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Un miracolo inaspettato: Harmony Bianca
Un miracolo inaspettato: Harmony Bianca
Un miracolo inaspettato: Harmony Bianca
E-book154 pagine1 ora

Un miracolo inaspettato: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Quando la passione per la medicina incontra le ragioni del cuore, la famiglia diventa il posto in cui sentirsi a casa.

Ellie Thomas aveva accettato di fare da madre surrogata al bambino della sua migliore amica e di suo marito convinta di fare la cosa giusta. Non poteva certo immaginare che Ava avrebbe cambiato idea, lasciandola sola ad affrontare la gravidanza e la nascita di quello che adesso è a tutti gli effetti suo figlio. Ora l'unica persona in grado di aiutarla è la stessa che le ha regalato quel piccolo miracolo: il dottor Luke Gilmore.

Luke non ha avuto un'infanzia felice e, forse per questo, sente istintivamente il bisogno di proteggere Ellie e la sua piccola famiglia. Lei avrebbe dovuto essere una paziente come tutte le altre, ma adesso è diventata la sua unica ragione per restare.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mar 2019
ISBN9788858995037
Un miracolo inaspettato: Harmony Bianca
Autore

Alison Roberts

Tra le autrici amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Un miracolo inaspettato - Alison Roberts

    successivo.

    1

    Come poteva andare tutto così terribilmente storto? Ellie strinse il cellulare che teneva incollato all'orecchio e ne percepì i contorni, reali e tangibili. Quello che aveva appena sentito invece, non sembrava per nulla reale.

    «Ava, sei ancora lì?»

    Seguì un momento di silenzio prima che Ava, la sua migliore amica da sempre, parlasse di nuovo. Il legame tra loro era sempre stato così forte da superare le avversità. Era sopravvissuto al trauma dell'operazione di Ava e alla conseguente chemioterapia quando erano solo adolescenti, si era rafforzato quando Ellie le aveva fatto da damigella d'onore al matrimonio, due anni prima. Solo grazie alla loro grande amicizia Ava aveva vinto lo sconforto quando aveva scoperto di non essere in grado di concepire, un effetto collaterale delle cure che le avevano salvato la vita.

    Un'amicizia che era sembrata indistruttibile. Fino a due settimane prima...

    «Sì... sono ancora qui» sussurrò Ava, lasciandosi sfuggire un singhiozzo. «E mi dispiace. Mi dispiace così tanto, Ellie!»

    Ellie era attonita. Le scuse dell'amica non avrebbero sistemato le cose. «Dove sei?» In sottofondo si udì l'annuncio di un orario, come quelli della stazione o dell'aeroporto. «Parla con me, Ava, possiamo risolvere tutto. È da giorni che cerco di contattarti.»

    Da quando aveva sentito che il bellissimo e volubile marito di Ava, Marco, aveva fatto le valigie e se n'era andato. Il giorno dopo quella terribile scenata... l'ultima volta che lei, Ava e Marco erano stati nella stessa stanza insieme.

    Il silenzio dall'altra parte della linea era snervante ed Ellie sentì crescere la paura. Un'amicizia come la loro non poteva semplicemente evaporare a causa di qualcosa che non era neppure stata colpa sua, non dopotutto quello che avevano passato insieme e soprattutto non con quello che stavano affrontando adesso.

    «Non l'ho incoraggiato, Ava, lo sai vero? Ero inorridita quanto te quando ha cercato di baciarmi.»

    «Non sei stata l'unica.» Ava aveva smesso di piangere e c'era rabbia nel suo tono. «Mi ha tradita per tutto il tempo, l'ha ammesso. Ha detto che non sarei mai stata abbastanza per un uomo come lui e che il nostro matrimonio è stato un grosso errore.» Era evidente che le lacrime avevano preso a scorrere di nuovo, perché riprese a parlare con voce rotta. «Ha detto... che cercare di... avere un bambino è come mettere un cerotto su una ferita mortale.»

    Ellie sentì il cuore martellarle nelle orecchie e si sforzò di respirare a fondo. «Voi non state cercando di avere un bambino, state per averne uno! Fra circa quattro settimane.»

    «Ma non capisci? Non posso farlo, Ellie. Il mio mondo sta cadendo a pezzi! Non è nemmeno mio figlio...»

    Tecnicamente, era vero. Da un punto di vista biologico, quello era il figlio di Ellie e Marco, il dono che avrebbe reso la vita di Ava perfetta. Offrirsi come madre surrogata era stata una decisione di enorme portata, ma Ellie non aveva esitato, felice di fare qualcosa di grande per la persona più importante della sua vita, la sola famiglia che le rimaneva.

    La paura di Ellie si stava trasformando in rabbia. Era quasi un sollievo, perché almeno riusciva di nuovo a respirare. «Sono incinta di trentasei settimane, Ava. Di tuo figlio. Tuo e di Marco. Un bambino che non mi sarei nemmeno sognata di avere altrimenti. Sono single, ricordi? Non ho un partner o una famiglia a cui appoggiarmi. Devo tornare al lavoro tra sei settimane e se non lo faccio non sarò in grado di pagarmi l'affitto. E tu dici che ti dispiace

    Il silenzio che seguì fu assordante. Quando finalmente fu rotto, la voce di Ava era così strozzata da rendere le parole quasi inintelligibili. «Devo andare... ultima chiamata... non posso perdere l'aereo.»

    «Aereo? Dove stai andando? Ava? Ava

    Pur consapevole che l'amica aveva riattaccato, Ellie non riuscì a fare altrettanto. Restò a fissare lo schermo del telefono, con la foto di lei e Ava abbracciate, quest'ultima che si sporgeva per un bacio sulla guancia dell'amica e i volti sorridenti di due persone felici.

    Ora invece...

    Ellie lasciò cadere il cellulare sul pavimento, posò le mani sul pancione enorme e chinò la testa, tentando di gestire la gigantesca ondata di panico e dolore che minacciava di travolgerla. I minuti passarono, ma il dolore non si attenuò, anzi, si spostò dal petto alla schiena e infine al ventre. Non era più solo sofferenza emotiva, ma dolore fisico, concreto, intenso e minaccioso.

    Era un'infermiera di pronto soccorso, sapeva bene di cosa si trattasse, ma le occorsero altri cinque minuti e un'altra contrazione per ammetterlo. Quando poi un rivolo di sangue le scese giù per la gamba, capì anche di essere in guai molto seri.

    Facendo leva sui braccioli della poltrona, s'inginocchiò sul pavimento e raccolse il telefono per chiamare un'ambulanza.

    Lucas Gilmore si fece strada tra le siepi incolte del vialetto d'ingresso. Sapeva di doverle potare, ma aveva avuto cose più importanti da fare, come rendere abitabile la casa.

    Davanti ai gradini dell'ingresso l'uomo che era con lui si spazzolò i pantaloni con la mano per ripulirli dalle ragnatele e dal polline raccolto in giardino. Il suo sorriso era un po' forzato, ma un abile agente immobiliare come Mike sapeva come mascherare il disgusto. Il suo sorriso però sbiadì alla vista della grande villa con la facciata di legno, il tetto in ferro e l'enorme giardino incolto.

    «Non è messa molto bene, dottor Gilmore.»

    «Lo so. Mia madre è stata in casa di cura per diversi anni e la villa è stata data in affitto. È chiaro che l'agenzia non ha fatto il lavoro promesso. Gli ultimi affittuari sono partiti più di un anno fa e da allora non è stato fatto alcun lavoro di manutenzione. L'interno della casa poi, sembrava il parco giochi di un branco di opossum.»

    «Mmh, avrebbe fatto meglio a usare la nostra agenzia» fu il commento di Mike. Salì i pochi gradini che portavano alla veranda e un asse scricchiolò sotto i suoi piedi. «Spero che l'interno sia in condizioni un po' migliori, o sarà difficile ottenere un buon prezzo.» Il sorriso riapparve, più ampio di prima. «Detto ciò, i prezzi di Auckland sono impazziti ed è il terreno quello che farà vendere questo posto. Ha accesso a una spiaggia quasi privata e diversi acri di foresta vergine. È una proprietà straordinaria, perfetta per la riqualificazione.»

    Lucas rabbrividì. La parola riqualificazione non prometteva mai nulla di buono. Per quanto necessitasse di restauro, quella casa era un fulgido esempio di villa neozelandese del XIX secolo, con le ampie verande cesellate e persino una torretta.

    «Al momento mi sto concentrando sulla casa. Ho fatto venire un'agenzia di pulizie al mio arrivo nel paese, tre settimane fa. Il giardino è il prossimo sulla lista, ma sono stato un po' impegnato.»

    «Ha detto che lavora al North Shore General Hospital, vero?»

    «Sì.» Lucas aprì la porta d'ingresso, che aveva bisogno di una bella mano di pittura. «Ho accettato un incarico di tre mesi, pensando che mi avrebbe dato il tempo di sistemare le cose qui.» E per decidere quale sarebbe stata la tappa successiva migliore per la sua carriera di specialista di pronto soccorso.

    «Ed è sicuro di voler vendere?»

    Lucas evitò la domanda sospingendo l'agente immobiliare all'interno. Attraversando l'ampio atrio dai pavimenti di legno lucido guidò Mike in cucina. I raggi del sole filtravano attraverso la porta a vetri colorati, gettando chiazze rosse e verdi sulle pareti.

    Voleva vendere l'unica casa che avesse mai avuto? Ovviamente no. Quello era stato il primo posto in cui si fosse sentito davvero voluto. Quando era un ragazzino problematico che presto sarebbe stato troppo grande per un altro affidamento, i Gilmore l'avevano accolto. E amato.

    C'erano state così tante cose da amare in quel posto: la spiaggia con la sua dolce risacca, il silenzio quasi mistico del bosco di faggi, gli abbondanti pasti fatti in casa. Persino prendere un autobus per raggiungere la più vicina scuola superiore era stato divertente. Abituato a essere sballottato da una casa famiglia all'altra, Lucas non si era fatto illusioni ed era preparato a essere respinto per l'ennesima volta, ma i Gilmore, anche se piuttosto anziani, erano fatti di una pasta diversa dagli altri genitori affidatari e in lui avevano scorto qualcosa che nessun altro prima di loro era riuscito a vedere e deciso che valeva la pena tentare.

    Nonostante ciò, adesso non gli restava altro da fare che vendere la proprietà. Non c'era più nulla per lui in quel posto da quando Eric Gilmore era deceduto e a sua moglie era stata diagnosticata una forma di demenza che aveva richiesto cure specialistiche. Lucas aveva trovato la migliore casa di cura il più vicino al luogo in cui viveva e lavorava, a Sydney. Dopo cinque anni di ricovero, all'età di novantacinque anni anche Dorothy se n'era andata, appena sei settimane prima.

    Lucas aveva ereditato la proprietà. Vent'anni prima, quando era arrivato in quella casa, la zona era rurale, ma adesso era molto più semplice e veloce raggiungere Auckland, considerata da molti una delle città con la più alta qualità di vita al mondo.

    La sorpresa era stata scoprire l'esistenza di un lontano cugino. Brian Gilmore, un uomo sulla sessantina, era apparso per impugnare il testamento.

    «Eri solo un figlio affidatario» aveva affermato quest'ultimo. «Gli zii non ti hanno mai adottato formalmente, perciò non hai alcun diritto sull'eredità di famiglia.»

    Al contrario di Lucas, Brian non disdegnava affatto l'idea di una riqualificazione della proprietà, che implicava suddividere l'area e farne una mezza dozzina di proprietà più piccole, o un residence con vista sul mare e sulle isole del golfo. Avrebbero demolito la casa ed eliminato gran parte del bosco.

    Le finestre della cucina si affacciavano sul giardino che Dorothy aveva amato così tanto e più in là sull'orto che era stato l'orgoglio di Eric. Anche Lucas aveva contribuito alla sua cura; all'inizio aveva odiato farlo, tanto che una volta aveva dato fuoco al capanno degli attrezzi, ma non era bastato a convincere i suoi nuovi genitori che avevano fatto uno sbaglio prendendolo con loro.

    Quel ricordo acuì il senso di perdita e lui trasse un profondo respiro per riprendere il controllo delle emozioni. Dorothy ed Eric erano stati genitori straordinari e lui li aveva amati profondamente. Erano stati così orgogliosi di lui quando si era laureato in medicina! Abbiamo sempre saputo che eri speciale, avevano dichiarato.

    «Bella» commentò Mike guardandosi intorno nella cucina dal soffitto con le travi a vista e l'ampia dispensa alle spalle dei vecchi fornelli. Sul suo tablet annotò ogni dettaglio, incluso il nastro adesivo che ricopriva una grossa crepa nel vetro di una delle finestre. «È un bene che lei l'abbia lasciata ammobiliata. Alcuni mobili sembrano antichi.»

    «Credo che lo siano davvero» si disse d'accordo Lucas. «È una casa molto bella e merita di essere venduta a una famiglia che la amerà.» Come avevano fatto i Gilmore. «Non la venderò a nessuno che intenda demolirla.»

    Le affermazioni di Brian lo ferivano ancora. Forse Dorothy ed Eric non si erano resi conto dell'importanza di un'adozione formale. Gli avevano dato il loro cognome prima di iscriverlo alla nuova scuola, senza preoccuparsi degli aspetti burocratici. In ogni

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