Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Noi siamo i migliori
Noi siamo i migliori
Noi siamo i migliori
E-book168 pagine2 ore

Noi siamo i migliori

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Ci sono saghe familiari oscurate dalla storia, dalla fortuna o dal destino; talvolta la loro conoscenza resta circoscritta in ambito locale o in studi storici specifici, mentre, a ben guardare, nascondono un’epica narrativa intensa e avvincente. Una di queste è l’epopea della famiglia Drengot, cinque fratelli che nel 1016, esiliati dalla Normandia e espropriati di tutti i beni, decisero di ricostruire da zero le loro fortune spostandosi nel meridione d’Italia. Ridotti a mercenari predoni, decimati da dure sconfitte, nel giro di un ventennio riusciranno a divenire un elemento chiave per la vita politica e militare del Mezzogiorno. I Drengot, i migliori secondo l’etimologia del loro originario nome danese, ottenendo terre e titoli nobiliari faranno da apripista per la successiva emigrazione in massa dalla Normandia, quella che porterà nel volgere di un secolo alla costituzione del Regno normanno di Sicilia con la dinastia degli Altavilla.
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita15 apr 2020
ISBN9788833664873
Noi siamo i migliori

Leggi altro di Alfredo Cosco

Correlato a Noi siamo i migliori

Ebook correlati

Narrativa storica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Noi siamo i migliori

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Noi siamo i migliori - Alfredo Cosco

    Quei maledetti Normanni

    Napoli, 2 Maggio 1043

    In Nomine Domini Nostri Salvatoris Ihesu Christi. Imperante Domino Nostro Constantino Magno Imperatore Anno Primo, Die Secunda Mensis Magii, Indictione Undecima, Neapoli.

    In fede io, Sefano, umile presbitero, di cognome Franco, figlio del fu Giovanni.

    Dal giorno presente, con prontissima volontà, prometto a voi domino Laurenzio, venerabile igumeno del monastero dei Santi Sergio e Bacco, ora congregato con il monastero dei Santi Teodoro e Sebastiano (chiamato Casapicta sito in Viridiarium), e a tutta la vostra congregazione di monaci del predetto vostro Santo e venerabile monastero, per il mantenimento delle porzioni e delle pertinenze di proprietà del vostro Santo monastero afferenti alla chiesa di San Gennaro, sacerdote e martire di Cristo, nella zona chiamata Spoliamorta, sita tra due vicoli, uno chiamato Dei Giudei e uno Trea Fata detto anche Carrarium nella regione di Porta San Gennaro.

    Allo stesso modo mi impegno ad amministrare le case, le dispense, le abitazioni, le cantine, i codici e gli ornamenti pertinenti alla suddetta chiesa dove, con la volontà del Signore, mi ordinaste custode, secondo la condizione per cui da ora e per ogni giorno della mia vita sia in mia potestà disporre di questi beni: mantenerli, amministrarli e goderne dei frutti. E nella stessa chiesa sia in mia potestà di fare e far fare, giorno e notte, gli offici sacerdotali, cioè quelli del vespro, i mattutini, le messe solenni e le preghiere.

    Invero dobbiamo fare e mostrare, giorno e notte, la preparazione dei ceri, affinché presso Dio e tutti gli uomini per noi ci sia lode e cresca la grazia.

    E qualunque cosa, nella suddetta chiesa o nelle sue abitazioni, che avesse da acconzarsi o sfravicarsi, io la farò acconzare e sfravicare in modo che sarà fatta e lavorata a regola d’arte.

    E qualsivoglia offerta o donazione di bene mobile sia fatta, tanto da uomini quanto da donne, io avrò piena potestà di disporne come meglio credo. Se invece saranno beni immobili, tanto terre quanto beni volti all’abbellimento della suddetta chiesa, che essi rimangano al loro posto anche dopo il mio trapasso.

    E per la mia alimentazione mi avete dato e consegnato le proprietà, le case, le celle, le abitazioni, gli orti, i codici e gli ornamenti delle dette porzioni della suddetta chiesa, dentro e fuori e in qualsiasi modo, come si legge sopra, affinché io possa, per tutti i giorni della mia vita, tenerli e governarli, goderne dei frutti e lavorarli e darli a lavorare senza atti scritti.

    In basso e in alto potrò prenderne i frutti e consumarli e di quegli stessi frutti potrò farne quello che voglio e senza che me ne togliate nessuna parte.

    Così ogni anno io, per tutti i giorni della mia vita, consegnerò al suddetto vostro monastero, a voi igumeno e ai vostri posteri:

    - per la natività del Signore tre paia di pani per la messa

    - nella santa Pasqua nella resurrezione del Signore due paia di pani

    - ogni anno per Giovedì Santo venti focacce senza nessuna obiezione.

    Così ogni anno dovremo fare tutte le altre cose consuete della suddetta chiesa siccome fu dai tempi antichi.

    E anche quest’anno, se lo vorrà Dio e se quei maledetti Normanni andranno via dalla Terra di Lavoro e ci riprenderemo le terre, io per la suddetta chiesa dovrò versare quindici solidi d’oro e quindi prendere terre o case o cose idonee per la predetta chiesa affinché le abbia ivi per sempre.

    E non abbiate dunque il permesso voi o i vostri posteri o il suddetto monastero per tutti i giorni della mia vita di cacciarmi o di togliermi i miei beni né, che non avvenga, che sia posto o ordinato sopra di me qualsivoglia sacerdote, chierico, monaco o qualunque altra persona, in alcun modo se adempirò sempre a tutte le cose menzionate per ogni ordine e tenore come sopra si legge.

    Dopo il mio trapasso invece insieme tutto ciò che è in inventario e mi è stato assegnato ritorni in possesso vostro e dei vostri posteri e del predetto vostro monastero di cui di diritto risultano essere. Poiché così fu a noi gradito.

    Se poi diversamente facessimo di tutte queste cose menzionate in qualsiasi modo o tramite persone subordinate, allora paghiamo come ammenda a voi dodici solidi aurei di Bisanzio e questo atto di ordinazione, come sopra si legge, sia fermo.

    Scritto per mano del primario Sergio per l’anzidetta undicesima indizione.

    Hoc signum † manus memorati stephani presbytero quod ego qui memoratos pro eum subscripsi †

    Ego stefanus presbyter: subscripsi†

    Ego gregorius filius domini petri testis subscripsi †

    Ego iohannes Curialis: testis subscripsi †

    Ego leo filius domini iohannis testi subscripsi †

    Ego sergius primarius Complevi et absolvi per memorata undecima indictione †

    Cinque bravi ragazzi

    1016. Luna versa in sanguinem

    Cronaca dell’Anonimo Cassinese

    Fu rientrando da un pellegrinaggio fatto al monastero di Mont-Saint-Michel, alla fine di gennaio dell’anno 1016, che Ansketil venne investito dalle disgrazie riversatesi sulla sua famiglia. Eventi che avevano trasformato suo fratello maggiore Osmond in un criminale e gli altri in reietti, lui compreso.

    Il duca Riccardo II, diretto discendente del grande Rollo, aveva organizzato una caccia al cervo, un’occasione per l’esuberante principe di passare un paio di giorni con i suoi famigli più stretti nei boschi di Lyons. Di ubriacarsi, cavalcare fino allo sfinimento, inseguire selvaggina per ore e poi magari dedicarsi a qualche giovane serva, lontani da mogli e preti troppo invadenti.

    La vecchia generazione normanna ancora mal sopportava i tanti divieti imposti da abati e vescovi. E se i sacrifici umani erano un’usanza ormai definitivamente scomparsa, si sapeva che, specialmente nelle aree più remote, al solstizio o all’equinozio, qualche bue ancora veniva sgozzato a scopi propiziatori.

    Pochi, inoltre, erano quelli che avevano accettato di rimanere monogami, specie con mogli sempre più spaventate dai peccati della carne e dalle fiamme dell’inferno.

    Così diversi signori ancora prendevano, a patto di poterselo permettere, almeno due spose: una secondo i dettami di Santa Romana Chiesa, l’altra " more danico", ovvero secondo i costumi vichinghi.

    Questa rilassatezza di fronte agli insegnamenti di Cristo in Terra, riscuoteva sempre meno successo nei cavalieri più giovani, cresciuti all’ombra della rigorosa dottrina portata dai monaci cristiani di origine franca e borgognona.

    Anche Ansketil trovava in cuor suo ripugnanti le gozzoviglie del duca, meno i suoi fratelli maggiori Osmond e Gilbert, soprannominato Buaterre, il Bottaio.

    All’alba di questa battuta di caccia i cavalieri erano riuniti nel capanno di campagna del duca, appena a sud di Rouen.

    Alcuni bevevano per combattere il freddo e prepararsi alla giornata. Questo sciolse le lingue e ben presto fioccarono i resoconti dei bordelli visitati in pellegrinaggio a Roma o sui piaceri delle prigioniere bretoni o delle contadine del Cotentin.

    Il duca, avvicinatosi al gruppo, rimase per un po’ ad ascoltare compiaciuto, quindi si rivolse a un cavaliere fino ad allora rimasto a bere in silenzio:

    -Willem, tu non hai nulla da raccontarci? Il tuo cuore è inaccessibile all’amore?-, e spinse il ventre in avanti agguantando con la mano i genitali, per scuoterli platealmente, mente cacciava una risata oscena.

    -Taccio principe perché, con tutto il rispetto, queste fogne parlano di puttane italiane, ratti di ebree e vecchie bretoni prese per faida. I miei piaceri sono di un altro livello e meritano l’orecchio di una testa coronata.-

    Tutti esplosero a ridere e un cavaliere incalzò Willem Repostel:

    -Più coronato del duca qui non c’è nessuno. Ti va bene o preferisci che vada a dissotterrarti un qualche Carlo a Parigi?-

    -Vammi a prendere tua sorella a Saint-Lô e magari ti faccio raccontare qualcosa da lei!-, rispose Willem accompagnandosi con un potente rutto.

    -Brutto bastardo come ti permetti!-, urlò l’altro alzando un pugno mentre altri due lo trattenevano.

    L’accenno di rissa fu placato da Riccardo:

    -Fermi! Fermi! Con calma. Willem, sono tutto orecchi amico mio.-

    -Ebbene...-, iniziò esitante, trangugiò una coppa intera di calvados, -Eleisunde, la giovane Drengot, quella con le lentiggini. Non più di una settimana fa, in un casino di caccia ad Avesnesen-Bray-, si fermò, poi ruttò ancora e aggiunse con un sorriso ebete da ubriaco, protendendo il bacino mentre mimava una cavalcata: -Anche a pecora.-

    I cavalieri risero del racconto di Willem, che, incitato dai compagni e incoraggiato da diversi bicchieri continuò, nello scherno generale, a fornire particolari osceni della sua prodezza.

    Sfortuna volle per lui che in una stanza del capanno, appena dietro una sottile parete di legno, vi fosse Osmond, il padre di Eleisunde, che non aveva bevuto e tentava di riposare.

    Quel mattino, il corteo giunse ai boschi di Lyons in leggero ritardo, si posizionò in cima a una collina e i servi iniziarono ad alzare le tende.

    Il duca si mise a giocare a dadi per ingannare il tempo; pochi passi alle sue spalle Willem, parzialmente ripresosi dalla sbornia, faceva due gocce accanto a un albero quando sentì urlare il suo nome.

    -Repostel! Lurida feccia, sudicio pelo di culo, figlio di una meretrice franca, maiale indegno della spada! Mia figlia! La più piccola! Infangata da un vile come te!-.

    Willem si voltò di scatto, vide Osmond poco lontano da lui mentre ritraeva un braccio come se avesse appena scagliato una lancia, poi la vide, la vide in aria che oscillava puntando dritta verso di lui e improvvisamente sentì un fuoco nei polmoni, era la punta che penetrava nel suo torace.

    Rimase così, in piedi, con lo sguardo basso verso l’asta che lo trapassava da parte a parte, la bocca aperta e il membro fra le mani.

    Osmond gli corse incontro e brandì il manico che usciva da sotto lo sterno trafitto, lanciando un grosso urlo spinse il malcapitato fino a farlo rovinare dal crinale della coll ina.

    Ben presto nell’accampamento fu il caos. I familiari di Willem avevano sguainato i ferri verso Osmond, mentre Gilbert con i servi erano corsi in sua difesa, brandendo quante armi potessero, anche improvvisate come bastoni, asce e roncole.

    Fu il duca a scongiurare uno scontro armato, frapponendo la sua guardia personale fra le due fazioni, quindi ebbe la pessima idea di ordinare l’arresto di Osmond. Questi, convinto delle sue azioni, reagì armi in pugno; il suo diniego ben presto ebbe l’appoggio di numerosi altri cavalieri che avidamente fiutarono un’ulteriore occasione di instabilità utile per riaprire conflitti territoriali e faide familiari, veri e propri flagelli che dilaniavano una Normandia. Ogni pretesto era valido per schierarsi con l’uno o l’altro signore, a seconda della convenienza o del rancore che si poteva portare, magari, verso un lontano parente.

    Il numero di uomini che prendeva man mano le difese del Drengot suggerì a Riccardo una strategia più cauta, fece smantellare il campo e condusse il corteo fino a Rouen, mantenendo accuratamente distanti le due fazioni con la sua guardia.

    In città i cavalieri furono tutti riuniti in cattedrale dove, dopo aver ascoltato le ragioni di Osmond, il duca tenne una lunga camera di consiglio con i suoi uomini più fidati e il vescovo, tornato di fronte all’assemblea, pronunciò il suo giudizio: non morte ma esilio e confisca dei beni, per tutto il clan. Avevano tre giorni per riempire quanti più carri potessero e andare via.

    Inaspettatamente per Osmond e Gilbert, e a riprova di quanto fossero volatili certe alleanze, il giudizio del duca venne ratificato dalla quasi totalità degli altri signori. I due malcapitati dovettero tornare nei loro possedimenti alla velocità del vento e, quella sera stessa, si videro costretti a

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1