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Giulia di via dei Tigli: Segreti e misteri tra le colline astigiane
Giulia di via dei Tigli: Segreti e misteri tra le colline astigiane
Giulia di via dei Tigli: Segreti e misteri tra le colline astigiane
E-book267 pagine3 ore

Giulia di via dei Tigli: Segreti e misteri tra le colline astigiane

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Info su questo ebook

È autunno in un piccolo paese dell'Astigiano. Domenico, dopo una vita trascorsa a Torino, si è appena trasferito nella sua nuova casa, un vecchio cascinale in cui riprendere il filo della sua esistenza, tra nuove atmosfere e ritmi di vita più lenti. Da un vecchio baule in soffitta saltano fuori, però, misteriose e appassionanti lettere che risalgono ad almeno vent'anni prima e indirizzate ad una giovane donna. Ma a Fontello nessuno sembra ricordare quella ragazza e le domande di Domenico fanno riemergere vecchi segreti nascosti nelle nebbie del tempo, come quelle nebbie che avvolgono vigneti e borghi della campagna astigiana in autunno. Chi è Giulia? E dove è finita? Il mistero si infittisce quando una serie di delitti sconvolge l'apparente tranquilla vita di paese, in cui tutti si conoscono e si crede di sapere tutto di tutti. Amore, amicizia, speranze e timori si intrecciano tra presente e passato. Finché il mistero non è risolto e le nebbie si alzano per tornare a dar luce alla vita.
LinguaItaliano
Data di uscita11 mag 2023
ISBN9791221472332
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    Anteprima del libro

    Giulia di via dei Tigli - Marta Martiner Testa

    1.

    Fontello è uno di quei paesini di campagna che sembrano non avere niente di particolare, che sembrano non voler dire niente di diverso da tutti gli altri, tutti quelli che non si riescono neppure a contare tra i saliscendi delle colline e lungo i fiumi delle piane del Nord. Ma a guardarlo bene forse può essere diverso.

    Nelle mattinate invernali, quando la nebbia avvolge ogni cosa, Fontello non esiste neppure. Se ti guardi intorno scopri il nulla; ci sei solo tu, la tua casa e forse il tuo giardino, freddo e triste. Nient’altro. Poi la nebbia si alza, il sole illumina ogni cosa e intorno c’è Fontello, una distesa di campi, più in là le colline: non sei più solo.

    La vita sembra scorrere in una tranquillità quasi nauseante: ci si conosce tutti e si sa tutto di tutti; pare che nulla si possa nascondere, neppure i pensieri.

    C’è da morirci in un paese così.

    Le cose, però, non sono mai come sembrano.

    Capita a volte di riuscire a ritrovare la vita in un posto simile. In particolari circostanze, un piccolo paese può diventare il simbolo della rigenerazione, grazie proprio a quella sua tranquillità, che è garanzia di sicurezza e libertà: libertà di realizzare se stessi, in un microcosmo, in cui silenzio e pace si respirano ancora, ti entrano dentro e ti lasciano ascoltare quel che il rumore ha spinto in fondo al tuo io.

    Proprio per rinascere Domenico Della Valle aveva scelto di stabilirsi a Fontello.

    C’è chi a sessantacinque anni cerca un luogo gradevole e ospitale, lontano dal calore della vita, per godersi e trascorrere in pace il tempo che lo separa dal giorno maledetto. Domenico no. Domenico era già morto; era morto nell’anima. E se ne era reso conto. Voleva giocare l’ultima carta: un cambiamento radicale, nuovi posti, nuova gente, nuove sensazioni. Forse avrebbe trovato un motivo per aggrapparsi alla vita, qualcosa che lo stimolasse, che lo invitasse a smuoversi dal torpore in cui era caduto. Non provava più l’emozione del risveglio, la curiosità del domani, la voglia di scoprire ed affrontare l’ignoto. Non era più un combattente. Accettava la vita, così come si presentava, cercando di cavarsela, senza troppi danni.

    Ma il Della Valle che tutti conoscevano non era quell’ometto passivo che era diventato. Era sempre stato un vincente, l’uomo forte che non si abbatte e che affronta ogni difficoltà di petto, senza mai ripiegare. Nessun compromesso nella sua vita. Tutto o niente.

    E la sorpresa di un nuovo giorno: che gioia! Mai un respiro: persone da incontrare, sogni da inseguire, progetti da realizzare. Il problema grande per Domenico era riuscire a trovare il tempo per tutto: il lavoro, le amicizie, i divertimenti, i suoi interessi.

    Poi, all’improvviso, tutto finito. La fantasia, la passione, il coraggio, la corsa contro il tempo, lo slancio verso il mondo: persi, spazzati via da un alito di vento. Esaurita ogni fibra del suo corpo, irrimediabilmente.

    Domenico non capiva quel che gli accadeva. Molte cose erano cambiate nella sua vita: si era ritirato dal lavoro, passava più tempo da solo, cominciava a sentire il peso degli anni. Ma nella sua mente non c’era spazio per giustificazioni simili. Non era un debole, non si lasciava sfiorare dagli sconforti.

    Comprendeva benissimo che ci si doveva adattare alla mutabilità delle cose. E allora perché perdere così qualsiasi volontà di reazione al malessere che lo attanagliava?

    Trascorse molto tempo in un feroce silenzio, in un buio senza fine. Ma alla fine capì. Si stava spegnendo, pensava di aver dato tutto di sé. Il sipario era calato. Non si riconosceva più in quello che faceva; un’idea lo sconvolse: aveva smarrito se stesso. Doveva ritrovarsi per essere salvo. Un colpo di spugna, un taglio netto, una nuova avventura, verso la vita.

    Non fu facile stabilire la cura, come non lo era stato scoprire il male.

    La ricerca di una nuova casa, le trattative per l’acquisto, il trasloco da quell’alloggio, in cui era stato per quasi trent’anni, lo avevano tenuto impegnato a lungo. Visse per giorni al limite di un precipizio, nella condizione di chi, sull’orlo di un cornicione, è spinto a gettarsi dalla disperazione e, allo stesso tempo, è trattenuto dalla paura della fine. Fu spesso tentato di abbandonare la sfida, ma era consapevole che sarebbe stata la disfatta. Aveva trovato come unica soluzione alla sua disperazione quella di cambiare aria, in modo radicale. Non aveva alternative. Decise di andare avanti, senza ripensamenti.

    A poco a poco ritrovò la forza di agire. Le decisioni che doveva prendere e le faccende di cui doveva occuparsi allontanavano i suoi dubbi e le sue paure e sembravano far riemergere in lui un po’ della vitalità perduta.

    Stabilitosi a Fontello, imparò in fretta a conoscere il paese. Tutto ciò che esso può offrire si trova sulla via principale: i negozi, il tabacchino, l’edicola, la farmacia, lo studio del medico, la biblioteca, la banca, l’ufficio postale. Parcheggiando la macchina nella piazzetta, con una breve passeggiata, Domenico aveva modo di raggiungere comodamente negozi, uffici e tutto ciò che gli poteva servire. E questa era una gran cosa: non era il tipo che amava fare chilometri per comperare il pane e le sigarette. Non muoveva un passo se poteva evitarlo e non era certo di quelli che vanno a fare jogging alle sei del mattino.

    Si era innamorato subito di Fontello: della sua posizione, tra le colline del Monferrato, lontano dal chiasso e dall’inquinamento, ma allo stesso tempo comoda alla città, ad appena una quindicina di chilometri da Asti, e ai collegamenti con i maggiori centri della zona; della sua gente, affaccendata in mille mestieri; della sua tradizione contadina, che parla soprattutto di uva e di vino. Viti, uva e vino che scandiscono il passare del tempo, facendo ruotare le stagioni attorno a sé. Uomini e donne che accompagnano lo sviluppo della vite e la maturazione dell’uva con il loro sudore, affinché un vino genuino e prestigioso arrivi sulle tavole di case, ristoranti e vinerie per essere gustato da tutti. Domenico era rimasto affascinato anche dall’importante passato di Fontello: la sua storia la si respira ai piedi del castello, che da antica fortezza venne trasformato, a partire dal XV secolo, nella splendida costruzione di oggi, con le sue quattro torri circolari e il suo grande parco, che dominano il centro storico, il paese e la valle sottostante.

    Domenico andava ogni mattina a Fontello: dalla sua casa in collina, scendeva in paese con la sua auto per le spese giornaliere e soprattutto per celebrare il rito dell’acquisto del suo quotidiano, che poi leggeva e rileggeva durante la giornata, passando da un argomento all'altro e sentendosi partecipe del mondo.

    Domenico non aveva fretta, ormai era finito il tempo in cui era inevitabile guardare l’orologio per non arrivare in ritardo a un appuntamento o in fabbrica ad avviare il lavoro dei suoi operai. Ora doveva dedicarsi solo a se stesso, a ciò che lo appassionava e lo divertiva. E parlare con la gente, ascoltare ciò che gli altri avevano da dire, capire le persone e ciò che spesso si nasconde dietro l’apparenza, erano tra le cose che più lo avevano sempre interessato.

    Domenico guidava tranquillo, completamente assorto nei suoi pensieri. Il tragitto era breve, tra la campagna fatta di vigne e noccioleti che brillava ai raggi del sole di quel mattino. Maglietta e tuta da ginnastica, che da tempo avevano preso il posto della giacca e cravatta degli anni della grande città, una luce tenue illuminava il suo viso, mettendo in risalto i tratti di un uomo non più giovane, ma di cui traspariva la bellezza di un tempo. I suoi profondi occhi grigi mostravano un velo di tristezza, che faceva pensare ad un uomo di successo, che tutto poteva aver avuto dalla vita, ma a cui qualcosa era sfuggito. C’era un fallimento nella sua brillante esistenza e non faticava ad ammetterlo. Aveva provato quasi tutto nella sua vita, l’unico sentimento che non era riuscito a coltivare era quello dell’amore. Perché l’amore l’aveva incontrato, ma non l’aveva riconosciuto.

    Curva dopo curva, pensava alla giornata che lo aspettava, più impegnativa del solito. L’indomani sarebbero cominciati i lavori di ristrutturazione della sua nuova casa ed erano ancora molte le cose che gli restavano da fare.

    I criteri con cui aveva scelto la sua dimora erano stati ben precisi: una casa di vecchia costruzione, immersa nel verde, in una posizione solitaria, ma poco lontana dal paese. L’aver trovato quella casa lo portò a Fontello, il luogo ideale per scrollarsi di dosso il peso di una vita spesa in città, frenetica e affascinante, stimolante e al tempo stesso distruttiva, che impone di indossare quotidianamente la propria maschera, per interpretare il ruolo che da sempre si ricopre. Domenico aveva scelto di trasferirsi in campagna, perché era un ambiente che già conosceva: ci era vissuto da ragazzo.

    Il suo era quasi un ritorno alle origini. Era come ripartire da un luogo e da un tempo lontani, in cui aveva conosciuto le gioie della famiglia, la vivacità dei giochi dei bambini, ogni giorno a caccia di nuove scoperte, in cima a una collina, dietro un filare, al limite di un fossato.

    Recuperare l’innocenza di un bambino: questo miracolo Domenico sperava di compiere, per rivedere in uno specchio un uomo sereno e non quell’essere pallido e triste con cui conviveva.

    La casa che aveva trovato a Fontello gli procurava le stesse sensazioni di quella in cui trascorse la sua infanzia. Osservandola per la prima volta, si rivide bambino correre spensierato nel giardino, tra le aiuole fiorite, accompagnato dagli sguardi protettivi di sua madre. La nostalgia di quegli anni, il ricordo dei suoi genitori e di suo fratello, che ormai da tempo lo avevano lasciato, lo fecero quasi commuovere.

    Quando il proprietario dell’agenzia lo portò a vedere la casa, fu colpito dal fatto che sembrava sbucare dal nulla: non la si scorgeva, percorrendo la strada, tra gli alberi e le vigne, e solo nell’istante in cui la si affiancava compariva in tutta la sua bellezza.

    Lungo la strada era protetta da un alto muro in vecchi mattoni, al termine del quale si apriva un vialetto ripido che portava dietro casa. Da quella posizione, oltre il bosco e i filari di vite che circondavano la proprietà, si apriva la vista di tutta la valle: i campi coltivati, le stradine sterrate e, in alto, le case di una piccola frazione, aggrappate alla collina.

    Lasciarono la macchina in cima al vialetto ed entrarono nel cortile che separava la casa da un grande portico, protetto da due grandi portoni in legno, sormontati da finestroni semicircolari che parevano ventagli.

    Domenico, guardandosi intorno, scorse un tavolo in pietra con alcune sedie, sotto uno splendido ciliegio da fiore. Si sedette in quell’angolo appartato ad ammirare la casa, seguito dall’espressione un po' sconcertata del suo accompagnatore. Domenico si sentiva rilassato. Guardava di fronte a lui, verso le finestre e il balconcino e il classico fienile delle case di campagna che si apriva sulla sinistra, al piano superiore, immaginando forse la vita tra quelle pareti: quella di chi ci aveva abitato e la sua.

    Decise di acquistare quella casa ancor prima di vedere l’interno; non discusse neppure il prezzo. Manifestò solo il desiderio di poterla occupare il più presto possibile.

    In seguito si accorse che sarebbero stati necessari alcuni interventi di manutenzione, inevitabili in una casa rimasta disabitata per tanti anni.

    Il primo lavoro da affrontare era il rifacimento del tetto. Quella mattina Domenico, prima di andare in paese, si fermò dall’impresario che aveva incaricato della ristrutturazione, per verificare gli accordi presi in precedenza.

    «Stia tranquillo, è tutto a posto: domattina inizieremo a scoprire il tetto e, se il tempo tiene, potremo finire in pochi giorni», lo tranquillizzò il geometra a cui Domenico si era affidato per l’esecuzione dei lavori.

    Domenico si rese conto che, in realtà, era lui a non essere a posto: non aveva ancora controllato quel che c’era in soffitta e se fosse stato necessario mettere un po’ d’ordine, in modo che gli operai potessero lavorare senza problemi.

    Fece in fretta le sue spese, senza fermarsi a chiacchierare con nessuno. Imboccando il vialetto che lo portava a casa, non salì fino al cortile. Girò a destra e lasciò l’auto al riparo in un vano del piano inferiore del portico, che si affacciava sul lato opposto rispetto al cortile.

    La proprietà che aveva acquistato Domenico era molto particolare e gli aveva riservato parecchie sorprese. Vista nel suo insieme pareva una costruzione a terrazza: uno spiazzo su cui si affacciava il portico, con i suoi due piani, e, più in alto, il cortile, di fronte alla casa, anch'essa a due piani. L'edificio era antico. Dal luogo in cui Domenico aveva lasciato l’auto si apriva uno stretto corridoio scavato nella terra, che passando sotto il cortile sbucava nelle cantine di casa, impreziosite dalle classiche volte in mattoni delle case rurali della campagna astigiana. Una scaletta in pietra, illuminata dalla fioca luce di una lampadina appesa al soffitto, e alla sua cima una vecchia porticina. Domenico la spinse: era in cucina. Richiuse l'uscio e tirò il chiavistello.

    L’idea di curiosare tra i vecchi ricordi altrui, relegati in un’estremità della casa, in cui spesso gli oggetti vengono riposti e dimenticati, lo stimolava. Salì la scala centrale, che divideva in due ali la casa, percorse il corridoio che portava alla sua camera da letto e aprì una porticina in fondo a quello che Domenico aveva trasformato in salotto biblioteca di fianco alla sua stanza.

    Pigiò l’interruttore e cominciò a salire una vecchia e scricchiolante scaletta in legno che portava su in soffitta. Il solaio era enorme, alto come le altre stanze dei piani inferiori dell'abitazione, con le travi e i coppi a vista, illuminato da quattro grandi abbaini. Pensò che avrebbe potuto sfruttare quei locali per ricavare altre stanze.

    «Finiti i lavori del tetto, sarebbe bene che Anna venisse a dare una bella pulita. Che pasticcio!».

    Anna era una robusta donna di mezza età che gli teneva in ordine la casa. Domenico non avrebbe mai rinunciato al piacere di cucinarsi i pasti da solo, ma per le altre faccende domestiche era proprio negato e poi, in quella grande casa, era indispensabile una persona che se ne occupasse a tempo pieno. Anna veniva tutte le mattine: arrivava alle otto e se andava alle due, dopo aver sistemato la cucina. Alla sera Domenico si preparava sempre qualcosa di veloce e, dopo mangiato, lasciava tutto nel lavandino, senza tanti problemi. Anna era una donna speciale. Era instancabile e si occupava di tutto con grande indipendenza: non trascurava mai nulla ed era inoltre di grande compagnia.

    Domenico non ricordava che ci fossero così tante cose sotto quel tetto stanco e dolorante: vecchi mobili, scatoloni polverosi, libri, abiti, una vecchia macchina da cucire a pedale piena di ragnatele, persino decorazioni natalizie. Domenico osservava attentamente tutto ciò che gli veniva sotto mano e, ad ogni nuova cosa che trovava, una cartolina, un giocattolo, un giornale, si convinceva sempre più che non sarebbe stato giusto gettare via quel che per lui non era importante: ognuno di quegli oggetti era stato riposto in soffitta perché non meritava di essere gettato ed egli avrebbe rispettato il pensiero di chi, prima di lui, aveva vissuto in quella casa.

    Pensando a come riordinare tutte quelle cose e non sapendo da che parte incominciare, guardandosi intorno, notò, nascosto da un armadio, un vecchio baule, che gli era sfuggito fino ad allora. Era nero, con spesse borchie ormai arrugginite. Lo osservò meglio: non era chiuso da alcun lucchetto; alzò il coperchio, con fare quasi furtivo, e si accorse immediatamente che aveva qualcosa di particolare: le poche cose al suo interno erano riposte in perfetto ordine, in netto contrasto con il resto della soffitta, dove regnava una gran confusione.

    «Questo baule significava molto per il suo proprietario, visto come è stato lasciato», si disse Domenico sottovoce.

    Era sicuramente appartenuto ad una donna, a giudicare dagli abiti femminili, ben ripiegati, e dalle calzature, anch’esse da donna, che conteneva. Trovò una vecchia raccolta di poesie nel baule. Domenico aprì quel libro, ormai liso e impregnato dell’odore pungente della carta ingiallita. Sulla prima pagina era scritta una dedica: «Questi rossi bagliori non sono un tramonto minaccioso, ma un’alba di promesse» (F. S. Nitti). Con eterno amore, Leo.

    Domenico ripose il libro e continuò ad ispezionare il baule. La sua attenzione fu attirata da un piccolo pacco, tenuto insieme da un nastro che lo avvolgeva con un nodo stretto. Non seppe resistere alla curiosità. Cosciente di infrangere le leggi sulla privacy, volle ugualmente guardare che cosa nascondesse, ma gli sembrò un atto sacrilego violare quel pacco, così ben protetto per anni, in quella soffitta polverosa, e decise così di aprirlo con calma e la massima cura, una volta ridisceso.

    Finì frettolosamente di riordinare e si accomodò nello studio, al piano terreno. Seduto alla sua scrivania, snodò il nastro con un po’ di impazienza e, avvolte nella carta, trovò alcune lettere, perfettamente conservate. Ognuna era ripiegata nella sua busta. Erano indirizzate ad una donna, presso la stessa abitazione in cui lui le aveva ritrovate.

    «Alla Signorina Giulia Bonventi, via dei Tigli 1», lesse ad alta voce Domenico. «Non è riportato l’indirizzo del mittente, purtroppo», pensò un po' deluso.

    Domenico si rendeva perfettamente conto che quello che stava per fare non era corretto, ma si persuase che quelle lettere, chiuse in un baule, lassù in soffitta, da tanti anni, forse non interessavano più a nessuno. Si lasciò vincere da una curiosità infantile, come se stesse giocando ad una caccia al tesoro. Aprì una busta e si mise a leggere.

    Giulia, sono appena arrivato e già mi manchi. Mi manca il tuo profumo, mi manca la tua voce e mi mancano le ore trascorse sotto il tiglio, che con le sue grandi fronde sembrava proteggerci da un mondo senza futuro. Non so come farò a fare a meno di te per tutto questo tempo, ma mi consolerà il sapere che anche tu mi stai pensando. Il ricordo dei giorni passati insieme ci aiuterà ad andare avanti e ad averne ancora e ancora di fronte a noi. Purtroppo però il nostro amore non basta a cancellare ciò che è successo, non si può tornare indietro e non sai quanto mi pento di averti trascinato in tutto questo. Non so quale sarà il nostro domani: forse è stato solo un sogno assurdo, di due giovani incoscienti. Come vorrei che non fosse accaduto nulla. Abbiamo sbagliato, ma possiamo ancora rimediare e iniziare insieme una vita nuova. Mi rendo conto che è da pazzi in questo momento pensare da ottimisti, ma ti amo e voglio che tu sia felice. Non tormentarti. E ti prego ancora una volta di darmi fiducia.

    Leo

    Stupito per la forza di quell’amore travagliato e incuriosito dall’alone di mistero che circondava quelle parole, Domenico volse lo sguardo al di là della grande finestra, verso il verde che attorniava la sua casa. I suoi occhi furono come abbagliati: il grande tiglio, di cui si parlava nella lettera, era là, di fronte a lui, circondato da un piccolo prato. Quel

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