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Viviana
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E-book98 pagine1 ora

Viviana

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La Viviana che dà il titolo al romanzo di Alfredo Guarino è una protagonista dalle mille sfaccettature, che con la sua presenza arricchisce le vicende raccontate. È un personaggio che cresce grazie alle sue scelte controverse, alle vicissitudini che si trova ad affrontare e alle sofferenze che sembrano venire sempre dopo ogni piccola gioia. A far da sfondo, profumi e pietanze che seguono il flusso dei luoghi in cui Viviana si ritrova a vivere, rendendo così la sinestesia protagonista di queste pagine ricche di sentimenti forti e travolgenti, di cenni di storia umana e universale, di disavventure ma anche di soddisfazioni. Viviana è al centro di un racconto dai contorni orientaleggianti, che spesso invadono l’essenza stessa delle vicende raccontate, per poi ritirarsi di nuovo e lasciare spazio a un contesto più intimo e famigliare.

Alfredo Guarino, avvocato penalista e civilista, già docente universitario, ha pubblicato Racconti saporosi (ed. Il filo di Arianna) e, in ambito poetico, Trucioli d’amore, di vita (ed. Montedit), Foglie di pensato (ed. Giaconi), Parole in giuoco (ed. Aletti), Chicchi di poesia (ed. Aletti), Amor carnale amor spirituale (ed. Aletti). Ha vinto il primo premio ASAS con il racconto La giornata di don Carmelo Schirinò, al concorso “Il viaggio” a San Miniato con il racconto Greta, al concorso “Giovanni Pastocchi” a Potenza Picena con la poesia Lo spazio del brillio, al concorso “Racconti corsari” con il racconto L’uomo chiamato Ragù, al concorso “Dostoevskij” con il volume Amor carnale amor spirituale. Inoltre, si è aggiudicato il premio speciale della giuria a Capri al concorso “Pabro Neruda” con il volume Chicchi di poesia e il premio speciale della giuria ad Ascoli Piceno con la poesia Una mano trafigge il dolore.
LinguaItaliano
Data di uscita31 dic 2022
ISBN9788830675322
Viviana

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    Anteprima del libro

    Viviana - Alfredo Guarino

    (1)

    Il santino di Suor Bernadette

    All’Hosteria del Bel Cagnan, poco prima di ponte Dante, Viviana, madida di sudore, stava asciugando la fronte con l’avambraccio, dopo aver sparecchiato il tavolone di legno; avevano fatto un gran baccano, lasciando, accanto ai piatti sporchi, pezzi e molliche di pane, con rivoli di vino cabernet sversato dalla caraffa sulla tovaglia. Nella tasca del largo grembiule sfiorò con le dita della mano destra il santino di Sainte Colette, cui si rivolgeva nei momenti più difficili. Le era stato regalato da Suor Bernadette.

    (2)

    Nel convento delle clarisse colettine

    Chiuse gli occhi e sospirò. In pochi attimi ripensò alla sua vita. Il letto, che sembrava morbido, era ricoperto da una coperta di lana grezza. Caraffe grandi ed il latte caldo col pane appena uscito dal forno. Studio e preghiera, preghiera e studio, poi i rosari per celebrare i misteri dolorosi, i misteri gaudiosi e i misteri gloriosi. Lavori di pulizia e di uncinetto. Nell’orto a zappare, raspare, innaffiare e cogliere. Calzettoni ai piedi, sandali e vestiti semplici e smunti, gonne lunghe e camicette attillate. Gli sprazzi di luce alle finestre, il profumo dell’aria della libertà, i giochi con le compagne nel cortile, le ore in cucina a preparare i confetti per matrimoni e feste, quando una mangiata restava poi per loro le orfanelle e le trovatelle. Risi e bisi e pasta e fagioli più volte alla settimana, a pranzo, brodino di gallina a cena e pollastrello del campo di Giacomino la domenica. Vi erano due giorni speciali ogni anno: quando veniva in visita il vescovo, accolto dopo i canti e la messa con polenta e osei, e quando giungeva il dodici agosto, il giorno di Santa Chiara, che la Madre Superiora singolarmente voleva festeggiare con bigoli al sugo d’anatra, rispettando, diceva, la costituzione apostolica «Supra Montem» del Papa Nicolò IV. Nelle festività solenni era consentito, diceva, ai francescani e alle clarisse mangiare quel che mangiano i comuni mortali. Quando incontrava le orfanelle Lucia e Simonetta, che erano incuriosite di come osservasse il cammino dei ragni, proponeva una corsa, una raccolta di mughetti o di andare da Suor Bernadette. Quella che più amavano. «Andiamo a trovarla?», chiedeva e le altre annuivano, contente. La più simpatica. Una storia misteriosa l’avvolgeva. Si bisbigliava di lei e si diceva che in Francia era entrata nell’Ordine, dopo aver accoltellato il marito violento. Qualcuna mormorava di aver sentito che era morto. «No, è solo una diceria» altre rispondevano «forse una supposizione». Quel che era certo – nessuno lo contestava – è che l’uomo era stato rinvenuto in una pozza di sangue e lei – chissà come si chiamava – era corsa via disperata, trovando rifugio in un convento di clarisse colettine. Era stata costretta – poverina – a recitare per un mese il rosario inginocchiata su una pietra. Per ordine della badessa, perché, originaria di Cognac, nella sua cella era stata scoperta una bottiglia di cognac.

    (3)

    Suor Bernadette

    «Che fai? non vieni?» sorrideva Lucilia, muovendo il viso in direzione della porta. Simonetta, sorniona, in silenzio, armeggiava con la cintura di pezza tra le mani. «Dai, Suor Bernadette è nell’orto». Viviana si convinse, non per le magdalenes, che preparava in cucina e offriva alle ragazze, specialmente a quelle che si incantavano ai suoi racconti. Alle letture di Sant’Agostino e Tertulliano, San Tommaso e Sant’Ilario di Poitiers, preferivano i romanzi cavallereschi, specialmente quelli delle gesta di Orlando e del Campeador, che Suor Bernadette narrava con dolce fervore. Faceva vivere, nei suoi racconti, il teatro di Marivaux, quando recitava i passi del Préjugé vaincu e del Le Jeu de l’amour et du hasard, sottolineando i caratteri nascosti e sorprendenti del sentimento amoroso. Le ragazze erano rapite dal tono della sua voce ed eccitate dai temi che proponeva. Conosceva De Musset e Balzac e, di nascosto, per non farsi sorprendere, accennava segretamente a qualche passo del proibito Stendhal. Quelle letture, quei ricordi, quei dipinti di vita, le proiettavano in altri mondi, fuori dalle mura del convento, facevano viaggiare la fantasia e l’immaginazione, aprivano le tende di prosceni così reali da apparire irreali, lì dentro.

    (4)

    Il ricordo di Roma e Parigi

    Quello era un pomeriggio di maggio e Suor Bernadette nel giardino sedeva, con i piedi incrociati, sul dondolo di legno, essenziale e sguarnito, di tipo amish, dietro l’albero di carpino bianco, all’ombra dei glicini lilla rampicanti. Era lì che si abbandonava a confidenze e licenze. Salutò con un sorriso le giovanette. «Avete letto e sentito la storia di Roma? La conoscete?» «No» risposero Viviana e Simonetta. Lucilia aggiunse «No, ma mio cugino Eraldo è stato a servizio dei duchi di Serracapriola, ne parlava sempre» «È una gran bella città, che ho visto una sola volta – sospirò Suor Bernadette –: chiese meravigliose ma anche grandi piazze e strade animate, con botteghe di ogni genere e trattorie, dove a sera si canta e si beve, vino semplice e schietto, non quello di Parigi». Pronunziò lentamente «Pa – ri – gi» e sospirò a lungo, a fondo, iniziando poi a narrare di teatri, concerti, spettacoli, feste, balli, corse in carrozza al Bois de Boulogne, passeggiate al Jardin du Luxembourg, soste ai cafès della rinomata petite pâtisserie, cammini in carrozza agli Champs Elysees, regate nella Senna di canottieri atletici e robusti. Un nuovo profondo sospiro. «Basta, basta, è ora di tornare» e si alzò dal dondolo, commossa mentre una lacrima si affacciava sulla pelle ancora tersa e soda del viso.

    (5)

    Le

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