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Fiocchi di luce
Fiocchi di luce
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E-book175 pagine2 ore

Fiocchi di luce

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Info su questo ebook

Il cuore di Vittoria è tutto qui dentro: alle volte sembra esplodere, altre si ripiega su se stesso in cerca di conforto e certezze. È un cuore carico di emozioni, di ricordi d’infanzia e d’amore per i suoi cari. Vittoria è una donna con le radici saldamente attaccate alla sua terra e questo le conferisce la capacità di valorizzare l’ambiente che la circonda, osservando un rispetto assoluto per ciò che con tanto amore ci è stato donato.
Vittoria Dal Santo ci regala una serie di racconti divisi in due parti: la prima, più intimista, volge lo sguardo alla gestione delle emozioni come in Insieme la sconfiggeremo, oppure La vita continua… all’ombra del virus; si abbandona ai ricordi cari d’infanzia con punte di malinconia in Cara Locara e La pasta fatta in casa. Nella seconda parte una voce narrante racconta storie diverse, di mondi lontani e scomparsi, e infine, per i più piccini, La fiaba delle quattro ochette ispirata ai suoi quattro nipoti.
La preoccupazione dell’Autrice verso gli eventi odierni, la pandemia che imperversa pericolosa e inarrestabile, è viva e presente in molti suoi momenti, il pensiero rivolto al suo compagno di vita, fragile e consapevole del suo stato, la rende insicura e a volte incapace di gestire l’attimo.
Gli splendidi affreschi dai toni pacati e limpidi della sua campagna accompagnano un lirismo narrativo evocativo, caldo e avvolgente, pronto ad accogliere il lettore e accompagnarlo tra le pieghe dell’anima della nostra bravissima Autrice.

Vittorina Dal Santo è nata nel 1944 a Lonigo (vi) dove tuttora risiede. Insegnante di Lettere, ha cercato di conciliare gli impegni della sua professione con quelli della famiglia e con numerosi incarichi nell’Amministrazione Comunale. Ha pubblicato il suo primo libro Il mondo di Vittoria nel 2005, il secondo Quando il cuore batte nel 2008, il terzo Viaggiando tra i ricordi nel 2010, il quarto Il figlio del deserto nel 2012. È risultata tra le vincitrici del concorso nazionale della città di Torino nel 2008 e ha ottenuto il diploma d’onore nel Concorso Internazionale della città di Lendinara nel 2009. È sempre fedele al motto “Carpe diem” e per questo la sua vita è ricca di emozioni ed esperienze sempre nuove. 
Vittorina è coniugata, ha tre figli e quattro nipoti, spesso citati nei suoi racconti. 
Dal 1980 è stata impegnata presso l’Amministrazione Comunale di Lonigo come capo-gruppo Lista Verde, poi Assessore all’Ecologia e al Bilancio e ancora come Consigliere comunale. 
Ora è in pensione e le piace scrivere, viaggiare e impegnarsi come responsabile del Coordinamento Donne dello s.p.i. di Lonigo, organizzando convegni e mostre a carattere didattico con il coinvolgimento delle Scuole locali.
LinguaItaliano
Data di uscita28 feb 2022
ISBN9788830658912
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    Anteprima del libro

    Fiocchi di luce - Vittoria Dal Santo

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    Vittoria Dal Santo

    Fiocchi di luce

    © 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-5126-5

    I edizione febbraio 2022

    Finito di stampare nel mese di febbraio 2022

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Fiocchi di luce

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Nota dell’Autrice

    La vita umana è un percorso misterioso, i gradini a volte sanno di profumo di rose e gigli, altri sono infidi e pericolosi, da lasciare una ferita profonda nel cuore. Ma quando l’abisso sta per afferrarti, l’anima si trasforma in una bianca colomba, sfugge alle ombre nere della morte, si libra alta nel cielo, s’immerge nella coppa della speranza, poi, ancora bagnata, si cala tra i mortali e lenisce le loro ferite. Così volo nel mondo infantile della magia, sfioro quello misterioso dell’aldilà, poi mi tuffo nell’avventura per strapparmi dal cuore i rovi pungenti, che l’hanno fatto sanguinare.

    Prima Parte

    Cara locara

    Sono nata nel febbraio del 1944, di notte, durante una infernale bufera di neve tanto che la cara Giovanna, la comare di Locara, fece fatica ad arrivare in tempo prima che nascessi da sola e di quel parto ne andò sempre fiera.

    La mia casa era a 200 metri dalla stazione ferroviaria, Pippo sorvolava il nostro cielo e, appena scorgeva delle luci notturne, sganciava i suoi regali micidiali: le bombe!

    Mia madre, per allattarmi, si nascondeva sotto una coperta alla luce fievole della candela, per non farsi scorgere.

    Io sono una delle poche bambine fortunate, perché due volte fui salvata in modo miracoloso e mio padre, durante il filò nella piccola stalla, con un tono commosso e triste, mi ricordava spesso quegli avvenimenti.

    La prima volta fu in una giornata primaverile: io facevo i primi passi dentro il girello, un lungo parallelepipedo di aste di legno pesante, sicuro, tanto che noi bambini ci stancavamo ad andare avanti indietro dentro quella gabbia, ma fu proprio grazie a quel sostegno e alle braccia enormi del mio noce che mi trovarono ancora incolume, quando Pippo sganciò la bomba sulla stazione.

    Il boato fu talmente forte da spalancare la porta della cucina, che dava direttamente sul cortile e distrusse il cancelletto di legno che serviva per impedire alle galline e agli altri animali domestici di entrare in casa.

    Il mio volo si fermò accanto all’enorme pianta e fui subito afferrata da mia madre, incredula e confusa nel vedere le mie braccine agitarsi felici, ignare del pericolo appena scampato.

    Mio padre accarezzò quella pianta preziosa e non volle che fosse tagliata, neppure quando le noci erano rare e ammalate. A lei doveva tanta riconoscenza.

    La seconda volta accadde in piena estate. Era di pomeriggio, quando i vicini percepirono uno strano senso di pericolo imminente. Alcuni si rifugiarono insieme nella stalla vicina, dove poi la piccola Domitilla, di due anni, cadde a terra dalla scossa dell’ennesima bomba e fu una delle tante vittime di quell’assurda strage di innocenti.

    A mio padre venne in mente un altro rifugio: ci precipitammo di corsa dentro il tombino, che passa sotto la strada e da lì, senza respirare, guardavamo le schegge che sfioravano l’acqua del ruscello quasi a colpirci, stringendoci stretti per creare un muro umano capace di respingere i frammenti di quella piovra mortale.

    A Locara devo la mia prima infanzia trascorsa con i fratellini all’asilo delle Suore Orsoline, dove ho appreso l’

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    della vita, i primi insegnamenti attraverso gli esempi dei grandi, i giochi con la palla e con la lunga corda, che bisognava saltare mentre a turno due bambini la facevano ruotare a ritmo regolare. Anche i compiti li svolgevo all’asilo; esso per me era il mio rifugio sereno, dove i grandi aiutavano i piccini nelle divisioni con due cifre, così a scuola eravamo tra i primi. Beati con poco, i sogni invece erano sempre nuovi e accanto a loro i grandi ideali.

    Io volevo essere una dottoressa volontaria nelle missioni africane, che si innamorava del bel dottore come vedevo nei film. Perché no? Ero tanto felice anche se, man mano che crescevo, mi accorgevo sulla mia pelle che i risultati bisognava sudarseli, specialmente durante il periodo delle Magistrali a San Bonifacio.

    Non avevo nessun parente che mi potesse aiutare, anzi io lasciavo copiare volentieri i compiti di latino e matematica nella saletta d’attesa della stazione, dove ci trovavamo un po’ prima, per stare al caldo e aiutarci in attesa che il treno arrivasse. Per me, anche quella era casa mia: da piccola disegnavo la carampana e giocavo con la sgaia, poi al bar della stazione i primi romanzi televisivi serali, come Jane Eyre o quelli nel pomeriggio domenicale dopo Dottrina, la serie di Rin Tin Tin, nella saletta di don Antonio. Chi arrivava in ritardo si sedeva sul davanzale della finestra e partecipava attivamente con urla e battimani all’arrivo della Cavalleria americana, tanto che non si capivano le battute, ma il senso dell’avvenimento sì. Quei luoghi io li conosco palmo a palmo, dalla capanna di Marzotto, dove tendevo l’uva al negozietto di alimentari, da Tognetti, dove trovavo le marmore di terracotta e i marmoroni di cristallo o meglio… di vetro. Quante volte giocavo sull’erba con le biglie e quanti litigi, perché i ragazzi scappavano appena ne vincevano un bel po’. La stazione di Locara mi ha accompagnata anche da moglie e madre, mentre frequentavo l’Università a Padova. Il cuore mi batteva per l’emozione degli esami e per la voglia di ritornare a casa con qualche regalino, comprato ai Magazzini Upim.

    Spesso si trattava di maglioncini e calze lunghe per le mie due bambine, che aspettavano la mamma al distributore del padre. Tutto era una festa e una gioia nel fare le sorprese con pochi soldi.

    La mia collana preferita era quella di legno, costata 1.000 lire, e anche oggi è il mio portafortuna. Ora, quando vi ritorno, cerco nelle persone cresciute in età come me, gli occhi vispi e ingenui di quei bambini, che io conservo sempre nel mio cuore. Esse, quasi inconsciamente, mi sorridono, ma non sanno quanto io le senta vicine e come la loro amicizia mi sia stata cara nei momenti più importanti della vita.

    Locara è stato il mio pane quotidiano: dalle sue bellezze naturali e umane, dal suo calore e dai suoi eterni valori io ho appreso a camminare con i piedi per terra e, nello stesso tempo, a sentirmi come una farfalla, libera di volare in alto… fino ad accarezzare le aquile nel cielo.

    Ho un segreto: nessuno mi può rovinare i dolci ricordi dove sono presenti i miei genitori, i miei fratelli, i miei cari amici, molti dei quali ora scomparsi.

    Io li rivedo tutti appena sfioro via Trassegno, ovvero le Basse di sopra, dove sono nata e le Basse di sotto, dove correvo sui campi con i piedini scalzi in mezzo ai gambi taglienti del granoturco.

    La bambina che è in me li cerca ancora, poi si asciuga una lacrima e ringrazia Dio per quante gioie le ha dato.

    Grazie, cara Locara.

    La pasta fatta in casa

    Con l’arrivo dell’estate, i bambini potevano restare tutto il giorno fuori, a giocare. Le scuole erano finite e, mentre i grandi andavano nel campo a raccogliere il fieno già secco o a tagliare col falcetto le barbabietole ammucchiate sul campo, i ragazzini si custodivano tra di loro trovando sempre il modo di far la pace prima che ritornassero i genitori, altrimenti erano guai per tutti.

    Quel mattino fu speciale. A me venne una brillante idea, condivisa subito dal gruppetto.

    «Non è giusto che la mamma spenda un sacco di soldi per comperare i garibaldini (i ditaloni) per il minestrone, quando li posso fare anch’io!».

    Sarebbe bastato prendere molta argilla dalla riva del fosso lì vicino, lavorarla ben bene, fare dei lunghi rotoli e tagliarli a pezzetti, come faceva la mamma.

    «Una volta seccati al sole, saranno ottimi nel minestrone», dissi con tono serio e convincente. Tutti si misero al lavoro e accanto alla pietra, che copriva il tombino, dove sotto la strada scorreva il piccolo ruscello tanto caro, perché mi aveva salvata durante un bombardamento assieme alla mia famiglia, fu un via vai di piccoli operai nel duro lavoro a catena.

    Verso le undici tornò mia madre dai campi, in bicicletta, mi chiamò e mi raccomandò di stare attenta ai fratellini, mentre lei andava a prendere la pasta per il minestrone.

    «Certo, mamma, va’ tranquilla».

    Infatti, appena la vidi sparire all’orizzonte, chiamai il gruppo orgoglioso del grande lavoro fatto, scoperchiai la pentola e… nel massimo silenzio e stupore di tutti, versai adagio, adagio, i miei maccheroni di argilla, dopo aver controllato che fossero ben asciutti.

    Chissà cosa avrebbe comprato la mamma con i soldi risparmiati, magari ci avrebbe dato la mancia per il cinema. Altro che mancia!

    La mamma tirò fuori in fretta la pasta, ma prima di versarla nella pentola, pensò bene di dare una mescolata al minestrone che stava bollendo profumatamente. Gira e gira e cosa vede?

    Dal fondo della pentola sale e poi scende una poltiglia marrone simile al fango.

    Ha paura di non sentirsi bene, ma quando si riprende, getta un urlo che

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