Viaggio nell'aldilà
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Viaggio nell'aldilà - Fulvio Gagliardi
Fulvio Gagliardi
VIAGGIO NELL’ALDILÀ
Elison Publishing
@2023 Elison Publishing
Tutti i diritti sono riservati
www.elisonpublishing.com
ISBN 9788869633461
Indice
Sommario
Introduzione
Cap. 1 - La morte e l'aldilà
Cap. 2 - La morte nella cultura occidentale
Cap. 3 - La morte nelle culture orientali
Cap. 4 - Esperienze di premorte
Cap. 4 - L'anima, gli spiriti e i fantasmi
Cap. 6 - I fantasmi e le leggende scozzesi
Cap. 7 - Apparizioni spettrali nel resto d'Europa
Cap. 8 - Considerazioni ed esame dei casi di infestazione
Cap. 9 - Fenomenologia dello Spirito
Cap. 10 - Spiritualismo e spiritismo
Cap. 11 - La comunicazione con l'aldilà
cap. 12 - Tecniche utilizzate per comunicare con i fantasmi
Cap. 13 - Esorcismo
Cap. 14 Rituali per onorare i defunti
Cap. 15 - Religioni indigene africane
Cap. 16 - Viaggiando nell'aldilà
Cap. 17 - Esplorando l'ignoto
Cap. 18 - Gli spiriti guida
Cap. 19 - Conclusioni
L'autore
Sommario
Il viaggio nell’aldilà è una delle avventure più misteriose e affascinanti che l’umanità abbia mai immaginato. Da millenni, gli esseri umani si sono posti domande sul destino dell’anima dopo la morte, sulla presenza di spiriti e fantasmi e sulla possibilità di comunicare con loro.
In questo libro immagineremo un viaggio nel mondo dell’aldilà alla scoperta di ciò che si cela dietro il velo della vita.
Il primo passo del nostro viaggio sarà esplorare il significato della morte e dell’aldilà in diverse culture e tradizioni. Vedremo come le diverse religioni e filosofie concepiscono la morte e l’aldilà, e come queste concezioni influenzano le credenze e le pratiche dei loro adepti. Esploreremo anche le esperienze di persone che hanno avuto esperienze di premorte e che hanno avuto la sensazione di aver visitato l’aldilà.
Gli spiriti e i fantasmi
Vedremo come queste entità sono state concepite in diverse culture, dalla tradizione shintoista giapponese al folklore europeo. Esploreremo anche le storie di persone che hanno avuto esperienze paranormali, come l’apparizione di fantasmi o la sensazione di essere osservati da presenze invisibili.
Saranno anche oggetto di indagine le pratiche di esorcismo, sia nell’ambito della chiesa cattolica che nell’antichità, analizzandone le origini e il loro sviluppo nel corso dei secoli.
Vedremo come diverse culture hanno cercato di comunicare con gli spiriti dei morti, dal culto degli antenati in Africa allo spiritismo in Occidente. Esploreremo anche le tecniche moderne di comunicazione con l’aldilà, come le sessioni di mediumship e i dispositivi elettronici per la comunicazione con i fantasmi.
Ci addentreremo poi nei viaggi nell’aldilà. Esploreremo le tecniche utilizzate da diverse culture per visitare l’aldilà, come la meditazione in India e il viaggio sciamanico nelle culture indigene americane.
Vedremo anche come le esperienze di viaggio nell’aldilà sono state descritte da persone che hanno avuto esperienze di premorte o da coloro che hanno praticato tecniche di viaggio nell’aldilà.
Infine, faremo il bilancio di questo nostro viaggio nell’aldilà, riflettendo sulle scoperte fatte, sulle domande ancora senza risposta e sulle implicazioni che il nostro viaggio ha per la nostra vita terrena.
Concluderemo con una riflessione sulla natura della morte e sull’importanza di una vita consapevole e significativa.
Introduzione
Il viaggio nell’aldilà è una delle avventure più misteriose e affascinanti che l’umanità abbia mai conosciuto. In questo primo capitolo, si introduce il tema del libro, esplorando le motivazioni che spingono l’uomo a cercare una comprensione dell’aldilà. Nel seguito del libro viene illustrato come la morte e l’aldilà sono stati affrontati in diverse culture e in differenti epoche storiche, da quelle più antiche a quelle più recenti. Vengono esaminati inoltre i metodi di indagine utilizzati nel corso del tempo per cercare di penetrare il velo dell’aldilà, dall’osservazione dei fenomeni naturali alla ricerca scientifica e alle pratiche religiose e spirituali.
1
La morte e l’aldilà
In questa parte esploriamo il significato della morte e dell’aldilà in diverse culture e tradizioni. Vediamo come le diverse religioni e filosofie concepiscono la morte e l’aldilà e come queste concezioni influenzano le credenze e le pratiche dei loro adepti. Discutiamo delle diverse teorie sulla natura dell’anima e sulla sua destinazione dopo la morte, dalla reincarnazione al paradiso e all’inferno. Esploriamo anche le esperienze di persone che hanno avuto esperienze di premorte e che hanno avuto la sensazione di aver visitato l’aldilà.
La morte e l’aldilà sono temi che hanno affascinato l’umanità sin dall’alba della coscienza. Le diverse culture e tradizioni hanno sviluppato varie concezioni sulla morte e sull’aldilà, basate sulle loro credenze religiose, filosofiche e culturali.
Nelle religioni monoteiste come il Cristianesimo, l’Islam e l’Ebraismo, la morte viene spesso vista come passaggio verso un’altra forma di esistenza. Nella maggior parte di queste tradizioni, si crede che l’anima continui a esistere dopo la morte del corpo. A seconda delle credenze specifiche, si può pensare che l’anima vada in un luogo
come il Paradiso, l’Inferno o il Purgatorio, oppure che venga soggetta a un processo di giudizio divino prima di raggiungere la sua destinazione finale.
L’uomo ha sempre percepito la morte come una questione universale e un destino a cui non è possibile sottrarsi e questa è la grande domanda alla quale, in qualche modo, prima o poi è necessario rispondere. Tante sono state le risposte elaborate nel corso dei secoli per attribuire un senso all’interrogativo della morte, risposte che evidenziano tutte il carattere eminentemente pratico della questione. Dal momento in cui si assume una posizione o un’altra non si sostiene soltanto una convinzione teorica, ma si fa proprio un atteggiamento esistenziale.
L’interpretazione della morte, intesa come atto dell’esistenza e del morire, come processo che interessa l’intero arco dell’esistere e che si conclude con la cessazione del vivere, è strettamente dipendente dai fattori che determinano la nostra cultura. In altre parole, tra morte, morire e vita esiste un legame inscindibile, inevitabilmente influenzato dalla cultura dominante.
2
La morte nella cultura occidentale
In una cultura come la nostra, dominata e ossessionata dal concetto di qualità della vita
, le questioni relative alla morte e al morire appaiono irrilevanti e sconvenienti. Pertanto, esse sono da evitare o rimuovere e di fatto costituiscono un argomento fortemente tabù nella società attuale dove tutto sembra dover far riferimento al momento della prima gioventù, con i relativi interessi, aspirazioni e prospettive di una vita che sembra non dover terminare mai.
Salute e benessere sembrano costituire, infatti, un imperativo categorico, un dovere da perseguire a ogni costo. Quando poi queste assumono valore di assolutezza al punto da ritenere insignificante e indecente una vita priva di bellezza e di salute, esse trasformano il concetto di qualità della vita
in un imperativo assoluto.
È evidente come in una tale cultura di riferimento non possa esistere spazio per considerazioni in termini di valore di quelle esperienze umane problematiche come la sofferenza, la vecchiaia, il morire e la morte, esperienze per le quali si mette in moto un vero e proprio processo di rimozione e occultamento. Viene di conseguenza escluso, sia dal pensiero che dal linguaggio dell’uomo, tutto quanto possa riferirsi alla nozione di precarietà della vita.
Morte e morire costituiscono pertanto un aspetto socialmente incongruente, scomodo e rappresentano per il sentire e il vivere odierno, incentrato sul sistema economico, produttivo e tecnologico, un fattore di disturbo che va rimosso dalla coscienza collettiva e individuale.
La serenità della vita e la stessa esistenza, quindi, non si fondano più sull’elaborazione rituale delle esperienze limite
di morte, ma sul loro assoluto rifiuto. La vita diventa un dogma, un imperativo categorico intorno al quale organizzare l’esistenza, mentre la morte, ciò che in realtà delimita la vita, viene demonizzata come evento da ignorare ed evitare e considerata impensabile e indicibile come avvenimento.
Per questo, visto che risulta difficile e impensabile poter considerare la morte come un sacro trapasso, un passaggio verso un’altra forma di esistenza, essa diviene soltanto un buco nero che si apre davanti ai nostri piedi quando meno ce lo aspettiamo: l’unica scappatoia e finzione consiste nella sua negazione e nella sua rimozione.
La sconvenienza della morte e del morire delegittima, dunque, ogni possibile discorso su di essa. Preoccuparsi del dover morire è scandaloso o quantomeno inutile per la propria esistenza.
Non si esagera se si afferma che la morte oggi viene considerata come un elemento orribile
.
Essa è divenuta ormai un tabù. Anche gli atteggiamenti che si assumono nei confronti della morte sono caratterizzati dal concedere e dal non-fare domande. Nella cultura odierna, programmata per il successo e per l’esaltazione di ogni forma di vitalità, la morte e il morire sono confinati alla sfera del silenzio e la loro gestione spetta soltanto a persone e luoghi specializzati.
La morte è, dunque, un evento da nascondere come se fosse un fatto vergognoso, uno scandalo insopportabile dietro cui scorgere solamente una sofferenza inutile ed eccessiva.
In ultima analisi consideriamo il morire un fatto assurdo, che desta orrore.
Eppure, si tratta di una tappa della vita che merita riconoscimento, in quanto ne è il momento culminante, il suo coronamento, è ciò che attribuisce alla vita senso e valore.
Tra tutti gli esseri viventi l’uomo rappresenta la sola specie animale per la quale la morte è onnipresente durante tutta la vita.
L’uomo è la sola specie animale che accompagna la morte con un rituale funebre complesso e ricco di simboli, la sola specie animale che ha creduto e spesso ancora crede alla sopravvivenza e alla rinascita dei defunti.
L’uomo è la sola specie per la quale la morte biologica, fenomeno naturale, è considerata soprattutto un fenomeno essenzialmente culturale.
Nonostante non sia possibile ignorare che un domani sicuramente moriremo, ci ostiniamo a vivere come se la morte riguardasse gli altri
, non certo noi
. La morte non ci appare come la conclusione ovvia di una legge universale, essa è invece una presenza incombente che accettiamo, evitiamo o respingiamo nella misura in cui la riteniamo un passaggio necessario o una brutale interruzione dell’unica cosa che ci sta a cuore: vivere il più a lungo possibile, anzi, vivere sempre.
Eppure, la morte, non dovrebbe costituire un problema per l’uomo dal momento che, tra tutte le imprevedibili situazioni che la vita riserva a ciascuno di noi, proprio la morte è l’unica certezza.
Tuttavia, proprio in questo suo essere un limite irrevocabile che non è stato oggetto di scelta, risiede il vero problema.
Ignorarlo, rifiutarlo, disprezzarlo o cadere nella disperazione dipende dalla visione della vita che si possiede: l’interrogativo sul senso della morte rimanda cioè al più grande interrogativo sul senso della vita.
Una tanatologia, o filosofia della morte, è impossibile. Il fenomeno della morte non costituisce un’esperienza di cui poter parlare: la relazione con essa non può mai essere oggettiva, ma sarà sempre soggettiva e oggetto di interpretazione filosofica. Trattare della morte in modo oggettivo, quindi impersonale, significherebbe infatti averne determinato i suoi eventuali aspetti fenomenologici, aspetti che essa non ci consente di evidenziare in quanto, come oggetto d’indagine, rimane fuori della portata delle nostre esperienze. Essa non è inquadrabile in maniera oggettiva e non può essere separata dalla relazione che l’uomo ha con sé stesso, in quanto colui che volesse indagarla è intimamente coinvolto nell’oggetto stesso dell’indagine.
In altre parole, non è possibile parlare della morte in quanto dovremmo oltrepassarla e immaginarci aldilà di essa, essendo a noi preclusa la possibilità di farne esperienza. D’altra parte, la morte alla terza persona
non costituisce un problema: il si muore
o il tutti muoiono
è un evento che, nel corso della nostra vita, non ci riguarda dal momento che lo registriamo senza esserne coinvolti.
L’aspetto realmente critico è quello della morte di una persona cara, evento cui non ci si rassegna, che provoca la nostra ribellione perché è la morte che più assomiglia alla propria e che più ce la rammenta, senza tuttavia essere la propria.
Il problema della morte delle persone care è più essenziale e tragico di quello della propria morte, perché si tocca con mano che si è interrotto un legame.
La morte è un problema piuttosto che un mistero. Il problema, a differenza del mistero, coinvolge e compromette la persona che si interroga, esso risulta comprensibile anche se non esprimibile in termini di linguaggio concettuale. L’unica possibilità per parlarne è affacciarsi sul crinale della morte e contemplarla nelle due prospettive: la prospettiva al di qua della morte e quella aldilà della morte.
In seguito, si cercherà di descrivere alcune possibilità e metodologie per cercare almeno di lanciare uno sguardo sui due lati del crinale.
In realtà, non può esserci esperienza della morte in quanto nulla è sperimentabile se non quello che è stato vissuto e reso cosciente".
Quando parliamo del morire
, ne parliamo come se si trattasse di un evento vissuto, che dovrebbe essere definibile solo attraverso un prima
e un poi
. Questo prima
e questo poi
dovrebbero non essere sospesi nel vuoto, ma inseriti nella continuità di una storia personale. Una continuità impossibile: può esistere in essa un soggetto che è morto dopo essere stato vivo?
La morte in realtà non è nulla per noi, perché ogni bene e ogni male risiedono nella facoltà di sentire ed essere coscienti, cose di cui la morte è appunto privazione. Il più terribile dei mali dunque, la morte, non è niente per nessuno di noi, dal momento che, quando noi ci siamo, la morte non c’è, e quando essa sopravviene noi non siamo più.
Dunque, l’esperienza della morte non fa parte del nostro mondo e noi non possiamo né comunicare né entrare in relazione con essa.
Possiamo solo parlare dell’esperienza, la nostra esperienza, del vedere la morte altrui.
Ma la morte dell’altro osservata da noi è in grado di fornirci delle informazioni relative a ciò che è morire
?
Certo, qualcosa accade davanti a noi: un evento, il più irrevocabile di tutti, si produce. Pochi istanti prima qualcuno era là con noi e potevamo comunicare con lui.
Improvvisamente ci ritroviamo davanti un cadavere, incapace di risponderci. La morte altrui è l’esperienza della rottura definitiva, netta e irreversibile della comunicazione. Quel corpo che era vita e parola si è trasformato in un involucro
inerte e muto. L’essere che viveva prima
è là, inutile cercarlo da qualche altra parte nel nostro mondo, non è più presente. Davanti a noi solo il cadavere è presente e porta ancora i tratti della persona che abbiamo conosciuto e forse amato.
Dinanzi alla morte altrui il nostro animo non può non soggiacere all’evidenza di questo annichilimento. Siamo improvvisamente desolati e messi di fronte all’inevitabilità di questa sventura, sulla quale non possiamo avere alcuna possibilità di controllo. Questa inevitabile sventura ci mette di fronte alla caducità del nostro stesso esistere.
Il fatto che esiste la morte è tuttavia solo un’esperienza, ma non si ha l’esperienza del morire
come evento che accade al morente. L’esperienza che la morte dell’altro ci fornisce rispetto a ciò che sarà la nostra propria morte non è che molto marginale.
Sapendo che morremo e non avendo alcuna esperienza diretta di ciò che significhi morire, non possiamo fare a meno di cercare di immaginarci in cosa possa consistere questa certezza vuota di un qualsiasi contenuto sperimentabile.
Anche se la morte non si fa mai conoscere di persona
, noi non rinunciamo a cercare di farci una semi-esperienza di essa, impadronendoci di tutto quello che ci sembra utile per prefigurarla. L’esperienza quotidiana del sonno, per esempio, può essere intesa come un’immagine vagamente anticipatrice della morte.
Infatti, il sonno non è un’esperienza che possiamo affermare di osservare da coscienti ed è proprio per questo che si può considerare così adatto a fornire un’immagine della morte. Esiste, è vero, un torpore ancora cosciente che non è ancora sonno vero e proprio, ma che lo precede e l’annuncia. Tra questo torpore e il sonno propriamente detto sussiste una distanza radicale, come quella che separa l’agonia dalla morte.
Altra prefigurazione della morte è costituita dal processo di invecchiamento: invecchiare, infatti, vuol dire avvicinarsi a morire.
Il progressivo ridursi di attività nell’anziano, la diminuzione delle sue facoltà, la sua ridotta capacità di esternare la sua affettività in relazioni piene di vitalità costituiscono una prefigurazione della morte intesa come il diminuire, fino al venir meno, di ogni relazione e di ogni scambio con il mondo. L’analogia, evidentemente, è valida se consideriamo la morte nel senso della rottura e dell’estinzione. Se invece le attribuiamo il significato di una liberazione, allora non sarà certamente la vecchiaia a offrirci un’immagine di essa, ma l’analogia più appropriata giungerà dalla nascita che è apertura al mondo.
Anche nella prospettiva più confortante, comunque, la morte conserva il suo carattere di dramma. Essa è una lotta tra l’istinto naturale di vita e l’inesorabile imminenza della fine.
La morte grande
, la bella
morte, sono soltanto trasfigurazioni operate dal desiderio di esorcizzare questi aspetti: in realtà, si muore sempre da soli, perché il