Miti scientifici e potere della logica. Scienza, evoluzione, conoscenza.
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Miti scientifici e potere della logica. Scienza, evoluzione, conoscenza. - Franco Soldani
1. Una distinzione cruciale: conoscenza oggettiva e conoscenza obiettiva
Prendiamo le mosse da una differenza che raramente o quasi mai viene fatta tra i due diversi status della conoscenza scientifica. Benché a volte tendano ad essere fatti coincidere, gli aspetti in questione hanno invece significati profondamente diversi che è bene mantenere distinti e non confondere.
Definisco conoscenza oggettiva (Cono) quel tipo di analisi o interpretazione scientifica che descrive e riflette le proprietà fondamentali delle leggi di natura (LdN), ce ne offre una spiegazione fedele e convincente e rispecchia nei suoi sistemi d’idee il loro comportamento, la loro natura e la loro evoluzione temporale. In questo senso, conoscenza oggettiva equivale a una descrizione dell’universo fisico così com’esso è.
Da questo punto di vista, oggettiva è quella spiegazione del mondo che rispecchia in modo accurato e sperimentalmente controllato una serie di proprietà inconfutabili dell’universo materiale. Per la fisica odierna, in particolare, l’analisi scientifica del mondo ha carattere oggettivo perché rispecchia una realtà ontologica, le grandi leggi dell’Essere, il Logos della Natura, l’indipendente Ordine Cosmico dell’esistenza, «i grandi principi che governano la materia profonda», come dirà Roland Omnès⁵.
Ciò che è al centro della conoscenza oggettiva e ne costituisce l’essenza è l’originario ordine sovrano dell’Universo, rispecchiato nella «macchina simbolica» della MQ e reso intelligibile all’uomo tramite quest’ultima. In questo senso, la scienza spiega la realtà com’essa è in sé e non è altro che il ritratto simbolico delle grandi strutture immutabili del mondo fisico e del suo ordinamento legisimile⁶.
Come ha precisato il giovane fisico americano Lee Smolin, la conoscenza scientifica è oggettiva perché descrive «il mondo reale là fuori che esiste indipendentemente da noi» e ci fornisce «un’immagine di che cosa la realtà veramente è»⁷, senza riguardo alcuno per le convinzioni del soggetto (i suoi sistemi di valori, gli interessi, l’ideologia personale ecc.). Tramite la scienza noi leggiamo le proprietà più intime delle LdN e le riproduciamo nei nostri sistemi di pensiero come «un fatto matematico oggettivo»⁸.
Diversa è invece la conoscenza obiettiva. Definisco conoscenza obiettiva (Cobi) quel tipo di analisi scientifica che corrisponde ad una esatta descrizione dei fenomeni sotto esame, siano essi fisici o biologici, e ne spiega con appropriata accuratezza le proprietà e l’evoluzione entro un dominio circoscritto di realtà, in una determinata regione dello spazio-tempo proprio del mondo naturale. In questo senso, conoscenza obiettiva equivale a una puntuale rappresentazione dei fenomeni studiati.
Ovviamente una conoscenza oggettiva in linea di principio è o dovrebbe essere anche obiettiva. L’inverso non è però vero, giacché la conoscenza obiettiva non possiede le proprietà di quella oggettiva e va perciò mantenuta distinta da quest’ultima. Esiste una linea di confine tra i due domini e deve essere tenuta presente, se comprendere, come diceva giustamente von Foerster, è distinguere.
Prescindiamo momentaneamente dalla Cobi, la quale del resto, come si avrà modo di toccare con mano, non sempre coincide con la sua definizione. Quando però si appunta l’attenzione sulla Cono, si scopre che, oltre a non essere affatto impersonale e super partes e a non combaciare neanch’essa con la sua caratterizzazione, funziona anche con un altro ben definito scopo in mente.
Ha infatti anche il compito, tramite la sua più intima love e il correlato e onnipervasivo suo sistema di stereotipi, di occultare e far sparire dalla scena i paradossi, le contraddizioni, i controsensi, le impasse, le illogicità, le mistificazioni, i mondi à l’envers ecc., che affliggono il pensiero scientifico odierno, in modo che alla superficie delle cose e di fronte all’opinione pubblica domestica e internazionale siano visibili solo i cliché, i ritratti (edulcorati e falsi) che essa stessa autorizza di se stessa, e secerne anzi dal proprio interno, pro domo sua.
Nondimeno, se si fa astrazione da questo aspetto della cosa, oggetto di dimostrazione d’altronde di tutta l’analisi del saggio, la distinzione in causa tra Cono e Cobi ci tornerà utile nel corso dell’argomentazione per non confondere i diversi piani connotati dalle due categorie, nonché i differenti significati che in effetti assumono all’interno della comunità scientifica e di conseguenza di fronte al pubblico.
Tenere presente alla mente la loro diversità, ci dovrebbe consentire di non incorrere in esiziali equivoci e di meglio discriminare la realtà delle cose, in specie quando ci si avventura nei labirinti della scienza contemporanea⁹. Si vedrà del resto che se la Cono, per dirla con Iago, non è quello che è, nemmeno la Cobi ha l’identità codificata dalla sua definizione, due ulteriori fatti che ci consigliano caldamente l’uso di appropriati gps di tipo concettuale quando si entra nel loro dedalo.
___________________
⁵ Cfr. F. Soldani, Il pensiero ermafrodita della scienza. La rivoluzione cognitiva prossima ventura, Faremondo, Bologna, 2009, p. 115.
⁶ Cfr. ibidem, pp. 65-119.
⁷ L. Smolin, The trouble with physics, Penguin, London, 2018, pp. 6-7.
⁸ P. Davies, La mente di Dio, Mondadori, Milano, 1994, p. 92.
⁹ L’avversione per ogni «fede incrollabile» in una presunta «verità oggettiva» è tipica anche della ricerca storiografica, almeno di quella più critica, in specie in un dominio come quello confessionale in cui si ha a che fare con fatti ed eventi «volutamente falsificati» ed in cui si mente per congenita vocazione alla menzogna (come in ogni sistema di potere, quale è quello della Chiesa). In quest’ambito, oltre a non poter assolutamente parlare di ‘oggettività’, si è confrontati anche con l’insuperabile «problema dell’obiettività», giacché nel contesto soprastante ogni cosa è stata manipolata, travisata, deformata, in una parola fabbricata e resa falsa. Ripristinare il reale stato delle cose, è la prima ciclopica impresa con cui ci si trova a confronto: cfr. K. Deschner, Storia criminale del Cristianesimo, Tomo I, L’età arcaica, Ariele, Milano, 2000, pp. 44-49.
2. Il potere della logica e perché è dirimente
Sosteneva il matematico americano e storico della matematica Morris Kline, citando a sua volta il matematico francese Pierre Boutroux, che la logica è imbattibile, perché anche solo per confutarla bisogna usarla¹⁰. Mai come oggi, in un periodo che Alexandre Koyré ha definito l’epoca della menzogna¹¹, questo enunciato si è rivelato fondamentale. Nondimeno, non è solo per questo motivo che il ricorso alla logica nella valutazione di una teoria, in specie se scientifica, si rivela dirimente. Vi sono, in effetti, anche altre ragioni, più profonde benché complementari, perché la mente debba avvalersene.
D’altronde, se persino un Dio onnipotente, a parere perlomeno del fisico inglese Paul Davies, è soggetto ai vincoli della logica¹², parrebbe naturale e conseguente che anche i comuni mortali, inclusi gli scienziati, a maggior ragione se uomini di fede o religiosi, vi si attengano scrupolosamente. In genere, ovviamente lo fanno o, quanto meno, in pubblico dicono di farlo. Si raccomandano persino di osservarne i rigorosi e «severissimi»¹³ canoni.
Ad esempio, il francese Georges Charpak, premio nobel per la fisica nel 1992, ci fa sapere che oggi la coerenza logica delle dimostrazioni è diventata «il più importante carattere della scienza»¹⁴. Lo è così tanto che quest’ultima, nella veste dei suoi esponenti in carne ed ossa, deve essere pronta «a sacrificare tutto per essa», in quanto anche «l’apparizione di una sola incoerenza sufficientemente chiara in uno solo dei suoi rami è ragione bastante per consideralo viziato e sospetto»¹⁵.
E si capisce bene perché un’eventuale incoerenza in una data spiegazione scientifica susciti tanto allarme. Oltretutto, si badi bene, il monito proviene dall’interno stesso della comunità scientifica occidentale, nella fattispecie da due suoi fisici di punta, non da ambienti esterni o estranei, ancor meno ostili, a quest’ultima. La questione in causa ha dunque un imprimatur ufficiale, proviene dai piani alti dell’establishment e non rispecchia solo l’opinione privata di un qualche singolo.
Il punto è che, come ha precisato il neurobiologo, fisico di formazione, Edoardo Boncinelli, ogni data interpretazione scientifica, per conformarsi alla regola d’oro della comunità, deve escludere a priori qualunque «contraddizione interna»¹⁶ dalle proprie analisi, giacché se non lo fa, non può fregiarsi dei titoli che vanta, che diverrebbero illeciti. Non potrebbe, insomma, qualificarsi come reale spiegazione del mondo (né obiettiva, né, va da sé, oggettiva).
«Quello che si richiede a tutte le teorie scientifiche», puntualizza lo scienziato italiano, «è che siano logicamente ineccepibili, cioè non ambigue e non contraddittorie». Questo prerequisito è essenziale e imprescindibile: «Il criterio della coerenza logica rappresenta una conditio sine qua non per una teoria scientifica», giacché persino prima di passare al giudizio di un qualunque test da parte dell’esperienza, «è necessario che non ci sia alcuna incongruenza né alcuna ambiguità nel contenuto del suo messaggio». Conseguente conclusione di Boncinelli:
«Prima che al vaglio della verifica sperimentale, ogni affermazione scientifica deve (o dovrebbe) passare al vaglio di un esame razionale che ne escluda la contraddittorietà interna e l’ambiguità. Queste operazioni costituiscono l’essenza della matematica, ma sono anche il prologo obbligato di ogni pratica scientifica»¹⁷.
Perché debba essere così e la scienza nel suo complesso non possa fare a meno di ottemperare a tale esigente e stringente vincolo, diventato persino «necessario», come ci è stato appena detto, ci viene nuovamente e definitivamente confermato da quest’altro warning di Boncinelli:
«Per fare di una scienza una scienza, anche prima di passare al vaglio di una verifica sperimentale, occorre che le varie proposizioni teoriche non siano in contraddizione l’una con l’altra. La coerenza logica di una teoria scientifica è un prerequisito essenziale per poter passare alla fase sperimentale. La logica ci dice infatti che dall’errore segue qualsiasi cosa, ex falso quodlibet. Non serve fare esperimenti se le affermazioni che vado a verificare sono già incompatibili tra loro. Infatti, una teoria internamente contraddittoria non può essere smentita» da nessuna esperienza¹⁸
Nessun test sarà mai in grado di controllare la validità di una teoria che contiene delle incoerenze (o anche una sola incoerenza), di corroborarla o confutarla. La verifica da parte della realtà diventa a priori addirittura impossibile, in linea di principio. Questo perché, come spiega questa volta il fisico americano Frank Tipler, «ogni proposizione può essere dedotta da una contraddizione»¹⁹ e quindi nessuna dimostrazione può essere confermata, né dall’esperienza, né ancor meno da un’analisi razionale, visto che ogni distinzione tra i diversi enunciati è stata resa nulla e pari a zero (per quanto innumerevoli, al limite, essi virtualmente fossero).
L’idea che le spiegazioni scientifiche debbano essere, necessariamente,
«logicamente ineccepibili» e dotate di una loro rigorosa «coerenza interna», è una convinzione in pratica di tutta la fisica attuale²⁰. E ben difficilmente potrebbe essere altrimenti, viste le devastanti conseguenze derivanti da una sua inosservanza, manifesta o meno²¹.
Se come ci è stato più volte ripetuto dalla fisica quantistica, per la dimostrazione di ogni teoria scientifica «il giudice di ultima istanza è la prova empirica fornita da test sperimentali ripetibili in condizioni controllate»²², è chiaro che ogni divieto di principio di potervi far ricorso condanna all’insignificanza qualunque singolo argomento di una data spiegazione e persino interi paradigmi. Nel qual caso, entrambi escono di scena e vengono banditi dall’ambito della conoscenza scientifica.
Il potere estremamente selettivo della logica, oltre a far parte integrante della scienza contemporanea, si compendia in un fitto set, estremamente solidale, di principi di ragione che a mo’ di sintesi condenso in questo schema di comodo:
●principio di non-contraddizione (pdnc),
●principio di ragion sufficiente (pdrs),
●principio di coerenza (pdc),
●terzo escluso e principio d’identità (pdi).
Si tratta in buona sostanza di 5 cardini del pensiero occidentale che governano qualunque discorso (orale o scritto) interessato a diventare intelligibile e quindi fruibile da parte degli interlocutori, oggetto di una informazione-comunicazione sociale, comune a tutti gli astanti e condivisa dai diversi individui (i quali, anche solo per dissentire, devono prima averla compresa). Non se ne può fare a meno, in specie se si vuol dimostrare una data spiegazione, confermarla e farla diventare vera (come minimo obiettiva). Di sicuro non se ne può fare a meno dentro la scienza, come si è visto. Il set in questione è dunque uno spartiacque, un caposaldo dei sistemi scientifici di conoscenza. E come vedremo, verrà usato, anche dagli scienziati, proprio per mettere in dubbio la teoria di Darwin, mentre qui – per contro – lo si utilizzerà per mettere in discussione la presunta natura oggettiva della scienza.
___________________
¹⁰ Cfr. M. Kline, Storia del pensiero matematico, II, Einaudi, Torino, 1992, p. 1374.
¹¹ A. Koyré, Sulla menzogna politica, Lindau, Torino, 2004, p. 7: «Non si è mai mentito come al giorno d’oggi. E neppure si è mai mentito in modo così sfrontato, sistematico e continuo». Koyré scriveva queste cose nel 1943, ma sembra parlare del nostro presente.
¹² Cfr. P. Davies, La mente di Dio, cit., p. 211
¹³ Cfr. F. Soldani, Il pensiero ermafrodita della scienza, cit., p. 103. Il termine in questione è di Bernard d’Espagnat.
¹⁴ Cfr. ibidem, pp. 103-105.
¹⁵ I due passi citati ibidem, p. 104.
¹⁶ Ibidem, p. 103.
¹⁷ Tutti i passi citati ibidem, pp. 103-104
¹⁸ Ibidem, p. 104
¹⁹ Ibidem, p. 105.
²⁰ Cfr. ibidem, pp. 104-105. «Un tratto essenziale della scienza contemporanea è la sua coerenza interna», spiega Bernard d’Espagnat (Il pensiero ermafrodita della scienza, cit., p. 88).
²¹ Come spiega Barrow, «un enunciato contraddittorio è il più terribile dei cavalli di Troia», giacché «l’inclusione anche di una sola contraddizione (come per esempio 0=1) in un sistema assiomatico consente di dimostrare la verità (e anche la falsità) di qualunque enunciato relativo agli oggetti che fanno parte del sistema» (Da zero a infinito. La grande storia del nulla, Mondadori, Milano, 2014, p. 307). Esemplare e altamente istruttivo a questo proposito, nonché spassoso, il seguente aneddoto raccontato da Barrow: «Una volta che Bertrand Russell aveva sottolineato questa circostanza [il ruolo letale della contraddizione per la coerenza delle spiegazioni] in una conferenza, fu sfidato da un importuno che voleva sapere come, in base all’enunciato 2+2=5, si potesse dimostrare che lui stesso era il papa. Russell rispose immediatamente. Se 2+2=5, allora 4=5; sottraiamo 3; allora 1=2. Ma lei e il papa siete 2; quindi lei e il papa siete 1!
» (ibidem).
²² Cfr. Il pensiero ermafrodita della scienza, cit., p. 68.
3. Oltre l’empirismo old style: la logica attuale della scienza
D’altro canto, il ruolo centrale della logica nelle controversie scientifiche – e più in generale nell’analisi del mondo reale, anche societario – è ribadito anche dalle prese di posizione di eminenti biologi e neuroscienziati, ai vertici della loro professione e del sistema accademico, quindi della scienza ufficiale. Questi ultimi hanno infatti enfatizzato la funzione preliminare, a cui spetta il compito di innescare il processo di conoscenza, delle congetture di partenza dell’osservatore nel dar forma alla comprensione dei fenomeni (supposizioni iniziali che gli danno un ruolo attivo nel processo di conoscenza). Tra l’altro, come si avrà modo di vedere, lo hanno fatto sulla scia dei naturalisti e uomini di scienza d’epoca darwiniana, con cui lo stesso Darwin era in contatto, che conosceva bene e che lo hanno influenzato. Una concordanza, questa, oltremodo significativa, come si vedrà.
Ad esempio, il biologo francese François Jacob, Nobel per la medicina nel 1965, ha più volte sostenuto che il convenzionale rapporto tra la teoria (un dato sistema d’idee) e i dati d’esperienza, in cui si attribuiva il primato e la precedenza a questi ultimi, oggi non è più valido. Anzi, si è rivelato essere del tutto errato e in buona sostanza fuorviante. Credere che «nel dialogo tra la teoria e l’esperienza la parola spetti in primo luogo ai fatti è semplicemente falso». «Nella pratica scientifica reale» – a differenza degli odierni cliché ancora circolanti in società, prosegue Jacob – «è sempre la teoria che ha la prima parola», tanto che «i dati sperimentali non possono essere acquisiti e non possono assumere significato che in funzione di detta teoria»²³.
Un certo set iniziale di ipotesi guida la ricerca e orienta l’analisi del mondo da parte dell’osservatore. Ciò è logico, in fin dei conti, giacché senza il suo ausilio non si saprebbe bene neanche che cosa veramente cercare e come riconoscerlo nella congerie di fatti e fenomeni che ci presenta la realtà. D’altronde, come ha notato Gerald Edelman, anche lui Nobel per la medicina nel 1972, il possesso «di una robusta teoria» di partenza ci offre «una cornice» preliminare che, oltre a portare in primo piano i problemi rilevanti, rende possibile persino l’accertamento sperimentale. Ergo: «Prima di poter fare degli esperimenti dobbiamo avere in mente dei pensieri», senza i quali paradossalmente non sapremmo neanche che cosa, esattamente, dover controllare²⁴. D’altra parte, con la sottile sensibilità del poeta, altresì finemente ironica, Novalis aveva già notato nell’Ottocento che «se la teoria dovesse aspettare l’esperienza, non si formerebbe mai»²⁵.
La nuova impostazione emergente dall’interno della scienza novecentesca, benché non cada certo dal cielo, ma abbia i suoi antesignani proprio in epoca darwiniana, ha poi trovato anche una sua classica epitome in un enunciato di sintesi di Thom: «Se non si ha il concetto di un oggetto, non lo si riconoscerà», neanche se lo si avesse sotto i nostri occhi²⁶. Questo perché un certo quadro concettuale «in generale precede i dati d’esperienza»²⁷. Anzi, precisa il matematico francese, «si può osservare solo ciò di cui si ha un concetto preliminare». Tutto il resto passerà inosservato e nemmeno arriverà alla nostra attenzione. In altre parole, ci resterà invisibile e ignoto.
Tutte queste innovative scuole di pensiero, diffusissime e persino prevalenti in seno alla scienza odierna²⁸, han sempre avuto l’intenzione di opporsi alla cosiddetta via empirica alla conoscenza
²⁹ derivata da Kant, per la quale «i fatti d’esperienza» avrebbero rappresentato «il fondamento di tutto lo scibile umano», nel quadro di una concezione settecentesca in cui «tutta la conoscenza comincia con l’esperienza del mondo»³⁰.
Questo tipo di empirismo, a prima vista avverso ad ogni metafisica e sovrannaturale, ha in realtà come proprio presupposto occulto, sottostante la sua superficie apparentemente ‘naturalistica’, proprio una visione teologica del mondo che ne preforma i significati, precisamente – lo si vedrà – come nel pensiero di Darwin.
Non appena infatti Kant ha confinato Dio nella sfera dell’inconoscibile noumeno, e Dio era da sempre per la cultura europea dell’epoca, ancora dopo l’Illuminismo, l’origine e la causa divina del mondo, tanto che la scienza studiava l’universo proprio per capire Dio: esemplare a questo proposito Newton, il capostipite della fisica classica, l’attenzione di tutti quanti poteva ora concentrarsi esclusivamente sui fenomeni empirici e il mondo dell’esperienza, giacché, così si credeva o si voleva far credere, la loro ragion d’essere era comunque garantita dal Creatore.
Benché Dio, essendo causa sui, e quindi senza causa alcuna, non potesse in alcun modo, né avrebbe mai potuto, generare un mondo ordinato dal principio di causalità, la fonte delle regolarità osservabili nel reale da cui tutto ora, soprattutto nell’ambito della conoscenza, sembrava prendere le