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Watergrace
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E-book487 pagine6 ore

Watergrace

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Info su questo ebook

In un futuro medievale due popoli diversi sono divisi dalla guerra e dall’odio. Gli ardesiani di Ardesia sono carnivori e fedeli agli dei, i rosensin di Rosemund vegetariani, atei e fumatori d’erba, solo la strabiliante attitudine al combattimento, arte appresa sin da bambini, li accomuna e li unisce.
Più volte, in segreto, tra i boschi ai confini dei due regni, le amazzoni di Rosemund invitano i vigorosi cavalieri di Ardesia a misurarsi in dispute fondate sullo sprezzo del pericolo e sulla tacita attrazione.
Pur dando prova della loro prestanza fisica e del loro coraggio, nei rosensin rimane solo un limite, la «watergrace», un incanto ancestrale che li rende incapaci di nuotare e che condanna alla morte chiunque abbia l’ardire di sfidare l’acqua. Una maledizione che Sophie, principessa di Rosemund ed Evan, cadetto di Ardesia, saranno costretti ad affrontare per sfuggire a una presenza ostile che dopo una lunga assenza tornerà per condurre ogni cosa nel caos. Un crepuscolo scenderà cupo sulla ragione e sulla pace trascinando Evan e Sophie, i due amanti, in un abisso da cui dovranno salvarsi da soli.
LinguaItaliano
Data di uscita19 mag 2023
ISBN9791222410029
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    Anteprima del libro

    Watergrace - R. Rose Hendrik

    1

    Sophie inguaina la spada e lancia un’occhiata sprezzante ma soddisfatta allo stupido incosciente colpevole di aver utilizzato l’appellativo sbagliato.

    «Non ringraziare i tuoi dei, idiota, ma la pigrizia che oggi affligge la mia mano» gli dice, dopo avergli sottratto l’arma. «Il tuo ferro lo prendo io, ho vinto e mi spetta di diritto.»

    Gli si avvicina, lo scruta con attenzione.

    «È per imprimere la tua faccia nella mia memoria. Nel caso dovessimo incontrarci una seconda volta. Non si sa mai.»

    Il ragazzo è scosso da un tremore insistente, ancora crede di sentire lo stridore dei ferri; la sconosciuta si è battuta e senza agitarsi più di tanto, attaccava di rado e si limitava a parare i suoi tentativi, mentre lo studiava con le labbra tese in un sorriso impertinente.

    «Ti senti frustrato, vero?» gli chiede Sophie. «Passerà vedrai. La prossima volta, cerca di capire chi hai di fronte prima di batterti, se capisci di non avere alcuna possibilità, non cimentarti.»

    Quando lei si allontana il ragazzo ritrova la voce e la baldanza.

    «Me ne renderete ragione! Il vostro nome, signora?» le grida rimettendosi in piedi. «Io sono un nobile e i principi del mio regno cercheranno giustizia.»

    Sophie monta in sella, annuisce tranquilla prima di presentarsi.

    «Mi chiamo Ash . Digli pure di cercarmi.»

    *

    Sophie, gambe serrate sui fianchi del cavallo, si lancia contro il vento lasciandosi schiaffeggiare il viso, i capelli si liberano dal nastro e si tessono tra loro in intrecci strampalati.

    Un altro duello , pensa, l’ennesimo. L’odio non si estingue mai, venissero pure a cercarmi i Thornstorm di Ardesia, io non temo nulla e nessuno .

    Sfrontatezza e coraggio sono peculiarità del suo carattere e non potrebbe essere diversamente per lei, Sophie di Llevellin, prima del suo nome, erede al trono di Rosemund.

    «Sei una rosensin, nel tuo sangue scorrono uniti il ferro con cui si forgiano le spade e le parole dei tanti libri che ami» le ricorda suo padre quando lo sogna di notte.

    «Solo il ferro può replicare agli insulti» ripetono invece i suoi compagni in sala d’armi.

    «Ninfetta» così l’ha chiamata quello stolto. Il suo viso assume un’espressione corrucciata, vorrebbe quasi tornare indietro e finirlo.

    Ardesia, regno di arroganti e ricchissimi bifolchi. La loro insolenza è forgiata nell’oro estratto dalle miniere. Sono forti come macigni, ma con l’intelletto di una pianta.

    Un odio reciproco antico, giustificato dalla storia, ma anche figlio di pregiudizi senza fondamento, li separa. E poco importa se i duelli sono stati proibiti. Nella terra di confine tra i due regni non esiste legge che lo vieti, lì rosensin e ardesiani incrociano spesso le lame.

    Presa da un entusiasmo ingiustificato sprona il cavallo. Ama la velocità, la fa sentire invincibile. Sobbalza con impeto sulla sella e le guance cominciano ad adornarsi di rosso.

    «Prima o poi ti farai ammazzare, signorina» le ripete sempre Lady Torrens, affettuosa e severa istitutrice.

    Non è colpa mia se mi hanno educato così da quando ho mosso i primi passi , rimugina scrollando le spalle. Non ho avuto tempo per i giochi .

    «I bambini devono acquistare forza fisica e agilità di intelletto» sostengono precettori e balie. Sin dall’infanzia si schermisce a terra e sulla trave di equilibrio accecati dal sudore, si trascorrono ore in biblioteca sotto lo sguardo di dotti e pazienti eruditi.

    Assorta nei ricordi si ritrova quasi oltre il confine. Gli occhi scrutano intorno in cerca di una direzione.

    Sintia mi starà già cercando, pensa. Quella sera andrà alla Locanda del Bue , dove si imbatterà nei Thornstorm e i loro tirapiedi, con ottime possibilità di fare baruffa e rischiando, forse, una ramanzina da parte dello zio, reggente di Rosemund.

    Ecco perché preferisce un nomignolo e si nasconde sotto un ampio tocco piumato in occasione delle cerimonie ufficiali.

    A volte la corona è più un peso che un premio. Se solo il suo adorato fratello tornasse, sarebbe lui a essere incoronato e lei sarebbe libera di andarsene in giro senza rimorsi.

    Le manca il gemello scomparso molti anni fa. Ricorda la corte in subbuglio e il viso affranto dello zio.

    Il furto dei gioielli confutava la teoria del rapimento e confermava la fuga, avallando la pessima reputazione di un principe bambino che puniva i servi con la frusta. Il suo nome e l’aggettivo reietto furono uniti per sempre in un matrimonio eterno.

    Reietto e violento , ma non per Sophie.

    Li univa un legame di sangue, indissolubile. Un solo corpo e una sola anima divisi, a cercarsi sempre, come il fiume cerca il suo mare. Tante promesse e poi l’abbandono.

    Amareggiata dai ricordi, Sophie sprona il cavallo alla volta di Rosemund.

    Stasera si va alla Locanda del Bue .

    2

    Il piede batte colpi sul pavimento e il dito sfoglia pagine impolverate. Il tomo leggero, tanto da poterlo sostenere con una sola mano, era impilato in libreria e si nascondeva tra altri più imponenti. Evan si chiede cosa ci faccia tra i volumi della Reale Biblioteca di Ardesia un libro sul popolo di Rosemund, fanatici mangia-erba convinti che cibarsi di carne sia malsano. Si è rivelata tuttavia una lettura interessante, addirittura spassosa quando è arrivato al paragrafo sulla loro evoluzione avvenuta nel corso dei secoli. Grazie a duri e costanti addestramenti le gracili e spaventate creature sono diventate forti e coraggiose, tanto da trasformarsi in degni avversari di Ardesia, da sempre popolo di guerrieri. Con la differenza che a Rosemund anche le donne sanno come impugnare una spada o un arco.

    Evan storce il naso e si distende sui cuscini della panca. Soffia sul tomo e osserva la polvere aleggiare nell’aria prima di svanire.

    Belle quanto pericolose le ninfette mangia-bacche , sogghigna tra sé.

    Non vi è nessun cenno sul perché i loro occhi si scuriscano a dismisura in caso di pericolo, né alcuna prova che attesti l’incapacità di mentire. Invece sono citati esempi sul loro rapporto controverso con l’acqua: watergrace, così è chiamata l’incapacità di nuotare di ogni rosensin, è una antica credenza popolare diventata limite. O solo paura?

    Poggia il libro in grembo e incrocia le braccia sotto la testa. Si mette a riflettere su quanto letto. La prestanza degli uomini mangia-semi è ben nascosta da sete, velluti preziosi, sbuffi di trine, gioielli chiassosi, un tripudio di lusso e colori sgargianti. E l’amore che nutrono per la cultura e l’arte atteggiandosi a dottori e filosofi rasenta l’ossessione.

    Sarà un modo scaltro per depistare e sorprendere l’avversario?

    Probabile, visto il loro ingegno nella truffa. Come la guerra di trenta anni fa, quando Rosemund mise gli occhi sui monti dell’oro appartenenti ad Ardesia da generazioni. Fu una guerra lunga e crudele, che vide Rosemund appropriarsi di una piccola fetta di miniere, suo nonno, il re, e Sigmund, suo padre, sconfitti, e il re di Rosemund sottoterra.

    Ancora si piangono i morti da ambo le parti. Evan si chiede cosa abbiano imparato i due popoli da quel conflitto esploso quando lui non era nemmeno nato. La risposta per lui è semplice: dalla guerra non si impara un bel niente, nessuno intende rispettare la pace, l’ostilità e il disprezzo sono ormai radicati e profondi. Rosensin e ardesiani si relazionano solo attraverso improperi e colpi di spada.

    Evan è consapevole di essere nato insieme all’odio, l’idea non lo intristisce e nemmeno lo rallegra, sa di essere in fondo come tutti gli altri giovani di entrambi i regni, dediti a impugnare il ferro come fosse una tradizione. E suo padre e il reggente di Rosemund pensano che basti il divieto di superare il confine tra i due regni per mantenere la tregua.

    Riprende la lettura del paragrafo quando Laran irrompe in biblioteca come una furia.

    «Hanno aggredito uno dei nostri» esordisce ansimando e con gli occhi spiritati; se fosse un rosensin ora sarebbero scuri.

    Evan si solleva dai cuscini e gli punta addosso uno sguardo trasparente, colore acquamarina, sotto le sopracciglia inarcate.

    «E allora?» fa in tono neutro.

    «Bisogna fare giustizia!»

    «È morto?» chiede mentre continua a sfogliare le pagine.

    «Diamine, no.»

    «E allora non è il caso che ce ne occupiamo. Chi è stato coinvolto?»

    «Il figlio del nobile Lorcan. E Ash , la ninfetta carina.»

    «Sono tutte carine le ninfette, Laran.»

    Il ragazzo sorride e annuisce, approvando il commento. Suo fratello minore, Evan, ne capisce di belle donne e, tra tutti i gentiluomini di corte, vanta il numero maggiore di conquiste. Laran odia ammetterlo, ma è stato superato dal fratello minore, anche se lui come erede al trono dovrebbe godere di maggior considerazione.

    «Tutte carine e attaccabrighe» conclude l’erede al trono.

    Evan dal canto suo non vede il motivo di tanto subbuglio. «I duelli nostro padre li ha proibiti, Laran» gli ricorda senza accalorarsi troppo. «Dovresti ricordartene.»

    «Davvero? Non eri tu l’altro giorno che stavi per infilzare i due mangia-semi al confine? Se non ti avessi fermato, li avresti fatti a pezzi.»

    Evan se ne ricorda sin troppo bene.

    Provocare con le parole è il primo passo. Minacciare è il secondo e porta dritto al ferro. Il resto viene da sé. È inevitabile, anche se si ripromette ogni volta di comportarsi in altro modo, la razionalità e la legge di Ardesia non lo aiutano quando poca distanza e il ferro lo separano da un rosensin. Il suo sangue ribolle come lava incandescente, nonostante sia incline, almeno così crede, allo studio, alle relazioni amorose e alla tranquillità.

    3

    «Sbrigati o andiamo via senza di te!» urla Sintia, il capo reclinato all’indietro, il naso in su puntato verso i vetri con le bolle della finestra.

    «Abbassa la voce» suggerisce Segin cauta, «o sarà la governante a scendere per suonartele per bene!»

    Le bolle si muovono e i vetri piombati si spalancano su una donna minuta, pelle e ossa, i segni dell’insofferenza impressi intorno agli occhi. Con uno sguardo trasforma in cenere l’esaltazione delle tre ragazze.

    Lady Torrens è sempre ruvida nei modi quando le intenzioni di Sophie non coincidono con le sue.

    «Il vostro comportamento è sconveniente e indecoroso. Strillare a una principessa di sangue reale senza i dovuti omaggi è una vergogna! E vi avviso, state aspettando invano.»

    Nello stesso istante Sophie sbuca dall’entrata, una figura sottile vestita di verde, alla cinta un fodero di cuoio ricamato con disegni floreali custodisce e protegge una spada, come a voler ingentilire un oggetto destinato a dare la morte.

    «Vai a un ballo, bellezza?» fa Segin, suscitando l’ovazione delle altre.

    «Andremo a un ballo!» esclama Sophie. «Ma non oggi.»

    «Che ballo?» indaga Floria incuriosita.

    «Non vi dirò nulla per ora.»

    «Piuttosto, dove andiamo?» chiede Sintia, poco interessata agli eventi mondani, pur non perdendosene alcuno.

    «Superiamo il confine e andiamo a sfottere i nani al di là del fiume. Magari raccogliamo anche qualche frutto. E la Teporosa Libellis che cresce spontanea da quelle parti è superba. Non capisco come una terra così florida sia abitata da selvaggi senza ombra di intelletto.»

    Anticipando qualsiasi tentativo di Lady Torrens per trattenere la principessa di cui è responsabile, le quattro ragazze, spronati i cavalli, diventano punti lontani, fino a dissolversi nell’aria velata di bianco della mattina.

    Hanno superato da poco il confine, quando Segin richiama l’attenzione delle altre indicando sei personaggi a cavallo che sembrano complottare tra loro.

    Ci sarà da fare baruffa come al solit o, pensa Sophie, riconoscendo i due principi di Ardesia, Laran ed Evan di Thornstorm e quattro dei loro abituali accompagnatori.

    Laran afferra al volo l’occasione.

    «Se è dall’altra parte che dovete andare, sarà arduo. Hanno reciso il ponte e se pensate di guadare il fiume, beh…» fa una pausa spostando la sua attenzione da una ragazza all’altra, per studiarle in ogni dettaglio. «I vostri limiti sono ben noti. Com’è che la chiamate? La ‘watergrace’, avete inventato un nome dal suono dolce per ridimensionare un grosso limite.»

    I cavalli fanno qualche passo e le ragazze senza guardarli commentano tra loro ad alta voce, esternando nella voce e nei gesti intenzioni poco pacifiche.

    «Hanno parlato di limiti?» Segin, alza e abbassa il petto sotto un farsetto azzurro.

    «Il mio ferro è pronto a dimostrare i loro» aggiunge Floria. Sotto una capigliatura bionda e ricciuta gli occhi sembrano accendersi di una luce scura.

    Sophie si frappone fra i due gruppi, una piega ironica sulle labbra mal cela una rabbia crescente.

    «Non cedete alle provocazioni di questi pezzenti, abbiamo altri piani.»

    La lingua tagliente è sempre pronta a rispondere almeno quanto la loro spada , pensa Evan, incapace di trattenersi, reagisce prima che si muovano.

    «Signora, dovrei cancellare questa parola col ferro.»

    Gli ardesiani iniziano ad agitarsi, rumori di zoccoli e finimenti sembrano annunciare l’inizio di uno scontro. Ael di Saust, il più giovane del gruppo, incita con svariate minacce, ma Arnaud di Leirac, il più adulto tra i sei, cerca di mediare e raffreddare gli spiriti.

    «Signori, calmatevi. Vi siete offesi a vicenda, ma non è il caso di continuare. Vostro padre ha proibito i duelli! E con tutto il rispetto, non sarebbe uno scontro alla pari, le signore sono numericamente inferiori e non sarebbe leale.»

    Laran si rivolge a Sophie, accennando un inchino misurato.

    «Mi dispiace di avervi arrecato offesa, signore, non era mia intenzione definirvi creature inferiori.»

    Il vento si diverte a lambire i lunghi capelli chiari, lo sguardo profondo ha rubato i toni al mare. La mascella è volitiva e l’aria è piacevolmente baldanzosa ogniqualvolta apre bocca. La sua bellezza non passa inosservata agli occhi delle presenti, nonostante sia un maledetto mangia-carne.

    «Non volevo definirvi pezzenti.» Sophie parla a malincuore, poi ritenendo chiusa la piccola contesa, volta loro le spalle.

    «Prima o poi lo accoppo con una bastonata» mormora a denti stretti.

    E riparte al galoppo seguita dalle altre, lasciandosi alle spalle una nuvola leggera di polvere chiara.

    «Saranno delle piccole arpie, ma sono una meraviglia» commenta Lord Arnaud, ammirandole estasiato.

    «Sì, certo. Come no…» gli fa Evan, indugiando con lo sguardo sulla vita sottile di lady Ash e apprezzando, suo malgrado, la posizione in sella, sicura e aggraziata. «Sono solo delle arroganti piene di boria. Non ne vorrei una neanche se me la regalassero.»

    Ael, impaziente, propone di seguirle comunque.

    «Certo, caro cugino, non ho altri programmi per oggi» replica Evan spronando il cavallo.

    Ho qualcosa in sospeso con te, mia bella Lady Ash , pensa, e sarei proprio curioso di scoprire chi si nasconde dietro questo nomignolo .

    Le risate allegre delle ragazze si perdono lontano, ma i loro rivali ne seguono la scia fino a che non si dissolve.

    *

    «Quante possibilità ci sono che ci stiano seguendo i mangia-carne?» chiede Floria.

    Segin si sporge sulla sella per verificare, senza vedere nessuno.

    «Non li vedo, ma ci stanno seguendo di sicuro.»

    «Così scopriranno il nostro accesso segreto. La cosa non mi va giù» protesta Sintia.

    Prendono a girovagare senza una meta, transitando spesso anche sugli stessi percorsi, per seminarli.

    «Tu e quel villano del principe Evan vi odiate» osserva Floria.

    «Perché tra te e lui c’è una storia d’amore, vero?» risponde sarcastica Sophie. Floria replica con un’occhiata mista di terrore e disgusto.

    «Non scherzare su certe cose!»

    «E d’altronde ho lo stesso intenso rapporto di stima profonda anche con il primogenito, includendo i loro fedeli cavalieri, uno per uno» aggiunge la principessa.

    «Sì, ma la relazione più esclusiva è con il secondogenito di casa Thornstorm» approva Segin, agitando una mano guantata per scacciare i moscerini.

    «Non perdete occasione per beccarvi» aggiunge Sintia. «Se non fossi certa dei vostri rapporti, potrei sospettare una specie di relazione amorosa tra voi due.»

    Sophie la guarda di traverso, estrae il frustino e finge di colpirla.

    «Meglio morta!» esclama con enfasi esagerata.

    «Già» le fa eco Floria, «la morte sarebbe un’opzione migliore.» Scrolla la testa agitando i riccioli biondi con il viso teso e serio come fosse minacciata.

    «Beh» interviene Segin, fingendosi esperta, «premetto che sono in totale accordo con voi e che su certe cose non si scherza. Ma se vogliamo parlare di trascorrere allegramente qualche ora con i Thornstorm, direi che, odio a parte, ne varrebbe la pena. Sono davvero due bei ragazzi. E riguardo il secondo, non c’è una parte di lui che si potrebbe criticare negativamente. E girano voci interessanti.»

    «Che voci?» si informa Floria con piglio indagatore.

    «Che sia un tombeur de femmes» irrompe Sintia, sempre bene informata.

    «In che senso?» chiede Floria.

    Segin e Sintia la guardano con affettuoso scherno.

    «E in quale senso, secondo te?» ribatte Segin.

    «A letto è bravo. Buona tecnica e lunga durata. Almeno è quello che si dice» conclude Sintia senza preamboli.

    «Durata? Come una torcia che non si spegne? Mah…» borbotta la principessa.

    Floria si sofferma a riflettere ad alta voce.

    «Io faccio domande perché non mi è molto chiaro quello che si combina in un letto. Voi sembrate avere le idee molto chiare invece. O avete esperienza o siete ben informate.»

    «Se è per questo, neanche io ho un’idea precisa su cosa voglia dire essere bravi a letto. Riferito poi a quel villano non posso e non voglio proprio immaginare» aggiunge Sophie rabbrividendo.

    «Candide le mie colombelle» mormora Segin, mettendosi tra le due amiche e guardando con affetto prima l’una e poi l’altra. «Non ho mai avuto esperienze di questo genere, ma da quando ho trascorso l’estate scorsa con mia cugina, ho le idee più chiare. Sapete, lei è al suo secondo matrimonio. Come potete immaginare, ha molto da raccontare.»

    Sophie, incuriosita dall’argomento, la incita perché parli. Segin continua a spiare alle sue spalle.

    «Al momento opportuno e nel luogo adatto.»

    Stanche di girare a vuoto, di comune accordo decidono di raggiungere la Terra dei Nani, una rocca impenetrabile, protetta da una vegetazione tanto fitta da far durare la notte in eterno. Rovi intrecciati decorano ogni percorso scoraggiando eventuali visitatori e un fiume dalle rapide furiose rende l’accesso impossibile, ma non per le rosensin, capaci di percorrere l’impervio sentiero tra i rovi, su un invisibile ponte di roccia che si allunga fino alla riva opposta del fiume. Su questa terra i nani hanno creato un villaggio indipendente, dove vivono da anni senza mai spostarsi.

    Con movimenti lenti, modellati per aggirare ogni ostacolo aguzzo, le ragazze superano l’ostico sentiero e, giunte a destinazione, si dedicano alla ricerca della Teporosa Libellis.

    Sfilandosi i guanti si accosciano, controllano con cura ogni foglia, strappano gambi e nascondono le piante in una bisaccia. Lavorano a lungo in silenzio, godendosi il sole sulla schiena. Fino a quando Floria soffoca a stento un grido nel trovarsi davanti gli indesiderati rivali, apparsi come spauracchi alle spalle.

    Tra beffe e risate, Ael non esita a schernirla.

    «Perdonateci, Milady. Vedo che non perdete occasione per dimostrare il vostro coraggio.»

    Decisa a rispettare la tregua dopo le scuse, Floria replica continuando a riempire la sacca.

    «Siete proprio dei brutti ceffi e vedervi così all’improvviso provoca un cattivo effetto.»

    «Venite spesso da queste parti?» chiede Evan osservando intorno. «Tra zotici ci si intende…»

    Ael lo sostiene con una risata, mentre Laran e Arnaud strappano qualche pianta per osservarla.

    «Non siete autorizzati a seguirci» borbotta Sophie. «Se vostro padre ne venisse informato, credo ci sarebbero guai per voi. Nonostante vi atteggiate a uomini fatti, è risaputo che il re vi tiene a bada a ceffoni.»

    Evan fa qualche passo verso di lei. «Qualche ceffone avrebbe fatto bene a voi, magari a quest’ora non sareste una volgare ladra che ruba in terre altrui.»

    Lei non gli concede un solo sguardo. «Mi state dando della ladra? Fate ammenda, e forse potrei risparmiarvi il colpo di stiletto con cui desidero onorarvi da stamane.»

    Evan, poco disposto a mollare, avanza, i pugni serrati e gli occhi socchiusi, obbligando Sintia a estrarre una freccia dalla faretra e tendere la corda puntando verso Evan.

    Laran estrae la spada. «Mettete giù l’arco e chiudiamo la questione qui!»

    Sophie con uno sguardo sereno e sprezzante ordina a Sintia di abbassare l’arco, Laran in simultanea fa sparire la spada nel fodero. Evan, non contento, ne approfitta per ribattere, ma un corpo possente interrompe qualsiasi tipo di comunicazione

    Come se non avessero peso, speronati da un nano con la forza di un ariete, Evan finisce sul prato, Sophie viene catapultata in avanti e non riesce a evitare un rovinoso crollo su di lui, tra le risate divertite delle ragazze.

    «Sintia, avevi ragione, diamine, c’è una storia d’amore tra questi due!» esclama Segin, estraendo la spada per affrontare i nani.

    Sophie si mette in piedi, mal celando un po’ di imbarazzo per quell’insolito e inaspettato contatto fisico.

    «Dovrete aspettare per il colpo di stiletto» gli dice precipitandosi a recuperare la spada. Quando rialza la testa vede un nano sbarrarle la strada, la roncola agitata nell’aria sembra una scia nera tagliente.

    Pericolosa . Sophie si chiede se avranno una minima possibilità di uscire vivi da lì. Sente un colpo abbattersi con forza sul metallo della sua spada, la lama curva della roncola, come un uncino, la aggancia per scagliarla lontano. Sophie è disarmata e scoperta.

    Tra poco sarò una principessa morta, e solo per aver voluto cogliere un po’ d’erba.

    Segin interviene e si frappone tra lei e il nano menando colpi di lama con la forza e la rabbia risparmiata agli ardesiani.

    «Io ho sfoderato la spada, signora» Evan le dice, mentre fronteggia uno degli aggressori. «Vi tocca riprendere la vostra.»

    Sintia la recupera, la lancia, lei l’afferra al volo eseguendo una presa perfetta come se si esercitassero ogni giorno.

    «Che pessima figura» continua lui. «Vi ha disarmata e quasi non ve ne siete accorta.»

    «Andate all’inferno!» sbotta Sophie, scattando all’inseguimento di un nano che le ha tirato un sasso. Evan schiva il colpo dell’uomo di fronte e, dopo averlo messo fuori combattimento, segue la sua scia. Si arrampicano lungo un sentiero angusto rasente il dirupo, in basso le rapide del fiume si intrecciano furiose. Di scatto, il piccolo uomo si volta cogliendo Sophie di sorpresa, la roncola aguzza brilla al sole, il suo bagliore è una minaccia. La ragazza con uno slancio gli si fa sotto ed esibisce il ferro. Per tutta risposta il nano non attacca, ma decide per la beffa tuffandosi nel fiume. Mancato il bersaglio, Sophie non gestisce lo slancio, il suolo sotto i piedi viene meno. Ciottoli la precedono con un tonfo prima di lasciarsi travolgere dai vortici, la schiuma li inghiotte affamata.

    Sente il suo corpo fendere l’aria. Attende l’impatto con l’acqua, ma saranno le rocce aguzze e affilate come lance a ucciderla. Meglio dissanguata che il respiro mozzato dalla watergrace, pensa, cercando almeno un lato positivo nella sciagura.

    Poi una presa imprevista.

    Sophie alza la testa, il sole aggredisce la vista, mostrandole solo una sagoma nera sovrastante, il suo polso però è al sicuro in una mano salda.

    Per Evan sostenerla è semplice, pesa poco più di niente. Lei resta sospesa nel vuoto, continuando a stringere la spada. Gli rivolge un sorriso che diventa una risata. Evan, sorpreso, stenta a interpretare quella reazione insensata.

    «È il vostro giorno fortunato. Una rosensin in meno.»

    Impavida , lui pensa. Sono le tecniche di Rosemund, sono addestrati a combattere ma anche a morire e, se questo è il risultato, deve essere un ottimo addestramento.

    La consapevolezza di averla in pugno lo eccita, ha il potere di decidere se tirarla su o lasciare che si sfracelli.

    Sophie continua a fissare l’impeto dell’acqua mentre si accavalla su se stessa.

    Consapevole di aver perso quel contrasto singolare, si rifiuta di supplicarlo. Continua a penzolare, oscillando come l’asta di una bandiera e quel movimento è più umiliante di tutto il resto. Individua un punto nella parete di roccia stratificata per conficcare la lama in una striscia di terra morbida, l’oscillare del suo corpo ha finalmente fine. Il braccio comincia a risentire della tensione, le sembra che le giunture stiano cedendo come la corda usurata di una marionetta in procinto di spezzarsi. La sconfitta ha un sapore acre, brucia in gola. La stretta al polso è decisa e si fa sentire.

    «Dovete decidervi» gli fa, palesando l’agitazione solo negli occhi, «o mi mollate o mi tirate su.»

    Evan riflette in silenzio. Mollarla , una bella lezione per questa mangia-bacche arrogante e presuntuosa, ma l’epilogo sarebbe la morte. La watergrace non perdona, uccide e basta. Aumenta la stretta sul polso, stringendo sotto le dita anche le piccole perle di un bracciale.

    «Mollarvi? No, sarebbe uno spreco.»

    Aiutandosi con l’altro braccio la tira su. Finalmente sulla terraferma, ne ristabilisce l’equilibrio cingendole la vita per un attimo. Non sono mai stati così vicini. Sophie percepisce un frammento azzurro, il colore dei suoi occhi. Un viso dai tratti affilati e aristocratici, liscio e chiaro. Le braccia che l’hanno salvata, forti ma sottili, come la sua figura alta e slanciata. Sconvolta dalla decisione inspiegabile, apre le labbra pallide per un sospiro e riesce a replicare a malapena.

    «Spreco? Non capisco cosa vogliate dire.» Mortificata dall’insuccesso e dalla grazia concessa, torna indietro, senza voltarsi. Raggiunge il suo gruppo e tra tiri di pietre e colpi di spada riescono a uscire da quella trappola, portando in salvo anche la refurtiva, in modo da dare un valore a quella movimentata gita.

    *

    Slegano finalmente i cavalli. Ancora tesa, Sophie accarezza il purosangue. Il gruppo di Ardesia, di poco distante, si scambia divertiti commenti.

    «Se non fosse stato per noi sarebbero appese a testa in giù ad adornare qualche quercia. Vedere una ninfetta appesa come un pollo non capita tutti i giorni.»

    Sophie, di spalle, riconosce la voce di Evan e sfodera la spada nello stesso istante in cui si volta. Un nero profondo come la pece divampa dai suoi occhi insieme a promesse di morte.

    «Scendete da cavallo voi o preferite che vi tiri giù io?» È un sussurro dal tono nefasto. Lui smonta agile dalla sella, pronto ad affrontarla.

    «Vi accontento subito. Mai fare aspettare una signora.»

    Arnaud, stanco dei battibecchi, non perde occasione per dimostrare di essere il più calmo e saggio tra tutti.

    «Non potete! Qui siamo quasi al confine ed è contro la legge di Ardesia!»

    Sophie scoppia a ridere esibendo il ferro. «Consideratelo come un allenamento!»

    Evan con un movimento fluido sfodera la spada, le lame sibilano sfiorandosi.

    «Un addestramento dove per pura casualità qualcuno potrebbe venir ferito… oppure ucciso!»

    Gli si getta addosso attaccando, lui risponde con lo stesso impeto. Il combattimento incalza intenso, le lame guizzano nell’aria, entrambi colpiscono e schivano.

    Lei sembra dominata da un furore assassino, non si risparmia, gli avanza contro. Lui si prodiga con lo stesso impegno, non ha permesso che annegasse, ma adesso avrà l’occasione per vedere quanto vale prima di trafiggerla.

    Lo stridore freddo del metallo si diffonde intorno a loro coprendo ogni insulto.

    Certa della vittoria, Sophie continua a battersi così come le è stato insegnato da bambina, parando ogni attacco con coraggio e vibrando colpi diretti evitati con altrettanta abilità dal suo nemico. Pur rendendosi conto di avere dinanzi a sé un avversario preparato, addestrato e dai muscoli d’acciaio, lei impavida è decisa a non soccombere.

    Floria, Sintia e Segin, dopo aver assistito in silenzio e quasi divertite, cominciano a guardare la situazione da un altro punto di vista.

    «Forse dovremmo separarli» suggerisce Floria, stringendo il braccio di Segin. «Ci sta mettendo troppa enfasi per essere solo un allenamento.»

    Sintia si sfila i guanti e li fa sparire in una tasca.

    «Perché?» commenta, stupita per l’ingenuità dell’amica. «Tu davvero pensavi che lo fosse?»

    «Se la sta cavando bene» osserva Segin accarezzandosi il mento. «Ma per quanto può durare? Nella tecnica sono pari, ma lui è più grosso.»

    «Anche Asmar lo è» replica Floria. « Ash è abituata a duellare con uomini più forti.»

    «Ma con Asmar non duella, si allena» puntualizza Sintia. «E lui invece sembra fare sul serio, se non interveniamo, qui finisce male.»

    Anche il gruppo di Ardesia osserva con attenzione i due spadaccini, alcuni incitano, altri commentano e attendono l’affondo finale e definitivo del principe.

    Arnaud se ne sta in silenzio e non scommetterebbe sul vincitore. Non è più la bellezza della ragazza, con i suoi capelli disordinati e le gote accese, a incantarlo, ma il suo stile, la sua forza.

    Per essere una donna è stata addestrata a dovere .

    Si scuote, si libera dal tocco piumato con un gesto stizzoso, ha visto abbastanza. Sprona il cavallo e si frappone come un muro fra i due.

    «Adesso basta!» ordina. «Non vi lascerò continuare questa follia! Principe, ragionate e pensate alle conseguenze. Vostro padre non ve lo perdonerebbe e siamo in una terra di confine! Stiamo parlando di legge!»

    «Toglietevi di mezzo!» gli ordina Evan. «Non ho finito con lei.»

    «Sì che hai finito!» esordisce Laran, piombando giù da cavallo. «Avete finito tutti e due.»

    Blocca il fratello per un braccio e, nonostante la sua resistenza, lo disarma, poi si rivolge a Sophie con un tono imperioso.

    «E anche voi, deponete l’arma!»

    Sintia entra in campo prima che Sophie possa rispondergli; la obbliga ad abbassare la spada. Poi, temendo una stilettata a tradimento, niente di più facile in situazioni come quella, col suo corpo le fa da scudo. A braccia tese la allontana, sussurrandole all’orecchio parole sagge.

    «Oggi abbiamo esagerato tutti, ma non vale la pena rischiare una punizione per lui. È il momento di fermarsi.»

    «Non immischiarti, Sintia, è un ordine» controbatte lei, svincolandosi e strattonandola. «Non ho avuto soddisfazione e giuro che me la darete!» grida ansimando al suo avversario.

    «Ah sì? E di quale tipo, Lady Ash ? Di che tipo di soddisfazione state parlando?» si fa beffa di lei Evan.

    «Siete un villano insolente! E un vigliacco!»

    «Eh no!» risponde il ragazzo, cercando di liberarsi dalla stretta ferrea del fratello. «Vigliacco non lo sono, signora. E l’ho appena dimostrato! Stareste già a leccarvi le ferite se non mi avessero fermato. La vostra inferiorità è evidente!»

    Laran, spazientito, trascina via suo fratello prima dell’irreparabile e ordina a tutti di ritirarsi. Evan, placandosi all’improvviso, le rivolge un mezzo sorriso.

    Sophie, guardandoli issarsi in sella, rimpiange l’occasione perduta e giura in silenzio di cercare in ogni modo il pretesto per infilzarlo.

    Le ragazze di Rosemund lanciano i cavalli al galoppo e, sussultando sulla sella, superano i cavalieri di Ardesia. Dopo pochi metri, Sophie impallidisce nel vedere il polso sinistro nudo. Fruga con le dita tra i vestiti, guarda intorno nell’erba.

    «L’ho perso» mormora con voce afflitta. Se la giornata è andata male, l’epilogo è anche peggiore. Nonostante le amiche la incoraggino in ogni modo, lei si sente mille volte sconfitta.

    Tornare indietro adesso e dopo aver aizzato la furia dei nani, sarebbe un suicidio.

    Muovendosi sui cavalli pigri e ciondolanti, i mangia-carne le sorpassano, prestando loro poca attenzione, ma quella noncuranza cela tutt’altro. Senza fermarsi, nel momento in cui la affianca, Evan la schernisce come stesse cantilenando tra sé.

    «Oh, madamigella ha perso il suo gioiello. Era quello che più si intonava alla vostra spada?»

    «Monili e duelli non vanno d’accordo, signorine, dovreste saperlo!» aggiunge Ael, che non può fare a meno di seguire l’esempio del cugino, nonostante gli ammonimenti prudenti di Laran e Arnaud.

    Sophie, livida dalla rabbia, gira il cavallo dalla parte opposta. Le spalle sono lo scudo con cui nascondere il suo dispiacere.

    «Andate a casa, ne avrete miliardi di inutili gioielli» continua Evan.

    Sintia, furibonda, sprona il suo cavallo, si avvicina a Evan e lo attacca con uno sguardo indignato.

    «Abbiate un po’ di ritegno. Apparteneva a sua madre.»

    L’espressione del ragazzo si tende, il sorriso sfuma, non trova parole per giustificarsi né il coraggio per fare ammenda.

    Sophie è sempre di spalle, le lacrime rendono liquido tutto ciò che vede. Dice seria alle compagne: «Andiamo. Abbiamo perso fin troppo tempo qui».

    4

    Un’alba infuocata ha steso un velo cremisi su cielo e terra ed Evan è già sveglio. Il suo sonno è stato inquieto e animato da dubbi. Ora attende che il sole si levi alto per annunciare il nuovo giorno e congedare la notte, dissolvendola in quel rosso invadente.

    Rifiuta la colazione, scende in giardino alla ricerca di Costa, il valletto più giovane del palazzo. È un ficcanaso matricolato, oltre a essere anche il più pigro e scansafatiche tra tutti i dipendenti della corte di Ardesia. Lo sorprende mentre sonnecchia al sole e gli si piazza di fronte per fargli ombra. Il ragazzo apre piano gli occhi. Crede di sognare, temendo il solito ricorrente incubo dei rimproveri da parte dei padroni. Quando comprende di essere sveglio, scatta come una molla sull’attenti.

    «Maestà!»

    «È fuori luogo chiamarmi ‘maestà’. Non fai che oziare. Mi chiedo perché mai ti abbiamo preso a lavorare qui.»

    A volte me lo chiedo anch’io , dice tra sé il ragazzo.

    «Costa, devi fare una commissione per me. Subito.»

    Il valletto annuisce rimpiangendo il programma del giorno che prevedeva poche mansioni e molto ozio. Evan lo obbliga a passeggiare e gli parla di un incarico importante.

    Il viso del ragazzo si illumina. Di certo il principe sta per affidargli qualcosa di serio. A lui, Costa, l’ultimo arrivato.

    «Tu sai di essere un gran ficcanaso, vero?»

    «È quello che dicono, mio Principe» non esita ad ammettere.

    «Bene. Dovrai utilizzare al meglio le tue doti stamattina.»

    Il ragazzino diventa zelante tutto a un tratto. «Ordinate pure! Qualsiasi cosa sarà fatta.»

    Evan si ferma all’improvviso, lo fissa socchiudendo gli occhi come se stesse riflettendo. Costa gli rimanda uno sguardo interrogativo, sperando che il principe non abbia cambiato idea. Per fortuna gli viene solo chiesta la massima discrezione.

    Costa si mette entrambe le mani sul petto, per dare maggior forza al patto e alla sua parola.

    «Passerai il confine e andrai a Rosemund» lo istruisce Evan, senza preamboli e ringraziando gli dei per la vicinanza tra i due regni.

    Il ragazzo si fa pallido. Sgranando gli occhi lascia cadere le braccia lungo i fianchi, cercando una valida ragione per dissuaderlo e venire meno alla promessa appena fatta.

    «A Rosemund? M-m-ma è proibito dalla legge.»

    «Lo so. Ma qui ad Ardesia nessuno lo saprà e, una volta lì, col tuo fisico esile ti confonderai tra la gente. Dovrai fare delle domande.»

    «Domande? Che genere di domande?»

    «Non ti mando a Rosemund per fare una gita.» Evan gli sventola sotto il naso una lista scritta. «Devi scoprire dove abitano quattro persone. Qui ci sono i nomi, dovrai impararli a memoria. Trovarne una soltanto sarà sufficiente. Ma, bada, l’informazione deve essere esatta.»

    «E se mi scoprono?» fa il ragazzo agitandosi.

    Evan ci mette un attimo per rassicurarlo sulla sua abilità. «Ti hanno mai scoperto nelle cucine a rubare il cibo riservato ai

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