Caterina e gli altri
Di Laura Spoldi
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Come si fa a non avere più paura, a non fuggire ogni volta, a lasciarsi accostare? Come si fa a non trattenere il nulla che crediamo essere un tesoro, a non temere che ogni passo ci porti verso la perdita piuttosto che verso una qualsiasi salvezza?
Se lo chiede Caterina, giovane donna con la testa a Milano e il cuore a Genova, e se lo chiedono le persone che la circondano, ognuno a suo modo, ognuno con la sua storia.
Caterina restaura interni, ama l’arte ma vive di menzogne, si circonda di amanti ma senza aver nessuno da tradire, si intervista da sola perché nessuno le fa le domande che vorrebbe sentirsi rivolgere.
Sarà l’incontro con Leonardo, uno strano tipo che insegna matematica ma scrive favole per adulti, a porla di fronte alla scelta fra un’esistenza incrostata di menzogne, e la libertà di poter mostrare quella luce che ognuno custodisce nel profondo e che porta con sé la sorte di essere tramandata a chi verrà dopo di noi.
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Laura Spoldi
CATERINA
e gli altri
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Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistenti è puramente casuale o utilizzato dall’autore ai fini della creazione narrativa.
Alla nonna Rita
PARTE I
Tra un fiore colto e l’altro donato
l’inesprimibile nulla
G. Ungaretti
MARGHERITA
Le montagne che calano nel mare di Liguria senza potersi prima appoggiare su una qualunque pianura costituivano da sempre lo sfondo aspro in cui si muovevano i Repetto. Generazioni di notai e avvocati ne avevano fatto una delle famiglie più in vista e possidenti del levante ligure, dediti non solo al lavoro d’ufficio tra studi e aule di tribunale, ma anche ad un attaccamento alla terra che li aveva portati nel tempo a estendere le loro proprietà su vasti terrazzamenti ricoperti di ulivi. Non c’era distensione in quel paesaggio, pur generoso di grande bellezza.
Margherita era cresciuta guardando il mare come una cartolina. Dall’imponente casa padronale che dominava una disciplina di ulivi e piante da frutto, la distesa blu che ne segnava l’orizzonte pareva troppo distante per essere reale e al contempo troppo vivida per prescinderne. Tuttavia Margherita poteva contare sulle dita di una mano le volte in cui era scesa a toccare l’acqua del mare, e mai si era immersa nella sua schiuma.
– Non sta bene – le diceva mamma.
Il contegno era ritenuto elemento fondamentale in quella famiglia, così che Margherita crebbe senza possibilità di apprendere che l’animo umano cela sfumature sottili, e che persino le dimore più solide si reggono su muri di cartone.
Mamma, balia e quattro sorelle; questo il suo mondo. Per istruirsi, una scuola gestita dalle suore, la cui devozione ruvida e priva di gioia disegnò nelle bambine loro alunne un’immagine del cielo alquanto austero con le sue creature. Colpa, espiazione e perdono, e poi di nuovo ricadute nella colpa, in un ciclo senza fine che portava a riparare ciò che per sua natura presto si sarebbe rotto di nuovo. Persino negli abituali gesti quotidiani, Margherita avrebbe portato con sé negli anni questa sensazione di essere parte di un ciclo, non già naturale e fluido come inteso in alcune filosofie orientali che dall’eterno ritorno traggono un’idea d’imperitura serenità per ogni creatura, bensì di estenuante caduta nell’errore: ci si lava per poi sporcarsi di nuovo, ci si riposa per poi tornare a stancarsi, ci si entusiasma per poi scoraggiarsi una volta in più. La purezza non dura, si macchia in pochi istanti. Quale lo scopo di tanta fatica? E dove abitava la redenzione? Margherita non arrivava col pensiero ad abbracciare tali questioni, ma intesseva un dialogo ininterrotto con Dio in cui lo faceva partecipe dei fatti quotidiani che la angustiavano o la incuriosivano, chiamandolo a copertura delle sue mancanze e a giudice degli errori altrui. Era molto comodo avere tale confidenza con il cielo, si poteva persino credere che i miracoli fossero possibili.
Che mamma avrebbe ritrovato il sorriso.
Che papà sarebbe tornato dalla guerra sano e salvo.
Che zio Giorgio, fratello di papà, avrebbe smesso di accarezzarle le gambe in quel modo che le dava tanto fastidio.
Ma, si sa, non si può pretendere troppo dalle proprie preghiere.
Così, mamma rimase triste fino alla fine dei suoi giorni, e non per gli eventi della vita, invero talvolta luttuosi, che la colpirono, bensì in risposta ad un’indole che non si concedeva soddisfazioni né piaceri. L’esistenza è amara
affermava spesso, e non si capiva come potesse vivere in un tale paradiso naturale senza lasciarsi intrecciare, almeno in alcuni momenti, almeno in minima parte, con la sua bellezza. Accadde solo verso la fine della sua esistenza che la signora Repetto imboccasse una svolta inaspettata sulla strada dell’alterigia, dedicandosi ad accudire in modo quasi ossessivo un cane che le era stato regalato come compagnia, un barboncino dimesso e senza pretese, rivelando un patetico bisogno di ricevere affetto. Parlava alla bestiola come se fosse un cristiano, si faceva incantare senza ritegno.
– Vedi? – diceva a chiunque le capitassea tiro – Questo cagnolino sì che mi vuole bene, guarda che feste che mi fa, riconosce la mia voce, sai, mi segue ovunque.
Che pena, elemosinare affetto da una bestia, cercando nella sua smilza coda scodinzolante compensazione per una vita di aridità. E ci credeva pure.
Morì con il suo cane vicino, quando forse si era avvicinata a comprendere cosa significasse la devozione fra esseri viventi. Fece così la fine del lombrico, che rimane nascosto sotto terra nell’attesa delle sospirate piogge, e quando finalmente emerge alla luce, viene calpestato e schiacciato dal primo passante distratto.
Margherita formò i suoi ricordi attorno a un’immagine tesa della madre: gli angoli della bocca sempre rivolti verso il basso, lo sguardo severo e senza assoluzione, volto per lo più ad addossare a lei, alle sue sorelle, al mondo intero, una qualsiasi colpa. Doveva essere responsabilità di qualcuno se provava una tale infelicità. Chissà perché poi.
Papà non tornò dalla guerra.
Partito come ufficiale data la sua posizione sociale rispettabile, venne ucciso in circostanze mai del tutto chiarite sul fronte francese.
– Si pensa un agguato, un attacco a sorpresa, signora – dissero i soldati che portarono la notizia in quella grande casa dai colori pastello che guardava il mare dall’alto e che sembrava sempre troppo vuota. Persino la servitù, che negli anni divenne via via più esigua, scivolava troppo silente per essere in qualche modo di compagnia, cosicché a stento se ne avvertiva la presenza. Di fatto, Margherita e le sue sorelle non dovettero affrontare molti cambiamenti dopo la morte del capofamiglia: l’aura di austerità che permeava la loro atmosfera rimase intatta, con la sola novità che il posto del padre fu preso dallo zio Giorgio.
– Baderò io agli affari di famiglia – disse questi alla cognata vedova e da quel momento in poi sempre di nero vestita. - Mi prenderò cura di voi e delle nostre terre, non dovete temere: sarete la famiglia che non ho mai formato, siamo già parte della stessa stirpe.
Un po’ enfatico, lo zio.
Così, prese a occuparsi delle donne che suo fratello aveva lasciato ad aspettarlo invano, senza però la perizia e il senso degli affari che sembravano insiti nella genetica dei Repetto. Nel giro di qualche anno, a causa della gestione dissennata del denaro, d’investimenti azzardati e della scelta di collaboratori incapaci, Giorgio assottigliò a tal punto il patrimonio della famiglia che si rese necessaria la vendita di buona parte delle terre che circondavano la grande casa sulla collina, la quale per un soffio scampò dalla stessa sorte. La rinascita del dopoguerra si trasformò per quella famiglia in rapida decadenza. Ma, forse perché a quel punto Margherita, come le sue sorelle, era diventata un po’ figlia sua, non la toccò più. Vedi che Dio ti ascolta?
Accadrà negli anni a venire che quello zio ambiguo e privo di una qualunque abilità che non fosse l’intrufolarsi molesto nelle pieghe delle esistenze altrui, smarrisca la