Sei racconti semplici
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E su tutto una voce narrante, esile ma tenace, quasi un ronzio nel silenzio della pianura. Questi e altri personaggi stralunati, inattuali, abitano i Sei racconti semplici di Roberto Valentini, dichiarato omaggio a una esperienza letteraria dei primi anni novanta, quando l’autore collaborò alla redazione della rivista Il Semplice, diretta da Gianni Celati, Ermanno Cavazzoni, Daniele Benati e altri.
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Anteprima del libro
Sei racconti semplici - Roberto Valentini
Collana Biasin
Roberto Valentini
Sei racconti semplici
Fotografie di Fabrizio Ceccardi
Incontri Editrice
Nota dell’autore
Un pomeriggio d’estate di tanti anni fa consegnai la prima bozza di questi racconti a Gian Paolo Biasin, sotto i portici di Sassuolo. Qualche settimana dopo lo incontrai di nuovo e con il suo sorriso indimenticabile mi disse: «Mi sono piaciuti, sai? Finiscili, mi raccomando». Anche se in ritardo, ho seguito il suo consiglio e sono contento che finalmente vedano la luce nella collana intitolata al critico sassolese, a cui va la mia dedica riconoscente.
Grazie a tutti gli amici dell’Associazione Biasin per il loro sostegno alla pubblicazione di questo libro.
Prefazione in ricordo del Semplice
Quando lo scrittore è giovane è facile che proceda per emulazioni, spinto dall’influenza di letture capaci di rivelargli i mondi letterari a cui vuole appartenere. Una ventina d’anni fa la mia temperatura influenzale salì alle stelle dopo la lettura del Poema dei Lunatici di Ermanno Cavazzoni. Rimasi fulminato dall’immediatezza dell’invenzione e mi innamorai dall’apparente familiarità della scrittura, così dopo tante passioni per libri scritti in America, in Russia o chissà dove, quelle storie ambientate nei paesaggi veri e immaginari della mia terra mi catturarono in senso fisico e poetico, dando forza alla mia volontà di scrittura, allora quanto mai impaziente.
Influenzato dal libro, ebbi la fortuna di incontrare il suo autore allorché entrai a far parte della redazione del Semplice, una rivista letteraria ideata dallo stesso Ermanno Cavazzoni assieme ad altri, ma aperta ad aspiranti scrittori, a lettori e a chiunque fosse interessato a un certo tipo di letteratura. «Redazione» era una parola grossa, in realtà si trattava di un gruppo di persone che si riuniva ogni tanto al Collegio San Carlo di Modena o a casa di qualcuno, per parlare di libri e soprattutto per leggerli.
Mi ritenevo fortunato a frequentare quelle riunioni, dove senza rendermene conto imparavo a leggere e a capire per esempio cosa volesse dire Gianni Celati quando con la sua voce flautata leggeva Huckleberry Finn e spiegava che la letteratura americana contemporanea cominciava lì. Capire una affermazione del genere, sentirla più che capirla, non era così scontato e quella comprensione si trasformava subito in voglia di scrivere.
In quelle riunioni c’era gente che amava e praticava la scrittura non per compiacere la propria vanità e nemmeno per «fare un mestiere» come un altro, né per avere un progetto come si dice oggi, ma solo per una necessità di esistenza. Innanzitutto al Semplice si imparava a scrivere perché si leggeva molto. La cosa più importante per lo scrittore è la lettura, questo lo dicono tutti, ma pochi lo fanno. Invece al Semplice si leggeva tanto e bene.
Leggevamo testi lontani dalle mode editoriali e li leggevamo in profondità, non con l’approccio critico che mi avevano insegnato all’università, ma piuttosto con un orecchio attento a cogliere i suoni e le ramificazioni delle parole, i sostrati delle frasi, gli umori dei paragrafi, i respiri delle pagine. Lì ho scoperto che non esistono libri per sempre e ciascuno sa trovare il suo momento per rivelarsi: i libri ci precedono o ci aspettano, crescono o si fermano con noi, scompaiono e riappaiono all’improvviso, quando meno ce lo aspettiamo.
Alle riunioni gli autori esperti introducevano temi di riflessione che poi sviluppavano assieme a noi aspiranti scrittori, in una posizione di sorprendente parità. Nel periodo in cui frequentai la redazione oltre a Ermanno Cavazzoni e Gianni Celati, incontrai anche Ginevra Bompiani, Daniele Benati, Giorgio Messori e tutti furono molto pazienti. Il loro sguardo gentile, ma senza sconti, seduceva, il loro rifiuto del «progresso» ricordava la forza disarmante di Bartleby, racconto che Celati ci lesse un giorno con una grazia particolare, illuminando lo stanzone che ci ospitava ogni volta che ripeteva: «Avrei preferenza di no».
A forza di leggere cose belle in modo nuovo, alle riunioni del Semplice mi feci una idea del mestiere dello scrittore. E si sa, le idee che ci si imprimono in testa per prime poi fanno fatica a cambiare. Non so se posso parlare a pieno titolo del mestiere dello scrittore, perché di fatto non faccio solo lo scrittore. Faccio anche un altro lavoro che mi piace persino, e quindi