L'incontro patafisico: Problemi reali e soluzioni immaginarie nell'opera di Enrico Baj
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Nel corso della trattazione vengono alla luce temi e problemi di grande complessità, ancor oggi dibattuti dalla critica, per i quali vengono proposte, in maniera originale e rigorosa, alcune possibili soluzioni.
Innanzitutto l’ interpretazione dell’opera di Alfred Jarry (la cui oscurità ha dato luogo, come per Kafka e altri autori del Novecento, a innumerevoli e infruttuosi tentativi di esegesi). L’autrice propone, in maniera originale nel panorama della critica, la chiave bergsoniana per l’accesso all’opera di Jarry e alla sua invenzione più rilevante: la Patafisica.
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Anteprima del libro
L'incontro patafisico - Irene dell'Orco
Artes
Irene Dell’Orco
L’incontro patafisico
Problemi reali e soluzioni immaginarie nell’opera di Enrico Baj
© 2017 Funambolo s. c.
Tutti i diritti riservati / All rights reserved
Funambolo s. c. – Rieti
www.funamboloedizioni.com
info@funamboloedizioni.com
ISBN 978-88-99233-18-1
PERCHÈ LA PATAFISICA
Uno studio non è soltanto un ritaglio nel grande ripostiglio del sapere per andare a ricavarsi uno spazio, magari in terreni poco frequentati, e piantarvi bandiere di possesso. Spesso è così, almeno in apparenza, nelle pratiche accademiche invalse. Ma uno studio è sempre anche un gesto significativo, direi di più: un gesto costitutivo. Andando a ritagliarsi quel preciso spazio e non un altro, lo studioso lo promuove ad argomento, lo segnala come degno e anzi indispensabile al disegno complessivo del sapere e del pensiero e al contempo lo restituisce alla presenza, ne rivendica l’attualità e lo rende esemplare, additandolo quindi in prospettiva futura. Farà titolo
, certamente, e punteggio secondo le normative di volta in volta vigenti per i concorsi, ma non sarà mai una scelta neutrale, quanto piuttosto una scommessa e un progetto, poiché dietro a ogni discorso su un singolo autore o un singolo tema c’è sempre, lo si voglia o no, che valga da conservazione o da scoperta è lo stesso, un progetto che prende posizione e ci invita a fare altrettanto.
Questo è vero in generale, ma è tanto più vero per questo lavoro di Irene Dell’Orco dedicato a Baj e alla Patafisica, che ha il merito indubbio di riaprire un capitolo della storia dell’arte (e non solo: anche della letteratura e della cultura) rimasto piuttosto inesplorato e negletto. Va bene che oggi è un po’ tutta la cultura a essere tenuta in non cale e non c’è da stupirsi che le forme più avanzate
scontino questa situazione deprimente con un sovrappiù di marginalizzazione. Ma proprio per ciò ancora maggior valore ha questo studio che rilegge e rilancia la Patafisica delineandone il percorso che parte dalla fondazione e prima proposizione nell’opera di Jarry e nelle opinioni
del suo alter-ego Dottor Faustroll, per arrivare all’arte contemporanea di Enrico Baj, validissimo adepto e prosecutore. Un rilancio che è anche un invito alla diffusione di una tendenza rimasta forse fin troppo chiusa nel piccolo cenacolo e quasi in una setta avendo, sia pure con intenzione parodistica e anti-rituale, il suo Collegio corredato di satrapi e di ordine onorifico della Giduglia; mentre mi sembra venuto il momento di una Patafisica aperta
, di una Patafisica di piazza
.
È importante riprenderla in mano la Patafisica, se non altro perché anticipa le avanguardie del Novecento; e le anticipa a partire da un significativo rovesciamento del simbolismo. Il simbolismo, così come si configura all’altezza del secondo Ottocento europeo e in particolare francese è il codice poetico della magia evocatrice, uno stile alto e immaginoso che sancisce la separazione della letteratura dal mondo profano con un’aura di misticismo, mentre con la stessa mossa conferma la sacralità dell’arte. Il linguaggio poetico simbolista è, sì, antiborghese, essendo per molti versi oscuro e semanticamente denso si distacca nettamente dal linguaggio volgarmente pratico, ma contesta l’ordine costituito solo fino a un certo punto, cioè con la nostalgia del privilegio perduto; quindi rimettendosi in capo una sorta di aureola, di distinzione sublime. È necessario un passo in più, che porti la contestazione dell’ideologia utilitaristica e mercantile fino alla dissipazione dello stesso valore artistico ereditato dalla tradizione. È proprio il percorso di Jarry che attraversa il simbolismo in un breve giro di anni, alla fine del secolo, passando da Haldernablou all’Ubu roi: e lo supera, appunto, attraverso i personaggi strampalati e dissonanti che invadono il luogo del Senso letterario con la maiuscola, dando fondo all’insensatezza. La Patafisica sarà il marchio di fabbrica della operazione di rovesciamento e di dissacrazione, una pseudoscienza o una parodia della scienza che però è anche una critica radicale dell’arte e della letteratura: la «scienza delle soluzioni immaginarie»!
Non è difficile riscontrare gli influssi sulle avanguardie successive: magari sotterranei nel caso del Futurismo perché Marinetti esce dal simbolismo da un altro lato, quello della magnificazione della tecnologia e della irruzione imperialista – e però il suo Roi Bombance è stretto parente dell’Ubu jarryano; sarà invece il Dadaismo, con i suoi manifesti-antimanifesti, la sua decisiva e incrollabile autoironia e autocancellazione il discendente più fedele alla Patafisica (soprattutto Duchamp); anche il surrealismo, procede in questa scia, anche se qualche pretesa di troppo riguardo alla rivoluzione dell’inconscio fa da freno all’ironia; e ancora interrelazioni ci sono con il gruppo dell’Oulipo e con alcune figure del Gruppo 63, come Giuliani e soprattutto Sanguineti. Dovunque l’avanguardia lavora a riformare l’immaginario collettivo, lo voglia o no, si ritrova nell’area esplorata dalla protoavanguardia patafisica.
Per una rilettura e rivalutazione di questo fenomeno, lo studio di Irene Dell’Orco è uno strumento molto utile. È uno studio preciso, assai accurato e competente, che nella ricostruzione dei rapporti dell’opera di Enrico Baj con l’antecedente di Jarry e con le enunciazioni della Patafisica, riesce a mostrare anche la consapevolezza teorica necessaria all’artista di avanguardia. Mentre l’artista ordinario può facilmente nascondere la scarsa originalità dietro l’incoscienza, per cui l’arte verrebbe giù dal cielo come un dono divino che non si sa e non si può spiegare, l’artista che mette in discussione il codice ricevuto ha bisogno di riflessione critica e deve ricollegarsi a quei fari
(per dirla con Baudelaire) che hanno aperto la strada. E dunque Baj non si limita a dipingere, ma ragiona e riflette, riprende le fila del discorso alternativo, collaborando per altro con gli scrittori, come Sanguineti.
Imagino ergo sum
, il motto di Baj, tocca un punto per noi oggi di scottante attualità. La lotta ideologica, la lotta per l’egemonia, direbbe Gramsci, si svolge ormai nell’interferenza e nelle intercapedini dell’immaginario-reale, negli investimenti (che sono pulsionali, ma altrettanto economici) dell’immaginario collettivo. Una lotta in cui non basta sostituire mito a mito, simbolo a simbolo, perché questo non cambia la crosta mitico-simbolica che ci avvolge e ci condiziona gravemente. Occorre una operazione igienica, decostruttiva, liberatoria, in cui ha importanza preponderante la chiave ironica; e giustamente, Irene Dell’Orco ha sottolineato il valore, nell’opera di Baj, dello humour e della demistificazione. Baj e Sanguineti, l’uno e l’altro, hanno brillantemente dimostrato che la soluzione immaginaria
può possedere un robusto spunto polemico-politico e risultare infine il contrario dell’evasione e del disimpegno. Gli omuncoli mostruosi di Baj, un po’ isterici e un po’ bolsi, colpiscono perentoriamente le gerarchie dominanti. Nell’epoca in cui i nostri leader carismatici assomigliano sempre più a degli Ubu degradati, è sempre più necessario provvedersi e attivare il vasto programma anti-connerie (in italiano: il programma anti-stronzi
) della Patafisica. Insomma, Patafisica come Patacritica.
Il libro di Irene Dell’Orco si intitola all’incontro, indicando in questo termine l’incidenza della esperienza del passato sulla produzione dell’artista contemporaneo. E indubbiamente l’incontro è indispensabile. Possiamo dimostrare razionalmente mille volte che l’arte e la letteratura odierne sono di bassa qualità, ma difficilmente queste lamentazioni raggiungeranno e convinceranno quei fruitori che accettano senza protestare il degrado culturale oggidiano. Perché ci sia risveglio è necessario l’incontro, cioè il contatto a sorpresa con quella indicazione, sia teorica o artistica è lo stesso, che improvvisamente spiazza e mostra a un’esigenza che sonnecchiava in noi, anche perché domanda ancora priva risposte, mostra, dicevo, che è possibile fare diversamente. Ecco, auguro a questo studio, che rappresenta indubbiamente una nuova apertura
della problematica che vi è indagata, di rappresentare un positivo e produttivo incontro con tanti destinatari che ancora non lo sanno, ma hanno un assoluto bisogno di Patafisica.
Francesco Muzzioli
Sommario
INTRODUZIONE 11
ALFRED JARRY E LA PATAFISICA 16
PATAFISICA NEL PENSIERO DI ENRICO BAJ 46
PATAFISICA NELL’OPERA DI ENRICO BAJ 67
INTRODUZIONE
Una trattazione, attraverso la quale si vogliano chiarire i profondi legami che intercorrono tra l’opera di Enrico Baj e quella di Alfred Jarry, e il ruolo cruciale che la Patafisica del secondo ha avuto nei confronti della vita e dell’arte del primo, non può che iniziare con le parole del suo stesso protagonista:
Dans le fond, dit Baj, mon grand type, c’est Alfred Jarry. Ah, Ah (rire de Baj). J’ai toutes ses oeuvres, c’est un gars formidable. Il a dit tout. Tout compris. Tu connais la réplique. À un gars qui crie: mort aux cons. Quelqu’un répond: Vaste programme. Jarry c’est cela. Un vaste programme anti-connerie. La démystification du fantoche. La redimension de on ne sait qui, qui se croit on ne sait quoi. Ah, Ah (rire de Baj). Tu n’as aucun idée du nombre des cons en liberté. Vaste programme. Ubu c’est le grand incarné¹.
Il grande programma di Jarry – lo si può dire senza alcun dubbio e d’altra parte lo scopo del discorso è proprio dimostrarlo – è stato largamente condiviso e interiorizzato dall’artista, il quale considera Jarry come «son père spirituel» e la Patafisica come «la bible de la peinture moderne»².
La ricezione di Jarry da parte di Enrico Baj non si limita al suo pensiero e alla sua visione del mondo, ma ha conseguenze importanti sul piano artistico, dal punto di vista sia tecnico che contenutistico.
Il loro rapporto è paragonabile a quello tra Marcel Duchamp e «uno dei patacessori
più geniali»³, Raymond Roussel, il quale, secondo il primo, «fa parte di un pantheon di intercessori artistici per i quali la ricerca di un art sec
e di una expression intellectuelle
si associa alla negazione di quella che l’alter ego di Rrose Sélavy chiama l’ expression animale
– rétinienne
– della pittura⁴. Il «procédé»⁵ e i temi propri di Roussel rappresentano una fonte di ispirazione fondamentale per Duchamp:
I saw at once that I could use Roussel as an influence. I felt that as a painter it was much better to be influenced by a writer than by another painter. And Roussel showed me the way. […] It was fundamentally Roussel who was responsible for my glass, la Mariée mise à nu par ses célibataires mêmes.⁶
Roussel è un patafisico – o meglio un «patacessore» – e lo stesso Duchamp – che ha assunto la carica di Trascendente Satrapo all’interno del Collège de ‘Pataphysique – sarà considerato come tale. Secondo Baj d’altra parte, Jarry, rivelatore della Patafisica, è il «predecessore più autentico, e forse addirittura il pioniere del Dada e del Surrealismo»⁷ e non solo in quanto inventore del moderno collage:
Nei tempi moderni anche il collage ha origini letterarie. Alfred Jarry era solito, nella redazione dei suoi testi, introdurre frammenti di