Racconti di fine stagione
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Anteprima del libro
Racconti di fine stagione - Gian Paolo Squassino
633/1941.
PREMESSA
Ho pensato molto prima di decidere se scrivere nuovi racconti, oppure riprendere episodi già presenti in altre pubblicazioni, episodi che hanno, per me, un’importanza particolare. Ho deciso di optare per la seconda soluzione e di utilizzare una serie di racconti appartenenti a libri scritti nell’arco di venti anni. Sono, in effetti, il resoconto di quarant'anni di professione, che ho scelto fra gli innumerevoli racconti pubblicati negli anni passati. Il titolo di questa raccolta è anche una sorta di metafora di un periodo della mia vita vissuta a contatto con i miei pazienti a quattro zampe. Mi auguro che questi Racconti di fine stagione
siano di vostro gradimento e possano regalarvi momenti di allegria e, perchè no, strapparvi qualche lacrima.
Buona lettura.
COMMIATO
Osservo le piccole onde che arrivano fin quasi a lambirmi i piedi. Il clima è già piacevole anche se il mese di aprile è iniziato da poco. Una brezza leggera accarezza la superficie del mare increspandola appena e dipingendo l’acqua con diverse sfumature di azzurro. Sono seduto sulla sabbia della microscopica spiaggia, proprio sotto casa mia, in totale rilassamento fisico, seppure la mente continui a funzionare a pieno regime. Si sta bene qui: sento la necessità, da un po’ di tempo a questa parte, di trascorrere un giorno o due alla settimana in questo angolo di paradiso completamente staccato dal ritmo caotico della vita odierna. Sto invecchiando: si, sto invecchiando piacevolmente! A poco a poco cerco di recuperare, se non in toto almeno in parte, un po’ di tempo rispetto a tutto quello dedicato, nei decenni passati, a quella che è stata la mia passione per il lavoro di medico degli animali.
I pensieri e i ricordi si accavallano in un turbinìo di immagini, parole, dialoghi, soddisfazioni, preoccupazioni, sconfitte. Guardo la linea limpida dell’orizzonte, interrotta solo dall’immagine minuta di una nave lontana e immagino i passeggeri vocianti, le grandi sale da the, i bar, i ristoranti, i visi allegri di chi parte fiducioso e di chi ritorna soddisfatto da una vacanza in luoghi lontani. Vacanze: già, io nella mia vita vacanze ne ho fatte pochissime e nessuna in luoghi lontani.
Penso a quello che è stato e a quello che sarà.
Oggi la mia attività di medico veterinario e quella dei miei colleghi di ambulatorio, ha raggiunto livelli molto soddisfacenti anzi, senza nessuna presunzione, decisamente più che buoni. Sono molto conosciuto nell’ambiente veterinario, ho avuto parecchie soddisfazioni, pubblicato per riviste scientifiche, tratto argomenti interessanti e attuali, per cui mi sento completamente gratificato dal mio percorso professionale.
Proprio ora, all’apice del mio successo ora, su questa minuscola spiaggia deserta con i piedi affondati nella sabbia tiepida e la presenza di un gabbiano immobile sullo scoglio di fronte che mi osserva incuriosito, ho deciso di accommiatarmi dalla professione.
Smetterò di svegliarmi alle 6,30, di essere presente in ambulatorio alle 8, di visitare i miei pazienti, di entrare in sala operatoria, di compilare ricette, fare esami del sangue, scattare radiografie e di fare tutto ciò che ho fatto per circa quarant’anni. L’ho deciso ora e non ci sarà neppure un ripensamento! Sono convinto sia giusto, dopo decenni dedicati in gran parte a questo lavoro, accommiatarmi nel momento di massimo successo. Continuerò a lavorare per così dire dietro le quinte
, dedicandomi alla ricerca.
Non ci sarà obbligo di orari, non ci sarà più un rapporto diretto col pubblico ma una nuova attività che mi consentirà maggior libertà.
Una nuvola bianca oscura, per un attimo, la luce del sole senza la quale un brivido di freddo percorre il mio corpo.
Faccio quattro passi lungo la spiaggia deserta e mi avvio verso casa. Dovrò ringraziare molte persone, in primo luogo la mia famiglia, alle quali è dovuta una parte del mio successo, ma lo farò a tempo debito e, certamente, di persona.
Oggi mi sento più leggero perché ho preso una decisione importante, tanto quanto quella presa 45 anni fa, quando mi iscrissi alla Facoltà di Medicina Veterinaria. Auguro a tutti, particolarmente a chi non conosco ed è ancora in attività, successi almeno pari a quelli che ho avuto io e il suggerimento di esercitare questo magnifico lavoro con amore, sapendo che quella del medico è una grande responsabilità.
INTUITO
Ciò che vi andrò a raccontare è l’emblema di quanto variegata e imprevedibile possa essere la professione del medico veterinario. Quest'avventura risale a un bel po’ di anni fa, precisamente a una mattina d'estate di fine anni Ottanta, quando si presentò presso il nostro ambulatorio una giovane coppia di persone di bell’aspetto e di modi gentili, che ci pregarono di dare un’occhiata ai loro due cani affetti da una sintomatologia strana e oltremodo preoccupante. l cani erano impossibilitati a entrare in ambulatorio, e poi capirete perché, per cui fummo obbligati a uscire e ci dirigemmo, scortati dai due proprietari, verso un’imponente vettura dal cui lunotto posteriore si intravedevano i grossi musi di due magnifici esemplari di airedales terrier. Aperto il portellone posteriore ci rendemmo conto immediatamente del motivo delle preoccupazioni della coppia: i due cani parevano paralizzati sulle zampe posteriori e ogni tentativo per sollevarsi terminava con una caduta scomposta sul pavimento del bagagliaio della grande vettura. Volevamo vederci chiaro, per cui decidemmo di trasportare almeno uno dei due animali in ambulatorio per gli accertamenti del caso. In effetti il cane non era paralizzato completamente poiché, se lo si aiutava a mettersi in posizione quadrupedale, riusciva a rimanerci per qualche secondo per poi, però, precipitare inesorabilmente a terra. Oltretutto i suoi occhi apparivano opachi e il grado di attenzione diminuito, nonostante le stimolazioni da parte dei proprietari. Questi ultimi ci raccontarono di abitare una grande cascina appena fuori dalla città, circondata da un ampio parco nel quale i due cani vivevano in assoluta libertà. Intanto osservavamo il soggetto davanti a noi che presentava, cadenzati, sintomi nervosi sempre uguali e ricorrenti. Nei rari momenti nei quali l’animale riusciva a sorreggersi autonomamente, si avvicinava al muro cercando un sostegno per non precipitare nuovamente a terra. I miei colleghi e io ci guardammo perplessi, non convinti della diagnosi che pure fummo costretti a fare per tranquillizzare i proprietari: dicemmo loro che vi era sicuramente un danno cerebrale non grave e che, seguendo le nostre prescrizioni, il problema si sarebbe risolto. Appena la coppia uscì dall’ambulatorio manifestammo all’unisono le nostre perplessità: era infatti impossibile che entrambi i cani presentassero gli stessi sintomi nervosi, nello stesso momento e con la stessa intensità, senza che fosse intervenuto qualche fattore esterno. Tutti e tre propendemmo per un avvelenamento da alfa-cloralosio, un topicida molto diffuso che determina sintomi nervosi simili a quelli che manifestavano i due cani-. Certamente avranno messo in giro il veleno per i topi, o magari non sono stati loro, ma i guardiani...
- disse Flavio, mentre Beppe rincarò la dose aggiungendo - ln campagna appena vedono un topolino riempiono di veleno e, in genere, avvelenano gli animali di casa
. Comunque le cure che avevamo prescritto erano utili anche per quel tipo di patologia, per cui ci sentimmo tranquilli nei confronti dei due cani. Passate alcune ore, come d'accordo, ricevemmo la telefonata dei proprietari che ci confermarono l’ottimo stato di salute dei due animali che, in quel momento, si stavano rincorrendo nel prato antistante la casa. Consigliammo ai proprietari di controllare ed eliminare eventuali esche avvelenate dall'ambiente al fine di evitare pericolose ricadute. I proprietari, stupiti dalla richiesta, ci assicurarono che assolutamente nessun topicida era stato utilizzato e che, anzi, erano nettamente contrari all’uso di tali sostanze. Ci permettemmo di insistere asserendo che la gente di campagna ne fa un uso smodato e che, probabilmente a loro insaputa, i guardiani le avevano collocate da qualche parte. Notai perplessità nella voce dell’uomo, ma non osò contraddirci poiché i cani si erano completamente ristabiliti grazie alle nostre cure. L’episodio venne accantonato e non ci pensammo più. Era una domenica mattina della fine di luglio e mi stavo accingendo ad aprire la porta dell'ambulatorio, quando sentii chiaro il trillo del telefono all’interno. Mi precipitai, sollevai la cornetta e mi giunse all’orecchio la voce agitata del proprietario dei due airedales che mi pregava di raggiungere al più presto possibile la sua abitazione perché i due cani si stavano comportando esattamente come la settimana precedente e, in più, escludeva completamente la presenza di topicidi nell’ambiente. Risposi che sarei andato immediatamente ma, per maggior sicurezza e anche per avere un eventuale aiuto, preferii attendere l’arrivo dei miei colleghi che pregai di seguirmi per verificare ulteriormente quel caso che cominciava a creare qualche preoccupazione. Percorremmo in silenzio i pochi chilometri che ci separavano dalla destinazione finchè giungemmo davanti a una bella cascina ristrutturata a regola d'arte. Il cancello era aperto e il proprietario attendeva all’ingresso del viale. Appena ci vide indicò un punto in mezzo al prato distante una cinquantina di metri dove i due cani, abbastanza vicini l’uno all'altro, facevano inutili tentativi per sollevarsi sulle zampe ma, inesorabilmente, precipitavano a terra sgambettando furiosamente nel vuoto. La padrona di casa, a metà strada fra noi e i cani, piangeva sommessamente coprendosi il viso con le mani mentre il marito, oltremodo preoccupato, chiedeva spiegazioni sull’origine della malattia che in quel momento non eravamo in grado di diagnosticare. Prelevammo il sangue a entrambi gli animali, li rivisitammo da capo a piedi ma, al di là degli evidenti sintomi neurologici, tutto quanto rientrava nella piena normalità. - Eppure, ieri sera, stavano benissimo...
-disse il proprietario rivolto a Flavio - hanno giocato tutta la sera con quel pallone: si figuri che i nostri amici hanno passato gran parte del tempo a effettuare lanci, divertendosi a farsi riportare la palla. A un certo punto abbiamo persino dovuto rinchiuderli nel timore che disturbassero gli ospiti
- piagnucolò la signora. Noi tre, intanto, non sapevamo che pesci pigliare: i cani parevano in buono stato di salute, ma non riuscivano a reggersi sulle zampe, né a camminare. Cosa potevamo mai dire ai proprietari? Proponemmo una terapia generica per prendere tempo e informarci presso colleghi o istituti universitari al fine di venire a capo di quella situazione incresciosa. Appena giunti in ambulatorio contattammo chiunque potesse darci un qualche aiuto ma, dopo numerose telefonate, ci ritrovammo al punto di partenza. Verso sera, preoccupati, telefonammo ai proprietari per chiedere notizie degli animali e fummo informati che, in quel momento, i due erano in forma perfetta. Quella faccenda mi piaceva sempre meno e in più mi stava logorando: non riuscivo a togliermi dalla testa i due cani barcollanti e i proprietari disperati e, in più, cominciavo a dubitare delle mie capacità diagnostiche. l giorni successivi li vivemmo nel timore di sentire ancora i proprietari dei due airedales: tutte le volte che il telefono squillava ognuno di noi faceva a gara per far rispondere qualcun altro. Passò la settimana e non avemmo notizie. In cuor mio speravo che, per una sorta di miracolo, i due cani si fossero rimessi in sesto e non ci assillassero più con quello strano male. La domenica successiva, di buon'ora avemmo l'amara sorpresa di ascoltare al telefono ciò che avevamo pregato per tutta la settimana di non risentire: i due cani erano nelle stesse condizioni di quando li avevamo visti l’ultima volta. Ci precipitammo sul posto: stessa scena, stessi pianti della signora, mentre la considerazione nei nostri confronti era caduta