Giacomo Leopardi Filosofo o poeta: Saggio e antologia a cura di Paolo Montanari
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L’Autore: Giacomo Leopardi è ritenuto il maggior poeta dell'Ottocento italiano e una delle più importanti figure della letteratura mondiale; il poeta recanatese, inoltre, è uno dei massimi esponenti del romanticismo letterario. La profondità delle sue speculazioni sulla condizione umana, e sulla esistenza stessa, ne fa un filosofo di spessore, e il dibattito tra Leopardi filosofo o poeta ha acceso gli animi della critica da ormai due secoli. La sua opera complessiva ha una ricaduta che va molto oltre la sua epoca, e lo ha reso un protagonista centrale nel panorama letterario e culturale europeo e internazionale. La straordinaria qualità lirica della sua poesia lo ha consacrato all’Olimpo eterno degli autori più famosi.
Il curatore: Paolo Montanari è nato a Pesaro, dove vive e lavora. Giornalista pubblicista, è membro di varie giurie letterarie e da 25 anni è operatore culturale; in collaborazione con la Società Operaia di Mutuo Soccorso di Pesaro organizza incontri di vari interessi culturali. Ha tenuto seminari presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione sul cinema, in particolare sui registi Rossellini e Olmi. A sua cura un importante convegno, sempre a Pesaro, su Pier Paolo Pasolini. Dal 2019 a oggi, sta tenendo un ciclo di conferenze in varie città su Leonardo, Raffaello e Leopardi. Ha curato per la Mauna Kea Edizioni la edizione ad Alta Leggibilità di “Uno, Nessuno e Centomila” di Luigi Pirandello.
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Anteprima del libro
Giacomo Leopardi Filosofo o poeta - Paolo Montanari
978-88-94486-57-5
LEOPARDI POETA O FILOSOFO?
Saggio critico e scelta antologica di Paolo Montanari
Leopardi e la luce poetica e filosofica
Leopardi è, dopo Dante, l’unico grande autore, nella storia della letteratura italiana, che riunisce in sé la fantasia vertiginosa del poeta e la profondità speculativa del filosofo. La dicotomia fra poesia e filosofia percorre tutta la vasta opera leopardiana. Anche nella scelta antologica che segue il mio saggio, ho tenuto conto ovviamente di questi due binari che, come parallele infinite, delimitano il pensiero di Leopardi. Ormai da tempo la critica è concorde nel ritenere che il pensiero di Leopardi sia autonomo e filosofico. Ma bisogna comprendere il rapporto fra l’autonomia (poetica) e la filosofia.
Due sono le fasi leopardiane da prendere in esame: la prima, che va dal 1820 al 1821, è caratterizzata dalla contrapposizione fra immaginazione e ragione; costituisce una coppia di opposizione che da un punto di vista valoriale comprende il naturale (il positivo) che si contrappone al negativo, e storicamente la distinzione si sposta fra la condizione originaria (felicità) e la civilizzazione (infelicità). Da qui, l’immaginazione si identifica con la poesia, e la ragione con la filosofia. L’immaginazione trova nella Natura il significato di antico e di poesia autentica, e nella ragione la modernità (filosofia), con l’allontanamento dalla vita. Nasce il primo concetto leopardiano di illusione che solo la poesia può dare, con l’adesione al bene comune. La filosofia è invece la critica delle illusioni. Nella seconda fase, dal settembre 1821, in particolare nella maestosa opera dello Zibaldone
(1810-1830), si può vedere come prima il giovane e poi il maturo Leopardi opera in un cantiere aperto, dove il pensiero è in movimento, e questo si riscontra nella scrittura. Già in alcune riflessioni Leopardi riconosce un valore conoscitivo e una immagine collegati fra cose distanti. Qui non vi è in lui la distinzione fra filosofo e poeta, ma la identificazione in un uomo che da un’altura guarda il paesaggio, ed è capace di riconoscere relazioni non visibili dal basso. Un’immagine che più tardi piacerà a Nietzsche. È l’immaginazione (poesia) che coglie relazioni fra cose distanti. Ma anche la filosofia giunge a questo traguardo. E, infatti, in una nota dello Zibaldone
, Leopardi scrive «sono solo le circostanze a fare un poeta o un filosofo».
Sia nello scritto di Sergio Givone, Il Pensiero Pensa l’Impensato
, sia nel saggio di Alberto Folin Sott’Altra luce. Leopardi nel Pensiero del 1900
, di Anterem Edizioni, 2009 (nota 1 a pag.133), si evidenzia come i critici Benedetto Croce e Francesco De Sanctis abbiano disconosciuto la portata filosofica dell’opera leopardiana, a differenza di un filosofo contemporaneo, Emanuele Severino, che riconosce in Leopardi, se non esattamente un filosofo, perlomeno il più profondo e inquietante interlocutore aperto al pensiero moderno. Leopardi ha fatto sue le idee illuministiche basate sulla dea Ragione. Scrive Givone: «Per Leopardi, in questione non è tanto la luce come principio che restituisce le cose al loro ordine, quanto il principio in base al quale le cose vengono alla luce». Da qui la poesia, che dal silenzio diviene luce e trasforma la parola in canto, il logos in melos. Ha osservato Leopardi che la luna e il sole per manifestarsi vogliono «una campagna vasta e aprica» e «un cielo aperto», per cercare nuovi spazi di abitabilità per l’uomo. Una luce che può essere interiore e, secondo Heidegger, «lasciare giocare la luminosità con l’oscurità». Una luce, quella leopardiana, che lascia apparire nel suo riverbero ciò che si nasconde.
Un gioco chiaroscurale fra sentimento e ragione, passione e dramma che si ritrova nelle opere di Caravaggio e nel melodramma rossiniano (La donna del lago
). L’io originario viene innalzato in un cielo che può perdersi e ritrovarsi. Una riflessione da vero pensatore
, secondo la definizione di Nietzsche, che rimase affascinato dall’interpretazione leopardiana del nulla in quanto nulla. E lo stesso Nietzsche diviene, infatti, un poeta cosmico, e ancor prima di lui, Giordano Bruno. Fra le opere che evidenziano il rapporto fra Leopardi e Nietzsche, vi è la vivace rappresentazione teatrale Dialogo fra Giacomo Leopardi e Federico Nietzsche
, un dialogo fra i due del regista Donato Mori.
Il rapporto di Leopardi con la filosofia moderna, la teologia e la scienza
Non a caso, Leopardi è stato molto amato dai grandi filosofi europei, e può essere accostato a Schopenhauer nell’ambito di quello che può essere definito un pensiero negativo. Ed è sempre nello Zibaldone
che evidenzia questo aspetto: «Il principio delle cose, e di Dio stesso, è il nulla». Un concetto che nel secolo breve
sarà ripreso da Sartre e diventerà la bandiera dell’esistenzialismo francese. Il nulla in Leopardi si sviluppa attraverso il silenzio, una metafora così evidente nel Cantico del Gallo Silvestre
(antologia 1 a pag. 41) e in La Sera del Dì di Festa
(antologia 2 a pag.47). E vi è anche un altro riferimento, quello teologico: il nulla per Leopardi è il principio, l’incipit giovanneo dell’Apocalisse? Qui si aprono nuovi orizzonti interpretativi che sconfinano dalla nostra riflessione.
Infatti, dobbiamo tener sempre presente la dicotomia iniziale fra poesia e ragione (filosofia) — melos e logos, quindi il nulla che è anche la fine. E’ «abisso orrido, immenso» in cui tutto si perde. Una visione dantesca dell’Inferno, di cui Leopardi è stato un profondo lettore. Ma questo sprofondamento nasconde la dialettica iniziale fra immaginazione e ragione, e risuona l’eco dell’insondabile mistero dell’essere.
Cita Leopardi in Pensieri, XXVII:
«Il genere umano e, dal solo individuo in fuori, qualunque minima porzione di esso, si divide in due parti: gli uni usano prepotenza, e gli altri la soffrono.
Né legge né forza alcuna, né progresso di filosofia né di civiltà potendo impedire che uomo nato o da nascere non sia o degli uni o degli altri, resta che chi può eleggere, elegga. Vero è che non tutti possono, né sempre».
L’essere poco
filosofo in Leopardi svilupperà un incanto e disinganno, per un intellettuale moderno come lui che, pur relegato nel borgo selvaggio, è affascinato dalla bellezza delle cose, in particolare dalla Natura che alla fine della sua esistenza diventerà matrigna. Infatti, se all’inizio vi è l’illusione, a poco a poco questa metafora scompare, e appaiono le disillusioni di fronte al comportamento della natura nei confronti dei suoi figli (antologia 3 a pag.51).
Nell’ultimo Leopardi de La Ginestra
, una sorta di filosofia sociale appena accennata ma sofferta, vi è un appello agli uomini a unirsi (antologia 4 a pag.53). Si tratta di una sorta di testamento lirico - filosofico, il più lungo dei Canti, con uno stile vario e che intreccia in modo inestricabile toni diversi: quelli infuocati della polemica, quelli sublimi della contemplazione — che produce ragionamento, e quelli più dolci del dialogo lirico. In uno spazio simbolico creato dal poeta, la strofa iniziale è in attesa, in maniera sarcastica, di irridere i falsi idoli del progresso umano. Nella seconda strofa il poeta definisce sciocco l’Ottocento e lo accusa di aver rifiutato le verità del pensiero razionalista. Nella terza strofa c’è un richiamo alla solidarietà sociale nel guardare la miseria umana di cui è responsabile la natura.
Una infelicità umana che si allarga e diventa metaforica nelle ultime strofe. Il simbolo del vulcano Vesuvio, con la sua potenzialità distruttiva, viene raffrontato fra il tempo umano e i grandi cicli naturali, che in un moto lentissimo ma continuo, travolgono ogni cosa. Infine la ginestra, fiore poetico, diviene di nuovo protagonista umile e coraggioso in una resistenza di fronte