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Il fantasma di Alessandro Appiani: Le voci lontane
Il fantasma di Alessandro Appiani: Le voci lontane
Il fantasma di Alessandro Appiani: Le voci lontane
E-book189 pagine2 ore

Il fantasma di Alessandro Appiani: Le voci lontane

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Info su questo ebook

Aldo Zelli ha scritto il racconto "Le voci lontane" in Libia, nel 1950. Nel 1986 l'ha ripreso per dargli un finale diverso. Gordiano Lupi nel 2008 rileggere il racconto e usa il personaggio femminile per scrivere un romanzo che racconta anche la figura storico-leggendaria di Alessandro Appiani. Un giallo serrato dai risvolti fantastici ambientato tra Salivoli e Piazza Bovio, persino in via Garibaldi e in via di Malpertuso. Finale a sorpresa, come da tradizione mistery. Il romanzo nel 2023 è diventato un film girato da Stefano Simone, che è uscito prima del libro.
LinguaItaliano
Data di uscita22 apr 2023
ISBN9788876069147
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    Anteprima del libro

    Il fantasma di Alessandro Appiani - GORDIANO LUPI

    PREMESSA

    Aldo Zelli ci ha lasciato un racconto di straordinaria bellezza come Le voci lontane , scritto nel 1950 in Libia, ripreso in mano nel 1986 per modificarlo e inserire una nuova conclusione. Zelli temeva che la sua storia fosse avvicinabile a Le trombe di Eustachio , una pièce teatrale di Vitaliano Brancati, basata su un personaggio il cui udito straordinario gli consente di percepire ciò che si dice oltre i muri, anche in quartieri lontani. Non solo. Riteneva che si potesse pensare a un debito di ispirazione con Il profumo di Patrick Suskind, dove il protagonista Jean- Baptiste Grenouille gode di un prodigioso olfatto che gli permette di isolare, a grande distanza, il profumo dell’innocenza e della verginità. Le voci lontane , invece, è un racconto completamente originale, perché concepito nella sua prima stesura in un periodo in cui Zelli ignorava la commedia di Brancati e Suskind doveva ancora iniziare a scrivere. Aldo Zelli è per me un vero Maestro. Ho scritto la sua biografia e ho letto moltissime opere inedite. Le voci lontane , però, mi è sempre sembrato un racconto che chiedeva a gran voce di essere ampliato. Il personaggio principale ha tutte le caratteristiche per sostenere il respiro di una narrazione di lunga durata. Per questo ho ripreso in mano la storia, non per costruire un nuovo finale come fece Zelli oltre vent’anni fa, ma per cercare di trasformarlo in un romanzo. Spero di non aver deluso il Maestro.

    Gordiano Lupi

    1.Ricordi d’infanzia

    Non avevo mai creduto alle fate. Nemmeno da bambina quando la nonna mi raccontava le fiabe della sua infanzia. Se i grandi (i genitori, gli amici dei genitori, l’una o l’altra delle nonne) narravano favole e mi parlavano, ascoltavo e sorridevo incantata.

    Tutti erano convinti che amassi le fiabe, che mi appassionassi alle vicende degli animali che parlano come uomini, o che mi entusiasmassi alle avventure di fate, maghi, orchi e gnomi.

    Non era così. Ero piccola ma mi esprimevo molto bene per i miei pochi anni, intendevo subito quando mi parlavano, ma non mi interessavo delle storie narrate e neppure dei personaggi. Era la voce umana che mi appassionava, che mi affascinava a tal punto da darmi, tramite l’udito, un godimento quasi fisico. Tutto questo non ho faticato molto a capirlo.

    La luce della luna mostra il mare increspato di bianco, le isole del canale sono enormi giganti tra le onde che fanno guardia al promontorio, il vecchio faro lampeggia e indica il cammino alle poche navi traghetto. Come sempre spingo i miei passi solitari su questa piazza affacciata sull’Isola d’Elba. Non sono più una bambina ma quel potere non mi ha abbandonato, è una croce che mi porto dietro, un antico ricordo d’infanzia. Il vento accarezza il mio volto, smuove i capelli sconvolti e intrisi di salmastro. Mi piace farmi penetrare dalle suggestioni che hanno sempre accompagnato la mia vita. E ricordare…

    Non ero una bambina loquace, ma non mi dispiaceva parlare, anzi amavo molto dialogare con gli uomini. Preferivo ascoltare gli altri quando conversavano e adoravo le persone che cantavano. Non mi importava che il canto fosse bello o brutto, se la voce fosse gradevole o stonata. Era la voce umana in sé che mi attraeva irresistibilmente.

    A un certo momento della mia infanzia, cominciai a prediligere il suono delle parole alle canzoni sostenute da una melodia. Allora non avrei saputo esprimere ciò che sentivo e forse neppure lo avrei voluto. Ero una ragazzina chiusa in me stessa e ancor più lo sarei diventata con il passare del tempo. La cosa più incredibile era quello strano dono di poter distinguere anche a distanza, una voce da un’altra; avrei saputo dire se la voce lontana per gli altri indistinta (percepivo persino le parole sussurrate), fosse maschile o femminile, giovane o vecchia, di persona serena o triste. Le caratteristiche peculiari della voce (non le parole dette), le intonazioni diverse tra persona e persona, le sonorità e le opacità del suono, gli stridori, le cadenze, giunte al mio orecchio mi davano, alla vista della mente, anche il ritratto della persona che parlava. Avrei potuto descriverne con precisione l’aspetto fisico, le fattezze del viso, il colore dei capelli. Invece non dicevo niente. Ero troppo piccola.

    Adesso ho capito fino in fondo il dono che ho avuto, anche se non so se posso chiamare così questa sensibilità straordinaria che accompagna la mia vita. Sentire le voci lontane, fare i conti con i ricordi, elaborare situazioni, rivedere persone, enumerare incontri. Adesso posso spiegare tutto, persino le cose che agli altri sembravano strane.

    Crescevo e acquistavo nuove capacità, ma non ne parlavo con nessuno, pensavo che fosse pericoloso che una ragazzina possedesse il potere soprannaturale di leggere le voci, di vederle, di distinguerle e riconoscerle, di dare loro un rivestimento di carne vivente. Non volevo essere diversa dalle altre bambine.

    Ricordo mia madre quando mi portava ai giardini di Salivoli, una piazza vicino alla spiaggia con altalene, scivoli, percorsi di guerra e soprattutto tanti bambini per giocare. Ero felice in quei momenti, stringevo la mano di mia madre e sentivo che era tutta per me, in poco tempo raggiungevamo il luogo dove potevo passare il pomeriggio insieme ai miei coetanei. Non subito, però. Arrivavo al parco e in un primo tempo me ne stavo in disparte da sola, con la bambola in braccio, poi mi avvicinavo alle altre bambine, parlavo e partecipavo al gioco. Ma tutto aveva breve durata. A poco a poco mi distaccavo dalle bambine che giocavano, posavo la bambola dove capitava, mi appoggiavo con le spalle a un tronco d’albero e mi mettevo a seguire i movimenti delle altre con occhio distratto, concentrata soltanto sulle voci. Non soltanto le voci dei bambini al giardino pubblico, ma anche degli adulti che conversavano nelle strade vicine. Percepivo persino il brontolio di qualche anziana che si spazientiva con il gomitolo ingarbugliato, con il refolo di vento che la infastidiva.

    Seguivo le voci distanti e ne distinguevo una in particolare dall’aggrovigliato mucchio delle altre che si confondevano tra loro come i fili di una matassa disfatta, la isolavo e la rivestivo di un’apparenza fisica e corporea affinché gli occhi della mia mente potessero vedere la voce come persona. Ero portata a distinguere, isolare e rivestire di carne una particolare voce maschile, anche se a volte mi facevo affascinare anche da una voce femminile. Davo un sesso persino ai vagiti di un neonato.

    Una volta isolata la voce e rivestita di forme umane, mi divertivo a leggerne le caratteristiche. L’aspetto fisico di una persona non mi interessava per niente, era la voce che rivelava l’anima con i suoi moti di generosità o le sue crudeli predisposizioni. Poteva accadere che una voce femminile, morbida e gentile, nascondesse grettezza e perfidia, ma anche che una voce sgraziata di persona rozza e insignificante, rivelasse insospettate doti di bontà e solidarietà umana.

    Al parco me ne stavo appoggiata al tronco dell’albero, sembravo partecipe ai giochi delle coetanee, ma invece parlavo con una voce distante. Era un soliloquio sulle virtù e sui difetti: tu sei buona, sei vecchia, sei perfida, sei giovane, sei angelica, sei gretta… Oppure sull’aspetto fisico della voce: sei bionda, sei grassa, sei orrido, sei coperta di rughe, sei bello…

    La voce di mia madre che conoscevo meglio di ogni altra, mi scuoteva da tante fantasticherie.

    Silvia, vieni! È ora di rientrare a casa.

    Ubbidivo subito, con il viso sorridente, gli occhi luminosi, l’aspetto di una bambina che ha appena interrotto il gioco. Nessuno in famiglia (i genitori, il fratello maggiore di oltre dieci anni, i nonni) poteva sospettare le mie straordinarie facoltà, anche se rammento due episodi che suscitarono qualche perplessità.

    Avevo soltanto due anni e mezzo, ma già mi esprimevo bene e possiedo ricordi chiari su quel periodo. Eravamo a casa, la famiglia riunita intorno al tavolo. Mi feci scura in volto, preoccupata.

    Zia Bianca piange tanto perché zio Francesco è molto malato.

    E tu come lo sai ?, chiesero meravigliati mamma e nonna.

    " Ho sentito piangere zia Bianca. Parlava con un uomo grosso che è il dottore…’’, mi interruppi improvvisamente, leggendo lo sconcerto sul viso della nonna.

    La mamma intervenne severa.

    " Come puoi averla sentita? Zia abita a Padova, tanto lontano…’’.

    Rossa in viso, non avevo replicato. Intuivo che non mi avrebbero mai creduto se avessi detto che avevo sentito il pianto e la voce angosciata della zia, che avevo udito e veduto l’uomo grosso, il dottore, che avevo avvertito il rantolo di zio Francesco, disteso sul letto.

    La sera ricevemmo una telefonata da Padova. Francesco era stato colto da un grave malore. Si richiedeva la presenza della nonna. Bianca doveva assistere il marito e non c’era nessuno che potesse accudire i due bambini, all’ infuori della domestica.

    " Come hai sentito che zia Bianca piangeva?’’, mi chiese la mamma.

    Ricordo che divenni rossa in volto, feci una pausa e risposi esitante:

    No so… l’ ho sentita.

    La mamma mi vide mortificata e cambiò discorso. Parlò di altre cose e narrò una delle tante fiabe che conosceva, convinta di farmi cosa gradita. Ascoltai la fiaba come sempre, ma non mi importava niente del coniglietto magico amico della principessa, perché sapevo che non esisteva. Mi lasciavo cullare dalla voce della mamma, sovrastata di tanto in tanto da altre voci lontane, in particolare da quella di un uomo con la barba grigia, che parlava con zia Bianca e diceva:

    La vita di suo marito è appesa a un filo. Speriamo….

    La vita appesa a un filo? Cosa voleva dire? A quel tempo ero troppo piccola per capire. Zio Francesco così grande legato a un filo? Mi sembrava una cosa buffa. Sorrisi mentre pensavo a questa cosa. La mamma pensava che sorridessi per la fiaba.

    " Bella la storia del coniglietto, vero?’’.

    " Sì, bella… mamma’’.

    Le inattese parole di mia madre ingarbugliarono e confusero le tante voci che udivo, e dalle quali con paziente ricerca, come filo di una matassa da aggomitolare, avevo tratto quella dello sconosciuto dottore della barba grigia che stava parlando con zia Bianca.

    Qualche istante dopo la mamma mormorò:

    " Chissà come sta Francesco…’’.

    " Ancora male…’’, stavo per rispondere.

    Ma non lo feci.

    2.L’uomo con la barba nera

    Il vento spazza via i ricordi, spesso li rende più nitidi, a volte li confonde. Questa sera voglio affacciare la memoria tra le onde che frangono le scogliere della piazza sul mare e riflettere sulla mia vita.

    Mi rivedo bambina in un giardino pubblico, inseguo il consueto groviglio di voci lontane, ma alla fine estraggo una voce nuova, mai udita prima. Era una voce di uomo morbida, pastosa, bellissima. Come di solito facevo quando una voce mi colpiva, provai a darle una figura umana. Con sorpresa, ma senza timore, vidi un uomo molto brutto, con la barba nera, le spalle curve, il viso dai lineamenti tirati, sofferente. Era un uomo che non soffriva nel fisico ma nell’anima e nel cuore. La voce era bella, ma rivelava una profonda disperazione e una volontà di rivalsa. Compresi e vidi che quell’uomo avrebbe sparato a una donna molto bella, persino più bella della mamma e della zia Bianca.

    Ricordo una lite improvvisa fra due bambini per una bambola, subito ci furono grida infantili, voci adulte che richiamavano e rimproveravano. Il groviglio di voci lontane dalle quali avevo estratto la voce di uno sconosciuto dalla barba nera, fu sommerso e infranto dal rumoroso litigio.

    Silvia! chiamò la nonna "Vieni qui. Non litigare con le bambine!’’.

    Ascoltai la nonna e la raggiunsi sulla panchina del parco.

    Domani un uomo con la barba nera sparerà a una bella signora… dissi

    " Silvia! Cosa stai dicendo?’’, esclamò la nonna spaventata.

    " L’ho sentito e l’ ho veduto’’.

    " Silvia, per favore! Prendi la bambola e andiamo a casa…’’.

    Al ritorno ne parlò con mia madre, insieme ricordarono il giorno in cui avevo accennato alla malattia di Francesco e sui particolari che si erano rivelati esatti. La nonna e la mamma, perplesse e allarmate, parlarono per qualche minuto di premonizione e telepatia. Poi mia madre concluse: "Non facciamoci influenzare dalle fantasticherie di una bambina. Potrebbe essersi inventata tutto’’.

    " Ma la malattia di Nanni?’’.

    " Una semplice coincidenza, mamma. Sarà bene non parlane con nessuno. Potrebbero ridere di noi’’.

    Il giorno dopo una notizia sulla pagina del quotidiano locale le sconvolse. Un grande titolo apriva la cronaca: Noto professionista spara e uccide la giovane moglie che lo tradiva.

    Era un celebre penalista che la nonna aveva conosciuto molti anni prima. Un uomo molto intelligente, ma dal fisico sgraziato, quasi gobbo, con una gran barba nera e un cospicuo patrimonio. In tribunale, quel penalista affascinava i giurati con la sua voce bellissima e grazie a quella dote riusciva a vincere cause molto difficili.

    Fu così che mia madre si consigliò con il babbo e insieme decisero di portarmi da un buon medico. La mamma raccontò i due episodi e accennò ad altri piccoli indizi che potevano sembrare irrilevanti, ma alla luce dei fatti assumevano importanza.

    Il medico ascoltò con attenzione, mi visitò e fece un sacco di domande. Mi trovò sana e ben sviluppata per la mia età, disse che ero una bambina sveglia e pronta. Non trovò niente fuori posto, ma per compiacere la mamma consigliò un colloquio con una psicologa infantile. Pure con questa dottoressa non accadde niente, parlammo a lungo e venne fuori soltanto che ero una bambina intelligente e matura. Nessuno dei due specialisti

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