Santiano - Una razza per amica
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Recensioni su Santiano - Una razza per amica
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Anteprima del libro
Santiano - Una razza per amica - Giada Arrigoni
Uno
Venerdì 16 dicembre 2022. Finalmente, dopo due interminabili settimane di pioggia, il sole splende alto nel cielo! È una giornata ventosa, ma le temperature sono comunque piacevoli. Nel primo pomeriggio io e mia madre decidiamo di andare a fare una passeggiata al mare. Saliamo in auto e, una volta decisa la nostra meta, ci dirigiamo verso la pineta. Visto il fango creatosi a causa dei violenti acquazzoni che hanno colpito la costa, il piazzale adiacente è il luogo migliore per parcheggiare il proprio mezzo senza il rischio di rimanere impantanati, mentre quell’odoroso bosco secolare di pini marittimi è un comodo accesso alla spiaggia. Posteggiamo e, dopo aver preso le nostre borse, ci addentriamo fra i tronchi grinzosi degli alberi. L’aria è fresca, ma il sole è caldo. I suoi dorati raggi filtrano fra le dense chiome delle piante creando un delicato gioco di luci e ombre che rischiara il soffice tappeto di aghi che tappezza per intero la foresta. Il canto degli uccellini e il tubare profondo dei colombacci rallegrano la nostra piacevole passeggiata finché quelle allegre melodie non vengono sovrastate dal rumore delle onde che si infrangono sulla scogliera. Seguiamo la passerella di legno e ben presto ci ritroviamo in una capanna di legno attorniati dalle dune selvagge che costeggiano il litorale. Ci fermiamo e osserviamo un istante il panorama. Da lassù vediamo il luccichio dell’Oceano Atlantico, la riga dell’orizzonte dove il cielo limpido e azzurro accarezza le sue fredde e vaste acque salate e la costa che si estende di fianco a noi, sia a destra che a sinistra, in un miscuglio fra zone naturali incontaminate e cittadine pittoresche. Riprendiamo a camminare e finalmente raggiungiamo la battigia. C’è bassa marea. Una vasta porzione del fondale roccioso è emersa in superficie mentre l’arenile è costellato da degli enormi cumuli di alghe rossastre fra le quali pasteggiano alcuni stormi di fratini, simpatici uccellini dal piumaggio bianco e grigio, e qualche grosso gabbiano. Ci avviciniamo alla parte pietrosa, mantenendoci comunque a una certa distanza da quegli accumuli di modo da non disturbare la fauna selvatica, e ci dirigiamo verso ovest. Camminiamo parlando del più e del meno, ammirando nel mentre lo splendido paesaggio che ci circonda, fino a quando il mio occhio non cade su uno strano oggetto nero adagiato sulla sabbia a circa un metro di distanza da me. Incuriosita, mi avvicino e lo osservo per un breve istante. Nella sua inconfondibile forma rettangolare munita di quattro lunghe corna riconosco subito quella di un uovo di razza. Negli anni ne avevo già trovato qualcuno vuoto spiaggiato e, guidata dalla sete di conoscenza, mi ero documentata per sapere cosa fossero. Mi chino e lo esamino più da vicino. Perché? Perché a un primo, rapido sguardo sembra intatto.
«Impossibile!» mi dico.
Lo afferrò con delicatezza e lo sollevo da terra. Ha un certo peso, la sua consistenza è cornea e al tatto è liscio e umidiccio. Provo a metterlo controluce per vedere cosa c’è al suo interno e con grande stupore scorgo il tuorlo rotondo e giallognolo con un piccolo embrione che si dimena come un forsennato in un liquido trasparente cosparso qua e là da qualche bollicina. «E adesso? Che faccio?» penso. Non posso lasciarlo lì, ma non posso nemmeno rimetterlo in mare. Ad eccezione di qualche piccola pozza di marea, l’intera zona è in secca. Per raggiungere l’oceano dovrei camminare sugli scogli come un’equilibrista per almeno un centinaio di metri, un’azione rischiosa e temo anche ai limiti della legalità. Medito un istante sul da farsi poi estraggo una bottiglia di plastica dalla borsa che mi sono portata appresso, la svuoto, le taglio il collo con un coltellino da tasca,