Terre di mezzo: Guerre, imperi, energia e il futuro delle democrazie
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Le immagini e le visioni di futuro che guidano i leader politici si trasformano in azione geopolitica. I principi di autodeterminazione, uguaglianza sovrana degli Stati e diritto all’inviolabilità territoriale hanno costituito il fondamento tanto per le rivendicazioni di legittimità politica quanto per le norme e le istituzioni liberali alla base dell’ordine globale trainato dall’Occidente. In modi importanti ma molto diversi fra loro, Cina, Iran, Russia e Turchia hanno lanciato una sfida a quest’ordine.
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Anteprima del libro
Terre di mezzo - Adriana Castagnoli
Capitolo 1
Fra Europa e Asia
Imperi di ritorno?
L’inizio del XXI secolo si annuncia come una fase di ritorno alla geopolitica imperiale contrassegnata dalla volontà delle maggiori potenze della regione eurasiatica a intervenire oltre i loro confini. Come osserva il politologo Jeffrey Mankoff, Cina, Iran, Russia e Turchia appaiono determinate a usare, a seconda della propria visione e proiezione, forza militare, proxy locali, dipendenza economica, strumenti diversi di controllo politico. Questi quattro Stati sono essi stessi eredi di antiche tradizioni imperiali. Proprio il recupero o il riemergere delle loro eredità imperiali è una delle ragioni principali per cui essi sono, seppure in varia misura, altrettante potenze revisioniste rispetto all’ordine globale liberale¹.
Dal 1945, i principi di autodeterminazione, uguaglianza sovrana degli Stati e diritto all’inviolabilità territoriale costituiscono il fondamento su cui poggiano tanto le rivendicazioni di legittimità politica quanto le norme e le istituzioni liberali alla base dell’ordine globale. Eppure, in modi importanti, queste potenze hanno posto una sfida a quell’ordine. Non solo tutte e quattro hanno mancato di diventare democrazie liberali, ma rimangono invischiate con le loro periferie di un tempo in modi che facilitano la proiezione di potenza transfrontaliera e la distruzione della sovranità degli Stati minuscoli sino, in alcuni casi, a minare la loro integrità territoriale. In Ucraina e in Siria come in Moldavia, il perseguimento di una influenza di tipo neo-imperiale di Russia e Turchia ha condotto all’intervento militare e, in pratica, a cambiamenti territoriali. Altrove la nuova geopolitica imperiale ha assunto la forma di relazioni economiche asimmetriche, come nel caso della Cina in Asia centrale e Africa, o ha puntato ad assicurarsi la lealtà delle popolazioni con cui gli imperi di ritorno condividono legami linguistici, religiosi ed etnici transfrontalieri.
Come definire un impero nel XXI secolo? Il termine impero
è scivoloso ma può fornire una lente attraverso cui comprendere come Cina, Iran, Russia e Turchia affrontano le sfide politiche e di sicurezza nell’Eurasia moderna con effetti destabilizzanti sugli equilibri fra l’Occidente e gli altri. La pratica ormai comune di usare e abusare della categoria di impero come metafora per identificare qualsiasi relazione di potere ineguale ne ha offuscato il significato originario di dominio. L’analogia imperiale viene usata e abusata come categoria per stigmatizzare il potere politico ed economico quando esso appare o è considerato minaccioso o arbitrario. Un concetto facilmente disponibile nella mappa mentale contemporanea per descrivere il potere sviluppatosi su una base di diseguaglianza e utilizzato per sopprimere la diversità culturale².
C’è chi condanna qualsiasi atto di proiezione di potenza, specialmente da parte di rivali come Russia e Cina, come costruzione dell’impero. Le istituzioni autocratiche possono avere qualità imperiali, ma le istituzioni democratiche (o più democratiche) vanno distinte. Perciò la caratterizzazione tanto degli Stati Uniti quanto della moderna Unione Europea come imperi su invito
appaiono fuorvianti³. In tal caso, qualunque organizzazione di potere istituzionale può divenire impero
, magari mitigato da un attributo ossimorico. Come ha attestato lo storico Timothy Parsons, la caratteristica essenziale dell’impero è il dominio e lo sfruttamento permanente di un popolo sconfitto da parte di una potenza conquistatrice. Per loro stessa natura, gli imperi non possono essere e non sono mai stati liberali o tolleranti⁴.
Negli ultimi anni, gli studiosi hanno fatto passi da gigante nello studio comparativo degli imperi, ma una definizione precisa rimane elusiva. In poche parole, un impero è un centro con molte periferie collegate
fra loro. L’estensione territoriale di un impero, definita solo dalla subordinazione a una autorità centrale, è sempre mutevole guidata dalla logica dell’espansione perpetua
*. All’interno di questo sistema, l’autorità fluisce dal centro, mentre le entrate, le reclute e gli altri beni tornano al centro dalle periferie, che rimangono scollegate l’una dall’altra. Il dominio imperiale cerca di modellare anche la struttura interna delle periferie, trasformando più o meno sottilmente i popoli, le loro istituzioni politiche e strutture sociali. Ma quando la volontà o la capacità del potere imperiale di trasformare soggetti politici e popoli è limitata, allora ricorre alla politica della differenza
.
Dire che la Russia moderna, la Turchia, l’Iran e la Cina, pur così diversi, continuano a recare tracce imperiali significa suggerire che molte di queste caratteristiche esistono ancora, dalla preminenza dello Stato sull’individuo, alla politica della differenza
– che consente, per esempio, alla Cecenia di Ramzan Kadyrov di costruire uno piccolo Stato della sharia all’interno della Russia – o alla fluidità dei confini tra Turchia e Siria, Russia e Ucraina, o Iran e Iraq.
L’impero, però, non è solo un particolare modello di struttura politica, ma anche una narrazione, una costruzione del discorso fondata sulla pratica della conquista imperiale. Il dominio plasma le aspettative collettive sulla natura dello Stato nei riguardi di cittadini-sudditi e Stati-satelliti ai suoi confini.
L’Eurasia è stata per migliaia di anni un’arena di scambio e di competizione geopolitica tra imperi, tra i quali i predecessori degli odierni Stati cinese, iraniano, russo e turco. La loro posizione al centro della massa continentale eurasiatica li ha collocati lungo una traiettoria storica distinta rispetto agli imperi coloniali d’oltremare europei. Questa traiettoria include una cultura politica condivisa emergente dalle steppe nomadi che fonda la legittimità sul valore militare e sull’espansione territoriale. Risalente a un’epoca precapitalista, tale espansione non aveva nulla a che fare con la ricerca di mercati né di sbocchi per il surplus del capitale europeo all’origine dell’«imperialismo fase suprema del capitalismo» teorizzato da Lenin.
L’estensione territoriale degli imperi dell’Eurasia non è mai stata fissata. In tutte le regioni frantumate fra imperi nei Balcani, nel Caucaso e nell’Anatolia orientale, in Mesopotamia e in Asia centrale, la sovranità tendeva a essere mutevole, stratificata e, a volte, sovrapposta. Gli imperi terrestri dell’Eurasia rimasero quindi profondamente invischiati – etnicamente, culturalmente, religiosamente, economicamente e politicamente – con le loro periferie post-imperiali.
Nel XXI secolo le periferie imperiali di un tempo come l’Ucraina, l’Iraq o l’Afghanistan, collegate ai nuclei centrali degli imperi ma mai veramente integrate, sono nuovamente divenute luoghi di contestazione. E mentre i tentativi di nazionalizzare
gli imperi multietnici dell’Eurasia sono in gran parte falliti, lo sforzo stesso aiuta a spiegare uno dei paradossi della attuale nostalgia imperiale: molti dei più ardenti neo-imperialisti della Cina moderna, dell’Iran, della Russia e della Turchia sono anche ardenti nazionalisti. Una riscrittura nazionalista della storia permette loro di confondere la realtà dei vecchi imperi con l’idea moderna di Stato-nazione⁵.
Il potere di attrazione della UE
Dopo il crollo dell’URSS, nel 1991, l’Occidente si trovò a dover rispondere alle aspirazioni dei nuovi Paesi indipendenti della periferia russa, come l’Armenia e la Georgia, per relazioni più strette con l’Europa. La Russia cercava di ricostituire la sua precedente sfera di influenza e mirava a rafforzare la cooperazione economica e militare con le repubbliche ex-sovietiche nella Comunità degli Stati Indipendenti (CSI).
In questo conflitto di aspirazioni e identità, l’Occidente ha usato il richiamo indiretto del suo stile di vita prospero e pacifico. Mentre la Russia ha contrastato lo sgretolamento dei suoi bordi con la forza militare, all’esterno, e, all’interno, con il controllo e con la riscrittura della narrazione storica⁶. La narrazione storica è nevralgica nella Russia di Vladimir Putin. Gli apparati dello Stato sono coinvolti come alchimisti nella riscrittura del racconto storico sin dai primi anni della presidenza Putin. La politica è traslata nella storia e porta alla revisione di figure come Ivan il Terribile, Pietro il Grande o Stalin. La vittoria sovietica sulla Germania nazista ha assunto elementi di culto tali da divenire una sorta di religione civile ed essere il precedente storico fondante dell’attuale identità della nazione russa.
L’unico modello alternativo all’idea tradizionale di organizzazione imperiale è sembrata l’Unione Europea. L’UE è una nuova forma di gestione sovranazionale percepita dai suoi cittadini come un indizio di pacifica stabilità che, invece, sfuggirebbe agli Stati Uniti, intrappolati nella complessità di essere una superpotenza. L’Europa moderna ha un chiaro slancio verso l’espansione continua, non per conquista militare ma basata sul volontarismo e sull’attrazione di una prosperità comune come conseguenza dell’adesione di nuovi associati⁷. L’affermazione transcontinentale di una identità europea sia a livello di élite sia di società civile ha coinciso con il diffuso rifiuto della guerra di George W. Bush in Iraq, nel 2003, guidato dalla Francia. Substrato di tale rifiuto è stato l’antiamericanismo che, in Europa, riemerge ciclicamente nelle congiunture di crisi dalla profondità di radici storiche attecchite durante la rivoluzione americana (1765-1783)⁸.
Con l’affermazione di una nuova identità, in Europa occidentale le minacce di natura nazionalistica sono state esercitate non più dagli Stati quanto da regioni che rivendicavano sé stesse quali proxy di nazioni (per esempio, la Catalogna). La rivendicazione e presunzione di queste identità implicava, in alcuni casi, molte delle narrative euroscettiche che, in modo astorico, hanno attribuito alle entità locali caratteri omogenei basati su modelli comuni di mentalità, cultura ed economia (come la Padania leghista). Identità regionali e mesoregionali guadagnarono vigoria nel processo di indebolimento degli Stati-nazione che, negli ultimi decenni del XX secolo, accondiscesero a cedere parte delle loro attribuzioni normative a istituzioni sovranazionali e internazionali: dalla Comunità economica europea evoluta in Unione Europea alla NATO alla World Trade Organization (WTO).
I princìpi sui quali si fonda l’integrazione degli Stati sono fondamentalmente differenti dalle logiche dell’impero. Il principio organizzativo dell’integrazione è la pariteticità degli Stati anziché la gerarchia. La UE è avanzata dall’assunto che ogni Stato è uno Stato di diritto e che l’integrazione è regolata dalla legge. Il risultato è stata la creazione di uno spazio economico formidabile ma vulnerabile. L’economia della UE, nel 2016, era la prima del G20, equivaleva a quella degli Stati Uniti, era più grande di quella della Cina e, innanzitutto, assai più tecnologicamente avanzata e più grande di quella della Russia. Con le sue procedure democratiche, la regolazione del mercato, il welfare state e la protezione dell’ambiente, Bruxelles ha offerto un modello alternativo a quelli americano, russo e cinese. Tuttavia, mancando di forze armate unificate a livello sovranazionale come di istituzioni efficaci in politica estera, l’UE è dipesa dal diritto e dall’economia per la diplomazia e il funzionamento interno. Senza una difesa comune e con un sistema decisionale macchinoso, la sua politica estera richiede di persuadere i leader e le società che desiderano accedere ai suoi mercati ad abbracciare lo Stato di diritto e la democrazia.
Impero versus Integrazione?
Molti percorsi di costruzione nazionale, nel XIX e nel