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Ritorno a Santa Clara
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E-book242 pagine3 ore

Ritorno a Santa Clara

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Info su questo ebook

Un romanzo intenso e coinvolgente che inizia con la dipartita di una persona cara, infatti Dolores, l’amata nonna di Aurora, è stata ritrovata senza vita.
Pagina dopo pagina, gli interrogativi della giovane protagonista aumentano: Dove è ora l’amata nonna, dov’è la sua anima disgiunta dal corpo?
Domande che l’uomo si pone dall’inizio dei tempi.
C’è qualcos’altro oltre questa vita terrena o siamo solo candele che si spengono al soffiare del vento?, pensa ancora Aurora.
Dietro la trama suggestiva si intravede una sorta di presagio, la volontà di avvicinarsi a una dimensione altra, il desiderio di scorgere cosa si nasconde dietro il velo da parte della giovane autrice volata via troppo presto, ma che ha voluto lasciarci in eredità questo romanzo avvincente, pieno di intrighi, di suspense e di segreti che si svolge in uno scenario incantato sulle coste spagnole, dove riecheggiano le atmosfere dei romanzi di Zafón.
Ma in fondo lei è ancora con noi perché nella mente e nel cuore il tempo e lo spazio non esistono...

Jessica Grifasi è nata il 10 giugno del 1981 a Caltanissetta.
Nonostante gli studi giuridici, ha sempre avuto una predilezione per il campo umanistico e letterario. Sin da bambina sviluppa un forte interesse per la scrittura e, in particolare, per il genere noir.
Ha composto poesie e racconti, ispirandosi ad autori di fama internazionale come Stephen King, Isabel Allende e Carlos Ruiz Zafón.
Nel 2013 pubblica due racconti, Il viaggio di Marta e La notte del diavolo, per la Collana Nuovi Autori Contemporanei di Pagine Editore.
In uno dei suoi tanti diari diceva: «Scrivere è come mett
ere a nudo la propria anima e sono convinta che certe cose rendano solo per iscritto perché le parole sarebbero altrimenti soltanto dei vuoti echi. Nessun altro strumento può sostituirsi alla bellezza di una penna che scivola su un foglio».
All’inizio del 2016 le viene diagnosticato un tumore al seno. Dopo aver lottato coraggiosamente per quasi quattro anni contro la malattia, si spegne il 17 dicembre 2019 all’età di 38 anni.
 
LinguaItaliano
Data di uscita31 ott 2021
ISBN9788830651845
Ritorno a Santa Clara

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    Ritorno a Santa Clara - Jessica Grifasi

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    Jessica Grifasi

    Ritorno a Santa Clara

    © 2021 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-4439-7

    I edizione settembre 2021

    Finito di stampare nel mese di settembre 2021

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Ritorno a Santa Clara

    «Non esiste separazione definitiva finché esiste il ricordo»

    (Isabel Allende)

    RITORNO A SANTA CLARA

    di Jessica Grifasi

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Ritorno a Santa Clara

    Era una domenica pomeriggio di fine luglio quando la piccola utilitaria, presa a noleggio a Barcellona, percorreva la strada che avrebbe riportato Sonia e Aurora a Santa Clara.

    Per tutto il viaggio le due donne erano rimaste in silenzio, scambiandosi ogni tanto qualche sguardo fugace. Sonia alla guida dell’automobile aveva gli occhi fissi sulla strada e un insolito atteggiamento remissivo e sua figlia Aurora si chiedeva se quel velo che lambiva lo sguardo della madre fosse dolore o rimorso. La causa di quel viaggio in terra spagnola era purtroppo un evento estremamente triste. Dovevano infatti partecipare ad un funerale.

    La notte precedente il telefono aveva squillato in casa Ansaldi nel centro di Roma, destando di colpo l’intera famiglia dalla tranquillità del sonno. Sonia aveva risposto con le mani tremanti, d’altronde lo squillo del telefono nel cuore della notte non è mai foriero di buone notizie. Così dalla voce di una donna che parlava in spagnolo, la sua lingua madre, Sonia aveva appreso la notizia della morte di sua madre Dolores. Erano trascorsi tre anni dall’ultima volta che l’aveva vista e quell’incontro non era stato molto piacevole: in realtà era da quasi vent’anni che tra le due donne non correva buon sangue; da quando Sonia, compiuta la maggiore età, aveva lasciato la casa natale e si era trasferita a Madrid. Da allora quel rapporto già molto controverso si era incrinato del tutto, con litigi e discussioni continue. Poi era sopraggiunta una tacita indifferenza fatta di auguri di Natale sempre più formali e brevi visite sporadiche. Dolores aveva cercato di riavvicinarsi alla figlia per amore di Aurora, la sua unica nipote per la quale la donna nutriva una vera e propria adorazione, ma il muro che ormai il tempo e le continue incomprensioni avevano eretto tra di loro era divenuto invalicabile. Sonia era sempre stata ambiziosa, materialista ed estremamente pratica. Fin da piccola quel paesino di mare che le aveva dato i natali le era stato stretto e l’obbiettivo che si era prefissata nella vita era quello di cercare fortuna altrove e possibilmente di arricchirsi, senza dover contare sulla sua origine aristocratica. Il titolo nobiliare era ormai un retaggio di antichi lustri della sua famiglia, scritto e firmato in calce dal sigillo del Re di Spagna, ma su una vecchia pergamena ingiallita. Così, quando a Madrid aveva conosciuto Riccardo Ansaldi, un ricco imprenditore italiano, aveva colto al volo l’occasione e lo aveva sposato quasi senza conoscerlo. Nella sua nuova vita fatta di lussi, di serate mondane e club esclusivi, non c’era stato più posto per la sua famiglia e per quella madre sognatrice e testarda che spesso le aveva fatto fare una brutta figura con i suoi amici importanti.

    Aurora invece somigliava molto a sua nonna, da lei aveva ereditato la gentilezza, la fervida immaginazione, il romanticismo e i suoi splendidi occhi verde smeraldo. Quando arrivava l’estate, Sonia e il marito partivano per i Caraibi o per qualche crociera extralusso, mentre Aurora trascorreva le vacanze a casa della nonna in Spagna. L’ultima estate in cui era stata a Santa Clara, Aurora aveva dodici anni e adesso, sei anni dopo, ritornava in quel luogo tanto caro per dire addio a quella donna che tanto aveva amato.

    La strada che costeggiava la baia rocciosa offriva ad Aurora il miraggio di piccoli villaggi dorati di pescatori, battuti dal sole e dal vento e di spiagge meravigliose. Tante piccole cittadine ricche di storia sorgono lungo questo tratto di costa e nell’entroterra caratterizzato da colline che arrivano quasi a lambire il mare. Appena si sporse con metà del busto dal finestrino dell’auto, la brezza del mare le accarezzò il viso ed ella poté sentire sul suo corpo il calore del sole del Mediterraneo.

    «Rischi di volare giù dalla scarpata! Questa strada è estremamente pericolosa!».

    Sonia lanciò un’occhiata di rimprovero a sua figlia e poi continuò a lamentarsi del caldo, della mancanza di segnaletica stradale appropriata e di qualcos’altro ma Aurora aveva smesso di ascoltarla come faceva di solito. Non riusciva a credere che quella donna fredda e cinica fosse sua madre, non avevano niente in comune. Mentre Sonia continuava il suo monologo, Aurora aveva davanti a sé la nitida immagine della casa. Rivedeva il cancello di ferro battuto, il roseto, il portico e la vecchia sedia a dondolo dove la nonna era solita trascorrere le ore pomeridiane, cullandosi dolcemente nell’attesa della sera. Mentre era assorta nei suoi pensieri, la vista della vecchia chiesa di San Miguel la riportò di colpo alla realtà di quell’istante, erano ormai quasi giunte a destinazione ed infatti poche centinaia di metri dopo ecco il cartello che recitava: Bienvenidos a Santa Clara.

    Santa Clara è una piccola cittadina arroccata da secoli su una scogliera della Costa Brava, vicino a Tossa de Mar, un piccolo ed elegante borgo situato nella provincia di Girona. La Costa Brava è una distesa di 160 chilometri di costa bellissima e selvaggia in Catalogna, sull’angolo nordest della Spagna che si estende dal nord di Barcellona fino quasi alla frontiera francese e si affaccia sul Mediterraneo. Prende il suo nome proprio dalle sue coste alte e impervie. La gente di Barcellona ha sempre amato questo luogo e dal 1848, quando fu costruita la prima ferrovia nazionale che collega la città alla costa, è sempre stato facile arrivarci. Ormai la ferrovia è molto più lunga ed estremamente trafficata visto il sorgere dei numerosi hotel e stabilimenti balneari che contrastano con i villaggi tradizionali e le città medioevali.

    Ad un certo punto la strada era ancora più sconnessa e disseminata di buche. Ogni volta che l’auto ne prendeva una, la testa di Aurora sbatteva contro il tettuccio della vettura. Mentre continuava a scrutare il paesaggio della Costa Brava, con le gole spaccate dal sole e dalla forza degli elementi e il mare zaffiro sotto allo strapiombo.

    Dopo l’ennesima curva Aurora rivide la casa, abbarbicata sulla scogliera a dominare la baia.

    Sembrava sospesa nel tempo e nello spazio, era una vecchia villa in stile coloniale che risaliva all’incirca al XVII secolo. Sulla facciata di pietra bianca, si inarcavano grandi finestre all’inglese perfettamente allineate, mentre sul tetto spiccava il comignolo del camino e si intravedeva la struttura di vetri colorati che ricopriva il lucernario. Maestosa, con il portico ombroso dalle bianche colonne, la casa sembrava volesse celarsi all’interno del grande giardino traboccante di vegetazione, di alberi di limone e giare di maiolica colme di gerani di tutti i colori. Era impossibile non rimanere ammaliati dal fascino della costruzione, che era molto più lussuosa delle modeste case dei pescatori di Santa Clara. Suo nonno, Carlos Márquez, aveva ereditato la villa da una vecchia zia, una certa Mercedes Márquez, sorella del padre. La donna le era stata descritta da Dolores come una vecchia petulante, sgarbata e poco avvezza a qualsiasi sentimento umano. Si vantava della sua antica discendenza e del suo titolo nobiliare, considerava gli abitanti della cittadina come volgari pescatori che non erano alla sua altezza e quel sentimento negativo era ampiamente ricambiato: loro infatti l’avevano soprannominata la bruja, la strega, e si tenevano alla larga dalla villa e dalla sua proprietaria. Mercedes Márquez abitava nella grande casa sulla scogliera completamente sola, da quando il padre, di cui si era occupata per tutta la vita, era morto. Non si era mai sposata e non aveva avuto figli e alla sua morte, di cui nessuno si era accorto se non dopo giorni, aveva lasciato la villa al suo unico nipote, Carlos, che vi si era trasferito con Dolores dopo le loro nozze. Lì era nata Sonia.

    «Ecco ci siamo», disse Sonia. Scese dall’automobile e spinse con forza il cancello di ferro battuto.

    Entrare da quel cancello era come penetrare in un luogo sacro. Aurora venne travolta dai ricordi che si erano svegliati all’improvviso: ricordò il rumore delle onde che si infrangevano sulla battigia di Playa Esperanza, le habaneras suonare la musica tradizionale della regione, il turchese del mare, le sere d’estate a caccia di lucciole che credeva fossero fate in missione segreta, i torridi pomeriggi distesa con la nonna sul pavimento di maiolica in cerca di refrigerio. Venne pervasa totalmente dal dolce odore del giardino antistante la casa che profumava di rosa e di lavanda. Poi ricordò il sorriso gentile della nonna, il suono esile e delicato della sua voce e la bellezza dei suoi grandi occhi verdi. Lei era morta, se ne era andata in una calda notte d’estate in solitudine come aveva trascorso gran parte della sua vita. Aurora rimase paralizzata e immersa in quel frastuono di pensieri e di ricordi, mentre le lacrime bagnavano le sue guance.

    La porta-finestra che dava sul portico era spalancata, madre e figlia varcarono l’uscio senza indugiare oltre. C’era un piccolo gruppo di persone che le attendevano nel soggiorno. Quella stanza era sempre stata il centro focale della famiglia e Aurora immaginava le vite dei suoi antenati che si erano sciolte nei pavimenti lisi dove echeggiavano ancora i fruscii delle gonne ottocentesche e i passi degli stivali degli uomini. Una donna anziana, dall’aria prostrata, si staccò dal resto della comitiva e andò incontro a Sonia: «Mia cara, mi dispiace così tanto per tua madre! Dolores era una donna meravigliosa e mancherà a tutti noi».

    La loro interlocutrice aveva un’aria familiare, pensò Aurora.

    «Grazie signora Mendez, abbiamo preso il primo aereo questa mattina. Certo non mi aspettavo questa notizia, è arrivata come un fulmine a ciel sereno, la mamma non era mai stata malata», rispose Sonia.

    «È stato un colpo per tutti, il medico dice che si è trattato di un infarto improvviso, ma potrai parlare con lui più tardi. E tu devi essere Aurora», disse la donna volgendo lo sguardo su di lei. «Sì, sono io», rispose.

    «Ti ricordi di me? Certo che sei cresciuta così tanto dall’ultima volta che ci siamo viste cara!». Aurora adesso si ricordava di lei, la signora Matilde Mendez era un’amica della nonna, una di quelle persone che conosceva da tutta la vita e per la quale Dolores nutriva un profondo affetto, uno di quei sentimenti sinceri e disinteressati che al giorno d’oggi è quasi impossibile instaurare.

    «Adesso vorrete andare da lei… È al piano di sopra. Mi sono permessa di organizzare io le esequie ma certamente mancano ancora alcuni dettagli. Spero non ti dispiaccia, Sonia, pensavo che viste l’improvvisa dipartita di tua madre e la tua lontananza fosse la cosa migliore… Volevo esserti di aiuto».

    La signora Mendez guardava la donna negli occhi con un’aria di dolore e rimprovero, come se in quell’attimo di intima amarezza volesse quasi ricordare a Sonia che aveva volutamente alienato la madre dalla sua vita.

    «Grazie Matilde». Fu l’unica cosa che Sonia disse prima di imboccare le scale che conducevano al piano superiore.

    Aurora rimase impietrita, la sua volontà la spingeva a seguire la madre ma le sue gambe erano paralizzate, Matilde Mendez le sfiorò il braccio in un gesto affettuoso e le sorrise dolcemente.

    «Parlava sempre di te. Sei la persona che amava di più al mondo, Aurora».

    «Signora Mendez, posso farle una domanda?».

    La donna annuì con garbo.

    «Se la nonna si è sentita male di notte, chi l’ha avvertita dell’accaduto?».

    Matilde a quel punto rimase di stucco, come se fosse a disagio nel dover rispondere a quella domanda. Poi scosse la testa e disse:

    «Questa è una cosa strana. Il dottor García ha ricevuto una telefonata che proveniva proprio da qui. Una voce femminile, molto flebile, lo avvisava che la signora Dolores Márquez era deceduta. All’inizio pensò ad uno scherzo di cattivo gusto, ma spinto dalla sua professionalità e dalla preoccupazione per una stimata paziente si precipitò fin quassù a controllare la situazione. La terribile notizia si rivelò vera purtroppo! Dolores era sulla poltrona di fronte al camino, esanime. Il dottore mi ha chiamata immediatamente ed io ho chiamato l’Italia per avvisare tua madre». La donna si mise a piangere e si tolse gli occhiali per poter asciugare le lacrime.

    «La cosa strana è che Lola era da sola. In casa con lei non c’era nessuno ma la porta era aperta!».

    Aurora era ammutolita e un brivido le percorse la schiena: chi aveva chiamato da quella casa nel cuore della notte? Ma non era il momento di pensarci. Si incamminò verso la vecchia scala che si ergeva nel lato destro del soggiorno. Era uno dei pezzi più antichi della casa, infatti, anche in seguito alle numerose ristrutturazioni di cui la dimora aveva necessitato nella sua centenaria esistenza, era sempre rimasta uguale. I pioli di legno consumati dal passaggio delle vite che si erano avvicendate in quel luogo remoto scricchiolavano sotto i piedi di Aurora che alzò lo sguardo verso la balconata in ferro battuto con il disegno di una rosa al centro.

    La grande finestra alla fine del corridoio aveva le imposte serrate, il piano superiore era immerso in una spettrale semioscurità. Parecchie porte chiuse si affacciavano sul corridoio umido che odorava di salgemma e Aurora esitò un attimo dinanzi alla terza porta sulla sinistra, che era stata la camera che occupava durante le estati trascorse a Santa Clara. Dalla stanza della nonna si intravedeva una luce fioca come di un piccolo lume e di candele accese. Entrando nella camera, la ragazza respirò a fondo e le narici le si impregnarono di un forte odore di incenso, piuttosto acre, misto a quello dolciastro della lavanda. La nonna era lì, distesa sul letto a baldacchino con le braccia giunte nel petto e stringeva in mano un rosario. I cadaveri sembrano tutti uguali, sistemati in quella posizione di preghiera come tanti manichini che vengono messi in posa, pensò Aurora.

    Sembrava che Dolores dormisse, neanche la morte era riuscita a strapparle dal viso quell’espressione di serenità che le aveva sempre ispirato quel volto rugoso e gentile. La bocca era un po’ aperta come se fosse stupita dinanzi all’ineluttabilità della morte ma il suo viso appariva ringiovanito. I capelli grigi erano stati raccolti in uno chignon, le avevano messo un abito blu scuro, sobrio ma elegante con le maniche a palloncino bordate nei polsi da una sottile striscia di pizzo bianco. Nel guardare quel corpo immobile e senza vita, Aurora si sentì mancare il respiro, poi pianse. La nonna sembrava una giovane fanciulla addormentata assorta in dolci sogni d’amore. Adesso si sveglierà e mi chiederà se voglio prendere il tè sotto il portico. Quando le sfiorò il viso con la punta delle dita, avvertì un freddo gelido sulla pelle. Quella sensazione la fece rabbrividire.

    Nulla è terribile quando lo si accetta. Non sapeva dove aveva letto quella frase, ma sperava di cuore che fosse vero.

    La notte di veglia fu ancora più dura da trascorrere di quanto Aurora avesse immaginato. Le ore sembravano durare secoli, voleva stare al capezzale della nonna ma non riusciva a rimanere troppo a lungo in quella stanza, decise così di andare a stendersi un po’ nella sua vecchia camera. Tutto era esattamente come lo ricordava. Il lettino di legno scuro aveva perfino lo stesso copriletto a fiori, la cassettiera in pendant con il letto e il piccolo scrittoio collocato sotto la grande finestra con vista sul giardino. La tenda era leggermente tirata e lasciava intravedere i contorni degli imponenti sicomori sotto

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