Il mostro di Firenze - Anatomia di un processo mediatico
Di Edy Salemi
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Info su questo ebook
Società e scienze sociali - saggio (75 pagine) - Un testo che analizza criticamente lo svolgimento del processo di primo grado del Mostro di Firenze. Unico imputato: Pietro Pacciani.
Un lavoro che riassume, dapprima, i fatti storici oggetto del primo caso di cronaca nera più discusso d’Italia e che, pagina dopo pagina, analizza criticamente gli elementi di prova più importanti e decisivi che portarono alla condanna, in primo grado, del protagonista indiscusso: Pietro Pacciani. Proprio di quest’ultimo viene tracciato il profilo criminologico e messo a confronto con le analisi del famoso “mostro”, ricostruite, negli anni, da illustri professionisti del settore.
Da questa sovrapposizione l’autrice trae le sue personalissime conclusioni, ipotizzando scenari alternativi.
Nata a Siracusa, la dott.ssa Edy Salemi si è laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Catania, iniziando immediatamente la pratica forense. Conseguita l'abilitazione alla professione forense, ha comunque continuato la formazione in ambito universitario, conseguendo il master universitario di II livello in Criminologia e Psicologia Giuridica presso la Libera Università Maria Ss. Aassunta di Roma.
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Anteprima del libro
Il mostro di Firenze - Anatomia di un processo mediatico - Edy Salemi
Introduzione
Il caso che tratteremo in questo e-book, affonda le sue radici all’interno di un contesto storico socio-culturale rurale che si fonde e confonde, secondo alcune tesi, processuali e non, con il contesto aulico della Firenze bene
.
I protagonisti di questa storia sono, a volte, soggetti umili, con un grado di scolarizzazione basso, vicino all’analfabetismo, capaci di parlare solo il dialetto del luogo di provenienza e senza una rete sociale di supporto. Altre volte, invece, in maniera del tutto inaspettata, verranno coinvolti stimati professionisti, la cui vita privata verrà scandagliata e dal quale emergeranno un groviglio di conoscenze inaspettate e che, a oggi, rimangono ancora fumose e inafferrabili.
Il caso del Mostro di Firenze ha sconvolto l’Italia e i suoi giovani per lunghissimi anni, per molteplici ragioni: prima di tutto, nella nostra nazione, nelle grandi città ma, soprattutto, in contesti come quello preso in esame, i paesi dell’entroterra fiorentino, la figura del serial killer
era quasi completamente sconosciuta. Di base mai, neanche negli anni avvenire, si sentì mai più parlare di omicidi di questo tipo, in serie e con una precisa tipologia di vittima. Per definizione, sono gli Stati Uniti che hanno dato i natali (e il nome) ai cc.dd. serial killer. E poi l’efferatezza dei delitti commessi era qualcosa di abominevole.
Non solo la truce uccisione di giovani in cerca di intimità, sorpresi in un momento di vulnerabilità estrema ma anche, e soprattutto, l’accanimento sul cadavere della vittima di sesso femminile. Le escissioni delle parti del corpo che richiamano la femminilità, la maternità, la sfera sessuale. Quasi a voler privare la donna di tutto ciò che la rendeva tale agli occhi dell’assassino, forse per una primitiva e deviata convinzione punitiva che albergava nella testa dell’allora mostro.
Fino a quel momento, tutto ciò rimaneva lontano dalle realtà italiche. Era confinato all’interno di quelli che sembravano soltanto orripilanti racconti, ambientati a White Chapel, un triste sobborgo di una Londra grigia e squallida. Fino ad allora, questo scenario apparteneva solo a Jack The Ripper – Jack Lo Squartatore e alle sue vittime che, agli occhi dei più, erano solo
prostitute che, con il loro stile di vita erano certamente ben consce del rischio che avrebbero potuto correre.
E infine, last but not least, l’azione completamente inaspettata. Gli omicidi non presentano una particolare scansione temporale. Non c’è un periodo di cooling off del mostro
che possa essere definito omogeneo. Il mostro di Firenze, temporalmente parlando, sembra colpisca a caso. I periodi silenti variano, da mesi ad anni. A volte, però, nell’arco di un anno, il killer colpiva anche due volte.
E poi, l’edonismo dello stesso, la sfida agli inquirenti che sembrava brancolassero nel buio, complici le vetuste tecniche di investigazione del tempo o, forse, la generale impreparazione e superficialità di conduzione delle indagini.
A oggi, il caso del mostro di Firenze
balza ancora agli onori della cronaca per tutto ciò che di fosco e poco chiaro gli orbita ancora intorno: tra esoterismo e massoneria, dove si collocano i famosi compagni di merende
? Che ruolo avevano i singoli protagonisti coinvolti nella vicenda? E ancora, piste investigative, forse volutamente trascurate e già esistenti all’epoca.
Insomma, sembra che la realtà processuale non abbia mai raggiunto una precisa corrispondenza con quella storica e che il caso lasci ancora oggi voragini di incertezze.
Per ragioni di sinteticità si tratterà diffusamente e approfonditamente solo del processo a Pietro Pacciani e del suo dispiegamento. Della personalità dell’imputato in relazione alla personalità del mostro e, infine, si darà conto di alcune ipotesi investigative vagliate e, successivamente, accantonate dagli inquirenti, e in ultima analisi un nuovo tipo
di mostro.
Intento di questa disamina non è certamente voler screditare il duro lavoro svolto dagli inquirenti in condizioni di pressing mediatico non indifferente e con tecnologie, certamente, ben diverse e più acerbe rispetto a quelle di cui si dispone al giorno d’oggi. L’obiettivo primario è mettere l’accento su quanto, le situazioni contingenti e le circostanze che ruotano intorno a un processo di questa portata, possano condurre, talvolta, a esprimere un giudizio già, forse, senza colpa, precostituito. Quanto uno stesso elemento possa prestarsi a letture non solo diverse ma, addirittura, contrastanti. Quanto la mente porti a vedere solo ciò che vogliamo, attraverso le lenti del pregiudizio. E quanto è utile trovare il giusto colpevole agli occhi del mondo, un colpevole che, anche nel remoto caso di errore giudiziario, non susciti alcun tipo di pena, un minimo sentimento di empatia.
È questa l’ipotesi che io stessa ho voluto verificare durante la stesura di questo approfondimento. Partendo da dati certi, dalla personalità del Pacciani, condannato molti anni prima della vicenda del mostro di Firenze, per le violenze e i soprusi perpetrati per anni alle figlie e alla moglie, per arrivare, infine, a insinuare, tramite le considerazioni che si leggeranno appresso, il seme del dubbio in merito alla sua colpevolezza per la serie dei duplici omicidi. Ebbene la risposta, parafrasando il mio pubblico, era sempre una: Pacciani era un mostro. Forse non il mostro, ma comunque un mostro, ed è il carcere il posto in cui doveva stare che fosse, o meno, il mostro di Firenze.
Capitolo 1
Il mostro di Firenze: dal 1968 a oggi. Un caso lungo 55 anni.
ImmagineIl 21 agosto 1968, alle prime ore del mattino in Lastra a Signa località Castelletti, all'interno di un'auto Alfa Romeo Giulietta, erano stati rinvenuti i cadaveri di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, attinti da numerosi colpi di arma da fuoco. Le indagini svolte all'epoca avevano portato all'incriminazione del marito della donna, Stefano Mele, che aveva in un primo momento confessato di essere lui l'autore del crimine, ritrattando successivamente e accusando della commissione del delitto altri soggetti, tra i quali gli asseriti amanti della moglie, Vinci Francesco, Vinci Salvatore e Cutrona Carmelo.
La vicenda aveva trovato una soluzione apparentemente definitiva con la affermazione di colpevolezza del Mele, consacrata nella sentenza 25 marzo 1970 della Corte di Assise di I grado di Firenze, sostanzialmente confermata in grado di appello e passata giudicato, con la quale l’imputato era stato ritenuto unico responsabile del duplice omicidio, oltreché di calunnia aggravata continuata in danno dei due Vinci e dei Cutrona.
Particolare rilievo aveva avuto il fatto che, al momento della commissione del duplice delitto, all'interno dell'auto, addormentato sul sedile posteriore, vi fosse il figlio della donna, Natalino Mele di anni sei, il quale, quella