Prigionieri del silenzio: Le vere storie di castelfortesi deportati e sfollati durante la II Guerra Mondiale
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Anteprima del libro
Prigionieri del silenzio - Franca Di Principe
Prigionieri del silenzio
Le vere storie di castelfortesi deportati e sfollati durante la II Guerra Mondiale
di Franca Di Principe
Direttore di Redazione: Jason R. Forbus
ISBN 979-12-5540-062-2
Pubblicato da Ali Ribelli Edizioni, Gaeta 2023©
Saggistica – Storia e cultura
www.aliribelli.com – redazione@aliribelli.com
È severamente vietato riprodurre, in parte o nella sua interezza, il testo riportato in questo libro senza l’espressa autorizzazione dell’Editore.
Franca Di Principe
Prigionieri del silenzio
Le vere storie di castelfortesi deportati e sfollati durante la II Guerra Mondiale
AliRibelli
La storia siamo noi,
siamo noi queste onde del mare,
questo rumore che rompe il silenzio,
questo silenzio così duro da raccontare.
(Francesco De Gregori)
Alla mia famiglia
Sommario
Ringraziamenti
Introduzione
Prefazione
Cenni storici
Il tango del mare
Il profumo delle carrube
Bambine invisibili
Combattenti senza armi
Amata terra mia
Partita a scacchi con la morte
Tra magia e fatica
Fonti
Ringraziamenti
Questo libro non avrebbe visto la luce senza la gentilezza e la generosità di tante persone contattate in molti paesi e città d’Italia, ma anche in Austria, Germania, Ucraina e Stati Uniti..
Le parole non possono esprimere appieno la profondità della mia gratitudine verso i protagonisti delle storie del mio libro, come Mario e Guido Cappelli, Maria Testa e sua figlia Fiorenza, Ermelinda Lentisco e la sua famiglia, Francesco Sparagna e Civita Pompeo, che hanno investito tempo ed energie per raccontarmi quanto vissero durante il secondo conflitto mondiale.
Per coloro che, purtroppo, non sono più tra noi, un grazie ai figli, ai parenti e agli amici che hanno condiviso le storie dei propri cari con la sottoscritta; posso solo immaginare la grande pazienza che hanno avuto ogni qualvolta ponevo loro mille domande.
Grazie quindi a Rina Rosato, Anna Santomauro, Franco Ionta, Silvana Di Ionna, Augusto Griffante, Laura Griffante Dalle Molle, Gianfranco Testa, Floriana Riccardi, Adolfo D’Antuono, Giuseppe Testa, Raffaella Mastrillo, Angela Di Cicco, Alessandra ed Anna Testa, Antonio e Pasquale Ciani, Tommaso Testa. Gran bel gesto aver generosamente condiviso documenti familiari, fotografie e altro materiale privato.
E come dimenticare i ricchi archivi di Alfredo Langella e Carlo Di Nitto Carandin, Elia Pagliarin, Fabio di Cola – fondatore della pagina Facebook Borgo medievale Castelforte
– e i coniugi Dolores Ciorra e Ilario Eduardo che mi hanno fornito preziose informazioni e fotografie introvabili?
Sono molto grata ai responsabili degli Archivi che mi hanno fornito documenti e concesso il permesso di usarli per questo mio lavoro; ci sono stati singoli bibliotecari che con il loro aiuto e la loro cortesia sono andati oltre ogni mia aspettativa. Fra tutti un ringraziamento speciale ad Elena Danieli di Curtatone e Paolo Sbalchiero di Schio.
E cosa dire degli esperti della storia di quelle città che ho trattato nella mia indagine? Mille grazie ad Ugo De Grandis di Schio per le testimonianze rese e per le foto storiche di Schio, Maurizio dal Lago di Valdagno per le sue preziose ricerche sullo sfollamento, Maria Rita Bruschi di Ostiglia per il suo poderoso lavoro di ricerca nella biblioteca del paese, Luca Valente per avermi chiarito tanti dubbi, Paolo Savegnago per essere riuscito a dare le risposte certe ai miei quesiti, al dottor Costantino Iadecola di Aquino per aver fatto luce su aspetti particolari della guerra sulla Linea Gustav.
Non posso non menzionare alcuni giovani che sono stati miei valenti alunni che hanno voluto darmi una grande mano a mettere ordine tra documenti e fotografie varie (oltre che a scattarle). I miei ringraziamenti a Elvira Brucale, Domenico Veglia, Matteo Camillo, Barbara Procopio e Monica Ianniello.
Un immenso grazie a Civitina Rosato, carissima cugina e collega di una vita nella scuola; insieme abbiamo affrontato difficili sfide e percorso strade sconosciute spingendo stuoli di giovani a fare tante esperienze con la speranza che di quanto trasmesso sia rimasto qualche granello. Lei è stata la prima persona a cui ho parlato di questo progetto e che mi ha aiutato, consigliato e incoraggiato; pazientemente ha letto, commentato e corretto le bozze del libro.
Un grazie, infine, alla mia famiglia, sorelle e nipoti che sono sempre stati presenti a sostenermi durante tutto il lavoro.
Introduzione
Tutto quanto si racconta in questo libro è accaduto in molti paesi e città d’Italia. Prigionieri del silenzio non pretende certo di essere un racconto completo e non lo è, anche perché sarebbe impossibile per una sola persona ricostruire interamente ciò che avvenne nei lunghi mesi che vanno dall’8 settembre 1943 fino al 25 aprile 1945. La pubblicazione è il frutto dell’indagine compiuta su alcune persone della comunità di Castelforte e Santi Cosma e Damiano, in provincia di Latina, che sono vissute durante il secondo conflitto mondiale e che dovettero affrontare l’allontanamento dal proprio paese, spostandosi – da evacuati – verso città lontane della Repubblica Sociale Italiana, o rastrellate dai tedeschi che occupavano queste terre e portate via con i treni verso una morte pressoché sicura.
È la storia di una comunità smembrata, assoggettata alle imposizioni della prepotenza straniera occupante; il distacco dal paese e dalla propria casa fu una tragedia comune; quel sistema fatto di persone che avevano intessuto relazioni, costruito reti reciproche di aiuto e ponti di salvataggio e che avevano fino ad allora condiviso valori, idee e propositi si distrusse in men che non si dica. Si è partiti dalla grande Storia per ricostruire, tassello dopo tassello, le vicende di alcuni figli della Terra Aurunca, storie ignorate o poco note, inseguite, rincorse e scovate. Qui non si parla di strategie di guerra, di postazioni, di armi, di schieramenti e mappe, di tonnellaggi di bombe, questi argomenti vanno lasciati all’esame degli esperti, si è voluto entrare, solo per un lasso di tempo, nella vita di quelle persone che hanno vissuto quella guerra, dando un volto a quegli individui nascosti dietro il numero dei morti, degli sfollati e dei deportati, cercando di ricostruire il clima del tempo come lo vissero. In queste piccole storie c’è tutto l’alfabeto dei sentimenti, le fragilità e il coraggio, la rassegnazione e la forza, l’altruismo e la speranza. È la grande Storia arricchita di umanità. Vite interrotte o stravolte di persone semplici che bisognerebbe conoscere per non sentirsi estranei al luogo in cui si vive.
La storia locale va conosciuta dalle nuove generazioni per favorirne la memoria. Ciò è necessario per creare solidarietà tra cittadini e per sentire forte l’appartenenza ai propri territori.
È stato un libro per me non facile, con partenze a singhiozzo, deviazioni, pause e qualche tentativo di abbandonare il progetto; così come complesso è stato riallacciare fili perduti nel tempo. Ho tentato di ricucire vecchie ferite di persone, rimettendo insieme ricordi e presente, cercando le tracce di coloro che, dopo quasi ottant’anni, sono stati protagonisti silenziosi di quel periodo storico buio e travagliato.
Arduo è stato rintracciare persone che sembravano sparite nel nulla, scovare i loro figli e nipoti, ma ogni successo mi procurava un briciolo di contentezza e al contempo un coinvolgimento crescente. Ho anche dovuto fare i conti con problemi morali ed emotivi che tante scoperte sollevavano. Scrupolosamente ho verificato nomi di località, date ed episodi ma, nonostante tante attenzioni, potrei aver commesso qualche errore e per questo chiedo scusa.
Certamente ricordare i protagonisti delle storie narrate non potrà mai dare un quadro completo di quanto essi vissero, ma è importante preservare la loro memoria. Le odissee vissute allora non dovrebbero essere lette solo per far luce sul passato, ma anche per illuminare il nostro presente disseminato di difficoltà. Nulla è stato semplice, mi è sembrato di camminare sulle sabbie mobili di fatti lontani che non hanno lasciato grandi segni. Non si segue un ordine cronologico delle storie di seguito riportate, che andavano comunque narrate, come tante altre che lo avrebbero meritato. Raccontarle lo dovevo a tutti coloro che quella guerra l’hanno vissuta sulla propria pelle, anche ai miei genitori e in particolare a mia madre, Angelina, fantastica narratrice di tanti episodi vissuti da tutta la sua famiglia.
Franca Di Principe
Prefazione
La seconda guerra mondiale è stato un evento talmente epocale da improntare di se stesso non soltanto gli anni in cui si è effettivamente dispiegato ma anche buona parte dei restanti anni del Novecento, influendo, altresì, inevitabilmente anche sulle persone che hanno vissuto in quell’epoca. La sua suggestione e la necessità di esorcizzare avvenimenti così nefasti per l’umanità hanno condotto le generazioni successive a quella che l’ha vissuta direttamente a indagarne, oltre alle cause, gli effetti che ne sono derivati sulla comunità e anche sui singoli.
È proprio in quest’ultimo senso che si è dispiegata l’opera speculativa della professoressa Franca Di Principe, la quale ha voluto dare corpo a un’approfondita analisi di accadimenti che hanno visto come attori vivi di quei drammatici momenti alcuni nostri concittadini. Storie minime, ma che proprio per questo danno il vero senso della misura del tremendo impatto che quel tragico avvenimento ha avuto sulla vita quotidiana e sulla sorte della povera gente qualunque. Siamo lontani dai riflettori di atti eroici e di gesta fuori dal comune e, tuttavia, è la profonda deviazione da quella che fino ad allora era stata la normalità a colpirci e a stordirci con la potenza di un maglio.
Ci fa rimanere attoniti l’impotenza di chi non comprende per quale ragione è costretto a vivere in un certo modo e a fare cose che mai avrebbe pensato di dover o poter fare e ci atterrisce il pensiero che ciò che è successo possa inopinatamente accadere di nuovo. Il lavoro nasce da momenti di riflessione della professoressa Di Principe conseguenti a una nutrita e serrata attività scolastica operata nel settore, con convegni e progetti tendenti a divulgare agli studenti.
Esso è anche frutto della necessità di far tesoro delle esperienze di un’epoca drammatica per trarne il corretto insegnamento di un pensiero che, oltre a condannare quanto purtroppo accaduto, tragga forza per costruire un mondo che abbia in sé le difese immunitarie in grado di far sì che cose tanto terribili non si ripetano di nuovo. Ne emerge un’opera dall’impianto particolarmente accurato, con dovizia di notizie tratte con certosina e meticolosa ricerca da fonti ufficiali e ufficiose, scritte e orali e con una interpretazione che nulla lascia all’immaginifico, perché basata su un terreno di assoluta coerenza con una realtà che, come spesso accade, va ben oltre la più alata fantasia.
A lettura ultimata, si ha l’impressione di essersi trovati davanti a uno scritto dedicato alla povera e umile gente, conscia che nulla di sé resterà nella storia. La sensazione è la stessa che si ricava da un’opera di stampo realistico, come quella che si ha di fronte alla scrittura di Verga. I personaggi sono inconsapevolmente dei vinti dal destino, che si accanisce su di loro e non concede apparentemente alcuna tregua.
Tuttavia, in un mondo dove la brutalità dell’uomo ha condotto a una tragedia epocale, si intuisce pur sempre uno spiraglio in grado di traghettare quel poco di umanità che rimane verso il lucore salvifico di un raggio di luce che, sia pure timidamente, cerca di farsi largo sulla notte tenebrosa.
La prosa della professoressa Di Principe è asciutta e concede al lettore la possibilità di rendersi co-interprete delle situazioni e dei sentimenti, talvolta anche contraddittori, che esse suscitano. Perché, in fondo, in questo volume viene ricercata la verità, non quella storica ma quella sociale, quella di un popolo vilipeso che, per risorgere, è stato costretto a fare tutto e il contrario di tutto. Anche in ciò sta il fascino di questo bel libro: una narrazione, dove la realtà non lascia mai spazio a nessun infingimento letterario..
Civitina Rosato
Cenni storici
In quel tratto di paradiso sulla terra che si chiama Mezzogiorno d’Italia, più precisamente a metà strada tra Roma e Napoli, ai margini della Riviera di Ulisse che unisce il Circeo a Minturno,¹ in provincia di Latina, nel mese di settembre del 1943, un tragico evento cambiò la vita di tante popolazioni, soprattutto di quelle che vivevano lungo la Linea di fortificazione Gustav, quel susseguirsi di montagne che unisce la foce del Garigliano a Ortona e al fiume Sangro.² Mar Tirreno e Mar Adriatico e tra essi una serie di catene montuose che avrebbero ostacolato e sospeso per oltre 7 mesi il fronte italiano della seconda guerra mondiale: gli Aurunci, gli Ausoni e le Mainarde, monti impervi e difficili da scalare, che rappresentarono un ostacolo formidabile al prosieguo della guerra.
Nel 1943 la guerra volgeva a favore delle Forze Alleate. La Germania e l’Italia non riportavano grossi successi sui campi di battaglia e sul suolo italiano il conflitto armato non sembrava tanto lontano. I tedeschi avvertivano quel timore e inviarono nel mese di maggio alcune divisioni militari sulla Penisola, prevedendo uno sbarco alleato imminente e la resa degli italiani agli Alleati che si avvicinavano alle coste italiane. E così fu: il 9 luglio ci fu lo sbarco in Sicilia, occupata e liberata in meno di un mese con la resa dei militari italiani e tedeschi.
«È umiliante stare con le mani in mano mentre gli altri scrivono la Storia. Per fare grande un popolo bisogna portarlo al combattimento, magari a calci… Così farò», così diceva Mussolini nell’aprile del 1940, quando era in corso la seconda guerra mondiale che vedeva come protagonista la Germania di Hitler già da 7 mesi. Il Duce non si buttava ancora in quell’impresa, prendeva tempo perché non in grado di affrontarla e perché l’opinione pubblica era per lo più attendista. Ad accelerare il corso degli eventi furono i successi fulminei e straordinari dei nazisti. Visto il graduale ma sempre più crescente desiderio di entrare in guerra da parte degli italiani, il 10 giugno 1940 anche il re Vittorio Emanuele III accettò il grande impegno bellico al fianco della Germania (a cui lo Stato italiano si era legato nel 1882 con la Triplice Alleanza e poi nel 1939 con il Patto d’Acciaio). Nel corso dei mesi e degli anni successivi cominciarono a mostrarsi le crepe di un Paese che vacillava e che, invece di successi, evidenziava falle dappertutto. L’Italia fascista andò in pezzi nella riunione fiume dei gerarchi che nell’afosa notte tra il 24 e il 25 luglio 1943 decisero di destituire Mussolini. Protagonista dell’operazione fu un conterraneo romagnolo del Duce, Dino Grandi, Presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni e già Ministro degli Esteri, della Giustizia e ambasciatore a Londra. La guerra contro gli Alleati andava sempre peggio, l’ultima resistenza italiana in Africa era ormai crollata in primavera e in Russia le truppe della Wehrmacht erano ormai vicine al collasso. Molte furono le richieste di convocazione del Gran Consiglio al Duce. All’ordine del giorno l’andamento della guerra.
Dopo un primo rifiuto Mussolini fu d’accordo. Lo storico Giuseppe Parlato³ ha scritto:
Non poteva fare altro, ormai un po’ tutti chiedevano di sganciarsi dalla Germania. Il 19 luglio mentre era impegnato nell’incontro di Feltre con Hitler, che si concluse con un nulla di fatto, lo raggiunse la notizia del primo bombardamento alleato su Roma. In quella situazione credo che lo stesso Mussolini pensasse all’eventualità di lasciarsi forzare al disimpegno da Berlino.
Quella notte fu lunga; alle 2.40 del 25 luglio 1943 passò la proposta di sfiducia al Duce: 19 firme contro 8. Sull’atteggiamento passivo del Duce ancora il prof. Parlato scrive:
Si trattava di una pantomima a beneficio di chi, tra i presenti, era pronto a riferire tutto