Contro l'Unità d'Italia: Articoli scelti
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E più di uno spunto di riflessione sui problemi atavici dell’Italia, e su termini come “federalismo”, tornati in auge – abusati e a sproposito – nell’agone politico degli ultimi anni.
Il libro è corredato da introduzione e prefazione di due storici esperti in materia di Risorgimento.
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Anteprima del libro
Contro l'Unità d'Italia - Pierre-Joseph Proudhon
Tavola dei Contenuti (TOC)
Introduzione di Antonello Biagini e Andrea Carteny
Nota dell’editore
Contro l’Unità d’Italia
La federazione e l’Unità in Italia
Mazzini e l’Unità italiana Bruxelles, 13 luglio 1862
Garibaldi e l’Unità italiana Bruxelles, 7 settembre 1862
Nuove osservazioni sull’Unità italiana
contrappunti / saggi
pierre-joseph proudhon
Contro
l’Unità d’Italia
Articoli scelti
Traduzione dal francese di Paola Goglio
Miraggi Edizioni
© 2010 Miraggi Edizioni, Torino
www.miraggiedizioni.it
Titoli originali:
Mazzini et l’unité italienne
Garibaldi et l’unité italienne
Nouvelles observations sur l’unité italienne
In copertina: Antonio Canova, cenotafio di Vittorio Alfieri, Santa Croce Firenze
Progetto grafico Miraggi
Finito di stampare a Borgoricco (PD)
nel mese di novembre 2023 da Logo srl
per conto di Miraggi Edizioni
su Carta da Edizioni Avorio – Book Cream 80 gr
Prima edizione: novembre 2010
Seconda edizione digitale: novembre 2023
isbn
978-88-3386
-
262
-0
Seconda edizione cartacea: novembre 2023
isbn
978-88-3386
-
261
-
3
SINOSSI
Dalla penna del grande filosofo francese alcuni scritti finora – forse non a caso – inediti nel nostro paese, sull’Unità d’Italia. Il provocatorio titolo del volume rispecchia il pensiero di Proudhon, sia nei due articoli in cui polemizza con Mazzini e Garibaldi, accusati di aver sacrificato i loro ideali e le loro lotte sull’altare dell’Unità, svendendosi a un re conservatore, sia nel più sistematico saggio breve in cui a partire dal processo di unificazione italiana riprende la sua concezione dello Stato, della democrazia e del federalismo. Leggere oggi la prosa chiara e moderna del Proudhon italiano
ci offre un punto di vista differente e originale sulla nostra storia, solo in parte riconducibile alle correnti critiche nostrane (Gramsci, il meridionalismo). E più di uno spunto di riflessione sui problemi atavici dell’Italia, e su termini come federalismo
, tornati in auge – abusati e a sproposito – nell’agone politico degli ultimi anni.
Il libro è corredato da introduzione e prefazione di due storici esperti del Risorgimento.
BIOGRAFIA AUTORE
Pierre-Joseph Proudhon (1809-65), filosofo francese e celebre polemista, autore del classico Che cos’è la proprietà, fu il primo a dare un’accezione positiva al termine anarchia, nella concezione dello Stato e dei rapporti socioeconomici.
Prefazione di Antonello Biagini, professore emerito di Storia dell'Europa Orientale dell’Università di Roma La Sapienza, membro della Commissione Italiana di Storia Militare e del comitato scientifico della rivista «Geopolitica».
Introduzione di Andrea Carteny, professore di Storia delle relazioni internazionali presso l’Università di Roma La Sapienza, direttore del Centro di ricerca per la Cooperazione con l’Eurasia, il Mediterraneo e l’Africa Sub-sahariana (Cemas) e delegato del rettore per l’internazionalizzazione.
I professori Biagini e Carteny sono rispettivamente presidente e segretario del Comitato di Roma dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano.
Introduzione di Antonello Biagini e Andrea Carteny
Il Risorgimento in Italia e in Europa
Nel 2011 l’Italia ricorda i 150 anni dalla proclamazione dell’Unità d’Italia e il dibattito sul Risorgimento italiano riemerge come un fiume carsico dalle pieghe della storia. È certo innegabile come il Risorgimento abbia creato un senso di appartenenza nazionale e popolare vivo fino a oggi, ma è anche vero che il processo di trasformazione di questo sentimento in elemento fondante di un’identità nazionale – condotto dalle classi dirigenti politiche postunitarie – sia rimasto incompiuto e non pienamente in grado di resistere a sistemi politici diversi e alle crisi di carattere economico-sociale. Il problema dell’interpretazione, dunque, è un problema innanzitutto politico piuttosto che culturale, che ritorna nel momento in cui oggi si ripensa al Risorgimento e si ripropongono antiche contraddizioni, anche se per molti è indiscutibile la sua valenza di movimento rivoluzionario senza il quale non si sarebbe riusciti a superare il blocco di potere dell’assetto europeo che il Congresso di Vienna del 1815 aveva ricostituito dopo la débâcle napoleonica.
In un’Italia frammentata sul piano territoriale e politico, in momenti diversi (moti del 1820 e ’21, poi del ’30, infine del ’48 e del ’59) si tenta di rivendicare nuovi spazi di libertà politica, sociale, economica, istituzionale: è il tempo della crociana «religione della libertà», che prende sempre di più il posto delle religioni tradizionali (in primis il cattolicesimo, fortemente legato ai poteri costituiti nel binomio trono e altare
, fondamento della Restaurazione). In tutto il Vecchio Continente esplodono così manifestazioni e ribellioni, moti e rivolte finalizzate a ottenere da parte dei sovrani il riconoscimento degli Statuti, un complesso di norme giuridiche costituzionali finalizzate a vincolare e garantire il rapporto tra monarchia e sudditi. Con il 1848 si passa dalla pace
della Santa Alleanza alla rivoluzione europea
di popoli e nazioni (come scritto da Luigi Salvatorelli), di ampio respiro continentale e sostenuta dai movimenti patriottici e nazionali di ispirazione liberale e democratica, ancora una volta irradiata da Parigi. Emergono anche modelli di rivoluzione legalitaria
: l’Assemblea di Francoforte in Germania, la rivoluzione costituzionale
condotta nel Regno d’Ungheria, la Repubblica Romana nello Stato pontificio. In questi casi, svanita la soluzione rivoluzionaria, rimanevano in campo gli esiti moderati
per le grandi questioni nazionali: o il compromesso
– come per il caso dell’Ungheria – con il potere centrale in cambio di un’autonomia quasi assoluta (l’Impero asburgico diventa nel 1867 Impero austro-ungarico), oppure l’unificazione intorno a nuclei statali forti, sul piano politico e militare – come per esempio il Regno di Prussia per l’area germanica – o sul piano diplomatico internazionale – è il caso del Regno di Sardegna per la questione italiana in seguito alla guerra di Crimea –, capaci di mobilitare il consenso popolare o internazionale.
Si sarebbero concretizzati così differenti modelli di unificazione nazionale, in Germania (dove l’unificazione si realizza intorno alla Prussia, ma con il mantenimento delle antiche istituzioni e autonomie locali) e in Italia (in cui si compie invece l’annessione tout court dei diversi paesi alla monarchia sabauda). Questi modelli avrebbero costituito punti di riferimento importanti per le giovani nazioni emergenti dei Balcani: come esposto negli studi di Angelo Tamborra, è il caso del Montenegro e della Serbia (aspiranti a divenire centri per l’aggregazione dei popoli slavi meridionali) o della Romania del vecchio regno
(che diventa Grande Romania soprattutto con l’annessione della Transilvania ungherese, nonché della Bucovina austriaca e della Bessarabia russa).
Per tutti questi elementi il Risorgimento rimane un grande movimento libertario e liberale che diventa un modello per altre regioni d’Europa: in tale complesso panorama internazionale, i protagonisti dell’azione politica sembrano capaci di far valere i propri processi di risorgimento
nazionale sull’esempio del Risorgimento italiano, dalla seconda metà del xix secolo fino alla prima guerra mondiale, diventando i principali attori della disgregazione dei grandi imperi plurinazionali. È anche vero tuttavia che il modello di Stato-nazione che si impone drammaticamente nella storia specifica dell’Europa centrale e orientale (e che si connette fortemente con i fenomeni di nazionalismo, industrializzazione e urbanizzazione delle società continentali) diventa il nuovo laboratorio della nazionalizzazione delle masse
che nelle società delle piccole nazioni
est-europee ispira la costituzione di regimi autoritari sull’impronta del fascismo italiano.
Premesse e sviluppi del dibattito sull’unificazione italiana
In Italia l’unificazione nazionale, modulata su ispirazione democratico-mazziniana, viene realizzata sul piano militare da Garibaldi e dai suoi volontari, ma per una serie di ragioni complesse conduce all’esito moderato della scelta monarchico-cavouriana. Nei fatti, all’interno di quella che durante il corso del xix secolo emerge sempre di più come opinione pubblica italiana (a cui danno corpo, oltre ai nobili, clero, alta borghesia, i ceti medi e piccolo borghesi delle città e dei porti italici), si considera per lo più la lega italica
, la confederazione italiana
come soluzione per la questione nazionale. Certo l’Italia, anche per gli italiani del tempo, non è mera espressione geografica
, ma anima e spirito di lingua e cultura comune: tuttavia quel che manca, quel che è tesoro di una ristretta élite intellettuale, è la coscienza della dimensione politica unitaria italiana, centralista o federalista. Entrano in gioco anche nella penisola i risvegliatori
ottocenteschi della nazione risorgimentale in una fase storica di grande importanza per l’intero continente, che vede nell’unificazione italiana un elemento chiave nella destabilizzazione dell’obsoleto ordine europeo e per il compimento di un’importante tappa nel processo di liberazione dei popoli.
In generale, nell’orizzonte dell’epoca sono molti i pensatori e osservatori della questione nazionale italiana che guardano per lo più a soluzioni federali e confederali attente alle diversità delle popolazioni della penisola. Giuseppe Mazzini, il profeta
dell’unità italiana, è infatti forse l’unico ideologo di una nuova Italia accentrata e repubblicana. Con il superamento dell’esperienza della Carboneria e la fondazione della Giovine Italia, nel 1831, l’alta missione spirituale della nazione italiana (racchiusa nel binomio Dio e popolo
) si sarebbe realizzata solo con una Costituente in grado di dare all’Italia la forma di Stato, uno, indipendente, libero e repubblicano.
Dall’altra parte, però, si delinea il pensiero neoguelfo del cattolicesimo cosiddetto liberale
– quello che in Italia ebbe fino al 1848 una straordinaria influenza culturale e politica – e del federalismo delle piccole patrie
di Cattaneo. Vincenzo Gioberti nel 1843, sulla base della storia d’Italia e della Chiesa, parla Del primato morale e civile degli Italiani¹ nel Medioevo guelfo e nei Discorsi della Società Nazionale per la Confederazione Italiana² (1848) postula la confederazione
come il concetto che mette insieme