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Dipingere un sogno
Dipingere un sogno
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E-book199 pagine2 ore

Dipingere un sogno

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Info su questo ebook

Sotto il sole cocente di giugno, a Nizza, si muove uno splendido giovane animato da un proposito notevole: quello di salvare le sorti dell’istituto in cui era stato accolto da bambino, nel momento in cui era rimasto orfano. Philippe dipinge per diletto, per passione, e soltanto durante il weekend espone le sue creazioni, vendendo quel poco che gli possa garantire la sopravvivenza. La conoscenza con un’avvenente e conturbante americana gli offre uno spiraglio insperato: il progetto è ambizioso ma lui è determinato ad andare fino in fondo.
L’opportunità di esporre al Moma lo inorgoglisce ma lo pone di fronte al rischio che forse qualcosa dovrà dare in cambio, perché nulla si dà per nulla secondo la legge comune.
Ma scendere a compromessi sarebbe per lui andare contro i suoi ideali, rinnegare i suoi princìpi, e questo non se lo perdonerebbe mai, a costo di perdere tutto.
Una serie di circostanze e l’amore di Eloise lo condurranno a una soluzione finale.
Dipingere un sogno di Andrea Berardi è un fresco racconto giovanile, pieno di vitalità e di colore.
Il messaggio contenuto in esso è semplice e chiaro: credere in ciò che si ama.
LinguaItaliano
Data di uscita2 ott 2022
ISBN9788830671782
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    Anteprima del libro

    Dipingere un sogno - Andrea Berardi

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Capitolo 1

    Victoria Campbell uscì dall’hangar dell’aeroporto con passo svelto e sicuro. Non sembrava che avesse appena fatto otto ore di volo fra New York e Nizza, bensì che fosse appena uscita dall’estetista. I capelli biondi erano perfettamente in ordine e raccolti in un chignon sulla testa. Sul viso perfettamente ovale e sulle labbra sottili, il trucco non aveva la minima sbavatura. Forse gli occhi, di un castano chiaro, avrebbero mostrato qualche segno di stanchezza se non li avesse tenuti coperti da due grandi occhiali da sole firmati Gucci.

    Il tailleur bianco che indossava e che finiva in una minigonna a metà della coscia, non aveva la minima sgualcitura e aderiva perfettamente al suo corpo magro e sinuoso. Le sue belle gambe erano libere e snelle e indossava due scarpe firmate col tacco che la facevano sembrare più alta e slanciata di quel che era.

    Al Check-out, mentre firmava per ritirare i suoi bagagli, attirò più di uno sguardo maschile, a cui lei finse di non badare. Stessa cosa non fece la sua compagna di viaggio.

    Alyssa Williams, le dava sempre qualche piccola gomitata ogni volta che un bell’uomo si girava a guardarle, ricordandole il perché erano venute in vacanza a Nizza.

    «La fauna locale promette bene» le diceva all’orecchio ridacchiando sommessamente.

    Victoria le lanciava delle occhiate oblique. Alyssa era poco più alta di lei, aveva i folti capelli neri sciolti sulle spalle e un poco scarmigliati per le numerose ore di volo. Aveva un viso più tondo del suo, in cui troneggiavano due grandi occhi blu e un naso un po’ troppo grosso di cui si lamentava spesso e altrettanto spesso si riprometteva di rifare nuovo tramite la chirurgia plastica.

    Si conoscevano fin dal primo anno di liceo, da ormai dieci anni. Victoria era piuttosto ricca già all’epoca, essendo suo padre titolare di una grossa impresa di New York e, grazie a ciò e alla sua natura trascinatrice, aveva un folto gruppo di amiche che l’avevano seguita per tutto il liceo. Finita la scuola, però, ne aveva perso di vista la maggior parte, ma non Alyssa, lei le era rimasta al fianco. Anche lei era un’ereditiera, anche se i suoi avevano giusto un paio di pompe di benzina che lei si ostinava a chiamare catena. Era sempre stata al suo fianco e aveva sempre fatto quello che le diceva, una cosa che Victoria adorava.

    Le era sempre piaciuto quando le persone facevano quello che lei voleva, sia uomini che donne. Aveva sempre avuto molta fortuna coi ragazzi, non era mai dovuta andare a cercarli, erano sempre venuti loro da lei. Ne aveva avuti parecchi, anche se molto meno di quanto le malelingue raccontassero alle sue spalle. Bugie di cui non si curava.

    Generalmente, però, i ragazzi che aveva avuto erano più interessati a farsi lei o i suoi soldi o, ancora meglio, entrambi. Di solito, li lasciava fare per un po’, così da divertirsi un po’ anche lei, erano molto servizievoli all’inizio, ma poi si stancava presto, dopo qualche mese li lasciava, quando vedeva che prendevano e basta. La cosa cominciava a stancarla.

    L’anno precedente aveva creduto di vedere uno spiraglio, aveva conosciuto Alexander. Ventisette anni, alto, atletico e piuttosto spigliato e intelligente. Victoria si era sentita piuttosto presa da lui, anche perché non era solo servizievole, ma anche un po’ indipendente. Era in perfetto equilibrio fra l’uomo che faceva quello che voleva lei, ma che manteneva anche una certa indipendenza da macho. La loro storia era durata quasi un anno, un record personale, per poi scoprire che Alexander voleva solo un posto di prestigio nell’azienda di suo padre, cosa che lei era quasi riuscita a ottenere. Per sua fortuna si era accorta dell’errore in tempo e lo aveva lasciato subito.

    Era quello il motivo per cui era partita per una vacanza in Europa. Aveva scelto Nizza perché ci era già stata una volta e si era trovata piuttosto bene. Le piaceva venire nel Mediterraneo, aveva un ché di appagante e rilassante allo stesso tempo. Suo padre aveva cercato di dissuaderla dal scegliere quella città visti i recenti attentati, ma Victoria aveva fatto spallucce. Non aveva paura dei terroristi e non avrebbe certo permesso loro di influenzare le sue decisioni, solo lei poteva decidere dove e quando andare, era pienamente padrona della sua vita.

    Uscirono dall’hangar di vetro dell’aeroporto, ritrovandosi alla luce del sole. Era la prima domenica di giugno e il sole splendeva in cielo, con poche nuvole a oscurargli il passaggio. L’aria era calda e il vento placido, un tempo perfetto per una vacanza.

    Una navetta le aspettava subito fuori dall’edificio. Un tassista si affrettò a caricare i loro bagagli in macchina mentre loro prendevano posto sui sedili posteriori.

    Victoria era abituata ad essere servita e riverita, cosa che riteneva giusta e sacrosanta per una persona importante quanto lei. Alyssa, dal canto suo, approfittava della cosa con gioia.

    Alloggiavano all’hotel Massena, dove la navetta le stava portando. L’hotel era un quattro stelle piuttosto rinomato, sito in una palazzina a cinque piani dall’aspetto aristocratico a duecento metri dalla spiaggia. Al suo interno aveva camere lussuose e moderne, di cui le ragazze si erano appropriate delle più costose.

    Arrivarono a destinazione dopo pochi minuti di viaggio. Non fecero in tempo a scendere che subito si avvicinarono i facchini per dar loro il benvenuto e scaricare i loro bagagli.

    «Signorina Campbell, bentornata» la salutò il curatore dell’hotel Alain Martin.

    «Grazie, Alain, è un piacere essere qui» le rispose Victoria in un francese perfetto.

    A scuola si era scoperta piuttosto portata per le lingue neolatine. A differenza dei suoi compagni, aveva imparato lo spagnolo con facilità, forse aiutata dal fatto che l’insegnante fosse un gran figo. Ad ogni modo, aveva continuato imparando anche il francese e infine l’italiano, che parlava con maggior difficoltà.

    Alyssa la prendeva spesso in giro ricordandole come avesse imparato la lingua dei paesi più famosi per le arti amatorie maschili. Victoria le chiudeva sempre la bocca, per poi rispondere con un sorriso malizioso.

    «E per noi è un piacere averla qui con noi» riprese il curatore Martin. «Le vostre stanze sono già pronte, all’ultimo piano come richiesto» disse consegnando le chiavi ai facchini.

    Victoria ringraziò con un gesto elegante della mano per poi seguire i facchini all’ascensore.

    «Carini questi» le diceva all’orecchio Alyssa in inglese, guardando di sottecchi i facchini.

    Victoria non le badò, l’amica aveva un po’ equivocato il motivo per cui era venuta nella Costa Azzurra. Voleva dimenticarsi di Alexander era vero, ma non con una avventura da quattro soldi. Era venuta lì per rilassarsi e se poi fosse successo qualcosa con qualche bel ragazzo della zona, sarebbe stato solo un valore aggiunto.

    «Andiamo subito in spiaggia?» le chiese Alyssa mentre uscivano dall’ascensore.

    «A quest’ora del pomeriggio? Il sole ci brucerebbe la pelle» ribatté Victoria, sempre molto attenta alla salute della sua pelle, ancora molto morbida e vellutata. Usava molte creme e anche lei non disdegnava le lampade che davano quel bel tocco ambrato alla sua pelle, ma bisognava sempre stare attente. Guardava sprezzante tutte quelle donne che andavano fisso al mare o a farsi la lampada, esageravano così tanto che a quarant’anni si sarebbero trovate con una pelle più vecchia di dieci anni. Lei non avrebbe fatto lo stesso errore.

    «Non vorrai chiuderti in camera. Sono appena le quattro del pomeriggio» protestò Alyssa, mentre i facchini aprivano le porte delle loro camere, situate una di fianco all’altra.

    Victoria sospirò, l’amica non sembrava risentire mai dei cambi di fusi orari.

    «E va bene. Dammi mezz’ora e poi andiamo a fare un giro sulla Promenade» cedette facendo emettere un guizzo di vittoria all’amica.

    Victoria entrò nella camera, una doppia, com’era sua abitudine, le piaceva avere spazio nel letto. C’era un bel bagno privato con tanto di vasca idromassaggio, un armadio enorme e una vista mozzafiato sul mare. Quando i facchini ebbero finito di trasportare i suoi bagagli, li congedò con una ricca mancia che i due accettarono con piacere, poi si lasciò cadere per un momento sul letto, godendo della sua morbidezza.

    Subito dopo andò in bagno, dove si diede una lavata e un’aggiustata al trucco. Si cambiò, indossando un vestito più leggero che aderisse bene al suo corpo, le piaceva far vedere la sua linea perfetta. Si cambiò anche le scarpe, un tacco da otto non era indicato per una passeggiata in città, preferì delle più comode ballerine, che purtroppo non la slanciavano come piaceva a lei.

    Non fece in tempo a uscire che si ritrovò Alyssa davanti alla porta, anche lei cambiata e pronta per uscire.

    «Sei proprio ansiosa» commentò richiudendosi la porta dietro.

    Alyssa sorrise. «Ho già adocchiato un paio di bei maschioni, questa è sia la città sia la stagione giusta perché due belle ragazze come noi possano divertirsi».

    Victoria alzò gli occhi al cielo e si rimise addosso i suoi occhiali da sole, le piaceva che la gente non riuscisse a vedere il suo sguardo, le dava un’aria misteriosa e superiore al tempo stesso.

    Uscirono dall’hotel salutate da Martin e si avviarono per la via. La Promenade di Nizza era una grande strada asfaltata che dava sulla spiaggia. Enorme marciapiede in cui pedoni e ciclisti potevano girare in libertà, era divenuta tristemente famosa per l’attentato terroristico dell’anno precedente dove un camion si era lanciato in tutta velocità sulla folla.

    Attentato che non aveva fermato il turismo annuale, anche quel giorno, infatti, la via era gremita di gente, per lo più turisti in vacanza.

    Le due camminavano a braccetto con Alyssa che dava spesso degli strattoni all’amica indicandogli questo o quel bel ragazzo. Victoria fingeva di guardare il mare, guardando in realtà di sottecchi i ragazzi indicategli dall’amica.

    Dopo un chilometro buono di passeggiata, le due si fermarono davanti un piccolo gruppo di persone che, invece di guardare il mare erano rivolti verso il basso. Le due si avvicinarono, incuriosite, distinguendo una piccola esposizione di quadri, appoggiati in terra.

    «Che cos’è? Una mostra?» chiese Alyssa guardando in terra.

    «Dev’essere qualche artista di strada, non è così insolito» rispose Victoria guardando anch’essa i quadri.

    «Sono carini» commentò Alyssa.

    Victoria non rispose, s’intendeva molto di arte, le piaceva. Era anche una filantropa, in quel senso e aveva finanziato più di una mostra a New York, ma in quei quadri raffiguranti più che altro paesaggi, a volte cittadini a volte marittimi, non vedeva nulla di eccezionale o nuovo, una mano sapiente certo, ma niente di innovativo che solleticasse il

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