amarlo di meno? Sarà sicuramente un uomo migliore di te, perché conoscerà il valore dell’amore e dei buoni sentimenti, qualità che, perdonami, tu ignori completamente.»

    Giordano adesso rideva impettito, ma non senza una nota di preoccupazione dipinta in volto.

    «Ma che tono impostato, la mia bella Clorinda, vedo con mio sommo sconforto che la situazione in questa famiglia è peggiore di quanto potessi anche solo immaginare. Roberta, tu sei ormai praticamente incapace di pensare perfino a te stessa, come si può anche solo credere che possa prenderti cura di un bambino, del quale, tra le altre cose, per tua stessa ammissione non ti è mai importato nulla? E tu…» disse rivolto ora a Clorinda, «ti prego nonna, non offenderti, ma ti sei vista? Stai invecchiando inesorabilmente, per quanto tempo ancora pensi che potrai occuparti di un bambino che presto sarà un adolescente?»

    Clorinda fissava l’uomo con espressione di disgusto, poi cercando di ricomporsi disse: «Sai Giordano, può darsi che tu abbia ragione, che io stia invecchiando, ma non importa perché anche se tra non molto io potrei non essere più in grado di occuparmi di Margo, questo non significa che potrò smettere di amarlo. Lui ha avuto soltanto me in questi anni, dove siete stati tu e mia figlia? Come potete pensare di venire qui a dettar legge adesso, dopo sette anni? Non sarebbe stato più opportuno pensarci prima? Adesso se credete che vi consentirò di fare del bambino ciò che credete vi sbagliate di grosso. Non ho da obiettare sul fatto che tu desideri conoscerlo, può solo farmi piacere se il tuo cuore è sincero, però in caso contrario, conosci bene la strada per uscire da qui».

    Proprio quando parve che i ritmi della discussione stessero prendendo una piega più pacifica, si udì il cigolio della porta d’ingresso: Margo era rientrato da scuola, ignaro di quanto di lì a poco si sarebbe ritrovato ad affrontare. Entrò in cucina sorridendo, prima di fermarsi di colpo alla vista dell’uomo elegante in piedi dinnanzi a Clorinda. Non avrebbe saputo spiegarsi né come, tanto meno perché, ma quella figura alta e severa lo intimoriva e non poco. A un certo punto nonna Clorinda rivolta a Margo disse: «Dunque Margo, lui…»

    Guardava in direzione di Giordano senza però trovare le parole adatte. «Lui è…»

    La voce sprezzante di Giordano tranciò ogni suo tentativo di presentazione. «Io sono tuo padre, Margo, mi chiamo Giordano. Non sono qui per il puro piacere di conoscerti, altrimenti sarei venuto prima, mi era bastato comunque vederti il giorno in cui sei nato per capire che da te sarebbero venuti soltanto problemi, e a quanto pare non mi ero affatto sbagliato.»

    Margo era allibito, incapace di replicare venne travolto come da un fiume in piena dalle parole incessanti di Giordano che frattanto proseguì. «Stamattina io e questa specie di donna che a quanto mi risulta chiami madre, siamo stati convocati dalla preside della tua scuola per parlare del tuo rendimento e dei problemi che stai causando ai tuoi insegnanti. Da quanto abbiamo appreso sembrerebbe che tu non abbia amici, ma che anzi, i tuoi compagni ti abbiano preso di mira a causa delle tue tante stramberie. Non sono disposto a tollerare oltre questo tuo atteggiamento, oggi stesso verrai con me da un medico, ritengo, che abbiamo aspettato anche troppo ed è necessario a questo punto il parere di uno specialista.» Margo era sull’orlo delle lacrime, quando infine Clorinda trovò le parole per controbattere all’uomo.

    «Non hai nessun diritto di parlare in questo modo a mio nipote è chiaro?! Tu non sei niente per lui, sarai anche suo padre, ma questo non giustifica il tuo tono ineducato.»

    Giordano intanto, sempre più infastidito, aprì il frigorifero poi imprecò rabbioso e rivolto stavolta a Roberta esordì: «Possibile che non abbiate davvero in casa nemmeno una lattina di birra?» e avvicinandosi a Roberta con rabbia continuò, carezzandole le guance rigate dalle lacrime, «forse le hai consumate tutte tu? Non hai perso le buone abitudini è vero? A ogni modo sbrighiamoci, ho perso anche fin troppo tempo qui, sono stanco di respirare l’aria fetida e stantia di questo letamaio. Ma come fate a viverci?»

    E così dicendo afferrò Margo con violenza per il colletto della maglietta trascinandolo in macchina, mentre nonna Clorinda urlava invano e Roberta piangeva senza scopo, ricurva su se stessa in un angolo della cucina.

    Capitolo 4

    Certezze infrante

    Giordano guidava in maniera convulsa lungo la statale a bordo del suo enorme e nuovissimo fuoristrada fiammante. Margo, seduto in silenzio sul sedile anteriore, tentava a fatica di trattenere le lacrime mentre si scopriva intento a fissare sconcertato quell’uomo avvolto in una nube tossica di sigaretta e musica rock assordante, che adesso sapeva essere suo padre. Margo odiava quel tipo di musica, la stessa che ascoltava Roberta quando in più di un’occasione si abbandonava ai suoi eccessi di panico e nervi in preda all’alcol o alla droga. L’atteggiamento del padre in quegli istanti gli ricordò tantissimo quello di sua madre, con l’unica differenza che stavolta non avrebbe potuto correre in camera sua; era bloccato lì, in quell’auto con un uomo sconosciuto del quale sapeva appena il nome. Tentando di fissarlo di sfuggita, sperava di dare risposte a domande che per tutta la vita l’avevano tormentato, come quella riguardante il perché suo padre lo avesse sempre rifiutato, cosa poteva esserci di così tanto sbagliato in lui? Per anni si era interrogato sulla possibilità che il problema fosse lui, solo adesso cominciava a vedere la verità con occhi consapevoli: il problema non era mai stato lui, ma i suoi genitori, il loro pessimo rapporto, i continui litigi dei due con nonna Clorinda e il sostanziale e infinito egoismo dal quale erano sempre stati incapaci di venir fuori. Tacque, in preda ai dubbi e ai pensieri, mentre intanto fuori le prime gocce di una lieve pioggia autunnale rigavano i vetri dei finestrini causando l’ira volgare di Giordano che invano aveva tentato di accendere l’ennesima sigaretta.

    «Che orrore di ragazzino! Mi fai vomitare, mi chiedo come tu possa essere mio figlio. Mi vergogno di essere tuo padre!» e così dicendo tentò di sfogare la propria furia lanciando al figlio un’occhiata malevola, continuando a fissare la strada ormai completamente invisibile per via della pioggia fittissima.

    Quando infine giunsero in città, intorno alle 18 e 30, il tempo non accennava a migliorare e la pioggia non dava cenno alcuno di volersi arrestare. Giordano parcheggiò l’automobile, poi assieme al bambino sempre più stordito si diresse lungo il corso principale fintanto che non si trovarono dinnanzi a un vecchio palazzo anni ‘50. Giordano suonò al campanello del dottor Sempione, una voce piatta e annoiata rispose.

    «Buonasera, sono il signor Melian, ho un appuntamento per le 19 con il dottor Sempione.»

    La voce stanca rispose secca: «Secondo ammezzato».

    Trovarono la porta dello studio semiaperta e furono invitati dalla segretaria ad accomodarsi. Margo pensò tra sé che doveva essere la proprietaria della voce annoiata che aveva risposto al citofono pochi istanti prima. La giovane, sciatta e trascurata, si sedette all’angolo della sala d’attesa giocando freneticamente con le ciocche dei suoi unti e lunghi capelli scuri, alternando questa inutile attività alla gestione degli appuntamenti per le settimane successive. Verso le 19 e 30 Giordano, che intanto aveva cominciato a perdere la pazienza, si avvicinò alla donna chiedendo in modo alquanto scortese quando il dottore avesse intenzione di riceverli. La segretaria lo invitò ad accomodarsi nuovamente, senza scomporsi più di tanto poi, con passo lento e goffo, si diresse verso la porta accanto. Quando fu di ritorno annunciò con fare lascivo che potevano anche accomodarsi e che il dottor Sempione li stava aspettando. Lo studio del dottore, contrariamente alla saletta d’aspetto, appariva avvolto nella penombra, le uniche fonti di illuminazione provenivano da due piccole lampade da tavolo in carta di riso poste al centro di un’antica scrivania in legno di rovere scuro con i piedi laterali dalle forme gotiche e apotropaiche. Margo non poté fare a meno di provare un profondo senso di angoscia in quella bizzarra situazione. Il dottore apparve poco dopo da una porticina laterale attigua a una delle immense librerie cariche di enormi trattati di medicina. Margo e Giordano sedevano al lato opposto della scrivania dove intanto il dottore si dispose silenzioso.

    «Buonasera dottore, mi chiamo Giordano Melian, ci siamo messi in contatto questa mattina grazie alla preside della scuola di mio figlio Margo. Da quanto mi ha riferito, lei collabora da diversi anni con l’istituto scolastico che dirige e visti i tanti problemi che purtroppo stiamo riscontrando con il comportamento del bambino, mi ha consigliato di sentire un suo parere.» Il dottore, che ora da vicino appariva come un uomo basso, tarchiato, grasso e dal frontone lucido e stempiato, mosse le labbra dalla forma simile al fondo schiena di un babbuino e disse: «Prego, prego, mi esponga il problema allora…»

    Fu subito abbastanza evidente che non intendeva perdere troppo tempo, alla fine della giornata di lavoro aveva accettato quell’appuntamento unicamente in virtù del rispetto e dell’amicizia che nutriva nei confronti della preside della scuola. Giordano con fare arrogante espose in breve le problematiche di Margo delle quali era stato messo al corrente solo poche ore prima dalla preside.

    «Da quanto mi hanno riferito le sue insegnanti, mio figlio sarebbe un disadattato. Siamo qui perché voglio vederci chiaro.» Margo intanto taceva, con gli occhi rivolti a terra fissi in un punto, in un misto di paura, vergogna e imbarazzo.

    Non appena Giordano ebbe concluso la sua mesta orazione nei riguardi del figlio, il dottor Sempione, stanco e intanto sempre più annoiato, rispose: «Allora, signor Melis, inut…»

    «Melian!» lo corresse stizzito Giordano, che non aveva mai sopportato di vedersi storpiare il cognome. Il dottore mortificato riprese.

    «Sì… sì, mi scusi, Melian. Dunque… ah sì… come stavo dicendo, a mio avviso, almeno stando a quanto da lei espostomi, ritengo che suo figlio soffra di una chiara sindrome di deficit dell’apprendimento mista in questo caso anche a un profondo deficit dell’attenzione. Questi i sintomi a mio avviso evidenti. Per quel che concerne le fantasticherie… beh, mi perdoni, ma potremmo anche parlare di problemi connessi al corretto funzionamento della corteccia cerebrale, insomma, sono molteplici gli aspetti della psiche umana che ancora oggi continuano a rappresentare un mistero per la medicina contemporanea. Tuttavia mi interesserebbe sapere a tal proposito se per caso il piccolo abbia mai riscontrato difficoltà nella lettura o nella scrittura, mi riferisco ovviamente ai primi anni.»

    Giordano, ora nella più nera confusione, non era in grado di rispondere, si ritrovava a ricoprire per la prima volta in vita sua il ruolo di padre e non aveva alcun tipo di informazione valida, relativa agli anni di vita di suo figlio.

    «Vede dottore, questo no…» tentò di improvvisare. «Non saprei dirle con esattezza, vede io… ecco… diciamo che è la madre che si occupa di seguire il bambino dal punto di vista scolastico, io… ehm… sa, per motivi di lavoro sono spesso costretto a viaggiare» ammise con imbarazzo l’uomo. «Inoltre» proseguì, «io e la madre siamo divorziati da anni e per quanto io abbia tentato in tutti i modi di instaurare un rapporto con mio figlio, la mia ex moglie ha fatto di tutto per tenerci lontani…» E così dicendo in un finto moto di commozione, si avvicinò al figlio tentando di stringerlo a sé. Margo ovviamente sempre più disgustato dal comportamento di quell’individuo, lo respinse con forza davanti agli occhi distratti del dottor Sempione che intanto annotava informazioni su un foglio di carta ingiallito.

    «Signor Melian, mi perdoni, però a me interessa poco che lei mi racconti dei rapporti burrascosi con la sua ex moglie. Per me è importante comprendere il tipo di rapporto che lei e Margo siete riusciti a instaurare finora» concluse il dottore con serietà.

    Giordano, nonostante l’iniziale esitazione, fu sul punto di rispondere, ma questa volta Margo inaspettatamente lo anticipò.

    «No! Adesso basta, quest’uomo sta dicendo soltanto bugie, io non l’ho mai neanche conosciuto mio padre, almeno fino a poco fa. Oggi l’ho trovato in casa. Lui e mia nonna litigavano, poi mi ha costretto a salire in macchina e mi ha portato qui… e… nonostante lui sia convinto che io sia pazzo, le posso garantire che non è così. Sono gli altri che non mi capiscono, come in fondo io non capisco loro! Inoltre se a mio padre non è mai importato nulla di me in tutto questo tempo, perché adesso dovrei credere che stia facendo tutto questo per il mio bene?» le parole di Margo gelarono l’atmosfera della stanza e il dottore, che pure fino a quel momento era rimasto indifferente all’intera vicenda, apparve ora decisamente incuriosito.

    Così lo fissò negli occhi attraverso gli occhialoni da vista e dopo aver scarabocchiato qualche strano segno sul suo libretto degli appunti, esclamò: «Io non penso che tu sia pazzo, Margo, ma vorrei capire perché fai di tutto per sembrarlo…» Giordano fece per intervenire ma il dottore subito continuò.

    «Se sei d’accordo, potrei tentare di aiutarti a entrare, per così dire, nel mondo comune. Potremmo fissare delle sedute, e avviare un processo di analisi per andare a fondo a tutti i tuoi problemi… che ne dici?» concluse poi lanciando un rapido sguardo anche a Giordano.

    Era troppo! Un’intera giornata persa, prima a causa di Roberta e ora a causa di quel medico scellerato che tentava unicamente di garantirsi sedute a pagamento per ottenere poi che cosa in cambio? L’affetto di un figlio del quale nemmeno gli importava. Aveva una voglia irrefrenabile di bere e di fumare, così si levò in piedi e disse: «La ringrazio per i suoi consigli dottore, valuteremo il da farsi nei prossimi giorni… mi rivolgerò alla sua segretaria per fissare eventuali appuntamenti» tagliò corto.

    Il dottore li salutò freddamente concludendo: «Anche per il mio onorario, può rivolgersi alla mia segretaria… buona serata».

    Dopo aver sborsato la bellezza di 400 euro, per un semplice e inutile consulto, Giordano furente si diresse in auto. Ordinò a Margo di tacere, fece un paio di telefonate, poi accese la macchina e la radio e sfrecciò a tutta velocità in direzione dell’autostrada senza più dire una parola. Quando a sera inoltrata, mentre intanto la pioggia continuava a imperversare e il cielo veniva squarciato da violente scariche elettriche, giunsero nei pressi del paese di Margo, Giordano esclamò: «Sicuramente quelle due faranno di tutto per farti raccontare quel che è successo oggi pomeriggio, bene… non ho nessun problema, anzi è giusto che siano informate. Nei prossimi giorni prenderò sul serio dei provvedimenti che ti riguarderanno, mi farò sentire io al più presto e per allora spero che sarai rinsavito. È davvero sconcertante vedere quanto somigli a tua madre… la stessa arroganza… la stessa ipocrisia… la stessa insolenza…» Margo non raccolse la provocazione, attese che il padre si fermasse nei pressi della sua casa, scese dall’auto con il cuore pieno di paura e malinconia, ma al contempo felice di essere finalmente ritornato a casa.

    «Margo, piccolo mio stai bene?» esclamò in lacrime la nonna. In cucina e in giro per casa c’era un insopportabile tanfo di alcol e sigarette, Roberta doveva evidentemente aver dato di matto nelle ore precedenti, anche se adesso pareva che si fosse calmata.

    «Tutto bene nonna, stai tranquilla. Non ho molta voglia di parlarne, quell’uomo è orribile, non riesco nemmeno a credere di poter essere suo figlio. Il solo pensiero mi dà i brividi.»

    La nonna accennò un debole sorriso, ma era ancora visibilmente scossa. «Non sai quanto sono stata in pena per te, tua madre mi ha fatto davvero spaventare. Poco dopo che te ne sei andato ha cominciato a urlare, voleva spaccare le finestre, fumava, beveva urlando frasi senza senso, in preda al più totale delirio. Credimi, ho temuto che potesse addirittura farmi del male, ma quel che conta è che tu sei qui, che sei tornato, voglio sapere soltanto dove ti ha portato…»

    Margo espose in breve quanto accaduto nel pomeriggio, raccontò alla nonna del dottor Sempione, delle eventuali sedute, del rapporto inesistente con Giordano e dei futuri provvedimenti che lo avrebbero riguardato. La nonna lo ascoltò non senza una nota di timore e incertezza dipinta in volto.

    «Mi dispiace che sia tu a pagare per gli errori degli adulti piccolo mio, non meritavi due genitori come quelli che purtroppo ti sono capitati. L’unica cosa buona che quei due sono riusciti a fare è stata metterti al mondo, per questo non posso che esser loro grata oltre ogni limite. Ti voglio bene Margo.» concluse con gli occhi cerulei e gonfi di lacrime.

    «Anche io ti voglio bene nonna.» Clorinda sorrise, poi si fece seria e concluse. «Voglio che ti sia sempre chiara una cosa Margo: non c’è nulla di sbagliato in te, sei un bambino speciale, destinato a fare grandi cose nella vita. Chi ti sta intorno e non comprende probabilmente è troppo piccolo e chiuso per poterti apprezzare, la diversità non è mai un errore e soprattutto non sempre ciò che è diverso ci appare realmente per ciò che è. Il mondo è meraviglioso proprio perché siamo tutti differenti, è la capacità di distinguersi la variante che ci permette di arricchirci spiritualmente. Ognuno di noi possiede qualcosa che altri non hanno, scambiandoci i doni che la vita ci dà possiamo diventare persone migliori. Non crearti dubbi, non è nel dubbio che dimora la verità.» Margo fissava Clorinda in lacrime.

    «Nonna io… ho… ho tanta paura» singhiozzò il piccolo.

    Clorinda fece passare la sua mano attraverso i morbidi capelli castano chiaro del nipote e con fare rassicurante fissò i suoi occhi pieni di lacrime e disse fermamente: «Io e te non ci lasceremo mai, ricordalo Margo. Tu sei il mio nipote adorato. Su di me potrai contare piccolo mio, anche quando potrà sembrare che io non ci sia. Adesso non pensare più a nulla e dormi, nessuno ti porterà via da qui, non lo permetterò né ora né mai». Così dicendo, dopo aver spento la luce della lampadina posta sul comodino, uscì dalla camera. Ebbe un capogiro, perse l’equilibrio e cadde per terra. Nei giorni a venire Clorinda si sentiva sempre più stanca e affaticata. Dopo diverse settimane durante le quali la sua situazione di salute non accennava a migliorare, la donna convenne che fosse giunto il momento di rivolgersi al medico per capire cosa le stesse succedendo. Sarebbero passati ancora diversi giorni però prima che la verità le piombasse addosso, come un macigno dal peso insormontabile.

    Capitolo 5

    Nonna Clorinda

    Clorinda seduta di fronte la scrivania dello studio fissava gli occhi ambrati del dottore con la crescente impressione che questi non riuscisse a parlare, eppure lo conosceva da molti anni, da quando per l’esattezza aveva avuto in cura il suo adorato marito.

    «Dottore…» prese d’un tratto la donna, «noi due ci conosciamo da più di vent’anni, lei sa che non può mentirmi ancora a lungo. La prego, parli, mi dica tutto.» concluse Clorinda, con tono fermo. Il dottore esitò, poi in evidente difficoltà cercò di parlare. «Signora Saltrero, lei sa quanto io le sia affezionato, però ha ragione, non posso più girare attorno al problema.»

    Clorinda sorrise, poi però con tono brusco chiese: «Dottore la prego, basta giri di parole, mi dica che cosa avete riscontrato… Non sono una stupida, se ho deciso di sottopormi a questi controlli è perché non sto bene, quindi per favore mi dica la verità, non cerchi di filtrarla in nessun modo. Voglio sapere con esattezza che cosa mi sta succedendo» concluse la donna, ora con una lieve nota di paura nella voce.

    «Ha ragione signora, mi scusi.»

    Il dottore esitò un momento, poi tutto d’un fiato disse: «Cancro al polmone sinistro, con principio di metastasi anche al

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