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Un condominio
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E-book244 pagine3 ore

Un condominio

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Info su questo ebook

In un luogo imprecisato del deserto, in un giorno altrettanto imprecisato, un cammello fa un gran starnuto, infetta quel poco di erba che c'è in un'oasi e, giorno dopo giorno, un virus misterioso passa da un animale all'altro, fino all’uomo. E così, nel condominio di una cittadina del Nord, la vita quotidiana dei residenti subisce una svolta improvvisa e traumatica.

Pensate allo psicoterapeuta che dall’oggi al domani non può più andare a trovare l’amante, si scambiano solo messaggi e videochiamate, ma la moglie se ne accorge e scoppia il dramma nel dramma. O alla giovane escort, che escort non è; all’infermiera che viene travolta dall’emergenza, ma che ha un problema per lei ancor più grave, la figlia anoressica; al Cavaliere obbligato dal figlio a trasferirsi in una casa di riposo; ai due skipper costretti a restare a terra per molti mesi, all’ottico inventore e un po’ matto, simpatico e gran chiacchierone.

Queste sono le storie di una "commedia umana" sconvolta da un invisibile nemico.

Un romanzo struggente, in cui Andrea Pamparana, ex vicedirettore del TG5, una della più importanti penne del giornalismo italiano, regala al lettore una commovente quanto lucida radiografia dei nostri tempi, segnati
da dubbi ed incertezze.

Tra fiction e realtà, emerge il quadro di un’Italia lacera e confusa, ma ancora in grado di amare.

LinguaItaliano
Data di uscita29 set 2023
ISBN9788869348846
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    Anteprima del libro

    Un condominio - Andrea Pamparana

    © 2023 Bibliotheka Edizioni

    www.bibliotheka.it

    I edizione, ottobre 2023

    Isbn 9788869348846

    Tutti i diritti riservati

    Andrea Pamparana

    Andrea Pamparana è giornalista, scrittore, sceneggiatore, conduttore radiofonico e tv.

    Ha iniziato la carriera il 16 marzo 1978, giorno del rapimento di Aldo Moro e della strage di via Fani. Da allora si è occupato di cronaca giudiziaria, politica estera e politica interna.

    Inviato per il Tg5, ha seguito dal Palazzo di Giustizia di Milano tutte le fasi salienti di Tangentopoli.

    Vicedirettore del Tg5 dal 2000 al 2016, ha condotto la rubrica L’Indignato speciale sia per il Tg5, sia per la radio RTL102,5.

    Ha scritto oltre venti libri su temi di attualità nazionale e internazionale, oltre a sei romanzi.

    Collabora con il quotidiano La Ragione, è curatore di mostre di carattere storico per la società Publimedia e on line cura la rubrica Emoticon, opinioni a confronto e Il laboratorio del filosofare.

    È autore della rubrica Vita da Cronista per la rivista il Millimetro.

    Prefazione

    L’ultima volta che ho visto mio padre in vita, eravamo separati da una grata di ferro a cui avevano attaccato un pannello protettivo di plexiglass. Lui seduto su una carrozzina, io in piedi a guardarlo, che altro non potevo fare, neppure tenergli una mano, accarezzarlo. Niente. Le regole, rigide, severe, non lo permettevano. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, non capiva le mie domande e solo se insistevo alzando il tono della voce – Papà, mi senti? Come stai? – allora biascicava qualcosa che non afferravo. Aveva subìto un’altra ischemia cerebrale, qualche giorno prima, che lo aveva completamente obnubilato.

    Era il 24 luglio del 2021. Le mie ferie siciliane erano finite, dovevo rientrare a Roma il giorno dopo. L’ho salutato agitando la mano, seppur fossimo a meno di un metro di distanza. Gli ho mimato un bacio e gliel’ho mandato come si fa con certi detenuti nei colloqui in carcere, separati da uno spesso vetro divisorio. Me ne andai con l’angoscia nel cuore, perché sentivo che sarebbe stata l’ultima volta.

    L’otto agosto seguente, nella notte mi arrivò la telefonata che prima o poi sarebbe giunta. Ma quando un genitore ci lascia, per sempre, non stai lì a riflettere sull’età, sugli 85 anni che comunque aveva campato. Il dolore non ha tempo quando si tratta di un padre, di una madre. E il mio dolore quel giorno era dilatato da una devastante consapevolezza: era morto da solo mio padre. Solo in un letto dell’ospizio dove eravamo stati costretti a ricoverarlo un paio d’anni prima che scoppiasse la pandemia. Costretti dalla necessità che venisse accudito, curato, da personale specializzato: cose che né una badante, né tanto meno un figlio, avrebbero saputo fare se lo avessimo tenuto a casa sua. La residenza per anziani era stata la conseguenza inevitabile, come accade a molti, tanti altri anziani. Ma quando poi succede quello che è successo a lui, un figlio è tormentato da mille inquietanti interrogativi. Un tormento alimentato dalla constatazione che mio padre mentre spirava, non aveva nessuno dei suoi tre figli al capezzale. Per colpa della pandemia, sia chiaro! Un’infermiera lo ha sentito rantolare nella notte umida e afosa di certe estati del nostro sud. Quando è accorsa lo ha sollevato, ma forse era già andato. No, non aveva il Covid mio padre. Almeno così ci è stato detto. Ma se non quella biologica, il virus e il suo tempo gli hanno provocato un altro tipo di estinzione: quella etica, quella morale. I cui riflessi si ripercuotono e condizionano le vite di noi che restiamo e che imprechiamo e malediciamo gli accadimenti che avvelenano il nostro tempo. Che portano lutti e dolori. Che ci cambiano, per sempre. Come ha fatto la pandemia.

    C’è stato un prima e ora c’è un dopo. Per quanto ciascuno di noi l’abbia vissuta a modo proprio, ha rappresentato per tutti un importante spartiacque che ha condizionato le nostre esistenze. Non solo quelle di chi ha subìto conseguenze nefaste. Ci ha cambiato tutti. Siamo diversi. Qualcuno dice più cattivi, o al contrario più solidali, più ragionevoli e pacati.

    Certo, da qualunque prospettiva la si guardi, è innegabile che l’epoca pandemica abbia segnato una trasformazione culturale di portata planetaria. E perfino dentro la fase stessa della diffusione del Covid c’è stato un prima e un dopo.

    Rifletteteci. Nella fase di esplosione del virus, che ci ha portati al cosiddetto lockdown, chiusi in casa, con le città svuotate e spettrali, si era come innescata una infinita catena umana di solidarietà che esplodeva perfino nei canti collettivi affacciati ai balconi, che andavano dall’inno di Mameli alle filastrocche regionali. Perché eravamo tutti uguali! Il covid sembrava avesse azzerato ogni differenza sociale, senza più ricchi e senza più poveri. Tutti uniti nel difenderci dal nemico invisibile. Poi finì il tempo della reclusione domestica, e venne quello delle mascherine. Dei negozi dove si entrava due o tre per volta. Degli obblighi e dei vincoli che qualcuno cominciava a disattendere e a tradire. E poi venne il tempo dei vaccini. E lì si sono acuiti gli scontri ideologici e culturali. Che in un’epoca dove tutto passa attraverso i social, hanno sfornato esperti su esperti, tutti pronti a intervenire sull’utilità o meno dei vaccini, o degli obblighi e delle regole.

    Fatalmente, la pandemia ci ha cambiati. Ha condizionato i nostri figli che hanno scoperto la comodità di non svegliarsi all’alba per poi correre a prendere il treno, o l’autobus per andare a scuola, che tanto c’era la Dad, la didattica a distanza. Ha cambiato l’approccio di molti al proprio lavoro, costretti a farlo in smart working. Perfino le sedute dallo psicanalista, non più allungati su un divano, ma davanti a un Pc. Fatalmente siamo cambiati. Una trasformazione lenta, subdola, che ha condizionato le nostre consapevolezze e ci ha aiutato a scoprire chi siamo e gli altri chi sono.

    L’ho capito meglio leggendo questo tenero, avvolgente, delizioso e vibrante ‘romanzo reale’ – mi piace chiamarlo così, con un ossimoro – , di Andrea Pamparana che non è solo un grande giornalista e attento osservatore di fatti giudiziari, politici, sociali; ma sa anche essere un delicato indagatore di cose umane, che ci riguardano tutti.

    Dentro il suo condominio non ci abitano solo il medico Biraghi, lo psicoterapeuta Castaldi, l’ex maresciallo dei carabinieri Guzzetti, la guardia giurata Agostinelli, la signorina Martelli, il cavaliere Giorgio Cerutti, detto Gino, – come quello del bar del Giambellino di una famosa canzone di Gaber-, o gli sposini Galimberti, e altri strepitosi personaggi. No, in quel condominio di ‘una qualsiasi cittadina del Nord Italia’, ci abitiamo tutti noi. E come i protagonisti di questa storia, anche noi abbiamo avuto il nostro prima e il nostro dopo Covid. E ciascuno a modo proprio, con la propria personale esperienza, lo ha vissuto e affrontato. Magari contagiandosi, soffrendone e guarendo. O risparmiato, per un gioco di sorte, o di destino. O perdendo una persona cara. O scoprendo la fede, o perdendola.

    Ognuno ha ragionato sul tempo del Covid e delle sue conseguenze ‘per come egli ha il mondo dentro’, per usare un pirandellismo. Come è successo ai personaggi creati da Pamparana. O forse no, non li ha creati. Esistono, sono tra noi. Siamo tutti noi.

    Carmelo Sardo

    Prologo

    Una commedia umana

    Un condominio di quattro piani, una palazzina in cortina, anni Sessanta, nella periferia verde di una qualsiasi cittadina del Nord Italia, non lontano dalla Stazione ferroviaria dove si fermano ogni giorno decine di treni per portare nella vicina città studenti e lavoratori, pendolari.

    La palazzina ha un nome, segnato sul catasto e messo in evidenza all’ingresso: Condominio 19.

    Tre appartamenti per ciascuno dei quattro piani, dodici nomi segnati sulla pulsantiera del citofono.

    La vita di ogni giorno, l’andirivieni delle persone, i saluti fugaci di individui che tra loro non hanno relazioni particolari, alcuni a malapena si conoscono, non si parlano se non con pochi cenni di buona educazione, buongiorno, buonasera, auguri alle feste comandate, qualche tensione inevitabile nelle annuali riunioni condominiali, i soliti, futili problemi che diventano drammi: l’ascensore, le pulizie, i rumori, l’auto parcheggiata male nel garage sotterraneo.

    La normale routine di un condominio nella sua quotidianità.

    Piano terra

    A sinistra, di fianco all’ascensore, il dottor Marco Biraghi, medico di famiglia, che lavora dalle 10 alle 20 nello studio, assistito dalla giovane segretaria Emanuela, che trascorre le sue giornate davanti a un computer per rispondere ai pazienti che chiedono ricette che poi farà firmare al medico.

    Un locale ampio, con un salotto arredato da poltroncine in finta pelle, un tavolino di vetro con le immancabili riviste vecchie di settimane, qualche brochure pubblicitaria di case farmaceutiche, dalle ore 15 le sedie occupate dai pazienti in attesa della visita col dottore, per lo più anziani. La porta sul pianerottolo viene tenuta accostata, onde evitare il continuo scampanellio dei pazienti che vanno e vengono, disturbando la quiete degli altri condomini, come da lettera raccomandata da parte dell’Amministratore, il ragionier Bastoni, sempre sul piede di guerra con tutti per le spese e le diatribe tra condomini.

    Al centro, l’appartamento della signora Luigina Berti, vedova Bonomelli, settantenne ex maestra elementare, solitaria ma molto educata, che talvolta accoglie in casa alcuni bambini della zona per dar loro ripetizioni di italiano.

    A destra un altro appartamento che funge anche da studio. Famiglia Castaldi: uno psicoterapeuta molto discreto, unico difetto la pipa, che rilascia talvolta il profumo del tabacco lungo l’androne, per alcuni gradevole, per altri, che se ne sono lamentati, un puzzo insopportabile. Matteo Castaldi riceve due, tre pazienti al massimo ogni giorno, se ne sta rintanato nel suo piccolo studio, scrivania e poltroncina, altrimenti va a lavorare come psicologo nella scuola media Enrico Fermi, dove segue alcuni ragazzi segnalati per problemi comportamentali dalla dirigente scolastica. Una parete di cartongesso divide lo studiolo dal resto dell’appartamento, dove Matteo vive con la moglie Emma e un figlio di quasi diciotto anni, Sandrino, promessa del basket nella vicina Parrocchia di San Teodoro, gestita dal giovane parroco Don Gilberto.

    Il matrimonio dello psicoterapeuta è però in crisi profonda. Da alcuni mesi frequenta una pedagogista, conosciuta a un convegno, che abita a meno di un chilometro dal condominio, ma in un altro comune. La donna, più giovane di lui di circa venti anni, ha due figli piccoli e un marito non poco sospettoso.

    Secondo piano

    Direttamente sopra l’appartamento del medico la famiglia Guzzetti, Luigi, ex carabiniere in pensione, uomo all’antica con tanto di curatissimi baffetti impomatati, la moglie Teresina e Mariuccia, trent’anni, sulla soglia dell’altare abbandonata dal fidanzato Mirko, un immigrato bosniaco che ogni tanto la viene a trovare, all’insaputa del padre di lei, ancora speranzosa che il bel giovanotto, autista di Tir, si penta e voglia riprendersela in moglie. Complice dei fugaci incontri la madre Teresina che, in fondo, a quel ragazzo si è ormai affezionata.

    Al centro dell’andito l’appartamento dei signori Galimberti, Antonio e Vera, da sempre definiti come gli sposini. In realtà vanno per i dodici anni di matrimonio, i soliti alti e bassi e il rammarico, soprattutto di Vera, del non avere avuto ancora un figlio. Tutti sanno, o immaginano di sapere, che la coppia sta attivamente programmando una fecondazione assistita all’estero.

    Di fianco, l’appartamento della famiglia Ruberti, il padre Ettore, la madre Simplicia, tre figli, insofferenti per la necessità di convivere tutti e tre in un’unica stanza, con tanto di letto a castello: Andrea, il maggiore, va ogni giorno col treno in città per frequentare il Liceo scientifico; Tommaso, il secondo, frequenta un istituto tecnico e vuol fare il manutentore dei treni ad alta velocità, anche lui, come il fratello maggiore, pendolare. La terza, Marina, frequenta il Fermi, canta nel coro della parrocchia e nuota nella piscina comunale dove ha mostrato, ad oggi, il meglio di sé, vincendo anche qualche gara interregionale, specialista nella rana.

    Terzo piano

    Di fianco all’ascensore la famiglia Agostinelli. Giovanni, il marito, guardia giurata in una società che lavora per una grande azienda in centro, pendolare ma rigorosamente in moto, una vecchia ma ancora efficiente Guzzi; Egidia, la moglie, chiamata da tutti Gilda, infermiera all’Ospedale San Benedetto, un grosso nosocomio non lontano dal Condominio 19, che serve un’area molto estesa e popolosa e ha pure un Pronto soccorso. Il loro problema, la figlia Martina, anoressica.

    Al centro abita la signorina Martelli, Melinda, molti credono che non sia il suo vero nome ma quello, per così dire, d’arte. È l’unica in affitto, il padrone di casa è il dottor Pistocchi, ricco commercialista che vive in città ed è proprietario di innumerevoli appartamenti che fa gestire dal figlio, Guglielmo, un tipo sportivo che ogni tanto, con la scusa di ritirare l’affitto, viene a trovare Melinda. La giovane donna non ha mai dato scandalo nel condominio, ad una certa ora esce, curatissima e truccata, prende la sua Smart rosso fuoco e va in città, talvolta non rientra la sera ma la mattina successiva. A chi le chiede che lavoro fa, ma non è mai capitato, risponde: governante. Nessuno le potrebbe mai credere ma a nessuno interessa il fatto che lei sia o no una escort.

    A destra abita un anziano signore, si fa chiamare Cavaliere, pensionato delle Ferrovie dello Stato, Giorgio Cerutti, detto Gino, come nella canzone di Giorgio Gaber, ottant’ anni portati bene, un solo grande cruccio: è vedovo, il figlio Cosimo abita molto lontano, al Sud, e non viene mai a trovarlo, né lui può pensare di intraprendere quel viaggio. Cosimo e la moglie, con tre figli, da tempo insistono perché il vecchio Cavaliere si faccia ricoverare alla Casa Villa Speranza, una Residenza assistita, nel paese vicino a quello del condominio. L’idea di Cosimo, rigettata però dal padre, sarebbe quella di vendere l’appartamento del condominio per potersi permettere, tra pensione e soldi della vendita, la retta elevata della casa di riposo.

    Quarto piano

    A sinistra la signora Maria Bartoccelli D’Egidio, anziana pianista professionista, che tiene lezioni pomeridiane ad alcuni ragazzi della zona. Amata da alcuni per la sua eleganza ed educazione, odiata da molti per il pianoforte che, soprattutto per i principianti, può trasformarsi per chi è costretto ad ascoltare in una lagna infastidente. Il Cavaliere le ha suggerito una possibile soluzione: le cuffie col Bluetooth e un piano elettronico. Per la donna uno scandalo, ma all’ultima riunione di condominio ha promesso che ci avrebbe fatto un pensiero. Altro motivo di contrasti con i condomini: la signora D’Egidio cucina tutti i giorni il cavolo, bollito o in altri modi, il cui profumo, per lei, puzzo per i più, pervade dal quarto piano giù fino all’androne e nell’ascensore tutto il caseggiato.

    Di fianco a lei un appartamento occupato da uno scapolo, Giacomo Repetti, ottico, proprietario alla periferia della città di uno dei più antichi negozi di ottica, fondato negli anni Venti del secolo scorso dal nonno. Giacomo è un tipo particolare, estroso, un gran chiacchierone, lavora con la sorella poco più giovane di lui, che vive nell’appartamento sopra il negozio. Geniale, ha ottenuto due brevetti per sue invenzioni, appassionato collezionista di macchine fotografiche con pellicola.

    L’altro appartamento è abitato saltuariamente da una coppia benestante, spesso in giro per il mondo, lui esperto velista che ha ereditato una discreta fortuna dal padre, lei arredatrice d’interni, che ha deciso di chiudere con la propria attività per seguire il marito nelle sue avventure: Gigi e Laura Toninelli, proprietari di una bella barca a vela con la quale organizzano viaggi nel Mediterraneo di una settimana, lautamente pagati.

    Poi, un giorno, arriva un virus. E tutto cambia. Passano due anni e ogni cosa sembra tornare alla normalità. Intanto la commedia umana dei nostri personaggi procede. La vita riprende come prima, ma i virus sono antichi, vari, e uno nuovo è già in agguato. In un luogo imprecisato del deserto, in un giorno altrettanto imprecisato, un cammello ne se esce con un gran starnuto, infetta quel poco di erba che c’è in un’oasi e, giorno dopo giorno, passa da un animale all’altro, fino all’uomo.

    Le vite dei nostri condòmini subiscono una svolta improvvisa e traumatica. Pensate allo psicoterapeuta che dall’oggi al domani non può più andare a trovare l’amante, si scambiano

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