Sull'isola (eLit): eLit
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Heather Graham
New York Times and USA Today bestselling author Heather Graham has written more than a hundred novels. She's a winner of the RWA's Lifetime Achievement Award, and the Thriller Writers' Silver Bullet. She is an active member of International Thriller Writers and Mystery Writers of America. For more information, check out her websites: TheOriginalHeatherGraham.com, eHeatherGraham.com, and HeatherGraham.tv. You can also find Heather on Facebook.
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Anteprima del libro
Sull'isola (eLit) - Heather Graham
successivo.
Prologo
«Gli dai di nuovo da mangiare?»
Nel sentire la voce del marito, Molly Monoco alzò gli occhi. Era in cambusa, impegnata a riempire un sacchetto di pasti sostanziosi. Ted, che aveva parlato con una specie di grugnito, era alla sua postazione lavoro. Apparentemente si era accorto solo in quel momento di quanto lei fosse indaffarata.
E ora appariva a un tempo infastidito e disgustato.
Sapeva che cosa stava facendo.
Molly non si sentiva di biasimarlo. Ted aveva lavorato sodo tutta la vita per guadagnare il denaro che ora, dopo il suo pensionamento, si stavano godendo. Erano entrambi originari di famiglie cubane trasferitesi in Florida molto prima che dalla piccola isola iniziasse l'esodo dei profughi. Mentre Molly di cognome faceva Rodriguez da ragazza, il nome proprio era sempre stato quello, così come Ted era stato Theodore fin dall'inizio. I loro genitori li avevano portati negli Stati Uniti credendo nel sogno americano, e avevano insegnato loro la mentalità lavorativa che permettesse loro di vederlo avverarsi.
Ted aveva cominciato suonando i tamburi nei night club di Miami, non diversamente da un musicista che era diventato ben più famoso, Desi Arnaz.
Aveva lavorato anche come fattorino d'albergo, quindi come cameriere e ballerino. Era innamorato della musica salsa, e aveva continuato a suonare, a ballare e a servire ai tavoli fino a guadagnare quanto bastava per comperare il suo primo studio e dedicarsi interamente alla musica. Col tempo aveva finito per possederne parecchi, che in seguito aveva venduto ricavandone un buon profitto.
Il lavoro. Ted lo aveva sempre fatto al meglio. E non aveva pazienza con chi non poteva o non voleva fare altrettanto.
Molly lo capiva.
Ma anche lei aveva i suoi obiettivi; si occupava di coloro che forse non meritavano aiuto, ma che, con un po' di assistenza, avrebbero potuto dare una svolta alla propria esistenza.
Anche Ted aveva i suoi hobby, ora che era un pensionato agiato, come ad esempio il sonar e le altre attrezzature di cui la barca era dotata. Dopotutto, si sarebbe accorto che lei si era alzata prima del solito, se non fosse stato così occupato a giocare con uno dei suoi computer!
Sorrise. Anche se irritato come in quel momento, lui era ancora attraente come il giovane di cui si era innamorata. Alto, ma non troppo, e tuttora in buona forma. I peli sul petto ormai erano grigi, e così i capelli che andavano diradandosi, ma a Molly non importava. Dopo tanti anni di matrimonio e gli alti e i bassi, lo amava come una volta... anche se lui aveva battezzato la barca In pensione!, scartando i nomi più accattivanti che lei gli aveva suggerito.
L'irritazione di quel momento non sarebbe durata a lungo. Non succedeva mai. Proprio come a Molly piaceva vederlo armeggiare con nuove forme di tecnologia, Ted era segretamente compiaciuto che la moglie si interessasse al benessere altrui.
«Che altro potrei fare, Ted?» chiese ora lei con voce dolce.
«Soffocare i tuoi istinti materni» rispose lui alzando gli occhi al cielo. «Tanto varrebbe che fraternizzassimo con dei criminali. Che diavolo, fraternizziamo con dei criminali.»
«O forse con giovani fuorviati che hanno bisogno solo che qualcuno tenda loro una mano» ribatté Molly con fermezza. Il suo impegno nel sociale durava da sempre. Sentendosi fortunata ad avere Ted, aveva lavorato al suo fianco in molti locali. Poi, quando la famiglia che desiderava non era arrivata, aveva cercato di essere d'aiuto ovunque potesse, in chiesa, con i senzatetto, e per svariate cause, raccogliendo fondi e perfino lavorando nelle mense dei poveri. Una volta che Ted aveva cominciato a guadagnare bene, aveva potuto permetterselo.
Si considerava ancora una donna fortunata. A sessantacinque anni non era certo di primo pelo, ma era in buona salute e in forma ed era contenta, soprattutto per il marito, che la gente la giudicasse ancora attraente.
«È solo cibo, Ted. Nient'altro che cibo» gli assicurò. «E questa sarà l'ultima distribuzione a cui partecipo, dato che siamo in partenza.»
Lui sospirò mentre accennava un sorrisetto. Le si avvicinò, passandole le braccia intorno alla vita. «Come ho fatto ad avere tanta fortuna?» chiese.
«Il caso?» lo stuzzicò Molly, sorridendo.
Ted le allungò una pacca sul sedere, strappandole una risatina. Flirtare era divertente. Erano anziani, ormai, e uno scapaccione sul didietro non conduceva più a un pomeriggio in cabina. Al diavolo il Viagra. Ted era malato di cuore, e lei non gli avrebbe mai permesso di ricorrervi. Quando dopo tanti anni sopravvivevano quell'affetto ancora saldo e quell'intimità, non c'era bisogno di fare pressioni.
Che vita fantastica avevano vissuto, pensò, chiusa fra le braccia di lui. E avevano il In pensione! Potevano andare ovunque, vivere i loro sogni, esplorare i luoghi dove li portava il capriccio, e farlo nell'agiatezza.
«Okay, donna, vai a recitare la parte di signora abbon
danza, dopodiché ci rimettiamo in viaggio.» «D'accordo.» Molly si avviò verso la scaletta che portava in coperta.
Canticchiava piano quando emerse all'esterno. Per un momento, non poté fare altro che guardare, con
fusa. Cominciò addirittura a sorridere. Poi il canticchiare sommesso si interruppe di colpo. Aprì la bocca. Non ne uscì alcun suono.
Ted sentì, o credette di sentire un tonfo lieve. «Molly?» Nessuna risposta. «Molly?» chiamò ancora, questa volta un po' più forte. L'ansia lo assalì all'improvviso. Forse lei era caduta
mentre si apprestava a salire sul tender, e si era ferita, o forse peggio. Non erano più giovani. E se avesse avuto un attacco? Se fosse precipitata in acqua, magari in stato di incoscienza?
Balzò in piedi, consapevole di un pericolo. Corse sul ponte. E si irrigidì. Due pensieri gli balenarono alla mente. Che idiota era stato! E poi...
Molly, oh, Molly, Molly...
«È arrivato il momento di parlare, Ted» disse una voce furiosa. «Non posso dirvi quello che volete sapere» protestò lui,
gli occhi pieni di lacrime. «Io credo di sì.» «Non posso! Lo giuro su Dio, lo farei se potessi.» «Comincia a pensare, Ted. Perché credimi, ci dirai quel
lo che hai scoperto.»
1
Era un teschio.
Beth Anderson se ne rese conto subito dopo averlo ripulito della terra e dei frammenti d'erba.
«Allora?» chiese Amber.
«Che cos'è?» domandò Kim, sbirciando ansiosa al di sopra della spalla dell'amica.
Beth sollevò gli occhi sulla nipote quattordicenne e la sua migliore amica. Fino a pochi secondi prima, le due chiacchieravano a ruota libera, come facevano sempre, concordando sul fatto che Tammy era davvero troppo crudele con la sua migliore amica, Aubrey, la quale a sua volta si rivolgeva a loro ogniqualvolta l'altra la snobbava. Non stavano spettegolando, avevano assicurato a Beth, perché non dicevano nulla che non avrebbero detto anche in faccia a Tammy.
Beth era affezionata alle due ragazze, amava la loro compagnia, e la commuoveva la consapevolezza di essere una sorta di seconda madre per Amber, che aveva perso la sua quando era ancora piccola. Si era abituata ad ascoltare discussioni interminabili sulla musica più alla moda, gli spettacoli più alla moda, i film più alla moda... e su chi meritava o non meritava di recitarvi, dato che le due frequentavano un istituto di recitazione.
Di recente, i ragazzi erano diventati il loro principale argomento di conversazione, e potevano parlarne all'infinito.
Ma ora il costante chiacchiericcio si era bruscamente interrotto.
Era stata Kimberly a inciampare nell'oggetto sconosciuto.
Era stata Amber a fermarsi a guardare, per poi chiamare la zia.
«Be'?» insistette Kim. «Dissotterralo, Beth.»
«Mmh... non credo che dovrei farlo» replicò lei, mordendosi il labbro inferiore.
Non era un semplice teschio. Benché seminascosto fra l'erba e il terreno sabbioso, lei vedeva con chiarezza che c'era dell'altro.
Capelli, pensò con lo stomaco in subbuglio.
Perfino tessuto.
Non voleva che le ragazze guardassero più da vicino.
Per un istante fu come se il sangue le si fosse congelato nelle vene. Non toccò il teschio, ma lo coprì accuratamente con una frasca, così da riconoscere il punto. Non lo avrebbe dissotterrato in presenza delle due ragazzine.
Si ripulì le mani mentre si rialzava. Doveva tornare da suo fratello, che in quel momento stava allestendo il campo. Avrebbero avvertito la polizia via radio, dato che lì i cellulari non funzionavano.
Un disagio profondo si insinuò dentro di lei quando rammentò vagamente una notizia inquietante: Molly e Ted Monoco, marinai esperti, sembrano essersi volatilizzati.
I due erano stati visti per l'ultima volta a Calliope Key, dove ora si trovavano loro.
«Torniamo da Ben» suggerì, sforzandosi di non lasciar trapelare la propria agitazione.
«È un teschio, vero?» disse Amber.
Era una bella ragazza, alta e snella, con grandi occhi nocciola e lunghi capelli scuri. In costume da bagno, un due pezzi non troppo succinto, attirava già l'attenzione di ragazzi che erano troppo grandi per lei, almeno secondo
10
Beth. Kim era il suo opposto, bionda, minuta e con gli occhi azzurri, graziosa come un quadro.
A volte sapersi responsabile di due adolescenti così attraenti preoccupava Beth. Sapeva di avere la tendenza ad agitarsi troppo, ma l'idea che qualcuno potesse fare loro del male...
D'accordo, era lei l'adulta lì, la responsabile. Ed era arrivato il momento di fare qualcosa in proposito.
Ma erano praticamente soli in un'isola senza telefoni, senza auto... senza nessuna comodità. Una destinazione popolare fra i proprietari di barche, ma remota e isolata.
Miami distava due, tre ore di viaggio, anche se Fort Lauderdale era più vicino, e bastava un'ora per raggiungere alcune delle Bahamas.
La mente umana era sorprendente. Solo pochi momenti prima, lei era stata felice di quell'isolamento, felice che nelle vicinanze non ci fossero chioschi di bibite, automobili o altri comfort moderni.
Ma ora...
«Potrebbe essere un teschio» si decise ad ammettere, costringendosi a sorridere. «E potrebbe non esserlo. Tuo padre non ne sarà contento, Amber. Progettava questa vacanza da tanto tempo, ma...»
Si interruppe. Non aveva sentito rumore di passi, e neppure fruscii di fronde, ma mentre parlava comparve l'uomo.
Era emerso da un sentiero invaso dalla vegetazione che attraversava uno dei rilievi coperti di pini e palme che crescevano a profusione sull'isola.
Era proprio quel paesaggio primitivo ad attirare i veri amanti della vita di mare, l'assenza di tutto quello che si accompagnava al mondo reale.
Dunque perché il suo arrivo le pareva tanto minaccioso?
Sforzandosi di essere razionale, decise che lui sembrava proprio il genere di persona che aveva motivo di trovarsi lì.
Chiaro di capelli, era intensamente abbronzato. No, non solo abbronzato, ma color bronzo, quello che spesso i marinai acquisivano. Era in buona forma, anche se non eccessivamente muscoloso, portava logori bermuda di jeans e scarpe da barca senza calze. Anche i piedi erano abbronzati, segno che passava molte ore scalzo.
Come chi sta facendo un giro in barca fra le isole. Uno che sapeva quello che faceva. Uno disposto ad accamparsi rinunciando a qualsiasi comfort.
E aveva gli occhiali da sole.
Come tutti, si disse Beth. Li portavano anche lei e le ragazze. Perché, allora, a lui davano un aspetto furtivo, segreto?
Doveva rimanere razionale, si rimproverò. Era diffidente solo perché aveva trovato un teschio, e la scoperta l'aveva intimorita. Strano, il modo in cui funzionava la psiche. In qualunque altro momento, imbattendosi in un altro gitante sull'isola si sarebbe mostrata affabile e amichevole.
Ma aveva trovato il teschio, e quell'uomo le ricordava il destino ignoto di Molly e Ted Monoco, che erano stati lì e poi...
Avevano veleggiato verso il tramonto?
Era stato un vecchio amico a denunciarne la scomparsa quando loro non si erano fatti vivi via radio, come accadeva di solito.
E lei aveva appena trovato un teschio nell'ultimo luogo in cui i due erano stati visti.
Rimase a fissare il nuovo arrivato, irrigidita.
A quattordici anni, Amber non aveva colto alcun pericolo nella situazione. Suo padre era un appassionato di barche e lei era abituata a incontrare altri marinai, con cui si mostrava sempre cordiale. Non era stupida né ingenua, e le era stato insegnato a essere prudente... dopotutto, frequentava una scuola nel centro di Miami. Sapeva fare attenzione quando era necessario.
Apparentemente non pensava che quello fosse uno di quei casi.
Sorrise allo sconosciuto. «Salve.»
«Salve.»
«Salve» disse Kim.
Amber diede di gomito a Beth. «Uh... salve.»
«Keith Henson» disse l'uomo, e benché lei non potesse vedergli gli occhi, il suo viso era rivolto nella sua direzione. Un viso dai tratti solidi e regolari. Mento deciso, zigomi alti. La voce era profonda, intensa.
Dovrebbe fare l'attore di spot pubblicitari, pensò Beth. O il modello.
Ehi, si prese in giro. Forse è proprio quello che fa.
«Sono Amber Anderson» stava dicendo sua nipote. «Questa è Kim Smith e lei è mia zia Beth.» Sembrava palesemente intrigata quando aggiunse: «Ci accampiamo qui».
«Forse» si affrettò a specificare Beth.
Amber si accigliò. «Oh, avanti. Solo perché...»
«Piacere di conoscerla, signor Henson» la interruppe Beth. Fece un passo avanti. «È qui in vacanza? Da dove viene?»
Oh, fantastico, pensò. Un vero e proprio terzo grado in dieci secondi.
«Mi sono trapiantato di recente, ma in effetti mi piace andare in giro.» Sorridendo, l'uomo le tese la mano. Era una bella mano. Dita lunghe, unghie corte e pulitissime. Palmi callosi. Usava le mani per lavorare. Un autentico marinaio, o forse svolgeva qualche altra occupazione manuale.
Assurdamente, Beth pensò che se avesse accettato la stretta, lui si sarebbe avventato per stringerle le dita intorno al collo. La paura divenne così palpabile che fu sul punto di urlare alle ragazze di fuggire.
Lui le trattenne brevemente la mano, poi la lasciò andare per passare a rivolgersi alle due ragazzine.»
«Amber, Kim» disse, stringendo la mano anche a loro. «Siete della zona?» chiese poi, guardandole con un sorriso. Apparentemente, aveva già etichettato Beth come poco interessante.
«Sì» rispose Amber.
«Be', più o meno» specificò Kim.
«Voglio dire, non siamo dell'isola ma di qui vicino» chiarì la prima.
Il sorriso di Henson si accentuò.
Cercando di respirare normalmente, Beth si disse che guardava troppi polizieschi in televisione. Non c'era motivo di credere che dovesse proteggere le ragazze da quel-l'uomo.
Ma non c'era neppure motivo di fidarsi di lui.
«Pensa di accamparsi sull'isola?» domandò.
Lui sventolò la mano in direzione del mare. «Non lo so ancora. Sono con degli amici, siamo venuti per fare un po' di immersioni e di pesca. Non abbiamo deciso se abbiamo voglia di accamparci.»
«Dove sono i suoi amici?» chiese ancora lei. Un po' troppo seccamente.
«A dire la verità, in questo momento sono solo.»
«Non ho visto il suo tender. Anzi, non ho neppure notato un'altra imbarcazione nelle vicinanze.»
«È laggiù» disse l'uomo. «Il Sea Serpent.» Inclinò la testa di lato. «È del mio amico Lee. A lui piace considerarsi un tipo avventuroso, pieno di coraggio. E voi? Siete venute da sole?»
Avrebbe potuto essere una domanda innocente, ma non per Beth. Non in quel momento.
Da anni si riprometteva di prendere lezioni di kung fu o karate, ma non si era mai decisa.
Aveva sempre una pepaiola nella borsa, ma naturalmente si era allontanata solo per una passeggiata e non aveva la borsa con sé. Non aveva niente, in effetti. Come le ragaz
ze, indossava solo i sandali e il costume.
«Siete sole?» ripeté cortesemente Henson.
Cortesemente? O minacciosamente?
«Oh, no. Siamo con mio fratello. E un'intera ciurma.»
«Un'intera ciurma...» cominciò Amber.
Beth le pizzicò la spalla.
«Ahi!» esclamò la ragazzina.
«Stanno per arrivare parecchi amici di mio fratello. Marinai... appassionati di barche... ha presente, tizi grandi e grossi, capaci di stappare una bottiglia di birra con i denti.» Beth si sforzava di parlare con calma.
Amber e Kim la fissavano come se fosse impazzita.
«Oh, sì» disse infine la prima. «Gli amici di mio padre sono tutti così, grandi e grossi.» Stava guardando Beth. «Di quelli che aprono le bottiglie di birra con i denti.»
«Davvero?» Kim era confusa.
«In ogni caso, saremo in molti. Ci saranno anche un paio di poliziotti» riprese Beth, rendendosi immediatamente conto di essere ridicola.
Ora di togliere le tende!
Spinse leggermente le ragazze mentre diceva: «Be', è stato un piacere conoscerla. Ora faremmo meglio a tornare da mio fratello, prima che senta la nostra mancanza. Era inteso che gli avremmo dato una mano».
«Ci rivediamo, se resta nei paraggi» disse Kim allegramente.
«Sì, lieta di averla conosciuta» rincarò Amber.
«Arrivederci, allora» replicò Keith Henson.
Con un sorriso stampato sulla faccia, Beth spinse le altre due verso il punto in cui avevano lasciato il tender. E dove avrebbero trovato suo fratello, si augurò. Di certo non si era allontanato.
«Zia Beth» bisbigliò Amber, «che diavolo ti è preso? Sei stata talmente strana con quell'uomo.»
Kimberly si schiarì la gola. «Uh, in effetti, sei stata piuttosto scortese» disse esitante.
«Era solo, è comparso dal nulla... e noi avevamo appena trovato quel teschio» replicò Beth, girandosi per accertarsi che fossero fuori portata di orecchio.
«Avevi detto di non essere sicura che lo fosse» le ricordò la nipote.
«Non ne ero sicura... non ne sono sicura.»
«Ma sembrava che anche lui fosse appena arrivato» insistette Amber. «E il teschio... è un teschio, vero? Doveva essere lì da un pezzo.»
«Spesso i criminali tornano sul luogo del delitto» sentenziò Beth, citando non ricordava quale programma televisivo.
Amber scoppiò a ridere. «Zia Beth! Okay, ti è venuta fifa. Ma gli hai forse visto addosso una pistola?»
«O un posto in cui avrebbe potuto nasconderla?» ridacchiò Kimberly.
Non erano domande stupide.
«No» fu costretta ad ammettere.
«Allora perché sei stata così scortese?» Amber non si arrendeva.
Beth gemette. «Non lo so. Probabilmente, quando credi di aver trovato un teschio, diventi più attenta alla tua incolumità, d'accordo?»
«D'accordo» assentì l'altra dopo un momento. «Però sembrava un tipo a posto.»
«E con ogni probabilità lo è.»
Improvvisamente Kim ridacchiò. «E figo.»
«Nonché troppo vecchio per voi» sbottò Beth, un po' troppo bruscamente.
«Anche Brad Pitt lo è, ma questo non significa che non sia figo» le fece notare la nipote. Scuoteva la testa, come a sottintendere che era difficile trattare con gli adulti.
Ci fu un tonfo alle loro spalle. Beth sussultò, pronta a proteggere con il proprio corpo le ragazze da qualunque minaccia.
«Zia Beth» sospirò Amber, «era solo una frasca che cadeva.»
Beth esalò un sospiro. «Giusto» mormorò.
Le due adolescenti si scambiarono un'occhiata. Come se pensassero di dover fare molta attenzione con lei.
Come se pensassero che stava impazzendo.
«Andiamo a cercare tuo padre» disse Beth ad Amber.
La donna era una delle più bizzarre che avesse mai incontrato, decise Keith, guardando il terzetto allontanarsi.
Si era comportata come se stesse nascondendo qualcosa.
Come se fosse colpevole di qualcosa.
Scosse la testa. No, non con quelle due adolescenti vicino. Loro erano state amichevoli e innocenti. Non che gli adolescenti non potessero coprirsi di molte colpe. Ma aveva imparato a giudicare i caratteri, e quelle due erano semplicemente giovani e cordiali, come un paio di cuccioli ansiosi di esplorare il mondo, convinti che contenesse solo cose belle.
Ma la donna...
Beth Anderson. Lei e la ragazza alta erano evidentemente imparentate. Avevano gli stessi lucidi capelli scuri, non del tutto lisci, ma folti e appena ondulati. E Beth aveva quegli occhi che riflettono il colore del cielo e possono essere chiari o scuri, vagamente esotici, misteriosi. Aveva una bella figura, come era parso evidente dato che erano tutte e tre in costume. Doveva essere sui venticinque, trenta, naturalmente sensuale e sexy, anche se non in modo troppo palese. Atletica. Belle gambe che non finivano più...
Straordinariamente attraente.
E un po' matta.
No. Spaventata.
Da lui?
Quella era la prima volta che andava a Calliope Key, ma sapeva di impersonare alla perfezione la sua parte. Quindi perché le era parso minaccioso?
Non sarebbe mai andata sull'isola con le due ragazze se avesse avuto paura di incontrare sconosciuti. Ma allora?
Dovevano aver trovato qualcosa.
Lanciò un'occhiata intorno nella radura. Non scorse nulla che potesse spaventare qualcuno, quindi, qualunque cosa avessero scoperto, doveva trovarsi nel punto in cui le aveva viste arrivando.
Per un momento qualcosa dentro di lui si irrigidì e d'istinto serrò la mascella. Un empito di collera lo invase, la furia che nasceva dalla consapevolezza che il mondo non era mai giusto, e che lui non poteva fare nulla per cambiare questa realtà.
E quello era parte del motivo della sua presenza sull'isola, benché lo tenesse per sé. Tenere gli occhi sull'obiettivo... era quella la parola d'ordine. E l'obiettivo era uno solo: trovare quello che stavano cercando, e farlo nel modo più discreto. Tutti gli altri pezzi sarebbero andati automaticamente a posto, o almeno se lo augurava. Non era sicuro che qualcun altro lo credesse davvero, ma che diavolo, neppure lui sapeva che cosa credere.
Si sentì chiamare. Era Lee.
Si costrinse a respirare profondamente, consapevole di dover soffocare le sue emozioni.
«Sono qui» gridò di rimando.
Un minuto più tardi, comparvero Lee Gomez e Matt Albright. «Che succede?» domandò il primo. Per metà ecuadoreño e per metà statunitense, aveva vividi occhi azzurri, capelli nerissimi e una carnagione che sembrava sfidare il sole.
«Non un granché. Ho incontrato una donna con due ragazze... sono qui con il fratello della donna e forse con altra gente. Stasera si accamperanno sull'isola.»
Matt scosse il capo, imprecando. Era la testa rossa del gruppo, pronto a prendere fuoco e altrettanto pronto a scusarsi, ma nondimeno facilmente irritabile. «C'è dell'altro. Due barche di buone dimensioni, entrambe ancorate non lontane da noi. Ho visto arrivare un tender con parecchie persone a bordo.»
«Non possiamo farci niente» disse Keith con una scrollata di spalle. «Le barche vengono qui da... che diavolo, probabilmente da sempre.»
«Sì, ma, maledizione, non dovrebbero esserci adesso» brontolò Matt.
«Ehi, sapevamo che avremmo operato sotto gli occhi di tutti. C'è gente, quindi tanto vale che ne ricaviamo il massimo» replicò lui. «Rifletti. Non è poi così sorprendente. Siamo nel fine settimana, il momento ideale per concedersi una pausa.»
«Non penserai che dovremmo travestirci da pigmei per indurli a fuggire, vero?» fece secco Lee.
«Pigmei?» ripeté Matt.
«Indigeni tribali, magari cannibali» scherzò Lee.
Keith rise. «Oh, già, questo sì che ci aiuterebbe a non farci notare. E poi, finché sono sull'isola, non sono sulle barche a esplorare il reef. È il fine settimana. Facciamo come gli altri. Giochiamo ai turisti. Andiamo a conoscerli. Verifichiamo quello che fanno... che pensano.» E di cosa hanno paura, aggiunse mentalmente, ma tenne per sé la possibilità che qualcuno sull'isola li sospettasse di qualcosa.
Lee si strinse nelle spalle. «D'accordo.»
«Allora scarichiamo la tenda e facciamo i festaioli!» esclamò Matt con una risatina. «Niente male come idea. Una delle persone a bordo è una donna, e, ragazzi, vi assicuro che sembrava un bel bocconcino. Da lontano, per lo meno.
Avresti dovuto vedere quella che era qui poco fa, pensò Keith. E io non l'ho certo vista da lontano.
«Poco importa se anche è un bocconcino da urlo, non socializziamo troppo con i locali, non stasera.» Il tono di Lee era severo.
«Ehi, volevo solo essere amichevole. Un tipo affabile che ha voglia di divertirsi» gli assicurò Matt.
«Be', potrai fare il simpatico più tardi. Non ho intenzione di scaricare tutta l'attrezzatura da solo» disse l'altro. «Se dobbiamo fare i Boy Scout e accamparci qui, dovete darmi una mano anche voi.»
«Di fatto, quella di accamparci non è una cattiva idea» osservò Keith.
«No, e neppure andare a conoscere gli altri» sogghignò Lee. «Credo che farò il proprietario della barca.»
«Ehi!» protestò Matt.
«Qualcuno deve pur farlo, no?»
«Fallo pure tu» disse Keith.
«Ma la prossima volta tocca a me!» esclamò Matt.
«Con un po' di fortuna, non ci sarà una prossima volta.» Keith guardò gli altri due, incapace di non sentirsi vagamente sospettoso.
Lee ricambiò il suo sguardo. La sua espressione era enigmatica. «Il solito ottimista, eh?»
«È solo che so quello che faccio.»
Lee indugiò a osservarlo per quella che parve un'eternità. «Lo spero» disse infine. «Spero che tu sia concentrato su quello che stiamo facendo.»
«Lo sono. Puoi contarci.» Il tono di Keith era cupo.
«Avanti, andiamo a giocare ai turisti» intervenne