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Re Artù, Ginevra, Coso e la sgualdrina
Re Artù, Ginevra, Coso e la sgualdrina
Re Artù, Ginevra, Coso e la sgualdrina
E-book294 pagine2 ore

Re Artù, Ginevra, Coso e la sgualdrina

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Info su questo ebook

Vittorio è sposato da vent'anni con Anna, ma da tredici sì e no si rivolgono la parola nonostante continuino a vivere insieme.
È quindi abbastanza singolare che lui perda il lume della ragione quando lei gli comunica che vuole divorziare... e che decida di riconquistarla.

“Aprì l'armadio. Era un po' più vuoto, ma c'era ancora la maggior parte dei suoi vestiti.
C'era l'abito rosso che aveva messo a Natale per la festa dello studio.
Con quello aveva fatto girare la testa a tutti i soci e anche a diversi clienti.
Per una settimana non avevano fatto altro che ripetergli che gran gnocca fosse sua moglie, tutti laureati, eh, mica buzzurri!
E lui a incassare con superficialità, perché quella gran gnocca non la toccava da tredici anni e a momenti nemmeno ci parlava.
E volendo essere proprio puntigliosi, sua moglie non era una gran gnocca, sua moglie era la donna più bella e affascinante che avessero mai visto, quei deficienti trogloditi!... solo che quando si vestiva di rosso poteva indurre un monaco evirato a gettare il saio alle ortiche.
Prese mentalmente nota di evirare il tizio con cui voleva uscire Anna. Il programma era semplice: scoprire chi fosse e castrarlo. A volte la soluzione di enormi problemi è a dir poco elementare.
Si costruì nella mente l'immagine di Anna com'era la sera prima seduta nel suo studio.
I jeans chiari le fasciavano le gambe snelle, la maglietta scollata mostrava quel bel seno che se ne infischiava della forza di gravità, il cardigan grigio si appoggiava appena sulle spalle esili. Aveva sempre avuto una classe fuori dal comune ed era sempre stata di una bellezza abbacinante.
Che Anna fosse così maledettamente bella era stata la sciagura, madre di tutte le sciagure.
[...]
Non riusciva nemmeno a guardarla.
Non la guardava da talmente tanto tempo e improvvisamente sentiva un desiderio spasmodico di imprimersi il suo viso negli occhi, di toccare il suo corpo, di prendere qualcosa da tenere per ricordo. Come faceva lei a essere così fredda?
Quando era diventata così spietata?
- Da quanto tempo ci pensi? - le chiese.
- A cosa? -
- A lasciarmi -
- Non stiamo più insieme da almeno tredici anni -
- Tredici anni un mese e sette giorni – precisò lui. Lei sgranò gli occhi. Era evidente che lui si riferiva all'ultima volta che erano stati a letto insieme. Arrossì.
LinguaItaliano
Data di uscita28 mag 2017
ISBN9788826443683
Re Artù, Ginevra, Coso e la sgualdrina

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    Anteprima del libro

    Re Artù, Ginevra, Coso e la sgualdrina - Rebecca Quasi

    Rebecca Quasi

    Re Artù, Ginevra, Coso e la sgualdrina

    UUID: 31a0988a-00e2-11ea-ab29-1166c27e52f1

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Epilogo

    Dedicato a chi ce la mette tutta,

    ma non riesce fallire.

    Capitolo 1

    Ottobre 2006

    A un certo punto, erano a metà del pranzo, si sentì abbaiare dentro il ristorante, in prossimità del tavolo quattro, precisamente dentro la tasca dell'avvocato Castelli.

    - Non preoccupatevi – disse Vittorio ai colleghi – è mia moglie.

    Tutti scoppiarono a ridere.

    Vittorio estrasse dalla giacca il cellulare e si allontanò dal tavolo.

    - Dimmi – non era sgarbato mentre le rispondeva, ma nemmeno affettuoso.

    Nessuno commentò il fatto che come suoneria per il numero di sua moglie, l'avvocato Castelli avesse il ringhio di un cane.

    - Sì, alle otto. Sì, ci sarò. Ho detto che ci sarò.

    Non si era allontanato di molto e la chiamata fu brevissima.

    - Scusate – disse Castelli rimettendosi a sedere e la conversazione riprese come se il cane non avesse mai abbaiato.

    Varcò la soglia di casa alle otto meno cinque.

    Quando voleva essere puntuale ci riusciva.

    La casa era in ordine perfetto, più del solito. Era così perfetta che se ne stava accorgendo anche lui.

    Probabilmente stava per succedere qualcosa, qualcosa di cui si sarebbe dovuto ricordare e che ovviamente non ricordava visto che Anna l'aveva chiamato per ripetergli che doveva essere a casa per le otto. Per amor di quiete non aveva fatto domande, aveva semplicemente chiamato la sua segretaria e le aveva detto di organizzargli la giornata in modo da farlo uscire dall'ufficio alle sette e un quarto.

    - Sono a casa – disse ad alta voce poi lasciò cadere la cartella vicino al divanetto dell'ingresso, la giacca sul bracciolo e si addentrò in casa a cercare sua moglie.

    La tavola era apparecchiata per quattro, segno che c'era un ospite. Primo indizio.

    C'erano le luci accese in camera e una valigia aperta sul letto, qualcuno era in partenza. Secondo indizio.

    Gli venne in mente che Chiara, la loro unica figlia, stava per trasferirsi a Milano dove avrebbe studiato ingegneria al Politecnico. Ecco, ecco, gli tornava in mente tutto. Era la cena di saluto a Chiara. Il quarto probabilmente era quell'imbecille del suo ragazzo.

    Non era contento che Chiara andasse all'università a Milano, la fragilissima parvenza di normalità famigliare si sarebbe dissolta in un attimo senza di lei per casa, però comunque si sarebbe allontanata dall'imbecille con cui stava e quello era positivo. All'università avrebbe conosciuto altri ragazzi, magari normali, addirittura intelligenti, e avrebbe piantato quel cretino che...

    Non sapeva nemmeno lui perché gli era così antipatico coso... lì, non gli veniva nemmeno in mente il nome.

    Ah, sì, Lorenzo.

    Be' comunque gli era antipatico.

    Anna diceva che gli era antipatico perché era il fidanzato di sua figlia.

    Non aveva mai approfondito la cosa.

    - Anna! - la chiamò. Niente.

    Tutta la casa era specchiata. Non un pelo fuori posto.

    Bel mistero.

    Si levò la cravatta, la camicia, appoggiò tutto sulla spalliera del letto e cercò il cardigan che usava in casa.

    Ecco, mettono in ordine e poi non si trova più niente.

    - È appeso nell'armadio – disse Anna entrando con la giacca che lui aveva abbandonato sul divanetto in una mano e la cartella nell'altra. Appese la giacca nell'armadio e portò la borsa nello studio.

    Non s'arrabbiava nemmeno più quando lui lasciava le cose in giro, le prendeva e le metteva via ed era enormemente peggio di quando le saltavano i nervi.

    Quando tornò indietro lui aveva trovato il cardigan e se lo stava infilando.

    - Domani accompagno Chiara a Milano, ho preso un giorno di permesso – gli spiegò lei – Sarò di ritorno domani sera.

    - È domani? - chiese lui. Non era proprio una domanda.

    - Le lezioni iniziano fra dieci giorni, ma ci sono molte cose da fare...

    - Sì, sì, lo so.

    - Voglio anche vedere chi sono le due ragazze con cui vivrà...

    Meglio di noi due, sicuro... pensò Vittorio, ma non lo disse.

    La cena fu una pena ben recitata.

    Tutti interpretarono il ruolo assegnato con professionalità. Anche il povero Lorenzo non sfigurò nella messinscena della cena in famiglia, evidentemente Chiara lo aveva istruito a dovere.

    Essendo una farsa c'era di bello che non durò a lungo. Alle nove e un quarto era finita e poi Chiara e Lorenzo dovevano incontrarsi con altri amici che volevano salutare Chiara.

    Rimasti soli, Vittorio si alzò da tavola e andò nel suo studio.

    Era uscito con quasi due ore d'anticipo dall'ufficio e s'era portato il lavoro a casa.

    Anna sparecchiò la tavola e impacchettò gli avanzi. Poi bussò alla porta dello studio di suo marito.

    - Sì... - disse lui.

    Lei entrò e si mise a sedere.

    Brutto segno. Se si metteva a sedere non poteva essere una cosa rapida. O da poco.

    Vittorio cercò di immaginare che cosa potesse aver sbagliato durante quella cena.

    Non aveva insultato coso, Lorenzo, aveva chiacchierato come se gli interessasse davvero che cosa avrebbe fatto appunto Coso della sua vita, cioè l'attore (ma tu dimmi se uno può pensare di campare facendo l'attore...), aveva detto che il cibo era buono...

    - Me ne vado anche io – disse semplicemente Anna.

    - Ti sei iscritta all'università? - era tipico di Vittorio provare a deviare il contenuto di un'informazione che non gli andava a genio.

    - Non ha senso che resti, no?

    - Non ha senso che abiti in casa tua?

    - Non essere ottuso, Vittorio. Abbiamo smesso di litigare solo perché abbiamo smesso di parlarci. Nessuno di noi due è felice. La casa è tua e io posso andarmene.

    Lui sembrava interdetto.

    Sua moglie lo stava lasciando.

    Non che non ce ne fossero i motivi: non parlavano, non facevano sesso, non litigavano nemmeno più e non andavano in vacanza insieme da quando Chiara era diventata abbastanza grande da andarci da sola.

    Erano coinquilini. Nemmeno: avevano le chiavi della stessa casa.

    Ma lui non aveva capito che lei volesse andarsene.

    Lui comunque non capiva mai un cazzo quando c'era di mezzo sua moglie.

    Quindi rimase lì, come abbiamo detto, attonito, senza sapere che pesci pigliare.

    Anna sospirò. Doveva fare tutto lei, strano...

    - Ho affittato un mini vicino alla mia scuola, mi trasferisco domani sera. La valigia sul letto è mia, non di Chiara... poi con calma verrò a prendere le mie cose. Prenderò i miei vestiti e il mio computer e i libri di scuola, qualche romanzo a cui sono affezionata. Non voglio altro, sei tu quello ricco, la roba è tua. Non voglio assegni di mantenimento, ho un lavoro e posso mantenermi. Devi solo preparare le carte per il divorzio...

    Lei lo fissò per cercare di intuire cosa gli passava nella testa. Era fuori esercizio, doveva ammetterlo, erano anni che non si sforzava di capire cosa pensasse suo marito, ma in quel momento sarebbe stato impossibile decifrarlo persino per una sensitiva.

    - Vittorio hai capito quello che ti ho detto? - gli chiese dopo un lasso di tempo infinito.

    - Te ne vai. E vuoi il divorzio – sintetizzò lui.

    - Esatto.

    Non chiese perché, era ridicolo, ma non per questo era meno sconvolto.

    Lei intuì il suo smarrimento. Vittorio era abitudinario, ripetitivo, monotono, il fatto che lei sparisse dal panorama lo impensieriva più o meno come se gli avessero detto che gli cambiavano il divano su cui si sedeva a guardare la partita.

    - Non siamo più una coppia da tanto di quel tempo... non abbiamo più niente in comune. Sono rimasta per Chiara, ma ora lei va a Milano, verrà a casa sempre più di rado, perché lo sappiamo si creerà una vita là. È bene che ognuno di noi se ne vada per la sua strada... -

    - Lo hai detto a Chiara? - le domandò lui.

    - No. Pensavo di dirglielo quando si sarà ambientata a Milano... e poi comunque prima dovevo parlarne con te -

    Vittorio posò la penna che aveva in mano.

    - Non so cosa dire Anna... che non me lo aspettavo sarebbe ridicolo, ma proprio non me lo aspettavo.

    Tipico di Vittorio non vedere una vacca in un corridoio.

    Cosa si aspettava? Che sarebbero andati avanti senza nemmeno parlarsi per interposta persona (cioè via Chiara), per i successivi trent'anni?

    - Ci farà bene provare a dare aria ai sentimenti. Io non ne provo più da così tanto tempo... - disse lei per incoraggiarlo a vedere positivamente il cambiamento.

    - Hai qualcuno? - le chiese.

    Anna tacque. Non poteva rispondere sì o no.

    Era no perché non aveva una relazione, ma era sì perché aveva conosciuto una persona, un uomo per la precisione, che era evidentemente interessato a lei e che le aveva chiesto di uscire... e con il quale sarebbe uscita, non appena avesse trovato il coraggio di farlo.

    - Hai praticamente risposto – constatò Vittorio.

    - Non sono mai uscita con lui... ma penso che lo farò.

    E chi era lui per impedirglielo? Per fare una scenata di gelosia?

    Sarebbe stato il colmo. Però si trattenne a stento.

    Ma comunque Vittorio non era un fanatico della coerenza, era troppo sconcertato per fare una scenata in quel momento, ma non escludeva di farla in futuro. A breve.

    Anna si alzò.

    - Ho cucinato moltissima roba. Non morirai di fame... per un paio di settimane, dopo dovrai cominciare a pensare a qualcosa. Marta viene tutti i martedì, devi solo mettere la roba sporca nel cesto di vimini del bagno.

    Era molto semplice, c'erano Marta e il cesto di vimini.

    - Vado a dormire. Domattina io e Chiara partiamo alle sette – concluse Anna alzandosi.

    Tutto il giorno successivo Vittorio fu intrattabile. Più intrattabile.

    Non riusciva a concentrarsi sul lavoro, qualsiasi cosa sentisse o dicesse gli faceva venire in mente sua moglie.

    Ci farà bene dare aria ai sentimenti.

    Che cazzo voleva dire?

    Quali sentimenti?

    Perché poi Anna s'era insinuata prepotentemente nella sua mente? L'aveva ignorata per quasi vent'anni, possibile che dovesse recuperare spazio tutto in una volta e proprio quel giorno lì?

    A un certo punto decise che non era produttivo restare in ufficio.

    Chiamò il meno idiota dei suoi assistenti e gli sbolognò tutto il lavoro della giornata.

    E tornò a casa.

    La casa sembrava un museo.

    Mise la giacca nell'armadio e la borsa nello studio e poi cominciò a girare per le stanze disabitate.

    La camera di Chiara era semivuota. Prevedibile, sua figlia non andava nemmeno in bagno senza fare un mini-trolley.

    Si spostò nella camera da letto sua e di Anna. Il letto era perfettamente rifatto, alzò il proprio cuscino e vide il proprio pigiama, sotto quello di Anna non c'era più niente, una valigia chiusa era accostata al comò.

    Quindi era ufficiale, Anna avrebbe dormito da un'altra parte quella notte.

    Non che la cosa fosse così rivoluzionaria, quando erano a letto insieme non si sfioravano nemmeno. Lei andava a letto molto presto, lui molto tardi.

    Ma da quel momento lei non avrebbe dormito lì.

    Aprì l'armadio. Era un po' più vuoto, ma c'era ancora la maggior parte dei suoi vestiti.

    C'era l'abito rosso che aveva messo a Natale per la festa dello studio.

    Con quello aveva fatto girare la testa a tutti i soci e anche a diversi clienti.

    Per una settimana non avevano fatto altro che ripetergli che gran gnocca fosse sua moglie, tutti laureati, eh, mica buzzurri!

    E lui a incassare con superficialità, perché quella gran gnocca non la toccava da tredici anni e a momenti nemmeno ci parlava.

    E volendo essere proprio puntigliosi, sua moglie non era una gran gnocca, sua moglie era la donna più bella e affascinante che avessero mai visto, quei deficienti trogloditi!... solo che quando si vestiva di rosso poteva indurre un monaco evirato a gettare il saio alle ortiche.

    Prese mentalmente nota di evirare il tizio con cui voleva uscire Anna. Il programma era semplice: scoprire chi fosse e castrarlo. A volte la soluzione di enormi problemi è a dir poco elementare.

    Si costruì nella mente l'immagine di Anna com'era la sera prima seduta nel suo studio.

    I jeans chiari le fasciavano le gambe snelle, la maglietta scollata mostrava quel bel seno che se ne infischiava della forza di gravità, il cardigan grigio si appoggiava appena sulle spalle esili. Aveva sempre avuto una classe fuori dal comune ed era sempre stata di una bellezza abbacinante.

    Che Anna fosse così maledettamente bella era stata la sciagura, madre di tutte le sciagure.

    Poi sentì armeggiare alla porta. Era lei.

    Non vedendo la roba di suo marito in giro, Anna, pensò di essere sola, oltretutto era molto presto, lui non rincasava mai prima delle nove. Si chiese se era il caso di aspettarlo per salutarlo e mentre ci pensava andò in camera da letto per cambiarsi.

    Quando lo vide seduto sul letto a fissare le ante aperte dell'armadio per poco non le venne un infarto.

    - Oh! Sei qui!

    - Ti ho spaventata. Scusa – disse lui.

    - Sono le sei e un quarto. Che ci fai a casa?

    - Volevo vederti prima che...

    Risposta sincera.

    Non era sincero con lei da quanto? Almeno un decennio.

    - Vuoi cenare? - gli chiese lei.

    - Non ho fame. Sei stanca?

    - No, all'andata ha guidato Chiara... ho insistito perché tenesse la macchina, ma lei non ha voluto. Dice che non le serve... un pensiero in meno per noi.

    Noi.

    Noi.

    Non siamo più noi! Te ne vai fra quanto? Mezz'ora?

    - Io allora vado... - sussurrò Anna.

    Vittorio la guardò.

    Vent'anni spazzati via.

    I venti migliori oltre tutto.

    Buttati nel cesso.

    Che due coglioni!

    - Dov'è... dove si trova il tuo appartamento? - le chiese solo per rimandare l'uscita e poi perché voleva sapere dove andava a dormire sua moglie.

    - Si è liberato un mini nel condominio sopra la farmacia. Posso andare a scuola a piedi -

    Anna frugò nella borsa e levò il mazzo di chiavi di casa posandole sul comò.

    - Be'? Che fai?

    - Le chiavi. Non mi servono.

    - Anna ti prego, non farlo. Io non so cosa ti passa per la testa, ma questa è casa tua e voglio, voglio!, che tu tenga le chiavi.

    - Vittorio non...

    - Vai a vivere dove vuoi, non parlarmi più, odiami, fai quello che ti pare, ma tieni le chiavi di questa casa. Ti prego... potrei addirittura chiudermi fuori dopodomani. Non sono abituato a prendere le chiavi, perché quando rientro ci sei sempre tu... - ad aspettarmi. No, non ad aspettarmi, ma comunque ci sei.

    Non era il caso di discutere, quindi Anna prese le chiavi e le rimise nella borsetta.

    - Anche io potrei chiudermi fuori e non conosco ancora nessuno nel condominio. Va bene per te se lascio qui una copia delle mie?

    - Sì, certo – rispose lui.

    Non riusciva nemmeno a guardarla.

    Non la guardava da talmente tanto tempo e improvvisamente sentiva un desiderio spasmodico di imprimersi il suo viso negli occhi, di toccare il suo corpo, di prendere qualcosa da tenere per ricordo. Come faceva lei a essere così fredda?

    Quando era diventata così spietata?

    - Da quanto tempo ci pensi? - le chiese.

    - A cosa?

    - A lasciarmi.

    - Non stiamo più insieme da almeno tredici anni.

    - Tredici anni un mese e sette giorni – precisò lui. Lei sgranò gli occhi. Era evidente che lui si riferiva all'ultima volta che erano stati a letto insieme. Arrossì.

    - Non ti sto lasciando, sto ratificando uno status quo – disse lei ignorando la puntualizzazione.

    - Sono io l'avvocato, Anna. Voglio sapere quando cazzo hai preso la decisione di andartene di casa – stava alzando la voce e non voleva. Erano anni che non alzavano la voce.

    - L'ho deciso dopo la maturità di Chiara. Mi sono chiesta cosa avremmo fatto io e te e non mi è venuto in mente niente... assolutamente niente, siamo due estranei, due patetici estranei. Essere invisibile e trasparente è angosciante e io non potrei sopportarlo oltre... -

    Essere invisibile e trasparente. Non sei mai stata trasparente e nemmeno invisibile.

    So esattamente come sei anche se non ti guardo e non ti tocco da tredici anni un mese e sette giorni.

    - E quanto questo ha a che fare con il tizio con cui vuoi uscire?

    - Non saprei. So che se resto qui non avrei il coraggio di tradirti. Non l'ho mai avuto... io non l'ho mai avuto.

    Vittorio si passò le mani sul viso.

    - Non siamo tanto vecchi – proseguì lei – possiamo trovare qualcun altro se ognuno di noi va per la sua strada... ho quarant'anni e tu quarantacinque... una mia collega della mia età è incinta del primo figlio.

    - Non me ne frega un cazzo della vita sessuale delle tue colleghe!

    Da buon avvocato Vittorio sapeva quando era ora di mollare.

    E lì era ora di mollare perché lui era arrabbiato e lei no.

    E chi non è arrabbiato è sempre in vantaggio.

    Si allungò un silenzio colmo di cose non dette. Talmente tante che se avessero voluto dirle non sarebbero bastati altri tredici anni un mese e sette giorni per farlo. Anna attese che lui si rassegnasse, poi lo vide alzarsi.

    - Ti accompagno – disse lui.

    - Dove?

    - In quella casa per nani...

    - Non è necessario.

    - Non è necessario nemmeno che tu te ne vada...

    - Vittorio... - lo implorò.

    Cosa poteva dire per farle cambiare idea? Per farla restare?

    Non c'era niente, assolutamente niente che potesse promettere o cambiare.

    Non c'era niente in assoluto da tanto di quel tempo che non poteva organizzare nessuna difesa.

    In un lampo si chiese perché desiderava così spasmodicamente che lei non se ne andasse. Non le sarebbe mancata, non può mancarti una persona con cui non relazioni da tredici anni un mese e sette giorni. Eppure il vederla andare via era lacerante.

    Pensò che da egoista bastardo qual'era gli scocciava cambiare panorama. Dopotutto c'era qualcosa di vivo in casa alla sera.

    Ma non era quello. Non solo. Lui non voleva che lei andasse via. Lui non voleva ratificare il totale fallimento del loro matrimonio, il male che si erano fatti, il dolore che avevano alimentato.

    In quel momento però non poteva che arrendersi. Qualsiasi tentativo di convincerla sarebbe stato talmente assurdo e ridicolo che avrebbe solo peggiorato la situazione, quindi prese la valigia di sua moglie e la caricò in macchina, poi si mise alla guida.

    Quando lei fu a bordo mise in moto e guidò fino alla piazza per esattamente 45 secondi. Si trasferiva a 45 secondi da casa, 0,34 km. Praticamente due galassie più in là.

    Arrivati sotto il portone del condominio, Vittorio cedette e le sfiorò la mano e poi gliela prese la tenne

    stretta. Non la toccava da... sì, tredici anni un mese e sette giorni.

    - Non mi sembra il caso di diventare sentimentali – disse lei con un filo di voce.

    - No, infatti – rispose lui lasciandole la mano – Se ti serve qualcosa... se...

    - Grazie – lo interruppe.

    Vittorio le scaricò la valigia e diede un'occhiata alla palazzina. Non era male. Si chiese se fosse sicura, se avesse un buon sistema d'allarme, se di notte fosse pericoloso...

    - Mi servono quindici giorni per le carte del... - divorzio non riusciva proprio a dirlo.

    - Non preoccuparti. Ci sentiamo quando sei pronto...

    Poi lei si avviò verso il portone, fece scattare la serratura e sparì dietro la porta a vetri.

    Capitolo 2

    1987

    Anna scese le scale lentamente mentre tutti gli altri correvano e Vittorio intuì che qualcosa non andava.

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