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Storia della politica internazionale (1957-2017): Dalle conquiste spaziali al centenario della rivoluzione d’ottobre
Storia della politica internazionale (1957-2017): Dalle conquiste spaziali al centenario della rivoluzione d’ottobre
Storia della politica internazionale (1957-2017): Dalle conquiste spaziali al centenario della rivoluzione d’ottobre
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Storia della politica internazionale (1957-2017): Dalle conquiste spaziali al centenario della rivoluzione d’ottobre

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Questo terzo volume di Storia della politica internazionale valuta l’evoluzione interna ai due blocchi “Est-Ovest” nel periodo 1957-2017. Esclusa la possibilità di prevalere con un confronto militare aumenta lo sforzo dei due competitori per rendere ottimale il proprio modello. Vengono esaminate le alleanze, le unioni economico-sociali, gli impegni umanitari e la presenza all’interno dell’ONU. Emerge il ruolo esercitato dalle grandi potenze sia nel mondo liberal-democratico che in quello marx-lenin-maoista. Gli USA sono impegnati in un ciclopico sforzo nelle Americhe, in Europa, in Asia e anche in Africa sotto la guida di diversi presidenti fra i quali Kennedy, Nixon, Carter, Reagan, Bush, Clinton, Obama e Trump. L’esame del mondo comunista si sofferma sull’evoluzione sovietica  fino alla dissoluzione dell’URSS; in questi decenni sono al centro della scena Krusciov, Breznev e Gorbaciov. Negli anni successivi la guida della Russia è assunta da Eltsin e da Putin. Un’attenzione specifica è riservata al lungo dopoguerra tedesco; la Germania, debellata, occupata e divisa persegue con tenacia la riunifcazione. Un rilievo particolare è riservato alla Cina durante gli anni di Mao Tsè-tung, Deng Xiaoping e Xi Jinping; sono esaminate anche la questione tibetana e il dissidio con Formosa. Un breve capitolo conclusivo è dedicato ai Paesi non allineati (PNA) e al loro attuale impegno politico. In questo quadro è avviato il processo integrativo del continente africano prima con l’Organizzazione dell’unità africana (OUA) e, in seguito, con l’Unione africana (UA). 
LinguaItaliano
Data di uscita15 lug 2019
ISBN9788838248467
Storia della politica internazionale (1957-2017): Dalle conquiste spaziali al centenario della rivoluzione d’ottobre

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    Storia della politica internazionale (1957-2017) - Alessandro Duce

    Alessandro Duce

    Storia della politica internazionale (1957-2017)

    Dalle conquiste spaziali al centenario della Rivoluzione d’ottobre

    Copyright © 2019 by Edizioni Studium - Roma

    ISBN 9788838248467

    www.edizionistudium.it

    ISBN: 9788838248467

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Prefazione

    I. L’evoluzione del mondo libero

    1.1. Un dopoguerra difficile

    1.2. La nuova frontiera e la grande società

    1.3. Oneri e responsabilità comuni (1969-1977)

    1.4. Gli Stati Uniti: idealismo e realismo (1977-1981)

    1.5. Sicurezza difensiva assoluta per l’Occidente (1981-1989)

    1.6. Una nuova leadership: USA, Occidente e comunità dei popoli liberi (1989-1993)

    1.7. Gestire la globalizzazione per il bene dell’umanità (1993-2000)

    1.8. Il mondo civile contro il terrorismo (2001-2009)

    1.9. L’impegno per un’umanità più fraterna e solidale (2009-2017)

    1.10. La rinascita degli Stati Uniti per il bene dell’Occidente e per la pace mondiale

    II. Dalle due Germanie alla riunificazione: il lungo dopoguerra tedesco (1945-1990)

    2.1. L’era Adenauer

    2.2. I socialdemocratici e i liberali alla guida della RF di Germania

    2.3. La riunificazione tedesca

    2.4. L’evoluzione della politica tedesca

    III. Il sistema comunista alla prova da un secolo (1917-2017)

    3.1. Krusciov alla guida dell’URSS

    3.2. La lunga gestione Brezˇnev"

    3.3. Dall’URSS alla Federazione Russa. Gorbaciov: difficoltà e speranze. Progetti di cambiamento

    3.4. Eltsin: la Federazione Russa e la Comunità degli Stati indipendenti (CSI)

    3.5. La nuova politica russa. Putin-Medvedev-Putin. La conferma a grande potenza (ONU, BRICS, sicurezza, difesa)

    3.6. Il risveglio dell’orso russo

    3.7. Il grande timoniere cinese: Mao Tsè-tung. La rivoluzione comunista

    3.8. La questione tibetana

    3.9. Ortodossia, coerenza, primato del comunismo cinese

    3.10. Sviluppi della politica estera cinese

    3.11. Nuovi traguardi: crescita, sicurezza e presenza internazionale

    IV. Il Movimento dei Paesi non allineati (MNA). Il panafricanismo

    ​4.1. Le conferenze internazionali. La condanna del colonialismo e dei blocchi militari. Neutralismo e non allineamento: neocolonialismo e coesistenza pacifica. Paesi in via di sviluppo (PVS), terzo e quarto mondo. Nuovo ordine mondiale. La condanna del terrorismo: dialogo fra le diverse civiltà. La riforma del CDS. Cooperazione Sud-Sud

    4.2. Dalle conferenze africane alla Carta dell’OUA (Addis Abeba,1963). Il non allineamento. Lo sviluppo economico del continente (ECOWAS, 1975; NEPAD, 2001). La carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli (1981)

    4.3. La nascita dell’UA (Lomé, 2000). Obiettivi e organi. La Comunità economica africana e il Parlamento panafricano

    Bibliografia

    Appendice fotografica

    Indice dei nomi di persona

    Indice dei luoghi e degli Stati

    LA CULTURA

    134.

    ALESSANDRO DUCE

    STORIA DELLA POLITICA

    INTERNAZIONALE

    (1957-2017)

    Dalle conquiste spaziali

    al centenario della Rivoluzione d’ottobre

    Prefazione

    Questo terzo volume, come i due precedenti, è uno strumento didattico per i corsi universitari e per quanti intendono accedere a carriere di carattere internazionale. Questa prioritaria preoccupazione non esclude che l’opera possa essere utile anche per quanti desiderano approfondire questioni internazionali (dirigenti pubblici e privati, esponenti politici, diplomatici, giornalisti, nunzi, operatori economico-finanziari, responsabili di reti informatiche, ecc.).

    Contenuti e metodo adottato presuppongono alcuni chiarimenti in quanto l’impostazione generale di quest’opera si allontana dalla manualistica più recente italiana ed estera. Sul piano temporale s’intende completare l’esame del secolo che coincide con il centenario della Rivoluzione d’ottobre (1917-2017).

    Nel primo volume sono stati esaminati gli sviluppi delle relazioni internazionali dopo la prima guerra mondiale con l’irrompere sulla scena delle ideologie concorrenti. È in questi decenni postbellici che si definiscono i rapporti fra le liberaldemocrazie, l’URSS e gli Stati totalitari fondatori del Tripartito. Questi ultimi giocano la carta bellica prima in Asia e poi in Europa ma escono sconfitti dal confronto militare e non torneranno più a occupare ruoli primari a livello mondiale. Spetta ai vincitori, dopo la seconda guerra mondiale, in particolare a Washington, a Mosca e a Londra, disegnare un nuovo ordine e dar vita all’ONU. Gli opposti convincimenti politici ed economici che ispirano i due sistemi, senza rinnegare gli impegni per la pace e la sicurezza, creano una duratura tensione anche se nessuno dei due competitori ricorrerà alla forza convenzionale o nucleare per prevalere sull’altro.

    Nel secondo volume la decolonizzazione postbellica è al centro del lavoro. Essa è esaminata dall’interno ponendo l’accento sulle forze promotrici del fenomeno (leader, movimenti popolari, partiti); i positivi traguardi conseguiti danno vita a una nuova realtà internazionale nella quale si affacciano molti nuovi Stati. Da questo punto di vista il ruolo assunto dalle grandi potenze e dai Paesi colonizzatori risulta meno rilevante e sono messe in discussione molte interpretazioni tradizionali. Anche l’azione dei Paesi vincitori, dopo le due guerre mondiali, per togliere i possedimenti coloniali ai vinti (Mandati A, B, C, e Amministrazioni fiduciarie) non modifica questa realtà, anzi per diversi aspetti ne sottolinea l’evidenza. Sono inoltre esaminate recenti colonizzazioni (calotte polari, l’esplorazione dello spazio extratmosferico, del sistema solare e dell’Universo) alla luce dei trattati di più recente sottoscrizione.

    Questo terzo volume esamina l’evoluzione dei rapporti fra le grandi potenze e i loro alleati dai successi spaziali (1957) alla ricorrenza del centenario della Rivoluzione d’ottobre (2017). In questo arco di tempo si costituiscono due blocchi in aperta competizione (pace difficile, guerra fredda). Essi, pur essendo prevalsi insieme sulle forze del Tripartito, non perseguono obiettivi comuni perché ispirati a ideologie contrapposte. Lo sforzo compiuto dai rispettivi vertici è di rendere ottimale il proprio sistema politico, economico e sociale; si vuole farne un modello apprezzato e auspicato per l’intera comunità internazionale, cioè adatto a tutti i popoli del pianeta. Non si deve dimenticare che liberaldemocrazia e marx-leninismo condividono un analogo ottimismo sul futuro dell’uomo e dell’umanità e traggono forza da una missione civilizzatrice di natura universalistica. Sia i vertici dell’Ovest che dell’Est operano attivamente all’interno del proprio sistema per dimostrarne la validità. Nessuno di essi predispone azioni offensive per un’affermazione bellica risolutiva sull’altra parte; al contrario, la corsa agli armamenti nasce da paure reciproche e da conseguenti esigenze di sicurezza, sia prima che dopo la disponibilità di armi nucleari. Alla luce di queste premesse occorre evitare una lettura degli ultimi decenni sulla base delle tensioni fra i due mondi (Berlino, Corea, Formosa, Medio Oriente, Indocina, Cuba, guerre africane, ecc.). Né Washington, né Mosca sono all’origine di queste contrapposizioni anzi, spesso si trovano costrette a prendervi parte dai rispettivi amici. Oltre a ciò non ritengono che una vittoria militare in uno di questi settori regionali possa assicurare l’affermazione del proprio sistema ideologico. Accentuare l’importanza di questi focolai di confronto equivale a scrivere la storia delle crisi fra i due sistemi competitori. Si lascia così in ombra l’aspetto più rilevante e duraturo della loro attività, cioè l’impegno interno per dimostrare la validità dei modelli adottati. È su questo terreno, pur garantiti da alleanze militari regionali e intercontinentali difensive, che si gioca il radicale confronto in atto. Quest’analisi esclude alcune recenti valutazioni: il secolo breve, la fine del comunismo, la fine della storia e il suicidio delle ideologie. Si tratta di forzature interpretative che non hanno concreta rispondenza con un esame critico dei fatti. Lo studio di questo periodo mette in luce anche l’evoluzione delle stesse ideologie di riferimento e i problemi nuovi che devono affrontare. Sono inoltre esaminate la dissoluzione dell’URSS e la nascita della Federazione Russa; quest’ultima, benché abbandoni il sistema marx-leninista, non trova un approdo nel mondo occidentale. Al contrario si lega alla Cina (RPC) che mantiene i precedenti riferimenti ideologici; si apre in tal modo uno scenario ibrido sul piano delle alleanze, delle cooperazioni (SCO, BRICS, ecc.) e nelle maggiori organizzazioni internazionali.

    Con l’inizio del terzo millennio le strutture portanti dell’ordine precedente subiscono significativi cambiamenti; esse, ancora in fase di definizione, non si prestano né a valutazioni accettabili, né ad affrettate previsioni.

    Un esame specifico è riservato al lungo dopoguerra tedesco. L’importanza della Germania è ben presente ai vincitori che ne hanno determinato la debellatio, l’occupazione, la riduzione territoriale e la divisione in due Stati. La nazione tedesca vive il dramma delle espulsioni di massa e della rottura statale, l’emergenza geopolitica centro europea, l’aspro confronto fra i due modelli politico-economico-sociali adottati e le diverse proposte per la riunificazione.

    Nella parte finale è presa in esame la posizione di alcuni Paesi che rifiutano collocazioni all’interno dei blocchi politico-militari: si tratta del Movimento dei non allineati (MNA). In questo contesto è analizzato il processo integrativo del continente africano con la nascita dell’Organizzazione per l’unità africana (OUA) e, più tardi, con l’Unione Africana (UA).

    RINGRAZIAMENTI

    Questo terzo volume completa il progetto iniziale per l’esame delle relazioni internazionali dal 1917 al 2017. Anche in questa impegnativa occasione ho potuto godere dell’aiuto di numerosi studiosi, di esperti, di diplomatici e di esponenti politici. Sento il dovere di rinnovare, anche in questa sede, ringraziamenti non formali oltre a quelli che ho già espresso verbalmente a ciascuno.

    Preferisco non ricordarli singolarmente per evitare di dimenticarne qualcuno e inoltre per non renderli, in qualche modo, corresponsabili del presente lavoro.

    Né minore è la mia riconoscenza nei confronti dei tanti addetti agli archivi e alle biblioteche che, con professionalità, disponibilità, interesse e pazienza mi hanno accompagnato in questi anni rendendo più sopportabile la fatica della ricerca delle fonti documentarie, memorialistiche e storiografiche.

    Voglio ringraziare anche un gruppo di giovani docenti, esperti di diversi settori e professionisti, che mi ha affiancato con suggerimenti, osservazioni e critiche sia su questioni specifiche che sulla sistemazione complessiva dell’opera: Mireno Berrettini, Gianluca Borzoni, Giulia Caccamo, Emanuele Castelli, Daniele Caviglia, Tiziana Di Maio, Davide Duce, Federico Imperato, Gianpaolo Malgeri, Alessandro Mambelli, George Meyr, Federico Niglia, Bruno Pierri, Luca Ratti, Paolo Soave, Valentina Sommella, Paolo Wulzer. I contributi che ho ricevuto sono risultati di tale rilievo che potrei definire quest’opera come un volume collettaneo virtuale.

    Un aiuto importante è venuto dal Responsabile editoriale dell’Editrice Studium dott. Simone Bocchetta, attento curatore dell’intero volume (testo, indici, fotografie), dal dott. Giulio Goggi e dalla dott.ssa Anna Augusta Aglitti, che hanno contribuito alla correzione delle bozze e a una scrupolosa rilettura del testo.

    Meritano un ringraziamento il maresciallo Enzo Bottazzi e il tecnico Roberto Cerati che hanno fornito un sostegno prezioso nella battitura dei testi, nella riproduzione delle bozze e nella sistemazione finale del volume.

    Ringrazio inoltre mia moglie Dina, i miei figli, Stefania e Davide, che, pur impegnati in altri settori professionali, hanno manifestato in questi anni una crescente curiosità per il mio lavoro e ne hanno incoraggiato il compimento.

    I. L’evoluzione del mondo libero

    1.1. Un dopoguerra difficile

    a) Eisenhower: gli USA, gli alleati e gli amici

    Nel decennio 1945-1957 gli equilibri fra Est e Ovest si sono in gran parte consolidati anche se il confronto resta aperto. In Occidente, alla luce della dottrina Truman, ha preso corpo un’imponente rete di alleanze difensive e sono avviate iniziative d’assistenza e di cooperazione economico-finanziaria. Un fenomeno analogo si manifesta nel mondo marx-leninista con importanti alleanze europee e asiatiche dopo l’affermazione del comunismo in Cina; né di minore rilievo sono i nuovi vincoli di natura economica. L’Europa appare, in questo periodo, cristallizzata sulla base della carta di guerra che ha prevalso sulla Dichiarazione sull’Europa liberata sottoscritta a Yalta (1945). Al contrario in Asia e in Africa, s’accentua lo scontro fra forze d’ispirazione nazionalista e comunista nel teatro della decolonizzazione.

    Negli anni ’50 Washington conferma gli indirizzi dei presidenti Roosevelt e Truman. Dwight David Eisenhower, all’inizio del secondo mandato presidenziale, ricorda (1957) i principi su cui è stata fondata e si è sviluppata la repubblica: Rispetto per l’umana libertà, per l’umano benessere e l’umano progresso. Essi devono trovare applicazione in patria e all’estero. L’esistenza di una dittatura imperialista fortemente armata è una minaccia per gli USA e per il mondo libero; la stessa sicurezza degli Stati Uniti presuppone la collaborazione con gli Stati che difendono la libertà; soltanto una forza militare moderna può garantire la sopravvivenza e scoraggiare il nemico che non esiterebbe di fronte a evidenti debolezze. Il sistema di sicurezza collettiva, creato con le alleanze regionali nell’ambito dell’ONU, deve essere aggiornato di continuo per renderlo solido, durevole e dissuasivo. Queste strutture sono costose e presuppongono economie solide e sviluppate; per questa ragione Washington intende sostenere sul piano militare ed economico gli altri Paesi amanti della libertà. Eisenhower conferma la disponibilità a proseguire nel dialogo per il disarmo, ma esso deve prevedere anche adeguate ispezioni con sentinelle aeree disarmate (cieli aperti). La pace nell’era atomica deve essere garantita e sicura. Per questa strategia è indispensabile l’unità del mondo libero in America, nell’Europa occidentale e in Asia. Il comunismo, pur disponendo di una possente energia disgregatrice, è scosso dalla forza poderosa degli uomini che amano la libertà come hanno dimostrato i recenti fatti in Ungheria. La pace auspicata non può nascere dalle minacce, dal timore, da servaggi indegni o dalla pietà del forte verso il debole.

    Eisenhower ricorda (1958) che Mosca aspira a estendere il suo potere in tutto il mondo e che, a questo fine, conduce una guerra fredda totale. Essa si trova in momentaneo vantaggio nella missilistica intercontinentale; la forza statunitense è tuttavia in grado di reggere anche a un attacco a sorpresa e di reagire con ritorsioni adeguate (bombardieri strategici, sommergibili, missili, ecc.). Washington è parte di una comunità mondiale libera e pacifica che accresce, grazie alle alleanze, la sicurezza di tutti. È in atto inoltre, da parte del Cremlino, uno sforzo propagandistico senza precedenti dopo il lancio di un satellite artificiale (Sputnik) che tende a nascondere la crisi interna del sistema. Comportamenti coerenti aiuteranno l’umanità a comprendere il significato profondo della nostra politica; «il futuro non appartiene allo Stato ateistico irreggimentato, ma ai popoli che onorano Dio e la pace». «La Bibbia marxista, non è nuova, non è il Vangelo del futuro». «L’America trova la sua migliore definizione in una sola parola: libertà. [...]. Noi combattiamo per la più nobile delle cause: la libertà dell’uomo». La dittatura comunista non può prevalere di fronte alla potente nazione statunitense che ha assunto una riconosciuta posizione di guida del mondo libero. Eisenhower annuncia (1959) che progressi importanti sono stati compiuti per la sicurezza occidentale (forze aeree di rapido intervento, missili a media e lunga gittata, aerei ultrasonici, satelliti artificiali, sommergibili atomici, ecc.) anche se occorre tenere presente i risultati brillanti ottenuti da Mosca in campo spaziale e missilistico. Gli Stati Uniti, «hanno stipulato accordi collettivi di sicurezza con circa cinquanta nazioni» disposte a sostenere oneri difensivi proporzionati alle rispettive possibilità economiche. Gli USA restano al centro di questo sistema; esso può vivere e adempiere ai suoi compiti se l’economia resta florida e si espande grazie ai fattori che ne hanno permesso la crescita: iniziativa privata e libera concorrenza. D’altra parte la difesa dell’America può essere garantita soltanto nell’ambito di una comunità mondiale di nazioni forti, stabili, indipendenti, animate da concetti di libertà, giustizia e umana dignità. Non ci può essere una fortezza America poiché sarebbe il frutto dell’isolamento cioè una prigione. Per questa ragione Washington deve continuare ad aiutare, come fa dal 1947, con propri mezzi, i popoli che vogliono difendere la propria libertà ma necessitano di aiuti. «Il nostro destino, precisa Eisenhower, è legato a quello di questi Paesi e manterremo i solenni impegni presi nei loro confronti; è necessario pianificare l’assistenza militare agli alleati, per il più valido sistema di difesa collettiva».

    Gli USA non sono diventati grandi con la debolezza o l’indulgenza verso se stessi; al contrario i successi attuali sono dovuti all’adesione a principi e metodi religiosi, alla soddisfazione per il duro lavoro, alla capacità di sacrificarsi per cause degne, al coraggio d’affrontare prove ardue per il progresso. Washington intende aiutare, con le sue eccedenze produttive, anche i popoli meno sviluppati che cercano con fatica di uscire dall’indigenza e dalla povertà. È un cammino faticoso di lunga durata («non si passa in fretta dal carro trainato dai buoi all’aereo a reazione») ma può essere portato a termine con successo. Entrambe le parti del pianeta posseggono armi di straordinaria potenza che possono determinare uno sterminio reciproco; è bene affiancare alle garanzie di sicurezza disponibilità e aperture per perseguire la pace. Queste preoccupazioni sono manifestate anche dai sovietici che, a più riprese, hanno sollecitato misure per il disarmo; occorre confermare la disponibilità statunitense al dialogo e ad accordi chiari che devono prevedere in ogni modo ispezioni reciproche; «esse sono condizioni essenziali di qualsiasi misura estensiva di disarmo». Un primo passo è stato compiuto. La sottoscrizione del trattato plurilaterale per l’Antartide che ne consente l’utilizzo a scopi pacifici, è garantito da un sistema di ispezioni; si tratta di un’esperienza nuova del riconoscimento di interessi dell’intera umanità meritevoli di tutela (cfr. Storia della politica internazionale, vol. II, pp. 523 e ss.).

    b) Dulles: sicurezza collettiva, rappresaglia massiccia, disarmo, Mutual Security Fund. Misure d’embargo verso Mosca, Pechino e Corea del Nord

    Di fronte alle numerose iniziative sovietiche sul disarmo, il segretario di Stato John Foster Dulles mette in guardia (1957) sulla necessità moscovita di ridurre le spese degli armamenti per rispondere alla domanda crescente di benessere da parte della popolazione. Un progetto credibile deve prevedere: ispezioni per prevenire attacchi a sorpresa in specifiche aree strategiche (America settentrionale, Canada, Alaska, Aleutine, Siberia orientale, penisola della Kamchatka, Curili, Europa, ecc.); blocco di produzione di materiale fissile per armi nucleari e loro destinazione per l’utilizzo pacifico; temporanea sospensione degli esperimenti nucleari; utilizzo non militare dei missili spaziali.

    In diversi ambienti statunitensi cresce la paura; si domanda l’abbandono della teoria del contenimento suggerita da George Frost Kennan di operare per far regredire l’avanzata minacciosa del bolscevismo.

    Eisenhower rassicura (1957) sul potere di «rappresaglia, massiccia e immediata, capace di annientare il potenziale bellicista di ogni Paese»: «Si dispone di armi adatte ad ogni genere di distanza, di lancio e di utilizzazione (la marina ha una bomba atomica di profondità)». Questa forza permette agli USA e ai loro alleati di disporre di mezzi di deterrenza idonei a impedire un nuovo conflitto mondiale; Mosca è in temporaneo vantaggio in alcuni settori, ma è possibile raggiungerla e superarla in breve tempo grazie a una più stretta cooperazione con i nostri alleati.

    È bene tuttavia non sottovalutare i risultati conseguiti dall’URSS in campo scientifico e tecnico, anche se questi successi mettono in ombra il benessere e la libertà del popolo russo. Lo Sputnik che gira attorno alla terra, osserva il vicepresidente Nixon (1957), non ha alterato gli equilibri militari; Mosca ha soltanto dimostrato di possedere missili potenti e di saper inviare un satellite artificiale nello spazio. L’importanza del fatto non va ignorata, ma neppure esagerata. Il Cremlino proclama che l’economia statale può superare quella basata sull’economia privata. I fatti smentiscono questa ipotesi; l’URSS ha ottenuto un enorme successo perché ha concentrato enormi risorse su pochi settori, mentre ha lasciato in disparte la crescita dei consumi della popolazione. Al contrario, i Paesi liberi hanno perseguito diversi obiettivi con importanti successi; «il contrasto tra la prosperità record della Germania occidentale e la squallida povertà di quella orientale ne è la prova evidente».

    John Foster Dulles sottolinea (1957) l’importanza delle strutture militari. Non è possibile, assicurare con forze difensive statiche la sicurezza «di più di 20 nazioni disseminate lungo i trentaduemila chilometri del sipario di ferro»; è necessario concentrare le forze per contrattaccare l’aggressore. Questo compito può essere assolto soltanto con l’aviazione strategica statunitense che costituisce l’arsenale dissuasivo per eccellenza. Esiste la possibilità di evitare la rappresaglia nucleare massiccia con reazioni flessibili, cioè locali e limitate, ove la minaccia di aggressione bolscevica si manifesti. In realtà, tale teoria è messa in discussione dalla crescente forza sovietica (missilistica e atomica), dalla mancanza di precisi progetti aggressivi moscoviti e dal convincimento di non poter assestare un colpo nucleare decisivo, cioè risolutivo come risposta a un attacco a sorpresa. Questo stallo militare indebolisce le speranze di vittorie belliche e rende evidente l’equilibrio del terrore; la parità distruttiva esistente non assicura il successo di azioni belliche mentre garantisce distruzioni devastanti neppure calcolabili. La rete delle basi militari statunitensi in tutti i continenti testimonia tale debolezza o la rende credibile soltanto nel caso di un’azione nucleare contro gli Stati Uniti.

    Eisenhower sostiene (1958) la necessità di aumentare le risorse al Programma di sicurezza reciproca; una sua cessazione o riduzione comporterebbe un cospicuo incremento delle spese nazionali per la difesa con aumento delle tasse. L’America sarebbe, di fatto, assediata da un mondo sempre più dominato dal comunismo internazionale. Le nazioni, che sono oltre quaranta, associate in questo programma, nato nel 1950, hanno goduto di protezione sicura e hanno speso cinque volte la somma elargita. C’è preoccupazione per l’estensione degli aiuti sovietici in altri Paesi, specie in quelli neutralisti (forniture di crediti, di tecnici, di armamenti, acquisto di surplus agricoli). Questi ultimi sono considerati con sospetto da Washington ove si preferisce sostenere gli Stati di prima linea (Formosa, Corea, Turchia, Vietnam del Sud, ecc.); il Mutual Security Fund conferma (1958) queste priorità. È noto l’enorme potenziale distruttivo dei comunisti; essi pensano di utilizzarlo, precisa (1959) Eisenhower, per minacciare e incombere sul mondo libero con l’intenzione di inghiottire una dopo l’altra le nazioni nella loro orbita.

    Nonostante le trattative per arrivare a un’intesa sul disarmo nucleare e il fitto scambio di lettere fra i vertici di Mosca e di Washington, i rapporti restano difficili e la tensione elevata. Foster Dulles ricorda (1958) che Lenin ebbe a dire che «le promesse sono come la crosta dorata di una torta, che è fatta per essere rotta»; sarebbe un imperdonabile errore porsi in condizione di debolezza e fidarsi delle promesse sovietiche. Per queste ragioni non è possibile accettare molte delle proposte moscovite in quanto sono destinate a indebolire l’Occidente. Alcuni accordi, di reciproco interesse, sono stati raggiunti (armistizio in Corea, indipendenza dell’Austria, limitati scambi culturali) mentre in materia di disarmo poco è stato fatto, in quanto è necessario attivare ispezioni adeguate per impedire attacchi a sorpresa dalle zone artiche. Washington comunica (1958) che il sommergibile a propulsione atomica, Nautilus, è transitato in immersione sotto la calotta polare, cioè il Polo Nord. L’Artico deve essere utilizzato per scopi pacifici, precisa (1959) Dulles, con opportune ispezioni internazionali perché non diventi «una scorciatoia da utilizzare per improvvise e massicce distruzioni». Il mondo libero deve rimanere fermo e unito, disposto ai sacrifici necessari per impedire nuove espansioni del comunismo che è ora alle prese anche con rivolte interne in diversi Paesi. Finché le procedure di sicurezza delle Nazioni Unite non saranno universali e sicure, il sistema collettivo di sicurezza del mondo libero è essenziale.

    Le difficoltà nei rapporti politici frenano anche lo sviluppo commerciale fra le due potenze. Mosca lamenta l’anomalia in atto per cui gli USA sono l’unico grande Stato a non avere un accordo commerciale con l’URSS. Quest’ultima potrebbe esportare metalli pregiati (manganese, cobalto) e minerali (ferro e cromo); potrebbe importare rilevanti quantità di macchine industriali, di lavorati metallici e di apparati produttivi per la petrolchimica. Washington mantiene, però, nei confronti della Cina popolare e della Corea del Nord un embargo quasi assoluto per limitare la loro influenza. Più elastica è la politica commerciale con i Paesi dell’Europa orientale ai quali è possibile vendere, con garanzie di pagamento, prodotti non strategici per non rafforzare la loro potenza militare. L’attuale sviluppo sovietico è squilibrato nonostante i successi spaziali; molti settori sono arretrati o fermi e adottano sistemi quasi primitivi. Mosca deve compensare gli errori e gli insuccessi delle pianificazioni con importazioni regolate dagli organi statali che scelgono le priorità non solo per motivi economici ma anche politici. In diverse occasioni ha offerto condizioni diverse ai Paesi occidentali per creare diffidenze, divisioni e rivalità. Verso i Paesi di recente indipendenza offre crediti a lunga scadenza in cambio di materie prime e di offerte di aiuti in concorrenza con l’azione statunitense. Tuttavia il mondo cino-sovietico non è in vantaggio. USA, Europa occidentale e Giappone dispongono di economie dinamiche e in espansione, di attrezzature di ricerca senza precedenti, vivono in un regime di concorrenza interna ed esterna, operano per abbassare le barriere doganali, incrementare gli scambi mondiali, godono di buona reputazione sia come fornitori che come acquirenti di prodotti di qualità. Eisenhower ribadisce (1960) la validità del liberismo che valorizza il settore privato vera fonte della validità dell’economia statunitense; già Abraham Lincoln aveva precisato che il governo deve fare soltanto ciò che la popolazione non può fare da sola. Il governo non può essere la fonte principale del progresso e deve rifiutare le ideologie che spengono ogni scintilla d’iniziativa in un’atmosfera soffocante e inducono l’individuo a perdere la fiducia in se stesso e nella libertà di esprimere ogni giorno la sua volontà e il suo spirito. La responsabilità della guerra fredda ricade su quello che Krusciov definisce il monolitico movimento internazionale comunista; esso controlla, osserva (1959) Dulles, novecento milioni di persone e quindici Stati, una parte dei quali in passato era indipendente; esso aspira, e lo dichiara, a estendere il suo dominio in tutto il mondo e ricorre abitualmente a metodi di forza e di frode. In queste condizioni non si possono esportare prodotti strategici, fornire capitali ingenti o elargire prodotti a prezzi di favore.

    c) Da Dulles a Herter (1959). Nixon a Mosca, Krusciov a Washington (1959). Le riserve del cardinale Spellman e dell’episcopato statunitense. Legge affitti e prestiti: insolvenza sovietica

    Foster Dulles lascia (aprile 1959) la segreteria di Stato per gravi motivi di salute. Dotato di forte personalità ha accettato la sfida del mondo comunista e non ha esitato a compiere scelte impegnative. Pur avendo auspicato la decomposizione degli Stati marx-leninisti, non ha abbandonato la precedente politica di Truman e Acheson. Ha accusato Truman di debolezza; auspicato la liberazione dei popoli chiusi dalla cortina di ferro; ha cercato di contrapporre al contenimento la riduzione dell’espansionismo cino-sovietico. Ha dovuto tuttavia prendere atto con realismo che questa eventuale azione avrebbe portato a un confronto militare con Mosca e Pechino. Finisce in tal modo, mentre condanna il bolscevismo e il maoismo, a dover accettare il dialogo con l’URSS. Questo confronto, all’ombra della diffidenza e garantito dalla forza militare, riduce i rischi di un conflitto. Dulles consegue indubbi successi: unità della NATO e delle altre organizzazioni difensive, blocco dell’espansione comunista in Asia, freno dell’ingerenza sovietica nel Medio Oriente e in America Latina e marginalizzazione dei neutralisti considerati immorali e miopi. Pur auspicando una presenza nuova più attiva, finisce per continuare, per necessità e per realismo, la politica precedente del logoramento del competitore mondiale. C’è il convincimento di essere dalla parte del bene e di combattere un mondo malefico e insidioso. In questa crociata ideologico-militare non c’è la speranza che il modello liberaldemocratico occidentale possa prevalere per la sua indiscutibile superiorità ideale, al contrario prevale la certezza che può soccombere di fronte all’espansionismo comunista. Soltanto vigilanza, prevenzione difensiva, capacità di rappresaglia nucleare e unità operativa possono scongiurare la sottomissione al blocco marx-leninista. È la teoria, più volte enunciata dai vertici politici e militari, della doppia verità: l’ideale e la spada. Quest’impostazione conferma l’abbandono dell’isolazionismo e della sicurezza continentale basate sull’estensione dei due oceani che circondano il continente americano. Foster Dulles decede poco dopo le dimissioni (maggio 1959).

    Il nuovo segretario di Stato Christian Archibald Herter sottolinea (1959) l’unità dei Paesi occidentali europei sul problema di Berlino, in vista della conferenza di Ginevra per discutere il futuro del mondo tedesco. Washington, di fronte alle intenzioni sovietiche di rinunciare alle funzioni esercitate a Berlino Est, di rendere la città libera e di fare della Germania una realtà bistatale (RF e RDT), risponde in modo negativo; si allinea alla resistenza di Adenauer e gode del sostegno dell’Alleanza Atlantica. Queste difficoltà non impediscono la prosecuzione del dialogo fra le grandi potenze; Nixon si reca (1959) in visita a Mosca e a Varsavia; il vicepresidente è accolto da manifestazioni di amicizia che evidenziano i legami fra i tre popoli legati alla comune esperienza del conflitto mondiale e a un sincero desiderio di pace. Krusciov si reca (1959) negli USA preceduto dal lancio di un razzo cosmico (Lunik II) sulla Luna. Questi fatti evidenziano la necessità del confronto e del dialogo pur in presenza delle note difficoltà e contrapposizioni.

    Il cardinale Francis Joseph Spellman, primate cattolico, esprime riserve sulla visita dell’esponente sovietico; è necessario che il compromesso non prevalga sulla giustizia e che non sia dimenticato il barbaro tradimento di Pearl Harbor (1941). I maestri della propaganda, oggi come allora, minacciano l’America; le indegnità commesse dai tiranni comunisti contro i popoli delle nazioni più piccole e indifese devono indurre a difendere con coraggio la libertà per fare dell’America un santuario di giustizia e di pace. I cardinali e i vescovi cattolici statunitensi emettono (novembre 1959) una dichiarazione sui rischi delle aperture diplomatiche del Cremlino. Le parole democrazia, repubblica, pace, amicizia non hanno per i comunisti un significato analogo a quello occidentale; la lotta di classe, la dittatura e le rivoluzioni violente sono per loro strumenti d’uso abituale, i patti e i trattati possono portare tregue precarie, le armi possono scoraggiare gli aggressori, mentre la pace può essere assicurata soltanto dalla legge morale fissa, immutabile e universale. Occorre operare per recidere le radici del comunismo anche nei Paesi più poveri con adeguati aiuti resi possibili dalle moderne tecnologie.

    C’è un contenzioso ancora aperto fra gli USA e l’URSS a proposito dei debiti sovietici contratti durante il secondo conflitto mondiale in base alla Legge affitti e prestiti. Le trattative iniziate a Camp David sono interrotte bruscamente (gennaio 1960). Washington precisa che Krusciov e Andrej Gromyko avevano assicurato che la sistemazione dei conti era un problema separato e indipendente; al contrario ora si vuole, a un tempo, risolvere il problema e sottoscrivere un accordo commerciale a precise condizioni (URSS nazione più favorita, crediti a lunga scadenza con tassi ridotti, ecc.). Washington rifiuta questa impostazione e chiede che siano definiti i conti del passato prima di procedere a nuove trattative.

    d) La Conferenza di Parigi (1960). Eisenhower all’ONU (1960): Plebiscito universale per la libertà e l’autogoverno

    La conferenza (USA-URSS-Regno Unito-Francia) di Parigi termina ancor prima d’iniziare per la protesta di Krusciov sui voli statunitensi sul territorio sovietico. Eisenhower giustifica i sorvoli per difendere gli USA e i loro alleati da un attacco a sorpresa; il dialogo con l’URSS non può mettere in secondo piano la sicurezza nazionale. «Pearl Harbor ci ha insegnato, osserva (1960) il presidente, che anche i negoziati possono servire per nascondere i preparativi di un attacco a sorpresa». È bene tuttavia proseguire nonostante questo incidente nelle trattative con i sovietici, in collaborazione con le nazioni libere di tutto il mondo. Herter conferma (1960) la vocazione pacifica della politica estera statunitense e la volontà di operare con i popoli liberi per dar vita ad un mondo governato dal diritto. Washington, per evitare un nuovo conflitto fra le grandi potenze, mantiene «un deterrente strategico invulnerabile, una capacità di far fronte a minacce minori, accordi di sicurezza collettiva e un credibile impegno per una graduale e garantita diminuzione degli armamenti». Una comunità internazionale regolata dal diritto non è un obiettivo remoto o astratto, ma è «lo scopo finale dell’impero della legge entro cui la libertà e la pace saranno sicure».

    All’Assemblea Generale dell’ONU (1960) Eisenhower conferma piena fiducia in quest’organizzazione per un progresso pacifico, come testimoniano i suoi interventi (Grecia, Corea, Libano, Suez, Congo); è urgente rafforzare il potenziale delle forze d’emergenza per fronteggiare le crisi più pericolose. È necessario trovare accordi per definire lo spazio cosmico zona proibita per gli esperimenti militari com’è stato fatto di recente per il continente antartico; un eventuale accordo in tal senso può essere esteso a tutti i corpi celesti, alla esclusione della messa in orbita di armamenti e allo sviluppo della cooperazione interstatuale per l’uso pacifico e costruttivo della stratosfera. L’umanità attende progressi per il disarmo; gli USA sono pronti a nuove intese purché la sicurezza sia garantita da controlli e ispezioni adeguate contro ogni attacco a sorpresa sia internazionale che scatenato per errore. È bene anche ridurre la produzione di materiali fossili per scopi militari e destinare sostanziali quantitativi e depositi di scorte a utilizzo pacifico sotto il controllo dell’ONU. Il presidente formalizza una proposta coraggiosa e provocatoria, per forgiare la struttura di una vera società mondiale. Tutto il genere umano dovrebbe integrarsi e progredire com’è avvenuto negli USA, ove è nata una civiltà dal miscuglio di popoli e di fedi nel nome della libertà. Allo stesso modo potrebbe essere indetto un plebiscito universale per chiedere a ogni individuo (in modo libero e segreto) se vuole partecipare col voto all’autogoverno. Gli USA non vogliono costruire un super-Stato al di sopra delle nazioni, ma una comunità mondiale che le abbracci tutte, tale da utilizzare le risorse di tutti i popoli.

    e) SEATO, ANZUS, CENTO. Nixon in Africa (1957)

    Rilevante risulta l’impegno nel Sud-Est asiatico, ove il confronto con il comunismo locale e quello cino-sovietico è più aspro (guerra civile cinese, Corea, Vietnam, Laos, Cambogia, Indonesia, ecc. cfr. Storia della politica internazionale, vol. I, pp. 483 e ss.). Eisenhower, di fronte al diffondersi della guerriglia in molte aree asiatiche, conferma i giudizi negativi precedenti sugli accordi di Ginevra (1954). Mette in guardia sui rischi di un allargamento dell’influenza cinese con la caduta di altri Stati uno dopo l’altro (teoria del domino). Conferma la dottrina Truman e si ripromette di non commettere gli errori che hanno portato alla perdita della Cina; al contrario, la ferma reazione in Corea ha permesso di tutelare una parte del Paese. Allo stesso modo è necessario in Indocina (Vietnam, Laos e Cambogia), in Birmania e in Thailandia, operare con determinazione e sostenere governi e movimenti contrari al comunismo. Si temono in particolare l’attivismo di Hanoi per l’unificazione del Vietnam e le sue iniziative nel Laos e in Cambogia.

    Dopo la nascita di strutture difensive bilaterali e multilaterali (USA-Filippine, 1951; USA-Giappone, 1951; USA-Australia-Nuova Zelanda, 1951; USA-Corea del Sud 1953; USA-Repubblica Cinese e Pakistan, 1954; SEATO, 1954) si pone il problema del loro rafforzamento e del ruolo che Washington intende assumere in questo settore. Gli USA restano ostili al nuovo governo cinese: la loro politica è ispirata a quattro no e a un si; no al riconoscimento, no al seggio dell’ONU, no al commercio e agli investimenti, no ai viaggi e ai contatti di persone; sì alla difesa militare di Formosa. Il confronto USA-Cina è molto aspro sul piano politico e militare: la crisi di Formosa è al centro delle cronache internazionali per i rischi e le conseguenze che può determinare; al termine degli anni ’50 le posizioni restano di fatto invariate. In questa rete di alleanze occupa un posto di rilievo il Patto di difesa per il Sud-Est asiatico (SEATO); a questo sodalizio per la sicurezza collettiva della regione partecipano gli USA, la Gran Bretagna, la Francia, l’Australia, la Nuova Zelanda, le Filippine, la Thailandia e il Pakistan. L’alleanza professa valori liberaldemocratici e persegue obiettivi politici ed economici. È inoltre uno strumento vitale per il mondo libero dell’Occidente e d’Oriente nella comune lotta anticomunista (cfr. Storia della politica internazionale, vol. I, pp. 468 e ss.).

    In occasione del Consiglio della SEATO, Foster Dulles si compiace (1957) per i risultati conseguiti nella regione per la difesa dell’Asia libera. I Paesi interessati hanno potuto svolgere libere elezioni con suffragio universale e compiuto significativi miglioramenti economici. Il materialismo comunista ha mostrato il suo vero volto in Europa (Ungheria) e in Asia (Corea), ove ha violato anche lo Statuto dell’ONU. «Il nostro scopo resta quello di rafforzare le nazioni libere; il loro quello di distruggere la libertà e l’indipendenza». Il comunismo si espande ovunque con la minaccia e l’uso della forza; esso dichiara di amare la pace nel senso che preferirebbe conquistarci senza lotta. La SEATO è uno strumento di sicurezza collettiva con scopi difensivi che rassicura i governi aderenti e li rende più risoluti anche contro la sovversione e l’infiltrazione comunista. Il Consiglio della SEATO condanna (1960) il preoccupante intensificarsi di sovvertimenti, insurrezioni, atti di terrorismo da parte dei comunisti e la potenziale minaccia d’aggressione armata in numerosi Paesi tutelati dall’alleanza; è necessario difendere la libertà con risolutezza, con adeguata organizzazione militare e rafforzare le attività preparatorie antisovversive.

    Il Consiglio dell’ANZUS (USA-Australia-Nuova Zelanda) auspica (Washington 1958) il rafforzamento dei dispositivi di sicurezza già in essere in collegamento con quelli della SEATO; denuncia l’espansionismo sovietico sovversivo e militante nonché le minacce cinesi d’impadronirsi di Taiwan e delle isole vicine (Quemoy e Matsu); soltanto l’esclusione dell’uso della forza può garantire un ordine pacifico mondiale indipendentemente dalla fondatezza delle pretese e contro pretese.

    La riconciliazione anglo-franco-statunitense, dopo la disastrosa operazione antinasseriana, avviene mentre Eisenhower lancia (1957) la sua dottrina per il Medio Oriente. Il presidente può autorizzare programmi d’assistenza militare a ogni nazione o gruppi di nazioni del Medio Oriente che lo desiderino; può anche impegnare forze armate statunitensi contro un’aggressione armata proveniente da qualsiasi Paese controllato dal comunismo internazionale. Non c’è soltanto la volontà di contenere Mosca, ma anche l’influenza del nasserismo (nazionalismo arabo e socialismo). La dottrina Eisenhower avrà scarso successo per la perdurante ostilità del mondo arabo verso Washington, per la difesa d’Israele e per i drammatici avvenimenti che scuotono l’Iraq, la Giordania e il Libano e per la nascita (1958) della Repubblica Araba Unita (RAU) fra l’Egitto e la Siria e in seguito anche lo Yemen.

    Washington guarda con particolare attenzione anche la CENTO (Central Treaty Organisation) costituita nel 1959 da Pakistan, Iran, Iraq, Turchia e Regno Unito per contenere l’influenza egiziana e l’espansionismo sovietico nella regione. Questa organizzazione, di cui gli USA non fanno parte, è l’anello di congiunzione territoriale fra la NATO e la SEATO; al suo interno ci sono la Turchia, membro della NATO e il Pakistan membro della SEATO; si tratta in ogni modo di uno strumento difensivo di valore strategico in Asia e nel Medio Oriente dopo lo scioglimento del Patto di Bagdhad costituito nel 1955. Il vice presidente Nixon precisa (1959): la CENTO, come le organizzazioni sorelle della NATO in Europa e della SEATO nel Sud-Est asiatico, sono un esempio di assunzione collettiva di responsabilità; indipendenza e libertà sono spesso minacciate non soltanto da aggressioni esterne attraverso le frontiere, ma anche con la sovversione per rovesciare governi eletti liberamente. Gli USA accettano la concorrenza pacifica, purché essa sia praticata da tutti; hanno sostenuto la CENTO senza vincoli speciali con la sola intenzione di aiutare gli Stati membri a rimanere liberi e indipendenti. L’aggressione aperta è stata scoraggiata, mentre quella indiretta e la sovversione continuano (Vietnam, Laos, Cambogia). Le organizzazioni difensive occidentali, pur efficaci, non possono essere l’unica risposta alla sfida del comunismo; essere anticomunisti è necessario ma non sufficiente. Se i popoli in fase di sviluppo, osserva Nixon (1960), dovessero scegliere fra il progresso comunista senza libertà e nessun progresso, essi aderirebbero all’ideologia marx-leninista; per vincere questa battaglia occorre una strategia positiva e non considerare i fieri popoli dell’Asia, dell’Africa e del vicino Oriente come pedine nella lotta fra le grandi potenze per la dominazione mondiale. Miseria, povertà, malattie, tirannide ci sarebbero anche senza il comunismo; per questa ragione dobbiamo aiutare i popoli meno fortunati a uscire dal sottosviluppo e far in modo che «il malefico seme del comunismo non trovi terreno sul quale attecchire». La CENTO sarà sciolta nel 1979 dopo il ritiro dell’Iran e del Pakistan.

    Washington avvia contatti con i Paesi afro-asiatici non ancora schierati con il mondo occidentale. Dopo aver considerato per anni il neutralismo immorale, è accolta la politica del doppio pedale: rafforzare l’alleanza occidentale e recuperare i Paesi neutrali dell’Asia e dell’Africa. Con questi obiettivi Nixon effettua (1957) un lungo viaggio in Africa (Marocco, Ghana, Liberia, Etiopia, Sudan, Uganda, Libia, Tunisia) per confermare assistenze tecniche, finanziarie ed economiche e annodare nuove e più strette relazioni politiche. Dopo aver considerato quest’area di competenza delle potenze colonialiste alleate, Washington di fronte al processo di decolonizzazione, alla nascita dei nuovi Stati, alla fallimentare politica franco-inglese in Egitto, assume un ruolo più attivo destinato a crescere nei decenni successivi.

    f) Trattato di sicurezza nippo-statunitense (1960). Proteste e minacce cino-sovietiche

    Tokyo, dopo la sconfitta bellica e il trattato di pace di San Francisco (1951), è rimasto al fianco degli Stati Uniti nei passaggi più delicati (Cina, Corea, Vietnam, Indonesia, ecc.) a differenza di altri Stati che, senza aderire al fronte comunista, hanno scelto il non allineamento. Ora, i dirigenti del Paese, insidiati dalla propaganda del socialismo locale (riconoscimento di Pechino, neutralismo, revisione del trattato di sicurezza nippo-statunitense, ecc.), tendono ad affermare con più autorevolezza l’indipendenza nipponica; di fatto si auspica un equilibrio nuovo su basi di sostanziale parità. Negli anni precedenti il Paese, sotto la guida di Shigeru Yoshida e di altri governi, è uscito dall’isolamento internazionale, ha consolidato i rapporti con gli USA, ha limitato le spese militari, ha privilegiato lo sviluppo economico, è entrato a far parte dell’ONU, ha normalizzato le relazioni con Mosca senza però risolvere il problema delle isole Curili meridionali. Non mancano i contatti con Pechino, che desidera sottoscrivere un trattato di pace e verificare la possibilità di un patto cino-nipponico-sovietico-statunitense per la sicurezza del Pacifico. Il governo Nobusuke Kishi procede con prudenza, anche se il Paese ha accresciuto la sua forza contrattuale per il vigoroso sviluppo economico degli ultimi anni; non vuole in alcun modo mettere in discussione il legame con Washington, respinge ogni iniziativa unilaterale a favore di Pechino, mantiene buoni rapporti con Formosa. Esclude svolte clamorose a favore di Pechino e di Mosca mentre accentua le richieste per essere considerato un alleato alla pari da Eisenhower.

    I colloqui Eisenhower-Kishi (Washington 1957) registrano un parziale successo nipponico. Gli USA ritirano le loro forze terrestri di stanza in Giappone, mentre rimangono quelle aeree e navali in attesa di essere sostituite da quelle nazionali; è costituito un comitato intergovernativo per studiare le modifiche del trattato di sicurezza nippo-statunitense del 1951. Nel comunicato finale, i due leader confermano che il comunismo internazionale rimane una delle principali minacce; le nazioni libere devono mantenere forza e unità con un sistema di difesa preventiva efficiente per scoraggiare ogni aggressione nell’Estremo Oriente e nel mondo. Le relazioni nippo-statunitensi, fondate su interessi reciproci e sovrana uguaglianza, costituiscono un elemento vitale del mondo libero per far prevalere la libertà e la pace; è auspicabile un accordo internazionale per la riduzione degli armamenti nucleari e convenzionali. Pechino critica la convergenza fra i due Paesi; Chou En-lai ricorda che fra la Cina e il Giappone persiste uno stato di guerra nonostante i numerosi e positivi contatti del periodo postbellico. Il presidente Kishi non contribuisce alla pacificazione, sostiene Chiang Kai-shek e durante la sua visita negli USA ha gettato fango sulla Cina. Mentre rifiuta un patto d’amicizia e di non aggressione con i cinesi, accetta di sacrificare la propria indipendenza all’occupazione militare statunitense; questa politica non può favorire lo sviluppo dei rapporti commerciali fra i due Paesi che potrebbero essere di reciproco interesse. Anche Mosca ammonisce Tokyo a non intervenire nelle questioni cinesi; in particolare lamenta (1958) la presenza nelle basi giapponesi di forze navali statunitensi che operano nello stretto di Formosa con azioni provocatorie e aggressive; esse sono state utilizzate anche come trampolino per le operazioni contro la Corea. Il ministro degli Esteri Gromyko ricorda che Tokyo non deve temere gli accordi sovietico-cinesi in quanto essi perseguono scopi difensivi e di coesistenza; al contrario il Giappone, se non si avvia sulla strada della neutralità, rischia di essere trascinato in pericolose avventure: invita Tokyo a non permettere l’installazione sul proprio territorio di attrezzature missilistiche fornite di armi nucleari né la dotazione di tali armamenti alle proprie forze militari. Mosca è pronta a garantire la neutralità permanente del Giappone con un trattato multilaterale e un impegno presso le Nazioni Unite per fare dell’Estremo Oriente un’area di pace. Di fronte alla grave tensione sullo stretto di Taiwan, Mosca ricorda (1958) a Tokyo il pericolo di diventare, volente o nolente, complice delle azioni aggressive degli Stati Uniti e i vantaggi di una scelta neutralista.

    In questo quadro si concludono (1960) le trattative nippo-statunitensi per il rinnovo del trattato di cooperazione e reciproca sicurezza sostitutivo di quello sottoscritto a San Francisco (settembre 1951), in concomitanza con il trattato di pace del Giappone e confermato nel 1954. I contraenti convengono che ogni attacco armato contro l’altra parte, nei territori amministrati dal Giappone sarà fronteggiato in comune, in conformità ai rispettivi ordinamenti e costituzioni. Con questa dizione sono tutelati il territorio nazionale nipponico e anche l’arcipelago delle Ryu ¯kyu ¯ (Okinawa) e delle Bonin amministrate dagli USA che riconoscono una residua sovranità giapponese su queste isole. Nel nuovo testo non compaiono riferimenti ad aiuti di Washington per reprimere rivolte interne; questa impostazione evidenzia una maggiore stabilità interna e una sostanziale parità fra gli Stati sottoscrittori. Washington s’impegna inoltre a consultare Tokyo nel caso di spostamenti delle sue forze presenti in Giappone nelle basi aeree (Nikoro, Sapporo, Misawa, Matsushima, Kanazawa, Tokyo, Nagoya, Miho, Iwakumi, Nagasaki) e in quelle navali (Tokyo, Maizuru, Sasebo). Quest’ultimo s’impegna a cooperare per il mantenimento della sicurezza in Asia. Il trattato rimarrà in vigore per dieci anni. Eisenhower e Kishi auspicano il raggiungimento di un accordo per la sospensione degli esperimenti con armi nucleari, ma ribadiscono che l’unità, la decisione e la forza sono essenziali per garantire pace e giustizia alle nazioni libere finché tutti i governi non avranno rinunciato all’uso della forza per affermare le proprie pretese.

    Mosca condanna l’accordo che fa del Giappone uno strumento di piani strategico-militari stranieri, un complice nella corsa al riarmo e un responsabile della rinascita del militarismo nazionale. I militaristi nipponici hanno aggredito in passato sia l’URSS che la Cina animati da un odio bestiale contro il comunismo; anche ora rispolverano la vecchia e falsa parola d’ordine dell’anticomunismo e la fedeltà al cosiddetto mondo libero. Nessuno, osservano i sovietici, minaccia o si prepara ad aggredire il Giappone, mentre la sua trasformazione in una base americana di missili atomici lo espone ai rischi di una rappresaglia di altre potenze aggredite. L’URSS è disposta a garantire la neutralità nipponica e anche a restituire alcune isole annesse dopo il 1945 (Habomai e Shikotan), ma deve essere certa che esse non saranno utilizzate a scopi militari. Kishi «sta seminando vento ma potrebbe raccogliere tempesta [...]. Chi accenderà il fuoco di una nuova aggressione non soltanto si scotterà ma brucerà nelle fiamme da lui stesso provocate».

    Per Pechino il nuovo accordo nippo-statunitense viola le intese sottoscritte durante la seconda guerra mondiale e accordi successivi per impedire la rinascita del militarismo e nuove aggressioni. Pechino si oppone a questi complotti criminali che vogliono asservire il popolo e minacciano tutta l’Asia. Kishi, respinge le proteste cino-sovietiche mentre conferma gli indirizzi della politica estera del Paese e non esita a dichiarare (giugno 1960) che il comunismo compie continui sforzi per dividere il Giappone dagli USA in oriente e la Germania dalla Francia in occidente.

    g) America Latina. Operazione panamericana. Rottura delle relazioni diplomatiche e consolari con Cuba (1961). L’episcopato cattolico cubano condanna il comunismo (1960). Herter: Indipendenza e interdipendenza degli Stati americani, solidarietà economico-sociale

    L’attenzione di Washington per l’America Latina non è un fatto recente; con la dottrina Monroe (1823) si sbarrano le porte a un ritorno delle potenze europee e si plaude alla nascita delle nuove repubbliche; in tal modo si rompono i precedenti vincoli coloniali e quelli monarchico-dinastici. Gran parte dei nuovi Stati è al fianco degli USA durante i due conflitti mondiali (cfr. Storia della politica internazionale, vol. II, pp. 393 e ss.). Nel dopoguerra prende corpo il Trattato d’assistenza e sicurezza interamericano (Patto di Rio, 1947) e nasce, con la Carta di Bogotà (1948), l’OSA (Organizzazione degli Stati Americani). Questi accordi danno vita a strutture continentali che riaffermano valori condivisi di natura liberaldemocratica, costituiscono una comunità di difesa comune per accrescere la sicurezza postbellica dell’intero continente e impegnano gli Stati Uniti a promuovere politiche di solidarietà. C’è una forte attesa d’aiuti nel mondo latino americano da parte dei ricchi parenti del Nord. In occasione dei lavori di Bogotà è approvata una risoluzione di condanna del comunismo per le sue proposte rivoluzionarie (sovversioni interne ed esterne, aggressioni); esse non devono trovare accoglienza nell’emisfero occidentale. Sono stretti, in tal modo, nuovi legami fra il Nord-Centro-Sud America; mentre la dottrina Monroe escludeva dal continente le potenze coloniali europee, ora si vuole sbarrare la strada all’URSS e al sistema marx-leninista. Queste scelte evidenziano l’appartenenza del continente americano al mondo libero e al blocco occidentale, il ruolo preminente assunto dagli USA e le attese di sviluppo panamericane. Washington esercita una funzione di controllo e di assistenza (militare ed economica) e non esita anche durante i primi anni dell’amministrazione Eisenhower a intervenire in alcuni Paesi (Guatemala, 1954; Costarica, 1955) sulla base dei principi della Carta di Bogotà; gli interventi sono considerati strumenti vitali della solidarietà interamericana per garantire stabilità politica e tutela dei cittadini statunitensi.

    Il vicepresidente Nixon si reca in visita in diversi Stati per confermare la solidarietà statunitense; è oggetto tuttavia di violente manifestazioni di protesta (appoggio degli USA a governi dittatoriali, sfruttamento economico imperialista, basso tenore di vita, popoli poveri in Stati ricchi, dazi doganali elevati) da parte di movimenti di sinistra, comunisti ed esponenti sindacali. Anche a causa di queste vicende è convocata (1958) una riunione dei ministri degli Esteri delle ventuno repubbliche americane; essi ribadiscono piena dedizione agli ideali interamericani di indipendenza, libertà politica e di progresso economico nel quadro dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA). Auspicano il rafforzamento della cooperazione economica anche con gli aiuti promessi da Eisenhower sulla base del progetto Operazione Panamericana presentato dal Brasile e la creazione di mercati regionali articolati fra loro. C’è la speranza che Washington promuova un Piano Marshall per l’America Latina e garantisca stabilità ai prezzi delle materie prime delle quali è esportatrice; si denunciano le attenzioni prevalenti per l’Europa lontana rispetto a quelle del continente amico e vicino.

    Herter denuncia (1959) le ingerenze straniere per sostenere i movimenti rivoluzionari e rompere la solidarietà panamericana assicurata dall’OSA. Quest’ultima ha garantito la crescita di significative esperienze democratiche in piena sicurezza e nella conferma del principio del non intervento; il modello di un internazionalismo tollerante e cooperativo nell’emisfero americano è destinato a sicuri successi anche di fronte alla tattica comunista delle aggressioni indirette. Per vincere le tendenze rivoluzionarie occorre elevare il tenore di vita delle popolazioni, la democraticità dei governi e lo sviluppo di sindacati liberi. Già in questo periodo (ottobre 1959) Washington respinge le accuse di Fidel Castro d’interferenze nella vita interna cubana e auspica che il Paese avanzi sulla strada della democrazia mentre lamenta gli espropri ai danni di società e di cittadini stranieri e statunitensi residenti a Cuba.

    Di fronte al pericolo comunista scende in campo anche la Chiesa cattolica. L’episcopato locale pubblica (agosto 1960) una lettera pastorale, sottoscritta dal cardinale Manuel Arteaga e da otto vescovi. Le decisioni governative per elevare il livello di vita dei più umili, la riforma agraria per permettere a centinaia di contadini di diventare proprietari della terra da loro coltivata con equi indennizzi ai proprietari terrieri e la vasta industrializzazione per creare nuove fonti di lavoro e ridurre la disoccupazione, sono state accolte con soddisfazione dai cattolici. Allo stesso modo altre iniziative, per far godere ai fratelli cubani più dimenticati i vantaggi della civiltà, hanno riscosso l’approvazione dei vertici religiosi (riduzione del costo della vita, aumento del numero delle scuole e degli ospedali, spiagge pubbliche attrezzate per le classi più povere, edilizia popolare, lotta alla corruzione della pubblica amministrazione, al gioco d’azzardo, al vizio e a diverse discriminazioni razziali).

    La Chiesa, mentre approva senza riserve questi progetti, deve con la stessa chiarezza mettere in luce gravi pericoli per il crescente progresso del comunismo a Cuba. Sempre più stretti diventano i rapporti con l’URSS e con i Paesi comunisti. Cattolicesimo e comunismo rispondono a due concetti dell’uomo opposti l’uno all’altro e per sempre inconciliabili. La dottrina comunista è nemica della Chiesa e dell’umanità; ove i comunisti sono al potere sono distrutte le opere sociali, educative, benefiche e apostoliche e, imprigionati con vari pretesti, vescovi e sacerdoti. Il sistema comunista deve essere condannato perché nega «brutalmente i più fondamentali diritti dell’uomo e crea una dittatura statale grazie a un potere poliziesco». La Chiesa non difende determinati gruppi sociali, non teme riforme sociali radicali purché fondate sulla giustizia e sulla carità, ma tutela i diritti inalienabili di tutti gli uomini. La difesa dei più umili non consiste nell’adesione alle dottrine e alle procedure comuniste. Non si deve chiedere ai cattolici di aderire a queste teorie per l’unità civica se ciò comporta il tradimento di fondamentali principi. L’assoluta maggioranza del popolo cubano, che è cattolica, conclude la lettera pastorale, è contro il comunismo materialista e ateo; soltanto l’inganno e la coercizione possono portarlo verso questo sistema. Questa netta contrapposizione al castrismo è destinata a radicalizzarsi in seguito con l’aperta adesione dei vertici governativi al sistema comunista e all’adozione, per diversi anni, dell’ateismo di Stato.

    Eisenhower visita (1960) alcuni Paesi dell’America meridionale, ove conferma l’importanza della cooperazione e del rispetto del principio del non-intervento. Ogni Paese può scegliere il regime politico che preferisce; Washington considererebbe illecito l’intervento di uno Stato all’interno di un altro «con invasione, coercizione o sovversione per negare la libertà di scelta al popolo di una qualsiasi repubblica sorella».

    Herter, esalta (1960) le potenzialità di sviluppo dell’America Latina che potrà godere degli aiuti statunitensi; l’OSA ha tutelato l’emisfero da aggressioni interne ed esterne sulla base dei due pilastri che la reggono: non intervento e difesa collettiva. Importanti risultati sono stati raggiunti (malattie endemiche, cibo, mortalità infantile), ma restano altre sfide (proprietà e distribuzione della terra, istituti finanziari, sfruttamento delle aree incolte, ecc.). Le repubbliche del continente sono delimitate da vaste zone ghiacciate ai due capi del mondo e da grandi oceani; sono lontane fra loro ma unite e vicine, a un tempo indipendenti e interdipendenti. Gli elettori di un Paese di questo emisfero non sceglieranno mai con libere votazioni di porsi sotto il giogo schiavistico di un’economia monolitica per diventare servi della gleba sotto una nuova classe di aristocrazia burocratica dopo aver rinunciato alla propria libertà e alla fede religiosa professata.

    C’è in queste dichiarazioni la coscienza dell’unità geopolitica del continente e la volontà di essere al fianco delle altre repubbliche per un comune cammino di sviluppo; emerge un sentimento solidaristico più intenso che va oltre gli stretti legami anticomunisti o d’allarme militare; questa sensibilità non si riscontra con gli amici e gli alleati di altri continenti. Manca, al contrario, una percezione realistica del distacco socio-economico esistente fra il Nord e il Centro Sud d’America. L’ottimismo dei generosi progetti d’assistenza è inadeguato di fronte al baratro delle miserie esistenti. Non trapela un esame critico dei sistemi di governo dei diversi Stati e ancor meno della struttura economico-sociale al loro interno (latifondo, grandi imprese agricole e industriali, sfruttamento delle risorse minerarie, gruppi finanziari per opere di comunicazione, ecc.). Il progetto panamericano rimane un obiettivo teorico che non darà negli anni seguenti i risultati auspicati.

    h) Eisenhower, Dulles, Norstad: la NATO potente comunità di sicurezza(1959); istituti politici costruttivi; lo scudo e la spada

    Nell’immediato dopoguerra il deterioramento dei rapporti fra il mondo occidentale e l’URSS ha dato vita ad alleanze politiche e militari difensive. Dopo il Patto di Bruxelles (1948) che unisce Londra e Parigi ai Paesi del Benelux, prende corpo un sistema di sicurezza più allargato che coinvolge gli USA e molti altri Paesi. Nel 1949 nasce il Patto Atlantico con la partecipazione di dodici Stati (USA, Canada, Gran Bretagna, Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Portogallo, Italia, Norvegia, Irlanda e Danimarca); a essi si associano in seguito Grecia e Turchia (1952), la Repubblica Federale di Germania (1955), la Spagna (1982) e molti altri nei decenni successivi. I contraenti si ripropongono di tutelare la libertà dei loro popoli, il retaggio della loro civiltà e i principi democratici, le libertà fondamentali e la preminenza del diritto (cfr. Storia della politica internazionale, vol. I, pp. 433 e ss.).

    Al Consiglio Atlantico (Parigi 1957) Eisenhower, alla presenza dei capi di governo dei Paesi membri, insiste sull’importanza dell’unità operativa per vincere la sfida sovietica in campo scientifico e militare; occorre operare per una pace vera non frutto della minaccia atomica o di tregue precarie, ma capace di garantire i diritti inalienabili di tutti gli uomini. Dopo la nascita della NATO, nessun Paese europeo è caduto sotto il dominio moscovita grazie al baluardo difensivo di armi classiche e nucleari. Occorre rimanere vigilanti ed essere disposti a pagare il prezzo della difesa della libertà. Nel decimo anniversario della sua fondazione (1949-1959) il presidente precisa che la NATO è diventata una potente comunità di sicurezza per tutelare i principi della civiltà occidentale; la comune fede dei popoli che vi aderiscono nella libertà e nella dignità dell’uomo ne ha fatto un’organizzazione eccezionale. Solo una solida unità ha permesso di fermare l’avanzata del comunismo nelle aree protette dall’alleanza e di avviare da posizioni autorevoli trattative con Mosca su problemi di comune interesse. Dulles auspica (1959) che le alleanze si trasformino in organi permanenti di regolare consultazione e collaborazione nel campo delle relazioni estere; possono diventare in tal modo istituti politici costruttivi e non soltanto strutture militari. Il comandante supremo delle forze alleate in Europa generale Lauris Norstad richiama (1959) al realismo operativo; tutti parlano di alleanza, di unità e di comprensione che sono valori del cuore, alla NATO però occorrono anche i muscoli. Per svolgere la sua missione storica sono necessari due elementi: lo scudo e la spada. Il segretario di Stato Herter rassicura (1959) gli alleati della NATO che gli USA continueranno a sostenere la loro legittima parte dello sforzo difensivo comune; auspica che l’Europa occidentale, in crescita economica, contribuisca maggiormente allo sforzo difensivo comune. C’è preoccupazione negli USA per la scarsa incidenza europea. La Commissione speciale sulla solidarietà atlantica rileva (1960) che la spada (forze d’attacco e d’urto, rappresaglia immediata, potenza nucleare devastatrice, bombardieri strategici) è adeguata ai rischi potenziali d’aggressione; al contrario lo scudo (forze di resistenza e contrattacco, protezione delle basi avanzate, armi convenzionali, ecc.) resta fragile per lo squilibrio militare fra gli USA e gli alleati europei. Questi ultimi devono porre fine alle divisioni interne e accrescere le spese per la difesa; non possono dimenticare che la NATO garantisce in primo luogo proprio le aree europee. Il Patto Atlantico protegge interessi vitali e permanenti ed è, osserva Eisenhower (1960), la più forte coalizione di pace che la storia abbia mai conosciuto; con essa gli USA hanno superato una storica e radicata avversione per le alleanze permanenti e unito il proprio destino a quello di altri Paesi liberi. Nessuna dittatura può creare una tale potenza militare e morale.

    i) Rapporti USA-Regno Unito. Colloqui Eisenhower-Macmillan (Bermuda, 1957; Camp David, 1960). Rapporti Washington-Parigi. Mollet: solidarietà atlantica e anticomunismo. De Gaulle (1960): armamenti nucleari, Europa terzo polo. Gli Stati Uniti di fronte alla CEE (1957) e all’EFTA (1959)

    Dopo la crisi di Suez (1956), l’uscita di Eden e l’avvento alla guida del governo di Macmillan, si riannodano i legami fra Londra e Washington in maniera completa e felice. Al centro della rinnovata collaborazione c’è la modernizzazione dell’apparato militare del Regno Unito: aumento delle armi nucleari e dei missili e un aiuto maggiore nei settori più avanzati da parte degli Stati Uniti. In questo senso si esprime il ministro della Difesa inglese Duncan Sandys, in visita (1957) a Washington. Eisenhower e Macmillan s’incontrano a Tuckerstown (Bermuda, 1957) per rilanciare la collaborazione fra i due Paesi nel quadro della solidarietà atlantica ed europea, del MEC e di una zona di libero scambio; restano divergenti le posizioni nei confronti della Repubblica popolare cinese. I due statisti confermano piena disponibilità a restrizioni volontarie degli esperimenti termonucleari con eventuali controlli internazionali; è necessario che Mosca accetti analoghe condizioni e non si sottragga alle trattative sul disarmo nucleare. In occasione della visita della regina Elisabetta II in Canada e negli USA, Eisenhower ricorda l’opera dei pionieri giunti nella solitudine selvaggia, che lottarono contro le intemperie, le avversità del clima e gli indiani, la guerra condotta insieme durante il secondo conflitto mondiale e quella attuale per la difesa del mondo libero cioè della libertà contro la dittatura. Occorre rafforzare l’interdipendenza fra alleati occidentali, osserva (1958) Macmillan, anche per far risaltare che l’URSS ha una rete di satelliti; il mondo libero, oltre al campo della difesa, deve estendere la cooperazione economica e politica. Le critiche negative sul mondo capitalista (una giungla di bestie feroci che cercano di divorarsi a vicenda), paradiso per pochi e inferno per molti, sono false. Un comune pericolo obbliga a creare strategie condivise; le funzioni di guida spettano al grande Commonwealth e al grande continente americano. Il mondo libero è destinato a espandersi non per le sue forze militari, ma perché dà all’individuo la possibilità di vivere meglio, di avere sicurezza e speranze per il futuro. L’attuale fase di confronto e di transizione, a

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