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Dieci pizze
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Dieci pizze
E-book331 pagine3 ore

Dieci pizze

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Info su questo ebook

Donnie e Charlie, trentenni italiani emigrati a Budapest, hanno bevuto troppo la sera precedente, e al risveglio si trovano a dover risolvere una serie di grattacapi.
Perché uno indossa i jeans dell’altro? Che ci fanno nel loro appartamento Judit, una loro collega in procinto di sposarsi, e un’emerita sconosciuta? Cos’hanno esattamente combinato la sera prima? E, soprattutto, chi diavolo è stato a ordinare dieci pizze?
Marco Dolcinelli, autore di “La vita è un tiro da tre punti”, con “Dieci Pizze” abbandona il campetto da basket per dipingere un quadro, ironico e pungente, della vita da trentenni in una capitale europea. I protagonisti, ancora in preda ai postumi della sbronza, si ritrovano infatti a sbrogliare le matasse della loro caotica esistenza, tra un ufficio al limite del surreale e relazioni d’amore e d’amicizia spesso difficili da mantenere.
LinguaItaliano
Data di uscita12 apr 2023
ISBN9791280980045
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    Anteprima del libro

    Dieci pizze - Marco Dolcinelli

    frontespizioNDE

    I edizione digitale: aprile 2023

    © tutti i diritti riservati

    Nativi Digitali Edizioni snc

    Via Francesco Primaticcio 10/2, Bologna

    ISBN: 979-12-80980-04-5

    www.natividigitaliedizioni.it

    info@natividigitaliedizioni.it

    LogoFb     logoTw     logoPt    instagram

    Dello stesso autore:

    La vita è un tiro da tre punti

    Pagina Autore su Facebook: Marco Dolcinelli

    Copertina: Nativi Digitali Edizioni snc & MidjourneyA 

    (con questo prompt: a stack of ten pizza boxes, no writings, cartoonish, ar 3:4

    A Massimo, Sara B. e Sara G.

    Capitolo 1

    Non sappiamo cosa sia successo

    Il campanello di casa.

    Così, all'improvviso, spazzando via il meraviglioso silenzio che regnava nell'appartamento.

    Donny aprì gli occhi e la luce della plafoniera lo colpì a tradimento. Primi due stimoli sensoriali della giornata, e già due bestemmie.

    Si alzò dal divano usando tutta la forza che aveva nelle braccia. Si sentiva come se qualcuno l'avesse inchiodato ai cuscini.

    Al quarto tentativo riuscì a mettersi in piedi, ma il campanello suonò di nuovo e lui cadde sul pavimento come un animale morto. La caviglia aveva ceduto non appena aveva appoggiato il piede per terra.

    Si rotolò sul pavimento soffocando altri pensieri blasfemi e si trascinò lentamente verso la porta. Si alzò aggrappandosi alla maniglia e aprì.

    Il fattorino lo guardò male, sbuffò e scosse la testa.

    «Pizza delivery» disse subito mostrando la borsa termica rossa.

    «Oh, certo» rispose subito Donny. «Quanto ti devo?»

    «Venticinquemila fiorini.»

    «Come, scusa?»

    «Avete ordinato dieci pizze.»

    Donny aprì la bocca per protestare, ma l'unico segnale che arrivò dal suo cervello fu una fitta tremenda che bloccò la sua espressione in una smorfia di dolore.

    «Fammi prendere il portafogli.»

    Il ragazzo si guardò in giro, ma gli sembrò tutto così bizzarro e diverso dal solito, come se quella non fosse neanche casa sua. Respirò a fondo e appoggiò le mani sui fianchi, esausto. Con il mignolo venne a contatto con uno strano rigonfiamento nella tasca sinistra. Alzò il braccio, e si rese conto che stava indossando dei jeans molto stretti che di sicuro non erano suoi.

    «Quello sembra il tuo portafogli» commentò il fattorino sempre più spazientito.

    «Non ne sarei così sicuro.»

    «Certo, ma sono sempre venticinquemila fiorini.»

    Donny tirò fuori il portafogli e pregò sottovoce che ci fossero davvero dei soldi. Vide la patente di Charlie e pensò di essere fregato ma, contro ogni previsione, trovò anche tre banconote da diecimila fiorini.

    «Scusa la domanda» disse mentre porgeva il denaro «ma per quale pizzeria lavori?»

    Al fattorino scappò da ridere e mostrò il primo sorriso di quella conversazione.

    «Non lo sai?» domandò.

    «Perdonami, ma mi sono appena svegliato e fino adesso è stata una mattina molto difficile» rispose Donny.

    L'altro guardò l'orologio e fece una smorfia.

    «Sono le tre del pomeriggio, in realtà.»

    «Le tre del pomeriggio? Sicuro?»

    «Sì, abbastanza sicuro. Ecco qua.»

    Il fattorino tirò fuori dalla borsa dieci cartoni rossi, mise il resto e un listino in cima alla pila e porse tutto a Donny. Il ragazzo prese le pizze, salutò, chiuse la porta con il piede sano e andò ad appoggiare le scatole sul tavolo della cucina, rischiando di stramazzare di nuovo per terra.

    Afferrò una sedia, infine si sedette e rimase a fissare quella torre ancora fumante.

    «Ma come le tre del pomeriggio...» sussurrò massaggiandosi una tempia.

    Si tastò le tasche per vedere se avesse addosso un telefono. Uno qualsiasi, anche quello di Charlie sarebbe andato bene. Notò il suo sul divano, ma l'idea di alzarsi e camminare gli fece venire la nausea. O meglio, gli fece aumentare ancora di più quella che aveva avuto sin dal primo momento in cui aveva aperto gli occhi.

    Improvvisamente fu colto da un'epifania e capì perché casa sua gli sembrava così diversa dal solito. L'epifania apparve sotto forma di Charlie, mezzo nudo, con addosso solo un paio di boxer attillati blu. Sbucò fuori da una stanza camminando come se avesse due bambini attaccati alle gambe. Aveva i capelli sciolti sulle spalle, gli occhi gonfi e la voce impastata.

    «Che ci fai qua?» chiese subito.

    «Che ci fai tu qua?» ribatté Donny.

    Charlie spalancò gli occhi e raddrizzò la schiena.

    «Un attimo» disse guardandosi intorno. «No, no, questa è casa mia. Che ci fai tu qua?»

    «Oh, cazzo» sussurrò Donny. «Questa è casa tua.»

    «Hai ordinato delle pizze?»

    «No, tu hai ordinato queste pizze.»

    «Io non ho ordinato quelle pizze.»

    «Beh, però le hai pagate.»

    Charlie si avvicinò al tavolo e contò le scatole.

    «Dieci pizze? Hai ordinato dieci pizze?» chiese quasi gridando.

    «Per amore del cielo, non urlare» rispose Donny passandosi una mano sulla fronte. «Non ho ordinato io le pizze.»

    «Stai indossando i miei pantaloni?»

    «Vorrei poter dire di no, ma temo di sì.»

    Charlie si sedette, poi cadde in avanti sul tavolo come se gli avessero sparato.

    «Mi viene da vomitare» disse.

    «Anche a me. E l'odore di queste pizze non aiuta.»

    «Portale via, ti prego.»

    «No, guarda, faccio fatica a camminare. Ho la caviglia gonfia.»

    «Che ti sei fatto?»

    «Non lo so.»

    Entrambi si fermarono e si guardarono negli occhi per trenta lunghissimi secondi.

    «Cosa è successo ieri sera?» chiese Donny.

    «Ricordo solo che siamo usciti. E che abbiamo bevuto. Abbiamo bevuto tanto» rispose Charlie afferrando una scatola.

    «Che hai intenzione di fare con quella pizza? Non ci provare, razza di pervertito.»

    «Senti, ho bisogno di assorbire e non ho voglia di cercare altro cibo, ok?»

    Un forte odore di cipolla invase la cucina. Donny si mise una mano in bocca per reprimere un conato di vomito.

    Charlie ebbe pietà di lui e andò ad appoggiare le pizze vicino al frigorifero.

    «Ok, cerchiamo di fare mente locale» suggerì Donny.

    «Vuoi un po' d'acqua?» chiese Charlie.

    «Se per un po' d'acqua intendi un secchio di acqua gelata in testa, allora sì, volentieri.»

    «No, intendo un bicchiere d'acqua tiepida dal lavandino.»

    «Sempre meglio di niente.»

    Charlie riempì una caraffa e la mise al centro del tavolo con due tazze. Donny se ne versò una e bevve in silenzio fissando il vuoto.

    «Ti ricordi se eravamo da soli ieri sera?» chiese l'altro massaggiandosi il collo.

    Donny non mosse un muscolo facciale. Abbassò la tazza e scosse la testa lentamente.

    «Non che io ri...» iniziò a dire «no, un attimo. Abbiamo incontrato qualcuno, in effetti.»

    «Una ragazza?»

    Altro stand-by.

    «Sì, mi sembra di sì.»

    «Lo sospettavo.»

    «Perché?»

    «Perché è nel mio letto.»

    A Donny per poco non andò l'acqua di traverso.

    «Come?»

    «Non so che dirti. Ho aperto gli occhi e ho trovato questa nel mio letto.»

    «Ci hai...» iniziò a chiedere Donny senza completare una frase che non aveva bisogno di essere completata.

    Charlie alzò le spalle.

    «È la stessa cosa che mi sono chiesto anche io.»

    «Oh, Gesù.»

    «Non è una mattina come le altre, va detto.»

    «Non è una mattina come le altre perché non è una mattina. Sono le tre del pomeriggio.»

    «Davvero?»

    «Controlla.»

    Charlie si alzò e andò in camera. Tornò in cucina dopo qualche minuto guardandosi in giro.

    «Hai visto il mio telefono?» chiese.

    «No. Hai chiesto alla tua amica?»

    «No, sta ancora dormendo. Vabbè, prendo il tuo.»

    «Ecco, bravo. Renditi utile. Passamelo.»

    Charlie recuperò il cellulare di Donny dal divano, controllò lo schermo e glielo porse.

    «Cavolo, sono quasi le quattro» commentò. «Non ho messo la formazione del fantacalcio» aggiunse scuotendo la testa dopo un secondo di pausa.

    Donny fece una smorfia.

    «Oh, cazzo» commentò sottovoce.

    «Lo so. Neanche io li sopporto gli anticipi il sabato pomeriggio.»

    «Il mio oh, cazzo non era per il fantacalcio» replicò Donny. «Avrei un commento anche per quello, in realtà, ma è un filo più volgare.»

    «Devo preoccuparmi?»

    «Non lo so, dimmelo tu. Ho nove chiamate perse di Ludo.»

    Charlie si passò le mani tra i capelli.

    «Fanculo» urlò poi, arrabbiato.

    «Stai calmo. Non sappiamo cosa sia successo.»

    «Esatto, è questo il problema. Non sappiamo cosa sia successo, ma lei evidentemente sì, altrimenti non ti avrebbe chiamato nove volte la mattina in cui io mi sveglio con una sconosciuta nel letto. Dove è finito il mio telefono?»

    «Di nuovo, non è mattina, sono le tre del pomeriggio. E smettila di urlare, santo dio!»

    Si aprì una porta nel corridoio. I due ragazzi si voltarono e videro uscire una ragazza dal bagno. Era mora e abbronzata. Indossava solo una maglietta azzurra che le veniva larga e lasciava scoperte un paio di gambe lunghe e toniche. Aveva il trucco sbavato e i capelli neri spettinati. Al polso aveva quattro tubicini di plastica luminosi.

    Alzò un telefono sopra la testa, provò a dire qualcosa, ma venne bloccata da un attacco di tosse. Dopo qualche secondo, si ricompose e ci riprovò.

    «State cercando questo?» chiese in inglese. «È tutta la mattina che suona.»

    «Non è mattin...» attaccò Donny. «Vabbè, come volete.»

    «Quando sei andata in bagno?» chiese Charlie aggrottando la fronte.

    La ragazza si grattò una guancia e si mise a pensare.

    «In un lasso di tempo compreso tra ieri sera verso le undici e stamattina presto, più o meno. Sono un po' confusa in questo momento.»

    «Ma eri in camera mia tre minuti fa» replicò Charlie indicando la stanza in fondo al corridoio.

    «Cosa?» chiese la ragazza osservando la porta. «No, ma come ti permetti?» aggiunse scandalizzata.

    «Senti, eri nel mio letto stamattina.»

    «Non so di cosa tu stia parlando.»

    «Allora che ci fai in casa mia? Chi diavolo sei?»

    «Perché non lo chiedi al tuo amico Franco?» rispose la ragazza indicando Donny.

    Questi rimase con l'ennesimo bicchiere d'acqua fermo a mezz'aria. Di colpo, strabuzzò gli occhi e spalancò la bocca.

    «Oh!» esclamò. «Io e te abbiamo...»

    «Credo di sì.»

    «Sul divano?»

    «È probabile.»

    «Voi due avete fatto cosa? Dove? Perché?» si intromise Charlie alzando ancora di più il tono della voce.

    «Ah, mi devi quindicimila fiorini» aggiunse la ragazza.

    «Che cosa?» domandò Donny alzandosi di scatto, prima di tornare immediatamente seduto per colpa di una fitta alla caviglia.

    «Beh, direi che al perché abbiamo risposto» commentò Charlie.

    «No, un attimo. Qua c'è qualcosa che non torna.»

    «Sì, esatto. Se tu non sei la ragazza che ha dormito con me, chi c'è in camera mia?»

    Prima che qualcuno potesse dire qualcosa, una voce femminile si levò da dietro la porta in fondo al corridoio.

    «Una che vorrebbe capire che cosa avete tutti da urlare di prima mattina.»

    Sia Donny che Charlie si bloccarono, pietrificati. Il primo si alzò lentamente dalla sedia e si avvicinò all'altro zoppicando.

    «No, non può essere. Non puoi aver fatto una cosa del genere.»

    Judit uscì dalla stanza con addosso solo mutande e reggiseno. I capelli rossi le coprivano la scollatura. La pelle era chiara, le forme generose.

    «Ok, mi sto rendendo conto solo ora che sono mezza nuda e sto uscendo dalla stanza di Charlie» commentò.

    «Ti prego» disse il padrone di casa. «Dimmi che non siamo andati a letto assieme.»

    «Vorrei poterlo dire.»

    «Ma?»

    «Ma non me lo ricordo. Quanto abbiamo bevuto ieri?»

    Capitolo 2

    Una grande azienda

    Due anni prima

    Positività. Sempre e comunque. Questo era il motto di András, ventisette anni, responsabile della formazione dei nuovi assunti della MPD, la multinazionale per cui lavorava da un paio di anni.

    Era una grossa azienda, con uffici in dodici paesi diversi. Operava in tutto il mondo, vendendo prodotti, offrendo servizi e cercando di fare il massimo per i suoi clienti e per i suoi partner.

    András si riconosceva perfettamente in questa missione ed era entusiasta di trasmettere la sua energia a tutti i nuovi assunti. Lavorare è più semplice se lo fai sorridendo, ripeteva sempre a coloro a cui doveva insegnare il mestiere.

    Charlie lo vide entrare nella stanza e lo osservò fare la serie di gesti che ripeteva ogni mattina. Lo stava ad ascoltare da più di due settimane e il rituale era sempre lo stesso: un saluto fin troppo energico, una battuta sulle condizioni atmosferiche, l'accensione del computer, la preparazione della presentazione del giorno e la sistemazione dei lunghi capelli biondi in una coda.

    «Allora ragazzi, cominciamo!» esordì alzando un pugno.

    Gli altri presenti nella stanza, cinque persone molto meno felici di trovarsi lì, si sistemarono sulle loro sedie e aprirono i quaderni marchiati MPD.

    «Di cosa parliamo oggi?» chiese Agnes, ungherese, capelli corti e biondi, trentotto anni, di ritorno nel mondo del lavoro dopo quasi un decennio passato a fare la mamma.

    «Ci arriviamo in un momento» rispose András sorridendo e puntando un dito verso di lei. «Prima però, che ne dite di un energizer?»

    «No, l'energizer no» sussurrò Charlie coprendosi il volto con una mano. Si voltò alla sua sinistra e incrociò lo sguardo con Youssef, un ragazzo egiziano neolaureato al suo primo lavoro serio. Entrambi scossero la testa e sospirarono.

    «Dai, venite qua» li incitò András. «Fate un cerchio. Questo gioco si chiama lo shock e serve per stimolare la concentrazione.»

    Charlie annuì per farsi coraggio e si mise di fianco all'istruttore. Tutti gli altri si disposero in tondo, stringendosi le mani.

    «Come funziona?» chiese Isabel, una ragazza spagnola, bassa e minuta, che viveva a Budapest da quasi tre anni.

    «È molto semplice» iniziò a spiegare András. «Per prima cosa dovete chiudere gli occhi. Io farò partire una scossa stringendo la mano di una delle persone vicine a me e questa la deve passare a quella successiva. Si continua così, sempre più veloci.»

    «Chi vince?» chiese Youssef con una smorfia.

    «Non è un gioco in cui vince una persona. È un gioco dove vinciamo tutti. Vinciamo energia e concentrazione.»

    «Bevo due tazze di caffè a colazione per quello.»

    András scoppiò a ridere.

    «Molto divertente. Sorridere fa sempre bene. Si impara meglio. Ti devi fidare, però. Dai, chiudete gli occhi.»

    Tutti obbedirono. Charlie aspettò un secondo in più e vide Youssef scuotere ancora la testa.

    All'improvviso, sentì una morsa fortissima alla mano destra. András andava in palestra ogni giorno, aveva dei bicipiti che straripavano dalle maniche della sua polo attillata e aveva chiaramente dei seri problemi a controllare la sua forza.

    Charlie aprì gli occhi e per poco non reagì liberandosi della presa e scaricandogli un pugno sul naso. Riuscì a bloccare quell'istinto e passò la scossa ad Agnes.

    «Quali sono i casi in cui possiamo offrire una cancellazione gratuita?» chiese András lanciando una pallina gialla verso Charlie.

    Questi l'afferrò al volo con entrambe le mani e rimase a bocca aperta per qualche secondo.

    «Quando ce la chiedono?» domandò facendo una smorfia.

    L'istruttore incrociò le braccia sul petto e mostrò un bianchissimo sorriso pieno di denti.

    «Certo, ma quando possiamo concederla? Qualcuno vuole aiutarlo?»

    Agnes alzò la mano.

    «Beh, innanzitutto quando...» iniziò a parlare.

    «No, no, no!» la bloccò András. «Parla solo chi ha la palla.»

    Charlie, seduto vicino alla donna, appoggiò la piccola sfera sul suo tavolo.

    «Dicevo, possiamo concederla quando...» ricominciò lei.

    «No, no, no! Devi averla in mano e devi prenderla al volo. È così che funziona il ripasso. Deve essere un apprendimento dinamico.»

    Agnes ridiede la palla a Charlie. Questi la lanciò in alto facendole fare un arco lento e altissimo. La donna provò a prenderla al volo, ma le scivolò dalle mani e finì per terra rotolando via.

    András corse a recuperarla e gliela lanciò indietro. Questa volta riuscì a prenderla, ma rimase in silenzio. Fissò quella piccola forma di gomma piuma, la strinse forte e la gettò dietro di sé senza guardare. Youssef la bloccò di istinto.

    «Mi sa che non ricordo bene. Forse è meglio che risponda qualcun'altro» disse Agnes.

    András, sempre col sorriso stampato sul volto, puntò il dito verso il ragazzo egiziano.

    «La palla è tua. È il tuo turno!»

    Charlie si voltò verso di lui e i loro sguardi si incrociarono di nuovo. Scossero entrambi la testa.

    ***

    La postazione del team italiano si trovava in un angolo, alla destra della grande stanza dove si tenevano i training. Si trattava di due file parallele di tre scrivanie. Davanti a ogni sedia erano stati posizionati una tastiera, una dock station e uno schermo.

    András prese Charlie per un braccio e lo portò dai suoi futuri colleghi. Solo tre posti erano occupati. In uno sedeva una ragazza dai capelli rossi, in un altro un ragazzo biondo, robusto e non troppo alto. A una terza scrivania, qualche metro più distante, era seduto un uomo che si alzò e andò a salutare i nuovi arrivati. Era alto e aveva spalle larghe, capelli ricci e viso rasato.

    «Ciao Filippo, ti porto in dono l'ultima recluta» esordì András.

    «Benvenuto» rispose l'altro porgendo la mano a Charlie. «Come ti chiami?»

    «Franco, ma mi chiamano tutti Charlie.»

    «Ah, bene. Meglio così, abbiamo già un Franco in squadra.»

    Il ragazzo biondo si tolse le cuffie e alzò una mano per salutare.

    «Piacere» disse. «Franco, ma mi chiamano tutti Donny.»

    «Ottimo, non ci sarà confusione!» esclamò András con un entusiasmo del tutto spropositato per una notizia sostanzialmente inutile come quella. «Vado a presentare gli altri. Vi lascio fare conoscenza» aggiunse subito dopo.

    «Quindi, come sta andando il training?» chiese subito Filippo in italiano.

    Charlie si grattò la testa e sorrise.

    «Bene. Molte cose nuove, ma è interessante.»

    «Prima esperienza come customer service?»

    «Sì, ma ho già lavorato nel turismo.»

    «Come te la cavi con l'elettronica?»

    «Non bene. Perché? È importante?»

    «MPD si occupa anche di quello.»

    «Pensavo fosse un sito dove prenotare alberghi.»

    «È anche quello. Sei libero ora?»

    «Sì, il training ricomincia alle due.»

    «Ottimo, ti faccio fare un po' di affiancamento. Donny, ti va di fare vedere qualcosa al nostro nuovo acquisto?»

    L'altro Franco annuì e fece segno di avvicinarsi. Charlie si sedette sulla sedia di fianco e iniziò a studiare lo

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