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I sette poveri viaggiatori/The Seven Poor Travellers
I sette poveri viaggiatori/The Seven Poor Travellers
I sette poveri viaggiatori/The Seven Poor Travellers
E-book78 pagine1 ora

I sette poveri viaggiatori/The Seven Poor Travellers

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Info su questo ebook

A Rochester, la vigilia di Natale, il narratore s’imbatte in un ospizio per poveri viaggiatori. Ispirato dal clima natalizio, decide di offrire agli ospiti la cena della vigilia. È l’occasione giusta per raccontare una storia: durante la serata, il narratore intratterrà i commensali con la vicenda di Richard Doubledick, un soldato che si redense da una vita dissoluta grazie alla forza dell’amicizia e del perdono.
LinguaItaliano
Data di uscita31 ott 2023
ISBN9788892967755
I sette poveri viaggiatori/The Seven Poor Travellers
Autore

Charles Dickens

Charles Dickens was born in 1812 and grew up in poverty. This experience influenced ‘Oliver Twist’, the second of his fourteen major novels, which first appeared in 1837. When he died in 1870, he was buried in Poets’ Corner in Westminster Abbey as an indication of his huge popularity as a novelist, which endures to this day.

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    Anteprima del libro

    I sette poveri viaggiatori/The Seven Poor Travellers - Charles Dickens

    I LEONCINI

    frontespizio

    Charles Dickens

    I sette poveri viaggiatori

    ISBN 978-88-9296-775-5

    © 2020 Leone Editore, Milano

    Traduttore: Andrea Cariello

    www.leoneeditore.it

    Capitolo I

    Nell’antica città di Rochester

    ENG

    Per essere precisi, c’erano solo sei poveri viaggiatori; ma, essendo un viaggiatore anch’io pur se inattivo, oltre che povero come mi auguro, portai il numero a sette. Questa piccola spiegazione, è bene darla subito, perché cos’è che dice l’iscrizione sul caratteristico portone antico?

    Richard Watts, esq.

    Per sua volontà, in data 22 agosto 1579,

    fondò quest’ospizio

    perché sei poveri viaggiatori,

    che non siano censori o furfanti,

    possano ricevere gratis per una notte

    alloggio, ospitalità

    e quattro pence ciascuno.

    Fu nell’antica cittadina di Rochester, nel Kent – il più bel giorno dell’anno, la vigilia di Natale – che mi fermai a leggere questa scritta sul caratteristico portone antico in questione.

    Avevo gironzolato intorno alla vicina cattedrale e visto la tomba del rispettabile mastro Richard. La sua effigie sporgeva da essa come la polena di una nave. Pagato dazio al sagrestano, avevo avuto la sensazione di non poter far altro che chiedere la strada per l’opera benefica di Watts. Dopo un percorso molto breve e semplice, avevo raggiunto faustamente l’iscrizione e il caratteristico portone antico.

    «Dunque» mi dissi, mentre guardavo il batacchio «so di non essere un censore. Chissà se sono un furfante!»

    La mia coscienza diede luogo a due o tre simpatiche espressioni, che trovai più attraenti di quanto non avrebbe fatto un Golia della moralità. Io, in tal senso, non sono che un Pollicino. Tuttavia giunsi alla conclusione di non essere un furfante. Così, iniziando a considerare quell’istituzione un po’ come una mia proprietà, che il venerabile mastro Richard Watts aveva lasciato in eredità in egual misura a me e a diversi co-legatari, tornai indietro in strada per contemplare il lascito.

    La trovai una dimora pulita e bianca, con un’aria seriosa e venerabile. Aveva il caratteristico portone antico già citato tre volte (una porta ad arco), piccole finestre basse e lunghe con grate di prim’ordine e un tetto a tre spioventi. La silenziosa High Street di Rochester è piena di falde, antiche assi e pilastri intagliati con strani volti. È adornata da un vecchio, strano orologio che si sporge sul marciapiede, fuori da un solenne edificio di mattoni rossi, come se il tempo indugiasse lì e vi lasciasse il segno. A dire il vero il tempo, il suo lavoro a Rochester, l’ha fatto ai tempi dei romani, dei sassoni e dei normanni, e fino ai tempi di re Giovanni, quando il solido castello – non mi metterò a dire quante centinaia di anni aveva all’epoca – fu abbandonato a secoli di agenti atmosferici, che hanno deturpato le fenditure nelle mura al punto da dare l’impressione che corvi e taccole, con il becco, abbiano cavato gli occhi al rudere.

    Ero davvero molto soddisfatto sia della mia proprietà che delle sue condizioni. Mentre la contemplavo con crescente appagamento, a una delle grate in alto, che era aperta, scorsi una figura austera, dall’aspetto florido e matronale. Notai che aveva gli occhi rivolti a me, con curiosità. Mi dissero chiaramente: Vorrebbe vedere la casa?. Al che io risposi a voce alta: «Si, grazie». E nel giro di un minuto l’antico portone si aprì, io chinai il capo e scesi i gradini nell’ingresso.

    «Qui» disse la presenza matronale, facendomi strada in una stanza bassa sulla destra «è dove i viaggiatori siedono accanto al fuoco e cuociono il cibo che comprano con i quattro pence.»

    «Oh! Dunque non ricevono ospitalità?» domandai. Perché l’iscrizione sul portone mi stava ancora ronzando nella mente e mi ripetevo, come un ritornello: Alloggio, ospitalità e quattro pence ciascuno.

    «Hanno a disposizione un fuoco» rispose la matrona, persona molto cortese, non strapagata, come potei capire. «E questi utensili per cucinare. E su quella tavola sono scritte le regole di comportamento. Ricevono i loro quattro pence quando hanno preso i biglietti dal sovrintendente lungo la strada, perché non sono io ad ammetterli in prima persona, devono prima ottenere i biglietti. Qualche volta uno compra una fetta di pancetta, un altro un’aringa e un altro una libbra di patate e roba del genere. Alle volte due o tre di loro mettono insieme i loro quattro pence e ci fanno un’unica cena. Ma non ci si prende molto, con quattro pence, al giorno d’oggi, con il cibo così che costa così tanto.»

    «Verissimo» commentai. Avevo osservato un po’ la stanza, ammirando il suo accogliente focolare nell’angolo più in alto, la vista sulla strada attraverso la finestra a montanti bassi, le travi in alto. «È molto comoda.»

    «Poco adatta» osservò la presenza matronale.

    Mi piacque sentirglielo dire, perché ciò dimostrava un’encomiabile ansia di mettere in atto i propositi di mastro Richard Watts senza nessuna avarizia. Però la stanza era sistemata davvero così bene che protestai, in modo piuttosto caloroso, alla sua critica.

    «Ma no, signora» dissi. «Sono sicuro che è tiepida d’inverno e fresca d’estate. Trasmette l’idea di accoglienza familiare e riposo ristoratore. Ha un focolare caldo, il cui semplice bagliore, balenando in strada nelle notti invernali, basta da solo a scaldare il cuore di Rochester. E, per quanto riguarda la comodità dei sei poveri viaggiatori…»

    «Non mi riferisco a loro» replicò la presenza. «Parlo del fatto che è poco adatta per me e mia figlia, non avendo altro spazio in cui stare di notte.»

    Ciò era abbastanza vero, ma c’era un’altra stanza curiosa, dalle dimensioni simili, sul lato opposto all’entrata. L’attraversai, passando dalle porte aperte di entrambe le stanze, e domandai a cosa servisse.

    «Questa» rispose la presenza «è la sala delle riunioni, dove si incontrano i gentiluomini quando vengono qui.»

    Vediamo, pensai. Dalla strada avevo contato sei finestre al piano di sopra, oltre a queste del piano terra. Eseguendo mentalmente un complicato calcolo, ripresi: «Quindi i sei poveri viaggiatori dormono di sopra?».

    La mia nuova amica

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