Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Conoscere per amare
Conoscere per amare
Conoscere per amare
E-book304 pagine3 ore

Conoscere per amare

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Questo volume contiene un'analisi storica contemporanea dell'evoluzione territoriale, socio-economica, sanitaria e culturale del Veneto con approfondimenti nella Provincia di Padova e in particolare nella sua pianura meridionale, nei distretti cioè del Conselvano, del Monselicense, dell'Estense e del Montagnanese.

L'autore auspica che questo lavoro contribuisca ad arricchire la conoscenza della storia di quel territorio e possa così consentire, come dice il titolo, di "conoscere per amare la nostra terra e la nostra gente".
LinguaItaliano
Data di uscita14 ago 2023
ISBN9791220399982
Conoscere per amare

Correlato a Conoscere per amare

Ebook correlati

Storia per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Conoscere per amare

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Conoscere per amare - Pietro Voltan

    Madre Terra

    L’opera della natura, dei Benedettini, dei

    Veneziani, dei Consorzi per la bonifica e la tutela

    del territorio della Bassa Padovana

    Introduzione

    Madre Terra, / che alla luce feconda del sole / sospingi la spiga fiorita, / che di turgidi grappi / adorni la vite, / che di pane fragrante / e di vin generoso / hai la mensa imbandita, / tu sei viva e dai vita, / sei madre feconda / e noi tuoi figli, / sei dolce e soave / coi tuoi partoriti, / sei forte e fruttuosa / coi tuoi assistenti, / sei il grembo più vero / per gli uomini spenti, / sei il mare curioso / di morte e di vita.

    Sono versi che esprimono la grata e affettuosa ammirazione di un semplice agricoltore, poeta anonimo improvvisato, per la sua amata terra. Ma è anche il sentimento che, a ben pensare, tutti dovremmo sentire nei confronti dell’elemento naturale, assieme all’acqua e all’aria, che ci accompagna e ci nutre fin dalla nascita e che poi ci accoglierà alla fine.

    Coerentemente con questi condivisibili pensieri, tutti dovremmo avere nei confronti della nostra terra un atteggiamento di affettuoso rispetto, ben sapendo che il mirabile patrimonio che essa rappresenta, si è formato in milioni di anni ed è un vitale e irrinunciabile bene primario che noi utilizziamo solamente in prestito, con l’obbligo di riconsegnarlo integro alle future generazioni.

    In realtà l’atteggiamento comune che prevale in questa nostra ‘civiltà’ spesso non è in linea con il filiale rispetto che sarebbe dovuto alla nostra terra. Purtroppo osserviamo di continuo diffuse operazioni di ‘rapina’ ambientale, tant’è che il legislatore ha dovuto emanare norme sempre più drastiche contro il degrado e il consumo di territorio. Spesso però i risultati di questa estrema difesa sono stati poco soddisfacenti. E ciò dimostra che anche le norme sono impotenti a contrastare validamente una diffusa cultura distruttiva dell’ambiente e, di riflesso, del benessere comune.

    Assistiamo infatti ad un sistematico saccheggio dell’habitat come se noi (e i nostri discendenti) fossimo condannati ad essere degli inquilini sfrattati e destinati a rimanere inesorabilmente esclusi dal suo utilizzo. Pazzia collettiva questa? Probabilmente no, ma certamente ci comportiamo come se fossimo vittime di un irrefrenabile egoismo-consumismo che ci rende miopi e incapaci di vedere chiaramente i valori che dovrebbero guidare il nostro comportamento.

    Per avere un’idea sommaria dei grandi fenomeni che hanno dato origine alla pianura padana, la più grande dell’Europa meridionale (di cui fa parte la Bassa Padovana), dobbiamo attingere lumi dalla geologia.

    Secondo gli studiosi, 50 milioni di anni fa la nostra pianura era ricoperta dal mare. Per renderci conto di questo basta visitare a Bolca (Verona) - ai piedi dei monti Lessini - il ricco museo con gli splendidi reperti fossili che ci permettono di ammirare pesci e piante di quell’epoca aventi una straordinaria somiglianza con specie attualmente viventi nei mari tropicali.

    In epoca un po’ meno remota, a seguito della collisione-pressione tra la placca africana e la placca europea, si è verificato un corrugamento della crosta terrestre che ha provocato l’emersione della catena delle Alpi (epoca geologica dell’Oligocene e del Miocene sviluppatasi da 34 a 5 milioni di anni fa) e dell’Appennino (epoca geologica del Neogene iniziata circa 20 milioni di anni fa).

    A ciò ha fatto seguito la lenta ed incessante sedimentazione dei fiumi presenti (in special modo del Po e dell’Adige per la nostra zona) con significativi condizionamenti dovuti alle glaciazioni. Gran parte dei depositi superficiali affioranti sarebbe il prodotto dell’attività fluviale, successiva alla glaciazione Wurm, che si concluse circa 18.000 anni fa.

    È opinione prevalente fra gli studiosi che i depositi alluvionali dell’era quaternaria (cioè dell’era iniziata 2,58 milioni di anni fa e tuttora in corso) siano stati più volte coinvolti da fasi neotettoniche (sollevamento della crosta terrestre), che hanno condizionato anche la fase evolutiva più recente.

    Per lunghi millenni la grande pianura, acquitrinosa e selvaggia, fu soggetta a numerosi eventi sia di tipo tettonico che alluvionale. L’opera di riempimento dei bacini fu così completata nel tempo mediante l’incessante attività dei fiumi che, nel loro defluire verso il mare Adriatico, hanno apportato depositi dapprima marini e poi continentali.

    Il fiume Adige è stato il principale protagonista nell’opera di costruzione della pianura padovana meridionale. Secondo la tradizione storiografica veneta, ed in particolare in base alla cronaca tramandata dal monaco benedettino Paolo Diacono, l’odierno corso del fiume risalirebbe alla rotta della Cucca località (attuale Veronella) dove, a causa di una piena eccezionale, si sarebbe verificato nel 589 d.c. l’episodio di disalveamento del fiume che, dalla precedente direttrice seguita (Montagnana, Este, Monselice e Conselve), si spostò verso sud di parecchi chilometri in quello che è all’incirca il suo alveo attuale.

    Da questi brevi cenni appare in tutta evidenza che la nostra pianura ha un’origine assai lontana e che il processo attraverso il quale si è formata è stato molto lungo e complesso. Di contrapposto non può sfuggirci quanto siano fin troppo ‘disinvolte’ le azioni che noi quotidianamente facciamo senza preoccuparci dei danni, a volte irreparabili, che provo-

    Percorso dell’Adige attuale e di quello romano (ante 589 d.C.)

    chiamo: la terra, come l’ambiente, non è un bene di consumo gratuito e infinitamente disponibile e fruibile.

    In questa sede faremo alcuni cenni sommari sulle principali vicende che dal medioevo in poi hanno riguardato la nostra pianura, in particolar modo sull’azione umana di costruzione e di tutela del territorio svolta dai Benedettini, dai Veneziani e dai Consorzi di bonifica.

    I Benedettini

    I Benedettini furono i primi ad occuparsi della nostra pianura. L’atto ufficiale di nascita del Monastero di S. Giustina in Padova si fa risalire al 971, allorché il vescovo locale, Gauslino, decretò la fondazione di un Monastero sotto la regola di S. Benedetto, in Prato della Valle a Padova, e lo dotò di abbondanti beni territoriali, chiese e cappelle in città e in campagna.

    I Benedettini si insediarono poi nel basso padovano nel 1129, quando Giuditta vedova Sambonifacio e suo marito Guido de’ Crescenzi vendettero, per 300 lire veronesi, all’abate Alberto del Monastero di S. Giustina,

    Abbazia di Santa Giustina a Padova

    i loro beni fondiari esistenti nella Corte di Concadalbero, situati nel Comune di Correzzola ed in altre terre della zona meridionale di Padova (da Bovolenta alla Fossa Bayba). Nel 1135 un’altra parte del territorio, trattenuto fino ad allora dalla famiglia, venne ceduto dagli eredi allo stesso monastero.

    L’esiguità della somma pagata dai monaci, quasi da far pensare ad una donazione, è giustificata dalla condizione della zona, quasi completamente sommersa e disabitata. Si trattava di una fascia del territorio costituita da una successione di valli e vegri: le valli erano formate da acque, spesso stagnanti, piovane o di esondazione che defluivano lentamente in direzione del litorale marino, attraverso le naturali bassure del terreno. Alcuni isole rimanevano al di sopra e, nel gergo, venivano chiamati vegri, un termine che ancor oggi nella campagna ha il significato di terreno da dissodare.

    Nel XII secolo il Monastero di S. Giustina possedeva già 3.000 ettari di terreni, in gran parte paludosi e coperti di boscaglia. L’abate del tempo avviò una coraggiosa opera di bonifica, volta a prosciugare i terreni iniziando da quelli ubicati al di sopra del livello del mare, essendo necessari per gli altri, particolari impianti di sollevamento dell’acqua, all’epoca sconosciuti.

    Il ruolo importante che assunsero i Benedettini è da mettere in relazione al fatto che per la povera gente del luogo i monaci rappresentavano una guida sicura e il supporto fideistico che sorreggeva la loro missione aveva tutti i caratteri di uno strumento della Provvidenza. Infatti per i Benedettini il lavoro ha assunto da sempre un grande valore anche sul piano ascetico: esso è stato considerato un mezzo di santificazione perché finalizzato all’edificazione della Civitas Dei (Città di Dio) nel mondo. Trovava così puntuale applicazione la regola di S. Benedetto che accostava la dedizione spirituale all’impegno del lavoro quotidiano a beneficio delle popolazioni.

    In quell’epoca il movimento benedettino aveva storicamente acquisito rilevante importanza fin da quando, con la caduta dell’impero romano, le popolazioni impaurite ed indifese abbandonarono le città ormai distrutte dalle frequenti invasioni barbariche per rifugiarsi nelle campagne, aggregandosi in piccoli villaggi che inglobavano i primitivi nuclei rurali. Anche Venezia, a suo tempo, aveva avuto origine da queste invasioni.

    Sorsero così, nel corso dei secoli, le abbazie, spesso in posizioni naturalmente favorevoli, ma soprattutto al di fuori delle grandi linee di comunicazione, per offrire a queste genti una protezione data dalla comunità ed anche un confortante approdo religioso.

    Il nucleo principale del patrimonio monastico era la Curtis centrale, che riuniva l’Abbazia nonché alcune abitazioni e diversi rustici annessi. Oltre ai monaci risiedevano in essa vari artigiani quali fornai, macellai, legnaioli, tessitori, falegnami e muratori.

    Sia nella curtis centrale che in quelle periferiche sussisteva la divisione tra pars dominica e pars massaricia.

    La coltivazione della prima parte era effettuata direttamente dal monastero con l’ausilio dei veri e propri servi; la seconda era affidata ai livellari e ai massari: i livellari, oltre a svolgere esigui servizi, erano obbligati a pagare un censo annuo in natura o in derrate, più le solite regalie di uova e pollame. I massari erano invece i veri coloni in quanto dovevano al monastero un minor canone annuo, ma una maggior quantità di servizi.

    La pars dominica era normalmente tenuta a cultura estensiva con predominio del prato e del bosco e, con l’apporto dei servi, assicurava un alto rendimento anche perché era più ristretta e unitaria. La pars massaricia era invece adibita prevalentemente alla coltura del grano, dei cereali e della vite e consentiva un rendimento mediamente minore della prima.

    L’attività dei monaci e dei loro coloni fu, essenzialmente, un’opera di trasformazione fondiaria, cioè di bonifica e di dissodamento che trasformò intere pianure e vallate, come appunto la pianura meridionale padovana, in fertili campagne.

    L’assetto organizzativo sopra accennato venne più volte modificato ed adattato alle varie riforme (in particolare a quella cistercense che attribuiva al lavoro un valore cardinale, in particolare nel campo della bonifica e delle migliorie agrarie) e alle mutate condizioni operative, mantenendo sempre l’obiettivo di assicurare, ai vari operatori impegnati nella comune missione colonizzatrice, un equo equilibrio tra costi e rendimenti e un coinvolgimento di tutti nelle opere di miglioramento fondiario.

    Il lavoro della terra occupò i monaci stessi ma opportunamente coadiuvati dai conversi che erano dei laici sottomessi ad alcuni obblighi della vita religiosa ed erano di solito antichi servi resi liberi, a differenza dei monaci che provenivano per lo più dall’aristocrazia, dalla nobiltà o dalla borghesia.

    Nella prima metà del duecento sembra che per la prima volta sia stato costituito sul territorio un Consorzio per le Acque tra il Monastero di S. Giustina e alcuni nobili Signori Padovani che detenevano estese possessioni attigue nella bassa pianura. Iniziarono così le bonifiche di vasti territori paludosi e vallivi di un’ampia area posta tra il Bacchiglione e l’Adige, con mezzi e metodi che saranno poi presi come esempio dai primi Consorzi della Repubblica Veneta, sorti circa 300 anni più tardi.

    L’impegno dei Benedettini nel recupero delle terre dalle acque avve-

    La corte benedettina di Correzzola

    niva in modo efficace perché l’organizzazione e la gestione del lavoro era considerata al di sopra dell’interesse particolaristico che aveva minato altri progetti privati nelle zone circostanti. Il territorio veniva suddiviso in gastaldìe; quello facente capo alla corte benedettina di Correzzola ne aveva cinque. In ognuna di queste si trovavano fabbricati sia per gli addetti e le loro famiglie che per gli animali.

    Agli inizi del quattrocento si registrarono per il Monastero due fatti fondamentali: il primo fu la caduta della signoria Carraresi ed il conseguente passaggio nel 1405 della città di Padova e del suo territorio sotto la dominazione della Repubblica di Venezia; il secondo, nel 1408, fu l’ascesa alla dignità di Abate di S. Giustina del patrizio veneziano Lodovico Barbo. Questo evento fu di capitale importanza per la vita futura dalla comunità benedettina. Infatti con l’ausilio del fratello Pietro, Lodovico ripristinò la vita spirituale del Monastero e la sua amministrazione, ormai fallimentare, e provvide a rimediare all’incuria dei precedenti Abati che nel basso padovano non avevano riedificato gli argini dei canali travolti dalle frequenti inondazioni dell’Adige e del Brenta. Peraltro durante le lunghe e violente guerre veneto-carraresi quelle opere non potevano essere facilmente eseguite.

    È anche da ricordare che nel periodo precedente si era sviluppato in vari monasteri il ricorso all’abuso del regime della commenda, allorché il titolo di Abate divenne appannaggio di laici ed ecclesiastici secolari, spesso rampolli di nobili famiglie, estranei alla comunità ma che godevano di sostanziose rendite. L’abbazia di S. Giustina di Padova era stata affidata in commenda ai Carraresi. Per questo il monachesimo benedettino ebbe una crisi e fu quindi provvidenziale la successiva ascesa di Lodovico Barbo.

    La tenuta di Correzzola, dapprima paludosa e malsana, si incrementò di migliaia di campi che vennero prosciugati con l’apporto dei singoli fittavoli ai quali, in alcuni casi, veniva promesso un congruo risarcimento per i miglioramenti fondiari apportati e, negli altri casi, veniva ridotto di molto il canone di affitto.

    Nei singoli poderi la bonifica avveniva quasi tutta a forza di vanga, trasportando cioè la terra dai luoghi più bassi a quelli più alti: nei primi si scavavano appunto canali di scolo, intercomunicanti razionalmente a forma di reticolato, per assicurare il deflusso delle acque stagnanti nei canali collettori principali.

    In queste bonifiche molti uomini persero la vita, a causa di annate particolarmente piovose verificatesi tra il 1460 e il 1470, unitamente a frequenti epidemie di malaria. L’esito comunque di tanto lavoro e sacrificio ebbe un positivo seguito se dopo circa 30 anni, nel 1492, si cominciarono a registrare molti contratti di affittanze parziarie. In essi veniva inserito l’obbligo per il colono di asciugare e di sgombrare tutte le fosse e gli argini che potessero apportare beneficio diretto alla sua possessione, nonché di aiutare e contribuire in ogni bisogno se il fiume Bacchiglione diventasse in piena.

    Nel 1509 il Monastero vendette i beni e i livelli di Este per poter prosciugare i territori di Cona: la Corte di Correzzola stava così per completarsi e la relativa tenuta vide i suoi campi produttivi aumentare da 5.000 a 9.000 circa.

    I rapporti tuttavia tra i monaci e i proprietari locali non erano sempre improntati alla piena collaborazione: ci furono infatti casi in cui i privati convogliavano le loro acque nei fossi dei monaci con risultati disastrosi, oppure quando i poveri pescatori di Cavarzere perforavano l’argine dell’Adige per alimentare le loro peschiere, alterando gravemente il regime idraulico di tutto il territorio.

    Per evitare controversie con i proprietari privati confinanti, il Monastero fu costretto a costituire Consorzi privati con costoro e, a tale ri-

    Villa Garzoni a Pontecasale di Candiana

    guardo, si ritrovano nei documenti i nomi in qualità di soci dei Bragadin, Foscarini, Badoer, Papafava e Garzoni. Questi ultimi, sull’esperienza positiva del lavoro svolto a livello consortile, continuarono poi privatamente al recupero e all’irrigazione di una vasta tenuta di loro proprietà, bonificando in proprio gran parte del Conselvano.

    A coronamento del lavoro di prosciugamento e di bonifica della zona, i Garzoni fecero erigere, nel 1540, nella frazione di Pontecasale del Comune di Candiana, una sontuosa villa su progetto di Jacopo Sansovino. La villa venne circondata da un’imponente cinta muraria che racchiudeva al suo interno, oltre al fabbricato, le scuderie, il parco, parte dei terreni, le barchesse e una piccola cappella che custodisce ancora oggi stucchi disegnati dallo stesso Sansovino.

    Agli inizi del cinquecento però l’economia veneziana veniva scossa e sconvolta da un deficit della bilancia commerciale di straordinaria grandezza e ciò soprattutto per lo spostamento dei commerci dal Mediterraneo all’oceano Atlantico, a seguito delle nuove rotte aperte da Cristoforo Colombo verso il Nuovo Mondo. Molte banche fallirono cui seguirono dissesti finanziari del pubblico erario.

    I Veneziani

    Come spesso accade in occasione di grandi eventi, vi fu uno sconvolgimento degli assetti economici

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1