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Il segreto di veronica
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E-book262 pagine3 ore

Il segreto di veronica

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Info su questo ebook

Il segreto di Veronica si presenta, nelle prime pagine, come un libro riflessivo, salvo poi rivelarsi dopo appena una ventina di pagine come un giallo, fino a diventare un romanzo complottistico nelle ultime fasi dell’azione. Di certo un libro non banale, che mantiene viva l’attenzione del lettore con continui cambi di genere. La trama segue uno psicoterapeuta, Andrea, che si ritrova invischiato in un crimine nel quale sembra essere coinvolta una sua paziente e diventa quindi un detective amatoriale. La narrazione non si fa mai scontata, ogni qualvolta si pensa di aver intuito qualcosa, di aver sciolto i nodi del mistero, arriva un nuovo punto di vista, un nuovo dettaglio che stravolge ancora una volta le carte in tavola. Il filo della trama, presentata con una struttura sciolta, del tutto originale, è rappresentato dall’influsso riflessivo sulla situazione pandemica da noi tutti vissuta: il complotto fittizio, infatti, porta alla dispersione di un virus letale, ciò a cui tutti abbiamo purtroppo assistito negli ultimi anni. Si tratta di un romanzo che sfrutta la sua leggerezza narrativa per affrontare una riflessione profonda sul mondo che ci circonda.
LinguaItaliano
Data di uscita3 mag 2023
ISBN9791220502092
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    Anteprima del libro

    Il segreto di veronica - Massimiliano Naso

    collana
    La Ginestra large

    diretta da Antonietta Cozza

    MASSIMILIANO NASO

    il segreto di veronica

    LPE.png

    Proprietà letteraria riservata

    © by Luigi Pellegrini Editore srl – Cosenza – Italy

    Stampato in Italia nel mese di marzo 2023 per conto di Luigi Pellegrini Editore srl

    Via Luigi Pellegrini editore, 41 – 87100 Cosenza

    Tel. (0984) 795065 – Fax (0984) 792672

    Sito internet: www.pellegrinieditore.it

    E-mail: info@pellegrinieditore.it

    I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

    Questa pubblicazione è stata realizzata con la collaborazione dell’agenzia letteraria Bottega editoriale (www.bottegaeditoriale.it).

    Ai miei Amici
    Nessun impegno è più importante di un amico che bussa alla porta.
    Ricordalo quando sei di fretta, insegnalo ai tuoi figli, non lasciare che la tua vita diventi povera di tempo…
    Rita Levi Montalcini

    il segreto di veronica

    «Sono Veronica Della Pasqua, ho appuntamento con il dott. Andrea Clodio».

    «Sono io, prego si accomodi nella stanza in fondo a sinistra».

    «Mi ha dato il suo nominativo un’amica, vorrei parlarle di un mio problema. Non sono mai stata da uno psicologo, quindi non ho idea di come funzioni. Sono qui per una cosa che mi è successa molti anni fa che non mi dà pace, mi tormenta».

    «Signora Della Pasqua, andare dallo psicologo è sicuramente il primo passo per cercare di risolvere un problema che riteniamo di non riuscire ad affrontare da soli. Sul come si fa, lo vedremo assieme, per ora deve solo sentirsi a proprio agio, senza preoccuparsi di cosa deve dire o cosa ricorda. Mi dica solo quello che al momento, rispetto a questo evento, le viene in mente».

    «Dott. Clodio, sono tormentata da una cosa successa diversi anni fa a Brescia. Dopo mille perplessità mi sono rivolta a un chirurgo estetico per effettuare una liposuzione; sono andata da un amico di famiglia, uno di quelli che si vedono spesso a cena, è sempre stato una persona gentile e cordiale, pensavo di potermi fidare».

    «Invece?», dissi senza nascondere una certa curiosità.

    «Invece quest’uomo mi ha sconvolta».

    Non potevo fare a meno di guardare i capelli di quella donna, si trattava di una di quelle persone che emanano un certo senso di erotismo, bella di aspetto, ma soprattutto dotata di grande eleganza e sensualità. Alta, mora, con grandi occhi castani, ben vestita, sicura nei modi e nel parlare. Mentre raccontava la sua storia continuava a spostare i capelli dalla spalla; era vestita con un abito dal gusto forse un po’ retrò, ricordava alcuni vestiti che andavano di moda negli anni Cinquanta, leggero, nonostante il clima non proprio mite di quei giorni. Le stava benissimo e le dava un senso di freschezza, certamente mi piaceva, insomma, una gran bella donna.

    «L’intervento è riuscito bene, ma non è di questo che le voglio parlare».

    A questo punto cominciai a pensare alle cose più strane, tra me e me infatti mi domandai: Ora mi racconterà che si è innamorata del chirurgo e che lui l’ha rifiutata?

    Invece lei continuò nel suo racconto.

    «Ho realizzato quanto accaduto dopo l’intervento, alla prima visita di controllo. Il medico, infatti, cominciò ad avere un atteggiamento diverso nei miei confronti, più galante e confidenziale. Lì per lì pensavo si trattasse di una forma di gentilezza, di cortesia, non mi posi minimamente il problema che potesse trattarsi d’altro».

    Cominciai ad agitarmi, pensai: Non sarà il solito caso in cui si immagina un evento che non si è realizzato, il tutto frutto della paura di aver subito una violenza?

    «Deve sapere, dott. Clodio, che mio marito non sa nulla di questa vicenda e nemmeno del fatto che ho deciso di rivolgermi a lei, chissà cosa penserebbe se lo sapesse».

    Cominciò ad agitarsi, gli occhi le si inumidirono e la voce prese un tono sempre più ansioso.

    «Desidera un bicchiere d’acqua?», le chiesi timidamente.

    «No, grazie, preferisco finire prima il mio racconto, già che ho trovato il coraggio di fissare questo appuntamento. Dove sono rimasta?»

    «Mi stava raccontando della volta in cui si era recata dal medico chirurgo plastico per la visita dopo l’intervento di liposuzione».

    «Sì, ecco, le stavo dicendo che in occasione della visita questo amico di famiglia cominciò a essere un po’ diverso con me. Durante l’appuntamento mi palpò le cosce. Era ovvio che lo facesse, posto che mi aveva operata da poco, ma io sentii qualche cosa di diverso, insomma mi imbarazzò».

    Pensai: Adesso mi dice che il medico l’ha violentata! Intanto, lei continuò.

    «Insomma, fu la prima sensazione, ma poi non ci pensai più. Dopo qualche giorno, però, il chirurgo mi disse che era meglio fare un piccolo ritocco, che voleva semplicemente mettere mano ad alcune zone che, a suo dire, potevano essere migliorate e che il tutto, questa volta, si poteva svolgere nel suo studio, senza dover ricorrere alla sala operatoria. Io rimasi piuttosto perplessa, non ebbi modo di riflettere molto, pensavo che fosse importante ascoltare lo specialista, anche se per la verità io non notavo nulla di particolare o di strano nelle mie gambe. Quindi mi fissò un appuntamento nel suo studio dopo una settimana. Tornai a casa perplessa, ma anche convinta che si trattasse di un intervento meno invasivo e di routine, un piccolo ritocco come diceva lui».

    Mi ci vuole un caffè!, pensai tra me. Uno psicologo non si allontana mai dalla paziente mentre sta raccontando aspetti così importanti, ma avevo bisogno di capire meglio e volevo appositamente fare una pausa anche per sondare la sua reazione, quindi le chiesi: «Desidera un caffè?»

    «No, grazie, sono già abbastanza agitata».

    «Se non le spiace lo prendo io però».

    «No, no, non si preoccupi», rispose lei un po’ infastidita per l’interruzione.

    «Allora, se permette, mi assento proprio due minuti».

    Mi recai in bagno ove, di fianco al lavandino, avevo collocato una macchina per il caffè di quelle che funzionano con le cialde. Sono sempre stato concettualmente contrario alle cialde, vengo dalla scuola della moka, ma alla fine mi ero rassegnato a quello strumento infernale che di fatto migliorava la qualità della vita. Potevo avere un caffè in pochi secondi, senza dover aspettare.

    Tornando nel mio studio, mi accorsi che la signora Della Pasqua si era soffermata sulla mia laurea in psicologia e sugli attestati specialistici che avevo appeso sulla parete.

    «Ecco, mi scusi per l’interruzione, ma oggi non avevo ancora avuto modo di bere il caffè, continui pure».

    Certo non passavo per essere uno di quegli psicologi classici: lettino, lunghi silenzi, senso di distacco, beh, io avevo il mio metodo, più informale, che però aveva portato a buoni risultati con anche una certa soddisfazione, d’altronde il mio approccio era sistemico. Avevo la fama di uno atipico ma che alla fine ci prendeva, del resto la mandava la moglie di un mio cliente storico, senz’altro le avrà anticipato un po’ il mio modo di fare e il mio metodo non proprio classico.

    La signora Della Pasqua allora continuò: «Le stavo dicendo che dopo aver appreso che era necessario effettuare un secondo piccolo intervento, nello studio del chirurgo che mi operò, tornai a casa piuttosto perplessa ma non preoccupata. Non dissi nulla a mio marito, non lo ritenevo necessario, già mi aveva così criticata per il primo intervento, figuriamoci se gli avessi detto del secondo, mi avrebbe senz’altro reso la vita difficile. Così la settimana seguente mi recai dal medico. Erano le 18:30 e nello studio del chirurgo non c’era più nessuno. Gli chiesi come mai non c’erano la segretaria e i suoi collaboratori, lui mi rispose che aveva pensato di mandarli via, adducendo una scusa sul fatto che faceva questo ritocco gratuitamente e che non voleva spiegare ai suoi collaboratori i dettagli, inoltre in questo modo avrebbe evitato che a Carlo, mio marito, fosse potuta giungere voce dell’intervento, visto che a volte andava a trovarlo. Lì un po’ mi agitai, mi sembrava strano non ci fosse nessuno ad aiutarlo, ma non riuscivo a capire se si trattasse di nervosismo per l’intervento o per la situazione anomala, fatto sta che rimasi. A quel punto il chirurgo preparò la stanza, c’era un lettino con delle lenzuola, alcuni macchinari, dei ferri, io mi spogliai e misi un camice che si trovava dietro un paravento. Il medico mi disse testualmente che avrebbe cercato di togliere delle piccole imperfezioni, effettuando un minuscolo buco con un ago sottilissimo, che in ogni caso non avrebbe lasciato alcun segno e che non avrei avuto nulla da temere perché l’intervento era completamente indolore e privo di qualsiasi controindicazione. Mi disse che dovevo solo prendere un calmante, che mi avrebbe rilassata e che avrebbe messo un lenzuolo sopra le gambe, così che io non avrei visto nulla, mi disse più volte di stare tranquilla. Così presi questo liquido dal sapore amaro e poi non ricordo più nulla, fino a che mi destai. Al mio risveglio il medico mi disse che era andato tutto bene e che era riuscito a fare il lavoro con degli aghi sottilissimi, sottocutanei, ragion per cui non si vedeva nulla. Guardando l’ora, mi accorsi che erano le 20:00 passate e allora chiesi spiegazioni della durata. Ero entrata alle 18:00, lui mi disse che, per non effettuare un buco grande, si era dovuto aiutare con le mani, e che questa procedura aveva richiesto molto tempo. Chiesi allora come mai mi fossi addormentata, e lui rispose che a volte succede con quel calmante che mi aveva dato e che alla fine era stato meglio così. Mi sentivo frastornata, non capivo molto, mi guardai le gambe e mi sembrò tutto come prima, nessun segno, ero solo un po’ arrossata. Lì per lì ero ancora intontita dal farmaco, non pensai a nulla in particolare, quindi mi rivestii rapidamente, e uscii, seppur con un po’ di fatica perché mi sentivo drogata. Tornata a casa feci una doccia per riprendermi e cominciai a sentire un certo dolore alla vagina. Feci un rapido controllo, e mi accorsi che era molto arrossata. Il cuore cominciò a battermi fortissimo, non capivo cosa mi fosse successo, mi spaventai terribilmente e di colpo mi venne in mente che potessi essere stata violentata, anche se non riuscivo a crederci. D’istinto chiamai subito il chirurgo sul cellulare chiedendogli spiegazioni, dicendogli che mi ero accorta che la mia vagina era molto infiammata, che non avevo segni sulle gambe e che non capivo cosa fosse successo. Lui con fare tranquillo mi disse: Veronica, non preoccuparti, stai tranquilla, ti ho detto che è andato tutto bene e che anzi non ho dovuto nemmeno usare troppi aghi invasivi. Io però continuavo a non capire cosa c’entrasse il rossore alla vagina, infatti non aveva alcun nesso con l’intervento, ma lui disse che probabilmente avevo un problema anche prima di cui non mi ero accorta e che non era il caso mi agitassi tanto. A quel punto gli risposi che lo avrei chiamato l’indomani perché ero sconvolta, e iniziai a piangere come una fontana, recandomi in bagno per disinfettarmi profondamente. Non sapevo se fossi paranoica o se effettivamente avessi subito una violenza, non potevo nemmeno parlarne con Carlo, mio marito, che neanche sapeva del mio intervento, insomma, ero disperata».

    A quel punto presi la parola.

    «Non ha pensato di recarsi al pronto soccorso per farsi fare una visita, semmai per fare delle verifiche con un tampone?», chiesi mentre prendevo appunti freneticamente.

    «Assolutamente no, non sapevo cosa pensare, non ero certa di niente, avevo paura di passare per pazza, poi d’istinto mi ero lavata profondamente, come avrei potuto dimostrare e provare cosa era accaduto? Ero anche terrorizzata all’idea che Carlo lo scoprisse, insomma, un insieme di cose».

    «E poi cos’è successo? Cosa ha fatto?», continuai.

    «Poi mi sono presa un sonnifero per dormire, avevo bisogno di riposare e di pensare con calma a quanto accaduto. L’indomani chiamai nuovamente il chirurgo per un altro appuntamento, mi rispose la segretaria e con lei fissai una visita, questa volta la mattina, così da essere certa di non essere sola. Nel pomeriggio, mi richiamò la segretaria del chirurgo dicendomi che per un problema urgente a Milano il medico non poteva ricevermi e che avremmo dovuto spostare l’appuntamento di due settimane. Reagii urlando, lasciando la poveretta basita. Allora mi recai sotto lo studio del chirurgo e aspettai che uscisse, nel vederlo mi scaraventai addosso a lui chiedendogli delle spiegazioni, ma lui non reagì, mi disse che forse ero un po’ esaurita, che dovevo calmarmi, che non si spiegava la mia reazione, che l’intervento era riuscitissimo e che non comprendeva le mie allusioni. Io, spazientita, gli urlai che lo avrei denunciato e che non avrei mai più voluto vederlo in tutta la mia vita. A quel punto piangendo tornai a casa. Non sapevo cosa fare, ero confusa e molto spaventata, avevo paura di passare per pazza, mi chiedevo: e se mi fossi convinta di una cosa che non è successa? Come posso dimostrare di aver subito una violenza? E se poi lui mi dovesse accusare di calunnie io come mi difenderei? Ero distrutta, cominciai a non mangiare più, a non dormire più, Carlo non si spiegava il mio stato d’ansia, pensava fosse dovuto al fatto che non riuscivamo ad avere bambini, ma non si spiegava come mai non volessi più avere rapporti con lui. In questo stato di perenne confusione lasciai che passasse il tempo, anni, cercando di convincermi che forse avevo mal interpretato e che tutto sommato davvero non avevo altri elementi per dimostrare quanto accaduto, innanzitutto a me stessa. Quindi non ci pensai più, evitando accuratamente di incontrare Francesco, il chirurgo. Tutto sarebbe pian pianino rientrato sennonché, una mattina, dopo tre anni, mi recai al mercato in piazza a Brescia. Io vivo in una cascina lì vicino, in Franciacorta, e lo incontrai per strada. Mi si gelò il sangue mentre si avvicinava con un sorriso chiedendomi: Come stai? È tanto tempo che non ci vediamo, ultimamente lavoro molto a Milano, tu tutto bene? Posso offrirti un caffè? Io chiaramente risposi che avevo molta fretta e che non potevo intrattenermi e lui allora mi disse: Con Carlo tutto ok? Mi hanno riferito che c’è un po’ di tensione tra voi, se hai bisogno puoi contare su di me.

    Ti hanno riferito delle cose errate, risposi.

    Meglio così allora, mi disse lui, e si avvicinò per salutarmi con un bacio. Io mi spostai di scatto e lui guardandomi negli occhi mi disse: A volte partecipare alle emozioni può creare piacere per due anziché per uno solo. Io rimasi impietrita, non dissi nulla, neanche un commento e lui si allontanò salutandomi con un gesto della mano.

    Allora è successo! Allora mi ha violentata! Mi ha toccata! Cosa potrà aver fatto, aiuto! Come faccio, non posso credere di dover affrontare tutto questo!, cominciai a pensare e caddi in una vera e propria crisi depressiva che mi costrinse all’uso di farmaci per stare bene».

    Mentre parlava aveva gli occhi lucidi, la sua freschezza per un attimo sparì lasciando il posto a un senso di tensione che le irrigidiva il viso, quindi continuò il suo resoconto.

    «Dopo mille ripensamenti ho deciso di venire da lei per sapere come posso uscire da questo incubo. Per le vie legali è troppo tardi, ho bisogno di supporto psicologico, mi deve aiutare, dott. Clodio».

    Ascoltai con attenzione e dissi: «Guardi, signora Della Pasqua, io ho sentito attentamente il suo racconto. Senz’altro possiamo lavorare assieme per capire meglio tante cose, cercherò di fare del mio meglio per aiutarla, partiremo proprio da questo evento traumatico. Quel che conta, ora, è che lei sia venuta da me: questo mi sembra un fatto molto positivo, parlarne, infatti, la aiuterà a fare luce sull’accaduto e insieme cercheremo di capire meglio. Credo sia importante vedersi almeno una volta alla settimana, poi in seguito valuteremo se basta, potrà contattarmi per fissare un appuntamento».

    «Benissimo».

    Quindi la congedai invitandola a chiamare per fissare un altro appuntamento, in genere non fissavo mai il secondo incontro, preferivo che i pazienti nuovi avessero il tempo di pensare se volevano tornare, così da non metterli nella condizione di richiamare se per qualche motivo preferivano non proseguire.

    Porca vacca, che storia assurda, pensai tra me. Ma sarà vera? Mai una volta che mi capiti una paziente facile.

    Uscii dallo studio presto quella sera. Ero stanco, avevo dovuto rispondere a una infinità di richieste dettate dalle ansie di alcuni pazienti.

    Tornando a casa ripensai al caso della signora Veronica, mi sembrava un po’ fantasioso, ma anche estremamente impressionante.

    Quella sera era dedicata al tennis: ogni mercoledì giocavo un doppio con alcuni amici, i ragazzi come li chiamavo io affettuosamente. Marco, avvocato idealista, Giovanni, architetto con due bambine e Paolo, personal trainer, alcuni direbbero body builder, il classico trentenne che cambia donna ogni mese.

    Eravamo un bel gruppetto assortito, amici da sempre.

    «Senti, Marco», dissi, «ma quella ragazza che c’era a casa tua l’altra sera, quella biondina, un po’ nordica, Laura, è sposata?»

    «Sì, Andrea, scordatela!», rispose Marco con il suo solito tono severo. «Adesso non farai il moralista, mi auguro».

    «Macché moralista, Andrea, è che una donna sposata porta solo guai, e poi ha anche una bambina».

    «Ma sì, Marco, forse hai ragione, però è molto bella, poi l’altra sera a casa tua ci siamo scambiati degli sguardi, devo dire che non mi è del tutto indifferente. C’è qualche cosa in lei che mi incuriosisce, un’aria un po’ persa, ma con suo marito come va?»

    «Con suo marito non credo vada bene, almeno so che litigano spesso, so che lui l’ha tradita, insomma, sono un po’ incasinati e mi pare che sia meglio lasciar perdere. Tra le altre cose lei verrà sabato alla festa di Elisabetta, vedi di non fare il tacchino!»

    «Tacchino? Come sei anziano! Parli come un trentenne che vuol fare il quindicenne!»

    «Mi ero dimenticato della festa», rispose Paolo, «bene, ogni tanto ci vuole un po’ di vita, ci saranno molte donne?»

    «Ecco, è arrivato l’altro, a te non è bastata quella del mese di febbraio?», rispose Marco.

    «Ma come siamo acidi stasera, lo sai che io non ho ancora trovato l’anima gemella, quando la troverò saprò essere stabile, se è questo che intendi. In ogni caso, volevi forse psicanalizzarmi?»

    «Dai, beviamoci una birra che stasera c’è un’aria frizzante qui», interruppe Giovanni che, come sempre, era il più accomodante.

    Il locale dove andavamo sempre dopo il tennis era un bar periferico orribile, ma che a noi piaceva per la sua semplicità e per il fatto che i prezzi erano veramente competitivi.

    La serata passò come sempre tra una risata e l’altra. Eravamo un gruppo davvero fortunato: non c’era nulla che ci preoccupava veramente.

    Mai avrei potuto immaginare cosa mi sarebbe accaduto nel giro di alcune settimane.

    Il giorno dopo mi alzai con un mal di testa feroce, forse colpa delle birre della sera prima o del fatto che non ero riuscito a dormire bene.

    Mi recai in studio presto, come sempre in bici. Pedalando pensavo tra me e me al caso della signora Veronica; non riuscivo a focalizzare il problema e soprattutto mi domandavo, ammesso che fosse vero quello che mi aveva raccontato, come avrei potuto aiutarla. Non riuscivo a capacitarmi del fatto che fosse stata così sciocca da non andare al pronto soccorso appena resasi conto di quanto accaduto e di non aver sporto denuncia. Mentre pensavo, lungo la strada, mi imbattei in Laura.

    «Ciao, Laura, che ci fai qui?», chiesi un po’ inebetito.

    «Stavo per farti la stessa domanda, ho appena accompagnato all’asilo mia figlia, sai, abito in zona».

    «Non lo sapevo, stavo per andare a prendere un caffè, ti va?», dissi subito per non perdere l’occasione.

    «Guarda, giusto due minuti, perché sono un po’ di fretta», rispose compiaciuta.

    «Ma sì, anche io devo andare in studio. Dai, ci fermiamo qui». E riposi la bicicletta proprio di fronte al bar.

    «La scorsa sera da Marco non ti ho nemmeno chiesto che lavoro fai», cominciai a incalzarla un po’ con fare sicuro e corteggiatore.

    «Mi occupo di tessuti, diciamo che dipingo

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