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Johnnie: Edizione Italiana
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E-book238 pagine3 ore

Johnnie: Edizione Italiana

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Info su questo ebook

Hugh Laundry è un leone-mutaforma Alpha che dedica la sua vita a guidare il branco di Berk con forza e fermezza. La sicurezza, il successo e la felicità di centinaia di persone dipendono da lui. Dopo un secolo, il suo fisico non è più in grado di contenere tutto il suo potere, così Hugh si affida a un leone-mutaforma Siphon per gestire la sua forza in eccesso.
Quando il Siphon mette in pericolo se stesso e di conseguenza tutto il branco, Hugh è costretto a prestare attenzione all’uomo che è stato la sua ombra silenziosa per un decennio. Rimane sorpreso da ciò che scopre, ma quello che prova lo sbalordisce ancora di più.
Due leoni, entrambi nati per servire, che contano l'uno sull'altro per sopravvivere. Dopo anni passati l’uno di fianco all'altro, si renderanno finalmente conto della profondità del loro potenziale, della gioia nella loro passione e di un legame che la loro specie non aveva mai conosciuto.
LinguaItaliano
Data di uscita8 apr 2022
ISBN9791220702751
Johnnie: Edizione Italiana
Autore

Cardeno C.

Cardeno   C.—CC to  friends—is   a  hopeless   romantic who  wants  to  add  a lot  of happiness and  a few awwws into  a reader’s  day. Writing  is a nice break  from real  life as  a corporate type  and  volunteer work  with  gay rights organizations.  Cardeno’s   stories   range   from   sweet   to intense,  contemporary to  paranormal, long  to  short,  but they always include strong relationships and walks into the happily-ever-after sunset. Email: cardenoc@gmail.com Website: www.cardenoc.com Twitter: https://twitter.com/cardenoc Facebook: http://www.facebook.com/CardenoC Pinterest: http://www.pinterest.com/cardenoC Blog: http://caferisque.blogspot.com

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    Anteprima del libro

    Johnnie - Cardeno C.

    1

    Erano passati più di dieci anni dall’ultima volta in cui aveva provato quella sensazione di sovraccarico, per questo Hugh non era riuscito subito a identificarne la causa. Aveva continuato a spingere, a godere dei corpi caldi, dei grugniti bramosi e degli odori muschiati dei mutaforma tutti intorno, quando all’improvviso il peso che sentiva alla testa e al petto era cresciuto fino a fargli quasi perdere conoscenza. Era stato in quel momento che si era reso conto di cosa stava succedendo.

    «Dov’è il Siphon?» chiese senza fiato, cercando di mettersi in ginocchio e facendo guizzare lo sguardo nella grande camera da letto. Stava peggio, molto peggio di quanto non fosse mai stato. Riusciva a malapena a respirare, a pensare, a muoversi. «Il Siphon?» ansimò.

    «Hugh?» lo chiamò Mara Terrence, la mutaforma che si muoveva sotto di lui. «Che ti prende?»

    «Alpha?» Dennis Jones si districò da Percy Milroy ed entrambi gli si avvicinarono. «Cosa sta... Oh, merda! Mara, tienilo prima che cada.»

    «Cos’ha che non va?» urlò lei, sorreggendo il massiccio corpo di Hugh e appoggiandolo a terra.

    «Che succede?» domandò Lorena Mansfield, uscendo di corsa dal bagno che si era messa a pulire prima di tornare a casa, dove avrebbe preparato la cena per una dozzina di cuccioli che vivevano con lei.

    «Il Siphon,» abbaiò, Hugh stringendosi la testa tra le mani. «Trovate il Siphon.»

    «Non è qui.»

    «Un Siphon non può trovarsi troppo lontano dall’Alpha,» fece notare Percy. «Controllate nella sua stanza!»

    Nel giro di pochi secondi la porta che collegava la camera di Hugh a quella del Siphon venne spalancata.

    «Oh, cazzo!» gridò Dennis. «Qualcuno mi aiuti! Mara, Lorena, Percy, qualcuno venga qua dentro. Veloci! Prima che ferisca l’Alpha.»

    «Ma cosa... Dennis! Hugh sta avendo una crisi,» disse Percy, e prendendo il suo viso tra le mani tremanti lo implorò. «Hugh. Capo. Per favore, non morire. Abbiamo bisogno di te. Per favore.»

    Per un momento, Hugh perse il controllo delle proprie membra contratte e degli inutili polmoni, e subito dopo sentì che il passaggio che lo collegava al Siphon si apriva. Con le ultime energie rimastegli, fece scivolare i propri poteri attraverso quel varco, riuscendo miracolosamente ad alleviare il dolore straziante che lo lacerava.

    «Hugh?» mormorò Percy con voce tremante. «Riesci a vedermi?»

    La sua vista prese a farsi a mano a mano più limpida, quindi sbatté gli occhi e ricominciò a respirare.

    Percy era accovacciato sopra di lui, con la solita carnagione bianco latte e i grandi occhi marroni.

    «Alpha?»

    «Sto bene.» Hugh tossì e si mise seduto. Posò la mano sulla spalla di Percy, notando l’eccezionale contrasto tra la propria pelle nera e l’abituale pallore dell’altro. «Va tutto bene.»

    «Hugh?» Mara, Lorena e Dennis accorsero e si inginocchiarono accanto a lui.

    Hugh era un raro leone Alpha, il suo potere e la sua energia preservavano la pace tra i membri del suo branco, li facevano sentire forti e sicuri, permettendo loro di avere successo in tutti gli ambiti della vita. Il branco lo adorava e lo venerava, per questo l’averlo visto così vicino alla morte li aveva turbati tanto.

    «Sto bene. Sono riuscito a trasferire il mio potere nel Siphon.» Hugh si guardò intorno. «Dov’è?»

    «Nella sua stanza,» rispose Denny con una smorfia disgustata.

    «Come ha potuto fare questo a te? Al nostro branco?»

    «Cos’ha fatto?»

    «Si è impiccato.»

    La vita di un Alpha si estendeva per secoli, la sua forza e il suo potere crescevano a ogni ciclo del sole finché, alla fine, quando non erano più governabili, conducevano lui verso una morte dolorosa e il branco verso la conseguente devastazione. Tuttavia, l’energia dell’Alpha poteva essere trasferita in un Siphon. Non potendola usare, quello fungeva da serbatoio, in modo che quel potere restasse a disposizione. Un Alpha affiancato da un Siphon era quasi indistruttibile. Quasi, perché la morte del serbatoio implicava la cancellazione del deposito di energia, il che provocava a sua volta l’implosione per sovraccarico dello stesso Alpha.

    «Non preoccuparti. L’abbiamo tirato giù e abbiamo usato la corda per legargli polsi e caviglie,» lo rassicurò Mara, lanciando un’occhiata verso l’altra stanza. «Non può farti del male, ora.»

    Hugh aveva guidato il branco di Berk per più di settant’anni, fino a quando il potere non era cresciuto tanto da diventare ingestibile per il suo solo corpo. Sotto la sua guida e direzione, il gruppo che governava e i leoni che ne facevano parte avevano cominciato a prosperare. Dieci anni dopo, poi, il piccolo e debole branco di Westgate gli aveva offerto un Siphon appena maggiorenne per ringraziarlo di averli accolti nel suo longevo nucleo Alpha. L’accordo preso li aveva salvati da una morte pressoché certa.

    «Impiccato?» ripeté Hugh sorpreso. «Perché l’avrebbe fatto?»

    Gli sguardi vacui attorno a lui facevano intendere che nessuno si era posto la domanda, tantomeno trovato una risposta. Hugh era prosciugato fisicamente e ancora un po’ scosso, sia per aver sfiorato la morte, sia per essersi mostrato debole di fronte ai suoi leoni. Aveva bisogno di riorganizzarsi e indagare sull’accaduto, in modo da poter essere sicuro che una cosa del genere non venisse a ripetersi.

    «Hai detto che è al sicuro ora?»

    «Sì.»

    Deciso a non mostrare la propria vulnerabilità, Hugh si alzò con fare sicuro e raddrizzò le spalle possenti. Come tutti gli Alpha aveva la pelle, i capelli e gli occhi scuri sia nella forma umana che in quella da leone, e siccome il suo fisico cresceva allo stesso ritmo del suo potere, dopo più di un secolo aveva raggiunto i due metri di altezza e il peso di centotrenta chili. In quel momento la sua stazza lo aiutava ad apparire più forte e più autoritario di quanto non si sentisse in realtà.

    «Arriverò in fondo alla faccenda,» affermò con sicurezza, utilizzando un tono che non ammetteva repliche.

    Si diresse verso la propria camera da letto, che era rimasta aperta, e sapendo che i membri del branco l’avrebbero seguito annunciò: «Abbiamo finito per stasera.»

    I quattro leoni si scambiarono la buonanotte e si trascinarono stancamente fuori dalla casa senza guardarsi indietro.

    Hugh sospirò, sollevato che la perdita di controllo appena ostentata non li avesse fatti dubitare delle sue capacità. Purtroppo, non valeva lo stesso per quanto lo riguardava.

    Non si era mai trovato così vicino alla morte, nemmeno prima di avere un Siphon. Il lato positivo dell’accaduto era che l’incidente provava l’enorme crescita dei suoi poteri negli ultimi dieci anni. Lo svantaggio stava nell’incredibile dipendenza che aveva sviluppato nei confronti del Siphon. Esausto, entrò in camera e crollò sul materasso, senza preoccuparsi di infilarsi sotto le coperte.

    Avrebbe dormito, rigenerando corpo e mente, e si sarebbe occupato del Siphon una volta tornato a pensare lucidamente.

    Al suo risveglio, nella stanza era ancora buio pesto. Si girò sul fianco e strizzò gli occhi in direzione della finestra panoramica. A metà mattina la luce filtrava inesorabile dalla fessura che occhieggiava tra le sontuose tende di seta, incapaci di bloccare tutti i raggi. Ma in quel momento non se ne intravedeva neanche uno spiraglio, quindi doveva essere venerdì notte o l’alba del sabato mattina. Nonostante si fosse ripreso dalle conseguenze fisiche di quello che aveva fatto il Siphon, Hugh era ancora preoccupato. Qualunque cosa avesse causato quell’errore di valutazione, doveva essere affrontata con rapidità e determinazione.

    Si diresse verso il bagno; aveva bisogno di recuperare la calma necessaria prima di fronteggiare quella situazione inaspettata e incredibilmente spiacevole. Una volta lavato e vestito, e tornato di nuovo in sé, andò verso la camera adiacente e accese la luce. «Dobbiamo parlare,» annunciò.

    Raggomitolato nel letto con mani e piedi legati insieme c’era il Siphon, in silenzio e immobile. Hugh l’avrebbe dato per morto se quello non avesse significato anche la sua fine immediata.

    Quando aveva preso con sé i leoni ridotti alla carestia di Westgate, traendoli in salvo dalla terra devastata dagli incendi in cui vivevano, loro avevano ottenuto risorse, case, cibo e un Alpha. Grazie al grande lavoro di Hugh, si erano integrati con i leoni di Berk formando un branco ancor più compatto. Ma la sera prima il Siphon aveva quasi distrutto tutto.

    «Svegliati,» gli ordinò.

    Con un sospiro rassegnato, il Siphon si mosse, cercando di sedersi. Le corde glielo impedirono.

    «Ti slegherò.» Hugh era trenta centimetri più alto e pesava il doppio di lui, quindi liberarlo non costituiva un rischio. Fece un passo avanti, prese la fune tra le mani e la tirò con decisione, spezzandola senza sforzo. Quella dimostrazione di forza lo aiutò a tranquillizzarsi; probabilmente non stava più risentendo delle conseguenze di quell’esperienza pre-morte. «Ce la fai a sederti?» gli chiese, notando che l’altro si muoveva a fatica.

    «Sì,» gracchiò, e tremando riuscì a mettersi seduto. «Stiamo andando da qualche parte?»

    Poi il Siphon si passò le mani tremanti sul collo e fece per alzarsi.

    «Prendo le scarpe.»

    «No.» Hugh lo trattenne afferrandolo per la spalla. «Sono qui a parlarti.»

    «Vuoi parlare con me?» domandò l’altro, sgranando gli occhi.

    «Sì. Dobbiamo discutere di quello che hai cercato di fare al branco.» Dai versi rauchi del Siphon, Hugh dubitava che sarebbe riuscito a dire una sola parola. «Hai bisogno di acqua.» Si guardò attorno, ma inutilmente visto che, come sempre, in quella stanza non c’era niente a parte il letto, un comodino e una cassettiera. L’unica differenza era il buco nel soffitto sopra la madia, il punto in cui con tutta probabilità era stata fatta passare la corda. «Andiamo di sotto.»

    «Oh.» Il Siphon si alzò barcollando. Hugh aspettò che recuperasse l’equilibrio e poi si incamminò lentamente fuori dalla stanza. Finché non avesse scoperto cosa aveva causato quel comportamento inusuale nel Siphon doveva restare in guardia, quindi lo tenne d’occhio mentre si avvicinavano alla cucina.

    Dopo aver afferrato una bottiglia d’acqua dallo scintillante frigorifero in acciaio inossidabile, Hugh si sedette su una delle sedie in tessuto felpato di fronte al tavolo della cucina in legno di magnolia; aspettò che il Siphon prendesse da bere per sé e lo raggiungesse. Tuttavia, quando il ragazzo continuò a restare in silenzio nonostante il tempo che impiegò per svuotare la propria bottiglia, Hugh perse la pazienza e assunse il controllo della situazione.

    «Quello che è successo ieri non deve ripetersi. Hai messo in pericolo il branco.» In circostanze normali, per un’offesa del genere Hugh l’avrebbe già ucciso, ma la morte del Siphon era proprio quello che stava cercando di evitare, quindi doveva trovare un’altra soluzione. «Dimmi perché volevi impiccarti.»

    Il Siphon portò la bottiglia alle labbra, ne prese un sorso e ingoiò lentamente.

    Infastidito da quell’indugiare, Hugh valutò la possibilità di picchiarlo per ricordargli la sua posizione di sottomesso, ma non sapeva se indebolendolo fisicamente ne avrebbe risentito anche la sua capacità di trasferimento del potere.

    Solo un leone su mezzo milione nasceva Siphon, non ce n’erano abbastanza al mondo per conoscerne le potenzialità a sufficienza, e Hugh non si poteva permettere di danneggiare la persona che conservava la sua energia.

    La frustrazione continuò a crescere. «Rispondimi,» lo incalzò.

    «Cosa vuoi sapere, Alpha?» replicò l’altro, stancamente, giocherellando con l’etichetta della bottiglia.

    «Voglio sapere perché hai cercato di uccidermi e distruggere il branco.»

    «Non l’ho fatto.»

    Hugh lo afferrò alla gola con un movimento così veloce che nessun leone normale avrebbe potuto percepirlo. «Questi segni di corda dicono tutt’altro,» ruggì, la pazienza giunta ormai al limite. «Come osi mentire al tuo Alpha?»

    Nonostante quella dimostrazione di forza, la sua voce possente e la sua chiara manifestazione di superiorità, il Siphon non si scompose.

    «Ti ho risposto.» La sua voce si sentiva appena, a causa del tono basso e della stretta di Hugh.

    «Ti sei legato una corda attorno al collo, l’hai appesa al soffitto e sei saltato giù dalla cassettiera,» lo accusò. Il ragazzo non negò di averlo fatto, quindi continuò: «Questo è un attacco verso di me e verso il branco.» Ancora una volta, l’altro rimase in silenzio. Hugh lo esortò: «Vuoi negarlo?»

    Per la prima volta da quando avevano iniziato la conversazione, il Siphon sollevò lo sguardo, posando i suoi occhi di un blu unico su di lui. «Non nego di essermi impiccato, ma non stavo attaccando nessuno.»

    La risposta non aveva alcun senso.

    «Ho più di un secolo. Un Alpha della mia età ha troppo potere per riuscire a esistere senza un Siphon.»

    Hugh lo spinse con forza, facendo inclinare la sedia. «E tu lo sai. Qualsiasi cucciolo grande abbastanza da sapersi arrampicare lo sa.» Gli passò le dita tra i capelli corti. «Giusto?»

    Dopo aver raddrizzato la sedia, il Siphon abbassò lo sguardo e annuì.

    «E nonostante questo osi negare che le tue azioni mi avrebbero lasciato senza un canale per contenere la mia energia?»

    Il ragazzo scosse la testa.

    Gli Alpha erano rari, solo un leone su cinquemila nasceva con la pelliccia e la pelle nere, caratteristica esclusiva dei leoni più potenti. Ma c’erano centinaia di Alpha per ogni Siphon, il che rendeva quegli esemplari con gli occhi blu ancora più rari. Nessun altro poteva conservare la forza di Hugh, e lui da solo sarebbe imploso.

    «Basta giocare!» gridò, spingendo indietro la sedia mentre balzava in piedi. Appoggiò entrambe le mani sul tavolo e, minaccioso, sovrastò il Siphon. «Quello di Berk è un branco Alpha. Avresti potuto ferire quattrocento leoni adulti e cinquecento cuccioli, con quello che hai fatto. Hai pensato a questo?»

    Di nuovo, il ragazzo scosse la testa.

    «Non sei grato?»

    Confuso, la fronte aggrottata, l’altro chiese: «Grato per cosa?»

    «Per cosa?» ruggì Hugh. «Guardati attorno,» lo esortò, agitando il braccio verso la stanza. «Fai parte del branco Alpha. Possediamo più di centocinquanta ettari di terre ricche. I nostri membri sono ben nutriti, possiedono una sicurezza economica e sono uniti. Le nostre case, le nostre attività e i nostri territori fanno invidia agli altri branchi. Cos’altro vuoi?»

    «Non lo so.» Il ragazzo alzò le spalle e si inclinò in avanti sulla propria sedia. «Vivere, credo.»

    «Tu sei un Siphon. Puoi vivere in eterno.»

    I leoni normali vivevano e incanutivano allo stesso ritmo della loro parte umana, mentre gli Alpha smettevano di invecchiare una volta raggiunto il picco della loro forza, iniziando a crescere invece in forza e dimensioni. E un Siphon che trasportava le energie per questi ultimi ne seguiva i medesimi ritmi d’invecchiamento.

    «Non sto vivendo.» Il ragazzo si passò la lingua sulle labbra. «Comunque non sono morto.» Con un sospiro profondo, sussurrò: «Vorrei esserlo.»

    Le due affermazioni contradditorie non avevano alcun senso.

    «Hai detto che vuoi vivere ma poi hai detto che vuoi morire.» Hugh lo guardò negli occhi, sperando di trovarci una risposta. Non riuscendo a capire, tornò a chiedere: «Perché volevi impiccarti?»

    «Sono un Siphon. Non posso vivere.» Abbassò quei suoi occhi blu. «Morire è l’unica via di uscita.»

    Un brivido premonitore corse giù per la schiena di Hugh. La morte del Siphon avrebbe significato la sua stessa fine. Non l’avrebbe permesso.

    Per custodire il potere a lui affidato, il Siphon doveva rimanere sempre accanto all’Alpha, così che questi potesse tenerlo sotto controllo per la maggior parte del tempo. Ma Hugh dormiva, si lavava, scopava. Non poteva tenere d’occhio il Siphon in ogni secondo della sua giornata.

    Portare lì i membri del branco affinché facessero la guardia non era un’opzione, si sarebbero allertati per la vulnerabilità di Hugh, il che avrebbe causato disordini all’interno del gruppo o, ancora peggio, accentuato il rischio che qualcuno all’esterno lo scoprisse, esponendo una debolezza facilmente sfruttabile.

    Ottant’anni di leadership e di duro lavoro avevano dato i loro frutti: Hugh non stava esagerando nell’elencare le ricchezze di Berk. Si trattava di un branco Alpha, quindi caratterizzato da più forza, più agiatezza e più felicità rispetto alla maggior parte degli altri gruppi. Ciò significava che gli altri leoni volevano disperatamente quello che avevano loro e che, se avessero sentito il sangue, non avrebbero esitato a organizzare un attacco. Mostrarsi deboli avrebbe messo in pericolo tutti.

    Hugh aveva dedicato la propria vita a proteggere il branco di Berk, e aveva iniziato a farlo a ventitré anni. Se non fosse riuscito a far luce sulla faccenda, la sua vita e il branco sarebbero stati in pericolo. Non l’avrebbe mai permesso. Per risolvere la situazione, tuttavia, doveva prima capire quale fosse il problema.

    2

    Per quella che avrebbe potuto essere considerata la prima volta, Hugh guardò il Siphon. Lo guardò davvero.

    Appariva a tutti gli effetti come un leone normale. Era alto quasi un metro e ottanta per settanta chili di peso, aveva i capelli castani e la pelle dorata. L’unica differenza stava negli occhi: erano blu e non del consueto marrone, nocciola o ambra. Il suo sguardo era affranto. Traboccava di dolore e stanchezza.

    C’era senza dubbio bisogno di un piano. Non poteva fare molto, però, finché il Siphon fosse rimasto in quelle condizioni. Avevano entrambi bisogno di dormire, quindi disse: «È ancora presto. Torniamo a letto.»

    Si alzò e si diresse fuori dalla stanza, e il Siphon lo seguì come suo solito. Una volta raggiunta la camera da letto, il ragazzo si incamminò verso la porta della stanza accanto. Hugh lo fermò. «Stanotte dormi qui.»

    L’altro si voltò e lo guardò con gli occhi spalancati.

    «Non posso lasciarti incustodito,» chiarì lui. Anche se non aveva il sonno profondo, doveva tenerlo d’occhio in ogni momento.

    «Oh.» Il Siphon si morse il labbro e fece sfrecciare lo sguardo nella stanza. «C’è solo un letto. Dove dovrei…»

    «Una volta ho condiviso questo letto con sei leoni.» Non per dormire, ma dato che per scopare serviva molto più spazio non sarebbe certo stato un problema. «C’è posto per entrambi.»

    «Okay.» Il ragazzo spostò lo sguardo dal letto a Hugh per poi abbassarlo sul

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