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10 racconti
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E-book193 pagine3 ore

10 racconti

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Dieci racconti per dieci vite, tutte irrimediabilmente segnate dagli eventi della seconda guerra mondiale.
I personaggi si svelano tra le pagine con tutte le loro peculiarità, pregi e difetti, desideri e ossessioni; le loro esistenze sono frutto di memoria e invenzione. Dal modesto contadino al valoroso soldato, dal grande scienziato al giovane studente: vite, quotidianità e momenti che sono il ritratto di una società.
 
Arnaldo Ceccato è nato in Lombardia nel 1935 da genitori veneti ma si considera umbro d’adozione. Temprato nei disastri della seconda guerra mondiale e nelle conseguenti difficoltà esistenziali, ha vissuto i suoi anni adolescenziali applicandosi in vari mestieri. Ha quindi frequentato studi tecnici e praticato sport agonistici, votandosi infine, per dare un tono epico alla vita, alla carriera di pilota militare nella quale ha raggiunto i più alti livelli professionali di responsabilità e di pensiero, anche in campo internazionale. Nella sua variegata esperienza di vita in ogni ambiente e circostanza, ha sviluppato una sensibilità per i valori caratteriali e comportamentali delle persone, delle loro bizzarrie e degli eventi da cui emergono da protagoniste. Affiorate dalla memoria, l’autore si compiace di dar loro una spolverata e farle rivivere in queste pagine.
Tra le sue pubblicazioni più importanti: Fronde di memoria (sessanta racconti), Sulle strade del tempo (sessanta poesie), Il Rapporto La Moricière (saggio storico settembre 1860 nelle Marche e nell’Umbria), Il genio italiano di Antonio Ferri dal muro del suono allo spazio(biografia), 12 Numeri del bimensile «Sicurezza del Volo» (testi e illustrazioni), La Pace Armata, una storia della guerra fredda vista da un addetto ai lavori.
LinguaItaliano
Data di uscita29 mag 2023
ISBN9788830682658
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    10 racconti - Arnaldo Ceccato

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    Arnaldo Ceccato

    10 Racconti

    © 2023 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-7740-1

    I edizione aprile 2023

    Finito di stampare nel mese di aprile 2023

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    10 Racconti

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di Lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Personaggi in soffitta

    Fra le cianfrusaglie di una soffitta, negletta e polverosa, ecco offrirsi all’attenzione un vecchio album fotografico con copertina decorata a motivi art déco in rilievo. Anche se consunto e dissestato, l’album accende la curiosità per quei soggetti d’altri tempi, significativi per la storia del costume. Sbattuta via la polvere con uno straccio di fortuna, ecco la rivelazione delle foto contenute. Esse appartengono ad un signor Giovacchino, classe 1868 e si riferiscono al periodo fra le due guerre mondiali. Giovacchino non è un eroe, né un santo, né un personaggio della cultura o dello sport; è un montanaro dalle scarpe grosse, uno come tanti che per intelligenza e volontà riescono ad emergere nel loro tempo pur nelle difficoltà e nelle imprevedibili situazioni che la vita può riservare.

    Le immagini danno subito l’impressione di un uomo dalla tempra tenace, tipica dei veneti di montagna. Lui, che di cognome è un Bof, si sente re del territorio, essendo nato fra quelle quattro case di pietra che, sulla carta, danno il nome al Col dei Bof, una propaggine del Monte Grappa, teatro di violentissime battaglie della Grande Guerra. Sin dalla giovinezza Giovacchino mostra il suo ingegno manuale. Sulla montagna fa bene tutte le cose possibili: coltiva la vite e fa il vino, alleva mucche e fa burro e formaggio; ma cresce anche otto figli. Certo, non disponendo né di elettricità, né di radio, né di televisione, nel suo isolamento alpestre è per lui spontaneo cercare nella natura i piaceri della vita. Tuttavia da ragazzo, si angustia per non aver potuto frequentare una scuola ed imparare a leggere e scrivere e far di conto. L’unica scuola del paese a fondo valle è troppo lontana e c’è anche un torrente da attraversare su precarie passerelle; poi il maltempo lo impedirebbe. Giunto ad età matura Giovacchino si impone un incredibile sforzo. Scende in paese, sale in corriera e arriva in città dove può comperarsi un abecedario; poi con qualche nozioncina del prete s’ingegna a capire, memorizzare e riprodurre i segni e la relativa fonetica. Alla fine ci riesce e continuerà a procurarsi da leggere per acquisire sempre maggiore padronanza e allargare il campo delle sue conoscenze. Nell’analfabetismo imperante il suo livello culturale gli dona autostima e lentamente salgono le sue ambizioni di poter frequentare un mondo socialmente più emancipato. Le prime foto lo ritraggono con una giacca indossata con disinvoltura sopra una camicia con fiocchetto: doveva essere l’ultimo grido di un gagà del paese. È pronto a sposarsi e fare una figura molto dignitosa alla cerimonia nuziale anche usando con malcelato orgoglio la civetteria di far uscire dalla tasca un pezzo di quotidiano. Ora il signor Giovacchino perfeziona la sua piccola attività vinicola e casearia e impone una severa educazione ai suoi figli che vuole tutti scolarizzati. Vede all’orizzonte la possibilità di trasferirsi per dar loro più agiate condizioni di vita, ma ecco che la turbolenza del mondo degenera nello scoppio della Grande Guerra, che dopo qualche mese va a interessare il suo paese e la sua montagna. L’Impero austroungarico che ha trascinato nella guerra il mondo intero non ha sufficienti risorse alimentari per uno sforzo così prolungato. Ne soffrono anche le sue truppe al fronte, che si arrangiano come possono, anche con la violenza, a sequestrare e saccheggiare derrate alimentari ovunque, persino nelle case di civili che vengono anch’essi ridotti alla fame. Giovacchino se ne accorge bruscamente quando un plotone austriaco lo sorprende nella sua cantinetta a spillare dalla botte una brocchetta di vino. Riceve due calci in testa e la botte gli viene stappata e liberata di tutto il suo sudato contenuto. Poi fanno razzia di farina, formaggi ed ogni cosa che sia commestibile e, per finire, stuprano la figlia maggiore. È un trauma, questo, che Giovacchino non supererà mai, nutrendo sempre un odio viscerale verso il todesco. La grande offensiva dell’ottobre 1918 partita proprio dal Monte Grappa e che in pochi giorni porterà alla vittoria italiana, restituirà pace all’esigua popolazione locale rimasta ma le ferite richiederanno tempo per essere sanate. Giovacchino è sempre bene informato dal suo unico giornale che arriva nuovamente in paese. Una notizia che lo colpisce riguarda l’offerta di una nuova casa e un po’ di terreno agricolo che il Governo e la regione Lombardia offrono ai profughi provenienti dal fronte dove hanno perso tutto. Giovacchino si fa avanti e gli viene assegnata una abitazione con cortile interno, una stalla-fienile e un terreno pianeggiante coltivabile, di un paio di ettari. È l’occasione per ricominciare, ma con superiori prospettive. Visita vivai, si istruisce sulle tecniche d’innesto, sui metodi di produzione, riprende la coltivazione della vite e pianta alberi da frutto delle migliori specie. Ora può leggere le istruzioni d’uso di medicinali e di concimazioni e controllarne giornalmente gli effetti. La cura delle sue piantagioni diventa una passione che lo fa uno dei maggiori intenditori dell’agronomia paesana. Nel relax serale, il signor Gioacchino può frequentare l’osteria e farsi nuovi amici, giocando a carte e parlando anche di cose serie con le cognizioni che si è fatto leggendo quotidianamente il giornale, persino rischiando il ridicolo quando si allarga su temi internazionali nominando Roosevelt e Churchill con la dizione Rosevèlt e Cucherìl. In quest’ambiente può anche vantare i successi della sua attività ortofrutticola che ormai di quest’arte lo fanno sentire un maestro. Un suo ciliegio piantato in fondo alla sua proprietà, al confine con il bosco, grazie a suoi innesti ben riusciti, produce in periodi diversi quattro qualità di ciliegie. Alla stagione opportuna, la visita al ciliegio dei quattro, è quasi giornaliera con relativi, rispettosi assaggi. Un giorno si accorge che quella sua creatura è stata profanata nella notte da qualche ladro proveniente dal bosco. Giovacchino non può tollerare ulteriori furti e si organizza per una risposta dal tenore terroristico.

    Sceglie di dormire sopra un fienile poco distante, uno di quei fienili di campagna fatti con quattro pali ritti e un tetto di lamiera a piramide che può essere alzato e abbassato a seconda del livello del fieno. Quel fienile diventa la sua garitta per la guardia notturna. L’equipaggiamento: un fucile da caccia e una campanella su un supporto a molla, collegata con diversi spaghi sottili ad altrettanti rami flessibili del ciliegio. Qualora qualcuno si fosse avventurato a muovere i rami per un furtivo raccolto, la campanella avrebbe suonato e svegliato Giovacchino, sempre pronto a sparare una fucilata. Fortunatamente l’evento non si è mai verificato. Ma altrove, su un altro ciliegio, s’accorge un giorno di un nuovo nemico. L’albero è infestato da uno sciame di maggiolini che ne stanno divorando le foglie. Non è opportuno irrorarlo con un insetticida per non compromettere la commestibilità del raccolto. Eccolo allora rimediare con mezzi meccanici, all’alba quando gli insetti ancora intirizziti per il freddo non riescono a muoversi. Basta scuotere i rami e tutti cadono a terra senza difese, con il piacere delle galline sottostanti che voracemente se ne nutrono con un sol boccone. Giovacchino è soddisfatto per aver raggiunto due obbiettivi in una sola operazione. Le ciliegie piacciono sempre a tutti ma devono essere raccolte al giusto momento della maturazione e con i dovuti criteri. Perciò mal tollera che due suoi nipotini possano salire su un albero a sua insaputa. Così li sorprende un giorno vedendo una scala appoggiata al tronco. Non sa come reagire, come reprimere la sua ira; loro sono nipoti e appena adolescenti. Il brontolamento minaccioso si placa quando può esprimere il suo intendimento punitivo togliendo la scala e lasciando i bambini sull’albero per diverse ore ignorando persino l’esigenza loro di una toilette.

    La stessa frutto-mania la esprime con il fico davanti all’ingresso di casa. Qui non riesce a capire quando il frutto può essere colto poiché la nipotina giornalmente palpa e schiaccia i frutti per scoprire anche lei quando sono mangiabili.

    Le foto dell’album ci portano al penultimo anno della Seconda guerra mondiale. Giovacchino, ormai verso gli ottanta, tenta un suo ultimo esperimento agricolo piantando un alberello di pesche acquistato in vivaio. Questo dà subito, nello stesso anno, ben tre pesche. Una di queste è veramente grande, tanto da dover essere sostenuta con una specie di protesi che il buon Giovacchino realizza con amore e cura. La pesca cresce e si fa sempre più colorata di tinte calde che sembrano sfumate da un pittore leonardesco. Per Giovacchino è un successo della sua arte. Giornalmente fa visita al pesco e se ne compiace. La guerra in corso al Centro Italia non disturba la sua quotidiana attività, anche se il paese si popola di sfollati che provengono dal milanese e cresce la richiesta di derrate alimentari; ma olio d’oliva, sale e zucchero, se si trovano, costano cifre astronomiche; il pane si compera con la tessera, pochi grammi al giorno per persona. La gente soffre la fame, spera e prega affinché la guerra finisca presto e si ritorni ad una normalità nella quale ricostruire il perduto. In questo clima di dolorosa aspettativa ma anche di cauta speranza, alla metà di maggio del 1944, comincia a circolare una notizia che seduce in qualche giorno tutta la popolazione del Nord Italia: a Ghiaie di Bonate, nella bergamasca, ad una umile bambina di sette anni, Adelaide Roncalli, appare tutti i giorni la Madonna che parla con lei. Il viso da luna piena, un po’ da ebete, possibile preda saltuaria di allucinazioni, potrebbe esprimere gli effetti della fame ma l’episodio richiama egualmente una folla di migliaia di persone che arrivano in pellegrinaggio sul luogo, da ogni dove e con ogni mezzo. Giovacchino, che è sì religioso ma non praticante, decide di recarcisi anche lui sottoponendosi ad una faticosa marcia quale espiazione di chissà quali peccati rimasti a pesare sulla sua coscienza. Ottanta chilometri all’andata e altrettanti al ritorno, per vie mai praticate e senza una cartina adeguata. Alla sua età deve essere una specie di salita al Calvario, una Via Crucis lungo la quale, però, trova sempre una stazione, cioè una osteria in cui fermarsi e dissetarsi con mezzo litro del buon vino di Franciacorta. Il pellegrinaggio dura una decina di giorni mentre in famiglia non si hanno notizie sulla sua ipotetica conversione e sul suo stato di salute. Nessuno tuttavia si preoccupa più di tanto, anzi, i familiari si sentono liberi di comportarsi senza i suoi frequenti rilievi. Ma arriva il giorno del suo rientro. La curiosità di tutti è accesa. Viene guardato come un alieno giunto chissà da dove. La lunga marcia lo ha un po’ asciugato e incontrando i suoi familiari pare abbia perso il sorriso. Tutti si aspettano qualche rivelazione, il racconto della sua esperienza di viaggio, le sue impressioni sulla bambina e quello che è riuscito a vedere e capire. Giovacchino è chiuso in sé, come se fosse rimasto a meditare sul luogo delle presunte apparizioni ma non lascia trasparire se il pellegrinaggio gli sia stato utile per accrescere la sua fede. In realtà, quella bambina non lo ha convinto (come pure la Chiesa ufficiale); gli è sembrata sofferente di allucinazioni prodotte da un ritardo mentale o dallo spavento sofferto in qualche evento bellico. Per dignità, Giovacchino cerca di nascondere la sua delusione riprendendo in tranquillità le sue consuetudini domestiche. Ciò che gli preme è una ricognizione ai suoi alberi da frutto mentre immagina che sia ora di gustarsi la grande pesca che aveva lasciato sull’alberello a maturare. Doccia fredda per lui: la grande pesca non c’è più; qualcuno se l’era gustata prima di lui. Inizia allora una giaculatoria di imprecazioni sui presunti ladri e nervosamente si reca al deposito attrezzi. Si arma di una roncola e con un colpo secco taglia in due il povero alberello recitandone il de-profundis: affinché più nessuno possa privarlo

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