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Romanzi per i manager
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E-book503 pagine4 ore

Romanzi per i manager

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Info su questo ebook

Ci dice l’autore: “…ho fatto una scelta in base a una doppia chiave: romanzi interessanti scritti da autori dei quali sia anche bello raccontare la vita. Grandi autori e grandi romanzi, ma non necessariamente: si può trarre stimolo e insegnamento anche da un libro giallo, dalla narrativa sbrigativamente bollata come “di consumo”. E attraverso queste opere, un viaggio: dal marketing alla gestione delle risorse umane, dallo sviluppo organizzativo alle nuove frontiere dell’informatica. Tutto può essere detto senza ricorrere a linguaggi settoriali, perché ciò che scrive oggi lo specialista era già stato raccontato ieri da un romanziere, con più profondità e con più acume e con stile più piacevole.
L’ordine dei capitoli è solo uno dei tanti possibili. Non è necessario seguirlo. I singoli paragrafi sono brevi. Possono essere letti in poco tempo, e possono anche essere presi come cose a sé stanti.
Penso anche che questo modo di leggere disordinato sia consono con il poco tempo che di solito abbiamo a disposizione; e sia coerente con abitudini che abbiamo acquisito: la nostra cultura è fatta di frammenti, come i frammenti che mettiamo in fila facendo zapping, navigando tra i programmi televisivi. In fondo anche questo libro è una raccolta di frammenti…”
LinguaItaliano
Data di uscita9 feb 2014
ISBN9788898473359
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    Anteprima del libro

    Romanzi per i manager - Francesco Varanini

    cover.jpg

    Francesco Varanini

    ROMANZI PER I MANAGER

    La letteratura come risorsa strategica

    Collana UnConventional Training

    KKIEN Publishing International è un marchio di  KKIEN Enterprise srl

    info@kkienpublishing.it

    Sede legale: viale Piave 6, 20122, Milano

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    www.kkienpublishing.it

    Prima edizione digitale: 2014

    ISBN 9788898473359

    Questo ebook è concesso in licenza solo per il vostro uso personale. Questo ebook non è trasferibile, non può essere rivenduto, scambiato o ceduto ad altre persone, o copiato in quanto è una violazione delle leggi sul copyright. Se si desidera condividere questo libro con un'altra persona, si prega di acquistarne una copia aggiuntiva per ogni destinatario. Se state leggendo questo libro e non lo avete acquistato direttamente, o non è stato acquistato solo per il vostro uso personale, si prega di ritornare la copia a KKIEN Publishing International (kkien.publ.int@kkien.net) e acquistare la propria copia. Grazie per rispettare il nostro duro lavoro.

    INTRODUZIONE

    In una sera d’autunno del 1991 passeggiavo per via Porpora, a Milano, insieme a Raoul C.D. Nacamulli. Conoscevo da poco Raoul, professore di Organizzazione Aziendale, direttore di Sviluppo & Organizzazione, probabilmente la più accreditata rivista italiana di studi organizzativi. Avevamo ragionato insieme del caso di una piccola impresa che allora dirigevo, una ‘organizzazione snella’, ma ora parlavo a Raoul di quest’altro mio mondo, i miei interessi critico-letterari (in parte destinati a concretizzarsi nel Viaggio letterario in America Latina, Marsilio, 1998). Gli dicevo di come in fondo i due mondi si tocchino: esistono romanzi che sono vere case histories, perfette rappresentazioni di modelli organizzativi, ed esistono autori, come per esempio Balzac, che meglio di qualsiasi sociologo hanno saputo descrivere non solo un’epoca, ma anche il funzionamento della macchina produttiva.

    Da giovane aveva tentato fortuna nell’editoria, cercando di avviare prima una tipografia e poi una fonderia di caratteri. Imprese disastrose, come tutte quelle nelle quali non cesserà di imbarcarsi, naufragando sempre in un mare di debiti. Ma non si arrende mai. Come i suoi personaggi, come i veri imprenditori lo sostiene l'intima convinzione del suo genio.

    Ciò che veramente lo entusiasma sono gli inventori e le invenzioni. Le nuove possibilità offerte da scienza e tecnica: Oh, che vita straordinaria!. Una intera  parte delle Illusioni perdute è dedicata alle sofferenze di un inventore, David Séchard che cerca di produrre la carta direttamente a partire da fibre vegetali, anziché con gli stracci: è una rivoluzione necessaria per la diffusione di massa dei prodotti editoriali; Balzac ci crede – ed per questo riesce, in un romanzo, ad anticipare una storica innovazione.

    E nessuno come Lawrence descrive la vita quotidiana e produttiva nei distretti minerari inglesi, nella seconda metà del secolo scorso: perché Lawrence era nato proprio lì, cielo fumoso, ciminiere, cumuli di carbone. Anche Zola ci parla delle miniere, ma in termini più ideologici, e allora sono più interessanti altri suoi romanzi, meticolose descrizioni dell’affermazione della grande dsitribuzione nella Parigi del Secondo Impero, per esempio. E Aldo Busi ci dice praticamente tutto sulla piccola impresa padana, e Tolstoj contrappone in modo esemplare due stili di direzione, Simenon ci porta a passeggiare lentamente nelle zone segrete dell’hotel, dove l’ospite non metterà mai piede, e in un raccontino di Achille Campanile si trova una perfetta descrizione delle nuove frontiere del marketing… 

    Raccontavo queste cose, divagando e facendomi prendere la mano dal tema che mi stava  cuore, quando Raoul mi interrompe e mi dice che sì, questo potrebbe essere il tema di una rubrica, in fondo Sviluppo & Organizzazione si propone anche di aiutare i suoi lettori a cogliere nessi, a guardare aldilà dai confini angusti della disciplina.

    Raoul verifica l’idea presso alcuni membri del Comitato Scientifico della rivista, mi aiuta a mettere a punto la rubrica, ad articolarla in sequenze di brevi brani commentati; sceglie anche il titolo: Il Principe di Condé.

    La rubrica prende il via con il numero 129 di Sviluppo & Organizzazione, gennaio–febbraio 1992. 

    Si apre con una Premessa che ripropongo ora tale e quale.

    Si racconta che il principe di Condé dormì profondamente la notte avanti la giornata di Rocroi. Lo aspetta una dura battaglia, ma non fatica a prendere sonno. Non solo perché era molto affaticato. Soprattutto perché aveva già date tutte le disposizioni necessarie, e stabilito ciò che dovesse fare, la mattina.

    Così inizia il secondo capitolo dei Promessi sposi. Manzoni contrappone il principe di Condé a don Abbondio, che invece non sapeva altro ancora se non che l’indomani sarebbe giorno di battaglia. Mentre il principe non tarda a prendere sonno, don Abbondio, incerto ed insicuro sul daffarsi, si appresta a vivere una notte di consulte angosciose, di sonno agitato, di sogni terribili.

    Il principe ha una chiara idea del quadro competitivo e delle forze in campo, ha fatto le sue scelte. Don Abbondio, all’opposto, incapace di prefigurare il processo, incapace di darsi obiettivi, vive in preda all’ansia. Si vede di fronte un quadro segnato dal continuo emergere di fattori incontrollabili, di fronte ai quali non potrà far altro che approntare interventi correttivi di emergenza e tecniche dilatorie: quello che, per ogni verso, gli parve il meglio o il men male, fu di guadagnar tempo.

    È evidente che il principe di Condé e don Abbondio rappresentano due diversi, anzi opposti stili manageriali. Potremmo anche chiederci quale è il migliore. Lo stile del Gran Condé ci appare –astrattamente– il più efficace. Qualcuno potrebbe però anche eccepire che la consapevolezza della propria inadeguatezza che segna l’atteggiamento di don Abbondio è una forza più grande della rischiosa sicurezza del principe. 

    Non ci interessa qui prendere partito per uno o per l’altro dei modelli. Ci interessa notare che sono entrambi, a pieno titolo, esempi di gestione di situazioni complesse, stimoli utili a riflettere sui nostri comportamenti di capi, di dirigenti, di manager, in genere di persone che lavorano.

    Da dove di solito prendiamo spunto ed esempio. Quali lezioni seguiamo? Siamo portati a dare importanza a libri di guru del management, di grandi consulenti, docenti universitari americani, giapponesi, più raramente europei o italiani.

    Cerchiamo modelli nella fisica, nella teoria generale dei sistemi, nella cibernetica, nella sociologia, nella epistemologia. Ma trascuriamo la letteratura, che è invece così ricca di scenari socioeconomici, di sfondi che sono luoghi di lavoro, di studi di casi aziendali e anche, a voler guardare, di modelli euristici belli e fatti, pronti per l’uso: di ciò il famoso passo manzoniano non è che un piccolo esempio.

    La rubrica parlerà solo di questo. Autori scelti arbitrariamente, brani selezionati in base a criteri tutti personali, perché non si tratta di proporre schemi, di indicare vie. Si vuole semplicemente, attraverso divagazioni che speriamo anche amene, offrire qualche stimolo, invitare ad allargare lo sguardo.

    Ogni lettore, così come qui facciamo, potrà tornare su romanzi e racconti già letti, giocare ad applicarvi i propri strumenti professionali. Potrà abituarsi a cogliere nei propri percorsi letterari spunti in qualche modo utili a leggere le organizzazioni.

    Potremo forse fare un passo ulteriore: provare a rapportarci con i sistemi organizzativi intorno ai quali –o dentro i quali– lavoriamo, allo stesso modo di come ci rapportiamo con i mondi possibili della letteratura. Con lo stesso piacere e con la stessa partecipazione con cui leggiamo un romanzo, entrare nel gioco, osservando gli attori sociali come personaggi, l’articolazione dei ruoli come struttura narrativa, l'evoluzione del sistema come sviluppo di una trama.

    Non credo che ci sia molto da aggiungere. Sono passati diversi anni. Mentre scrivo queste righe sto lavorando ad una nuova rubrica, sempre cercando di scegliere in base ad una doppia chiave: romanzi interessanti scritti da autori dei quali sia anche bello raccontare la vita. Grandi autori e grandi romanzi, ma non necessariamente: si può trarre stimolo e insegnamento anche da un libro giallo, dalla narrativa sbrigativamente bollata come ‘di consumo’.

    E attraverso queste opere, un viaggio: dal marketing alla gestione delle risorse umane, dallo sviluppo organizzativo alle nuove frontiere dell’informatica. Tutto può essere detto senza ricorrere a linguaggi settoriali, perché ciò che scrive oggi lo specialista era già stato raccontato ieri da un romanziere, con più profondità e con più acume  e con stile più piacevole.

    Ora vorrei che, individuati i testi che vi piacciono di più, leggeste (o rileggeste) per intero il libro: la mia scelta dei brani è del tutto soggettiva; non mi illudo di avervi presentato l’autore e la sua opera così come avrebbero meritato.

    L’ordine dei capitoli è solo uno dei tanti possibili. Non è necessario seguirlo. Potete lasciarvi guidare dalla curiosità, o dallo stimolo del momento, saltare di qua e di là. Potete cercare nell’Indice degli argomenti uno spunto, una illuminazione rispetto a un problema o a una idea che avete in testa.

    I singoli paragrafi sono brevi. Possono essere letti in poco tempo, e possono anche essere presi come cose a sé stanti.

    Penso anche che questo modo di leggere ‘disordinato’ sia consono con il poco tempo che di solito abbiamo a disposizione; e sia coerente con abitudini che abbiamo acquisito: la nostra cultura è fatta di frammenti, come i frammenti che mettiamo in fila facendo zapping, navigando tra i programmi televisivi. In fondo anche questo libro è una raccolta di frammenti.

    IL LAVORO COME COMPETENZA E COME MERCATO

    PASSEGGIANDO NEL MERCATO DEL LAVORO

    img2.png Robert Walser img2.png

    Svizzero di lingua tedesca (nasce a Biel, nei pressi di Berna, nel 1878), penultimo di otto figli di un piccolo commerciante, ha sedici anni quando la madre muore in una clinica psichiatrica.

    Già due anni prima aveva dovuto lasciare la scuola per impiegarsi in banca. Sarà operaio, magazziniere, libraio, copista, archivista, infermiere, segretario ed anche domestico in un castello della Slesia. Sempre mestieri umili, anonimi, subalterni, saltuari, accompagnati da frequenti cambi di abitazione e intervallati da viaggi compiuti per lo più a piedi. Con la fede che l'arte sia una cosa grande comincia a scrivere, trovando subito un suo stile personalissimo: frammentario, legato all'oralità, aggraziato, cristallino, apparentemente ingenuo.

    Dal 1906 al 1912 è a Berlino, dove il fratello Karl si era affermato come pittore e scenografo teatrale. Pubblica I fratelli Tanner (1907); L'assistente (1908); Jakob von Gunten (1909) (mentre vanno smarriti i manoscritti di almeno altri due romanzi inviati ad editori). E' subito apprezzato da Benjamin, Kafka e Musil, Canetti, ma il successo è scarso. Deluso, nel 1913 ritorna a Biel: di questi anni (1917) è la La passeggiata, forse l'opera più felice.

    Quando nel 1920 si trasferisce a Berna alla precaria situazione economica si sono ormai aggiunte difficoltà fisica a scrivere, mania di persecuzione, allucinazioni, crisi depressive. Nel '29 è ricoverato nell'ospedale psichiatrico di Waldau. Dal '31 in una clinica a Herisau (Appenzell). I medici ravviseranno sintomi di schizofrenia. Ma l'atteggiamento  catatonico di Walser appare, più che una malattia, una scelta radicale e disperata, un volontario esilio, la tranquilla estraneazione da un mondo in cui non si riconosce. Cosicché non farà nulla per uscire dalla casa di cura, ma si mostrerà lucidissimo con Carl Seelig, l'amico che per oltre trent'anni anni andrà a fargli visita: non bisogna andare a scrutare dietro a ogni segreto; sì, importante è solo il viaggio verso se stessi; spesso il talento di uno scrittore è in proporzione inversa alla quantità di azione e all'ampiezza dell'ambiente locale di cui egli ha bisogno. Di fronte a quegli scrittori che eccellono nell'azione e si servono del mondo intero per i loro personaggi, io sono diffidente a priori. Le cose di tutti i giorni sono abbastanza belle e preziose perché se ne possano fare scaturire scintille di poesia (Carl Seelig, Passeggiate con Robert Walser, Adelphi, 1981). 

    L'ultima raccolta di prose curata dall'autore è, nel 1925, La rosa. Fino al 1933 riempie quaderni scrivendo a matita, con calligrafia microscopica e quasi indecifrabile. Poi più niente. Morirà settantottenne, il giorno di Natale, durante una solitaria passeggiata nella neve.

    Walser non si allontana dall'autobiografia, non parla di grandi temi astratti: si limita a raccontarci minuziosamente di lunghe camminate, soliloqui, chiacchiere per strada e nelle osterie, amori impossibili più che altro sognati, lettere ai fratelli lontani - insomma, della sua vita di precario per scelta. Eppure pochi autori come lui stimolano riflessioni sul lavoro e sull'organizzazione: ci parla del nascondersi dietro a un ruolo, del lavoro come servizio offerto a progetti non propri, di come si può anche amare una uniforme, perché dietro di essa si può sfuggire all'attenzione dell'autorità, di come ci si può chiudere volontariamente in una istituzione totale pur di non subire lo stillicidio quotidiano delle aggressioni alla propria soggettività.

    È un atteggiamento che ha radici ottocentesche -l'apologia romantica della vita vagabonda e spensierata del giovane perdigiorno-, eppure  ci appare in anticipo sui tempi: in anni in cui non si erano ancora affermati il taylorismo e il fordismo critica la scientifica parcellizzazione delle mansioni, il cottimo, il paternalismo padronale, la centralità della fabbrica. Walser non oppone alla norma organizzativa la nostalgia di un passato preindustriale, ma si chiede come si possano coniugare i bisogni del lavoratore con le esigenze dell'organizzazione. Si risponde che se il lavoratore è soddisfatto -anche nei suoi bisogni immateriali, non economici- l'azienda ne trarrà vantaggio.

    Simon, il protagonista dei Fratelli Tanner, trasparente alter-ego dell'autore, rifiuta il lavoro che spersonalizza e annulla: sono diligente e laborioso quando ho da assolvere un compito, ma non sacrifico il godimento che mi dà il mondo  per piacere a qualcuno. Vuole essere utile, ma non per questo è disposto a sprecare la sua voglia di fare, le sue brillanti capacità, il piacere di sé stesso.

    Pagine gioiose, quelle di Walser, eppure segnate dalla consapevolezza amara della diversità. Ci si deve chiedere: perché le persone come Simon non hanno successo? Letti I fratelli Tanner risponderemo così: perché gli aspetti spensieratamente puerili e apparentemente irresponsabili del suo carattere risultano insopportabili a coloro che spendono le proprie energie per adattarsi alle norme, e che su questo adattamento costruiscono il loro potere.

    Forse è per questo che la sorella ammonisce Simon: cambiati un poco, se ne sei capace! Abbi un poco più cura di te stesso e sii più vanitoso; perché non essere vanitoso affatto, presto dovrai giudicarlo tu stesso un errore. Walser non cambierà, non si prenderà più cura di se stesso.  Morirà ignorato, eppure le sue pagine hanno trovato i propri lettori. Dobbiamo considerare un errore la sua mancanza di vanità?

    Occupazione giovanile

    Una mattina un giovane che sembrava quasi un ragazzo entrò in una libreria e chiese di essere presentato al padrone. Fecero come desiderava. Il libraio, un vecchio dall'aspetto venerando, fissò severamente il giovane un po' intimidito, in piedi davanti a lui, e lo invitò a parlare. Voglio fare il libraio disse il giovane principiante ne ho un gran desiderio e non so cosa potrebbe trattenermi dal mettere in atto il mio proposito. (...) Vede, signore, mi pare di essere, così come le sto ora davanti, straordinariamente adatto a vendere i libri del suo negozio, a venderne tanti quanti lei può desiderare. Sono un venditore nato: garbato, svelto, cortese, sollecito, sbrigativo, deciso, calcolatore, attento, onesto, però non onesto fino alla stupidità come posso forse sembrare. Sono capace di ridurre i prezzi quando mi trova davanti un povero diavolo di studente, e di tirarli su per fare un favore ai ricconi, dei quali devo supporre che qualche volta non sappiano cosa farsene del loro denaro. (p. 9)

    Simon Tanner mette da subito a disposizione dell'azienda la sua giovanile baldanza, il suo entusiasmo, la sua intelligenza.

    Recruitment

    Il libraio guardava il giovane con attenzione e meraviglia. Pareva che fosse incerto se colui che aveva di fronte, e che parlava così bene, gli facesse una buona impressione oppure no. Non riusciva a darne un giudizio preciso, lo rendeva piuttosto perplesso e, in questo suo imbarazzo, domandò pacatamente: Giovanotto, posso chiedere informazioni su di lei a chi di dovere?. L'interrogato rispose: A chi di dovere? Non so cosa intenda dire! Mi sembrerebbe opportuno che lei non volesse informarsi affatto. Presso chi dovrebbe farlo, e che scopo avrebbe ciò? Le direbbero ogni sorta di cose su di me, ma sarebbero sufficienti a tranquillizzarla sul mio conto? Cosa saprebbe lei di me anche se le dicessero, ad esempio, che vengo da un'ottima famiglia, che mio padre è un uomo rispettabile,  che i miei fratelli sono persone capaci e promettenti, e che quanto a me ho delle buone attitudini, sono un po' volubile  ma non privo di speranze, che una certa fiducia me la può accordare, e così via? Lei non saprebbe lo stesso niente di me  e non avrebbe assolutamente motivo di prendermi con maggiore tranquillità nel suo negozio come commesso. No, signore, le informazioni di regola non valgono un soldo bucato; se posso osare dare un consiglio a lei che è una persona anziana, io glielo sconsiglio decisamente perché so che se fosse nella mia natura e nelle mie capacità di ingannarla e di deludere le speranze che lei, basandosi sulle informazioni, ripone in me, lo farei in misura tanto maggiore quanto più lusinghiere fossero le sullodate informazioni, che in questo caso avrebbero soltanto mentito dicendo bene di me. No, egregio signore, se lei pensa di impiegarmi, la prego di dimostrare un po' più di coraggio della maggior parte degli altri padroni coi quali ho avuto a che fare, e di assumermi semplicemente in base all'impressione che le faccio (...). Il libraio disse: La sua sincerità mi piace, la farò lavorare otto giorni in prova nel mio negozio. Se lei vale qualcosa, se le andrà di rimanere ancora da me, ne riparleremo insieme. (pp. 10-11)

    Nella gran massa delle candidature, quella presentata in modo standard è forse quella che ha minori probabilità di successo. Simon sa che presentandosi così viola le consuetudini. Ma sa di sapere recitare una parte sola, e intuisce quindi che le sue possibilità di successo sono legate al mostrarsi se stesso.

    Dimissioni

    Trascorsi otto giorni, Simon, quando si fece sera, entrò nello studio del suo principale e gli tenne il seguente discorso: Lei mi ha deluso, non stia a prendere quella faccia meravigliata, non ci si può far nulla, oggi lascio il suo negozio e la prego di pagarmi il mio stipendio. (...) Sono in grado di fare ben altro, signor libraio, che non quello che qui si crede di potermi concedere. (p. 16)

    Me ne infischio di godere del privilegio connesso al pagamento di un regolare stipendio mensile. In questo modo io degenero, rincretinisco, divento vigliacco, mi fossilizzo. (p. 37)

    Ma cosa sono mai le ferie! Mi fanno soltanto ridere. Con le ferie non voglio avere niente a che fare. Le odio addirittura. (...) Per me non hanno la minima attrattiva, io morirei se mi dessero le ferie. Voglio lottare con la vita fino a cadere a terra per colpa mia, non voglio gustare né libertà né comodità, odio la libertà se mi viene gettata così, come si getta un osso a un cane." (pp. 18-19)

    Cosa contano tutte le altre garanzie contrattuali se si rompe il 'contratto psicologico'?

    Licenziamento

    Un'ora di ritardo! A un giovanotto come lei non dovrebbe succedere! gli dissero alla banca.

    E se mi succede? chiese il destinatario del rimprovero in tono di sfida.

    Come, vuole anche essere arrogante? Per me, faccia quel che le pare!.

    Il contegno di Simon venne riferito al direttore. Questi decise di licenziare il giovanotto, lo mandò a chiamare e glielo disse con voce bassa, addirittura bonaria. Simon rispose:

    Sono ben felice che sia finita. Se crede forse di colpirmi, di piegare il mio animo, di annientarmi o cose del genere? Al contrario, così mi innalza, mi lunsiga, dopo tanto tempo mi si infonde di nuovo un filo di speranza. Io non sono fatto per essere una macchina per scrivere e per calcolare. A me non dispiace scrivere, non dispiace calcolare, tra i miei simili sono solito comportarmi decentemente, mi piace essere diligente e ubbidisco con entusiasmo quando ciò non ferisce il mio cuore. Mi saprei anche sottomettere a determinate leggi, se importasse, ma qui da qualche tempo non me ne importa più. Quando ho fatto tardi, stamane, mi sono arrabbiato, stizzito, non ho provato alcun sincero scrupolo di coscienza, non mi sono mosso dei rimproveri, o tutt'al più il rimprovero di essere ancora il tipo sciocco e pusillanime che quando suonano le otto salta su, si mette in moto, come un orologio a cui si dà la carica e che funziona solo quando viene caricato. Io la ringrazio di avere l'energia di licenziarmi, e la prego di pensare di me quel che preferisce. (pp. 36-37)

    Simon si misura con se stesso. Si arrabbia quando i comportamenti non corrispondono alle sue stesse aspettative. Ma si arrabbia ancor di più quando le aspettative dell'organizzazione sono meschine.

    Capacità potenziali

    Qui solo uno può essere un uomo: lei!... Non le viene mai l'idea che fra i suoi poveri dipendenti potrebbero trovarsi delle persone che aspirano a essere uomini anche loro, uomini operosi, creativi, autorevoli? Non mi attrae per niente di starmene nel mondo così in disparte soltanto per non farmi la fama di essere una persona scontenta e difficile da impiegare. (p. 37-38)

    Il direttore della banca ha qualcosa di fiero e di elevato, ma anche qualcosa di inafferrabile e quasi di inumano. Simon non rifiuta la gerarchia: quando mi trattano un po' severamente, mi va bene, mi solleva a una certa temperatura e stimola la mia voglia di lavorare. Però rimprovera al direttore di restarsene trincerato nei suoi uffici. E nei suoi uffici, di come un giovane progredisce non si parla neppure.

    Sentieri di carriera

    E poi non ho nemmeno desiderio di fare carriera. (...) Mi piace vivere, ma non mi piace entrare in lizza per una carriera, che dovrebbe essere una cosa tanto straordinaria. Che cosa c'è di straordinario? (...) Tante grazie! Preferisco rimanere povero ma sano, rinuncio a una casa lussuosa in cambio di una stanza a buon mercato anche se guarda sul più buio dei vicoli, preferisco le difficoltà finanziarie alla difficoltà di scegliere dove io devo soggiornare l'estate per rimettere in sesto la mia salute rovinata. (...) Divento furioso quando mi si viene davanti parlando di posizione sociale, e con tutta la pretesa che c'è in queste parole. (p. 215)

    'Non desidero fare carriera', 'preferisco restare povero ma libero': potrebbero sembrare luoghi comuni -anzi, certamente lo sono diventati. Ma qui l'atteggiamento viene proposto in tutta la sua freschezza originaria: Simon rinuncia davvero al ‘posto sicuro’in cambio della libertà. La vita di Walser lo testimonia - ed è una testimonianza coerente fino all'assurdo.

    Mobilità, ovvero Elogio del precariato

    La massa dei contabili consisteva per lo più di persone di una certa età che si aggrappavano ai loro posti e posticini come fossero travi o pali. (p. 31)

    "È così terribilmente strano che una persona della mia età  eserciti diverse professioni (...)? Io lo trovo bello da parte mia, perché è una cosa che richiede un certo coraggio. Il mio orgoglio non ne viene affatto offeso, al contrario: presumo un poco di saper risolvere ogni genere di questioni che la vita presenta e di non tremare davanti a difficoltà che fanno arretrare la maggior parte della gente. (...)

    Non ho tempo per rimaner fermo a una sola e unica professione e non mi verrebbe mai in mente, come a tanti altri, di adagiarmi in un tipo di professione come su un materasso a molle. No, non ci riuscirò mai, dovessi campare mille

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