Strani racconti
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Sono storie queste decisamente strane, forse improbabili, ma non impossibili. Alcune di queste nascono in uno scenario ai limiti delle attuali conoscenze scientifiche, altre dai meandri insondabili della mente umana. Quando la ricerca scientifica ci trasporta oltre i confini dell’esistenza del creato, laddove non ha più senso la realtà materiale, ecco apparire il trascendente e i demoni che vi abitano, oppure, quando ci si innamora di una donna i cui sentimenti in parte emergono da una mente artificiale ci troviamo di fronte a domande sul più intimo dei sentimenti, l’amore. Anche la follia può riservarci scenari improbabili, assurdi e incomprensibili, trasportandoci in un lontano passato di scene tribali. Tutto questo ci porta a riflettere sulla nostra tranquilla quotidianità, realtà che potrebbe essere stravolta, come oggi accade in molte parti del nostro mondo.
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Anteprima del libro
Strani racconti - Fulvio Gagliardi
Fulvio Gagliardi
STRANI RACCONTI
Elison Publishing
Proprietà letteraria riservata
© 2020 Elison Publishing
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Elison Publishing
ISBN 9788869632341
Prefazione
Sono storie un po’ strane quelle qui raccontate, è vero, storie che pur se partorite dalla fantasia potrebbero avere ognuna un fondo di verità.
Alcune potrebbero rappresentare una possibile realtà in un lontano futuro, altre forse una realtà nella mente malata di tanti uomini in questo nostro folle mondo.
Perché se ci pensiamo bene … cosa è la normalità? Tutto in fondo è possibile, anche le cose più strane!
L’oscura minaccia
Correva l’anno 2122.
Il Large Hadron Collider aveva lavorato per circa cento anni, fornendo risposte ai quesiti scientifici più importanti e contribuendo alla scoperta del Bosone di Higgs, della supersimmetria e della intima natura della materia oscura.
Aveva ormai raggiunto il limite di ogni possibile potenziamento per il suo ulteriore impiego, soppiantato dall’enorme acceleratore lineare internazionale della potenza di 25 TEV (tera elettron volt), costruito in Giappone, quest’ultimo soppiantato a sua volta dal ancora più potente Acceleratore Lineare, costruito in Siberia, con i suoi 150 TEV di energia per l’accelerazione delle particelle, strumento quest’ultimo di proprietà di tutte le nazioni e a servizio dell’intera umanità.
Non era ancora stato possibile scoprire il segreto dell’energia oscura, l’energia responsabile dell’espansione accelerata dell’universo per la quale varie ipotesi venivano fatte dai fisici.
Tra tutte, la maggior parte degli scienziati riteneva più ragionevole assumere che l’espansione accelerata dell’universo dipendesse dalla pressione negativa della forza entropica oppure, spiegazione questa più realistica e semplice, che dipendesse dalla spinta sull’universo materiale prodotta dall’energia dei neutrini ultra energetici.
Il LHC ormai inutilizzato era meta di curiosi ed era stato trasformato in una specie di museo della scienza, aperto al pubblico.
Victor quel giorno aveva deciso di portare con sé i suoi due nipotini per una visita al Large Hadron Collider, affinché potessero raccogliere materiale per un tema in classe, previsto dal loro insegnante di fisica per il giorno seguente.
Scesero con gli ascensori a 150 metri di profondità, nel sottosuolo della periferia di Ginevra, città dove Victor e i suoi cari avevano dimora.
Victor era un anziano professore di fisica presso il locale liceo e il suo sogno era di avviare per le strade della scienza i suoi due nipotini.
Raggiunto il livello dell’anello di accelerazione salirono sul piccolo trenino per percorrere i tredici chilometri che li separavano dal CMS, dove c’era la camera con il Detector per l’analisi delle collisioni ad alta energia delle particelle.
L’immenso locale non poteva non impressionare i due ragazzi: i due giganteschi magneti circolari a destra e a sinistra incutevano rispetto e pur se ormai inutilizzati sembravano voler di nuovo prendere vita, costringendo i fasci ad altissima energia a scontrarsi tra loro.
Al centro, tra i due giganteschi magneti, faceva bella mostra di sé il grande rivelatore solenoidale, il cuore del sistema.
Victor, conducendo per mano i nipotini, si avvicinò al rivelatore facendosi spazio tra la piccola folla di curiosi che come lui avevano deciso di visitare quel luogo.
Mentre osservava il rivelatore, timoroso anche lui di avvicinarsi troppo, notò all’interno del cilindro qualcosa di strano, qualcosa che il suo intuito gli diceva che non sarebbe dovuta esistere.
Quel luogo ormai non era più frequentato da scienziati e i pochi custodi che vi erano non avrebbero potuto notare quella strana cosa che invece Victor, da studioso di fisica, aveva potuto notare.
Appena visibile, sul fondo del rivelatore, si notava una strana luminescenza che a tratti pulsava lasciando poi spazio ad una piccolissima zona scura, come di una macchiolina o meglio ancora come di una piccola incrostazione nera.
Dopo un attimo di stupore Victor, con orrore, sussultò sbarrando gli occhi su quella cosa
.
I suoi ricordi corsero indietro nel tempo, quando era ancora studente di fisica all’università. Ricordò di aver letto da qualche parte del timore espresso da alcuni fisici dello scorso secolo che il LHC avrebbe potuto produrre dei mini buchi neri che a loro volta avrebbero potuto ingrandirsi e fagocitare pian piano l’intera Terra. La paura era poi passata, anche per l’assicurazione di un fisico, Hawking, che riteneva che una volta formati i buchi neri microscopici si sarebbero subito vaporizzati.
Gli anni erano trascorsi e nulla era accaduto, tranquillizzando gli animi e gli addetti ai lavori che condussero esperimenti con energie di collisione sempre maggiori.
Evidentemente non era andata cosi
, pensò Victor, mentre alcune gocce di sudore gli imperlavano la fronte.
«Cos’hai nonno?» chiesero i nipotini, che avevano notato l’improvviso cambio di espressione di Victor.
«Niente … niente!» rispose pensieroso il nonno, mentre guardava con più attenzione quella strana piccola cosa
nera e i bagliori che di tanto in tanto essa emetteva.
Poi improvvisamente, come se avesse ricordato di avere un urgente impegno, Victor disse ai nipoti:
«Dobbiamo andare via subito! Devo parlare con alcune persone che conosco all’università», trascinandoli allo stesso tempo verso il trenino che li avrebbe portati all’ascensore per l’esterno.
Lasciati i nipotini a casa loro, egli corse all’università dove aveva studiato e si era laureato a pieni voti.
Victor non sapeva con chi altro parlare per riferire di quella orribile scoperta.
Ormai era certo, quello era un microscopico buco nero, formatosi in chissà quale degli innumerevoli esperimenti condotti lo scorso secolo al LHC. Tanti se ne erano probabilmente formati, ma erano tutti evaporati tranne quello, a meno che … non ve ne fossero altri, latenti in qualche angolo nascosto del lunghissimo Collider.
In realtà pero Victor non credeva possibile che ne potessero esser nati altri, lontani dalla zona del rivelatore, dove erano avvenute le collisioni.
Egli ricordava che un buco nero teoricamente avrebbe potuto avere qualunque massa uguale o superiore alla massa di Plank, che è la più piccola massa possibile. Per formarlo si sarebbe dovuta concentrare massa o energia sufficiente a far sì che la velocità di fuga dalla regione nella quale essa era concentrata eccedesse la velocità della luce. Questa condizione si poteva verificare ad una distanza inferiore al raggio di Scwartzschild, che è pari a 2GM/c², dove "G" è la costante gravitazionale di Newton e "c" è la velocità della luce. D’altra parte il limite della dimensione minima della regione in cui può essere localizzata un massa M a riposo è dato dalla lunghezza d’onda di Compton, pari a λ =h/Mc, con h costante di Plank. Se la massa M è sufficientemente piccola, la lunghezza d’onda di Compton eccede il raggio di Schwarzschild, e non può esistere nessun buco nero.
Nonostante quanto sosteneva Hawking nello scorso secolo, Victor aveva sempre ritenuto che i buchi neri non necessariamente evaporano. Infatti, se si crea in prossimità di un buco nero