L’assassinio del messo esattoriale
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Una storia che si sviluppa in un periodo storico ricco di avvenimenti importanti e grandi sconvolgimenti, ricordando al lettore che sono sempre esistiti anche gli umili e che le loro vite hanno un’incredibile valore.
Mauro Cossiga nasce a Sassari il 4 febbraio 1968. Dopo le scuole medie si iscrive al liceo classico e, una volta diplomato, si laurea in Pedagogia nel 1996. Intorno ai 15 anni inizia il proprio percorso musicale entrando a far parte di numerose formazioni di genere pop-rock nate nella stessa città di origine. Autodidatta, si arrangia con la chitarra con la quale compie i primi passi verso la composizione di testi e musica. Dopo il 1996 ha collaborato ad altri progetti musicali del proprio territorio, tra cui l’arrangiamento ed esecuzione di alcuni brani popolari del periodo della resistenza antifascista che facevano da colonna sonora allo spettacolo teatrale Festa grande d’aprile per la regia di Sante Maurizi del teatro stabile di Sassari “La botte e il cilindro”.
Il percorso teatrale inizia durante il periodo universitario con alcuni laboratori tenuti da diversi animatori; partecipa a numerosi saggi. La tesi di laurea riguarda le potenzialità delle tecniche teatrali nella didattica.
La scrittura è sempre stata parte della sua vita, prima come accanito lettore e poi con le prime sperimentazioni attraverso la stesura di testi per brani musicali. Ha pubblicato alcune raccolte di poesie per Aletti Editori e poi alcuni racconti per Dantebus editori. Attualmente esercita la professione di insegnante di sostegno presso la scuola pubblica.
È sposato e ha due figli, uno di 14 e uno di 21 anni.
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L’assassinio del messo esattoriale - Mauro Cossiga
Mauro Cossiga
L’assassinio
del messo esattoriale
© 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-7798-2
I edizione aprile 2023
Finito di stampare nel mese di aprile 2023
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa
L’assassinio del messo esattoriale
a mia moglie Maria Grazia e ai miei figli Paolo e Cosma
Nuove Voci
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
3 ottobre 1908
Greta aveva il volto livido; era stanca e non aveva voglia di parlare. Le permisero di tenere con sé i suoi indumenti, mentre le prendevano le impronte digitali che l’avrebbero marchiata come un vitello che sta per entrare nel recinto. L’interrogatorio era stato lungo ed estenuante e lei si era trincerata dietro un silenzio più assordante delle stesse parole.
Quando vide che le si spalancavano le porte del carcere capì che era giunta l’ora della svolta. Ormai non le importava più di nulla: né della sua attività di foresteria, né del paese che l’aveva vista nascere e crescere. Sapeva che se una donna viene accusata, dovrà pagare, anche se non ha commesso il fatto; basta che sia donna.
A Binara erano in tanti a dire che era una poco di buono solo perché, dopo la morte del marito, aveva subito smesso il lutto e aveva aperto quella locanda. D’altra parte, cos’altro avrebbe potuto fare, con quella figlia, Elisa, che ora più che mai, aveva bisogno delle sue cure? Doveva vivere di elemosine e di pietà? Non era il tipo di persona che si piangeva addosso, non era il tipo di persona che chiedeva aiuto agli altri; preferiva rimboccarsi le maniche e lavorare col sudore della fronte. Così nessuno le avrebbe chiesto conto di un favore offerto, di un prestito dato; i creditori non avrebbero bussato alla sua porta.
In una famiglia, quando muore l’uomo, muore il primo sostentamento. Questo lo sapeva fin da ragazza, quando la madre, sempre indaffarata in qualche faccenda domestica, le snocciolava sermoni che cominciavano sempre allo stesso modo: stai attenta fizza mea… e se in una famiglia il seme ha generato la pianta, a quella ti ci devi dedicare: anima e cuore. La devi proteggere. Ad ogni costo. Anche quando il prezzo da pagare è alto, anche quando non ti resterà più nulla.
Greta, ormai, trascorreva la sua vita aggrappandosi ai giorni e seguendone il filo, come Arianna, aspettandosi di vedere ad ogni angolo un minotauro, che sbucasse da un angolo oscuro. Greta non si aspettava nulla, se non compiere dei gesti, che iniziavano a venire fuori e disegnarsi, dall’ombra del suo giaciglio, alle prime luci dell’alba, fino alla sera; dopo avere accertato che l’ultimo cliente fosse andato a riposare nella sua stanza temporanea.
L’idea di affittare le due camere della casa che il defunto marito le aveva lasciato, le era nata quasi subito. Elisa aveva necessità, come tutte le bambine. Non poteva attendere che degli aiuti piovessero dal cielo; aiutati che Dio ti aiuta, e la donna, ormai vedova, si era aiutata alquanto.
La casa si affacciava proprio di fronte alla piazza principale; per quanto in paese di piazze ce ne fossero altre. Si potrebbe in realtà parlare di territori ecclesiastici. Binara, infatti, si divideva in tre zone riconoscibili dalle chiese e dalle piazze attigue. Nella parte alta del paese, dunque, si apriva piazza S. Michele; in quella centrale piazza S. Giacomo, successivamente chiamata piazza Umberto I, e in quella posta nella parte bassa del paese piazza S. Lorenzo di fronte alla chiesa del patrono. Ma ve n’era una che, probabilmente, sorta in seguito ai primi insediamenti, e riferita al rinnovato abito del tricolore, con l’Unità d’Italia - non a caso era stata dedicata alla Regina Margherita, moglie di Re Umberto I - si trovava relativamente distante dalla più vicina sede ecclesiale.
Le vicende di un paese sono storie piccole. Ogni abitante è parte di quelle storie che si mescolano con il canto di un gallo, il belato lontano di greggi portate a pascolare nelle vicine campagne, il suono delle campane che trasmettono il principio d’una messa, fin dal mattino; e quelle storie sono comunque parte di una vicenda più grande che arriva da lontano.
Ci si adegua. Ci si abitua al fatto che qualcun altro