Il trafugatore di salme
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Info su questo ebook
Robert Louis Stevenson
Robert Louis Stevenson (1850-1894) was a Scottish poet, novelist, and travel writer. Born the son of a lighthouse engineer, Stevenson suffered from a lifelong lung ailment that forced him to travel constantly in search of warmer climates. Rather than follow his father’s footsteps, Stevenson pursued a love of literature and adventure that would inspire such works as Treasure Island (1883), Kidnapped (1886), Strange Case of Dr Jekyll and Mr Hyde (1886), and Travels with a Donkey in the Cévennes (1879).
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Anteprima del libro
Il trafugatore di salme - Robert Louis Stevenson
I LEONCINI
frontespizioRobert Louis Stevenson
Il trafugatore di salme
ISBN 978-88-9296-821-9
© 2016 Leone Editore, Milano
Traduttore: Andrea Cariello
www.leoneeditore.it
ENG
Ogni sera dell’anno, eravamo in quattro a ritrovarci nella piccola sala del George, a Debenham – l’impresario delle pompe funebri, il proprietario, Fettes e io. Talvolta la compagnia era più nutrita, ma con qualsiasi tempo – pioggia, neve o gelo – noi quattro eravamo sempre piazzati nelle nostre rispettive poltrone. Fettes era un vecchio ubriacone scozzese, uomo palesemente di cultura e dalla cospicua rendita, dato che viveva nell’ozio. Era arrivato a Debenham anni fa, ancora giovane, e per il semplice fatto di aver continuato a viverci ne era diventato cittadino d’adozione. Il suo mantello di cammellotto blu era un monumento del luogo, come la guglia della chiesa. Il suo posto nella sala del George, la sua assenza dalla chiesa, i suoi vecchi vizi eccessivi e deprecabili erano cose risapute a Debenham. Aveva idee vagamente radicali e qualche fugace miscredenza, che tirava fuori e sottolineava con delle incerte manate sul tavolo. Beveva rum – cinque bicchieri ogni sera, immancabilmente – e per la maggior parte del tempo della sua visita serale al George se ne stava seduto, con il bicchiere nella mano destra, in uno stato di malinconica saturazione alcolica. Lo chiamavamo il Dottore, perché si riteneva che avesse delle particolari conoscenze di medicina, ed era risaputo che, in caso di emergenza, fosse in grado di sistemare una frattura o ridurre una lussazione. Però, oltre a questi particolari, non sapevamo nulla del suo carattere e del suo passato.
Una buia notte d’inverno – erano scoccate da poco le nove quando l’oste si unì a noi – al George c’era un tizio che stava male, si trattava di un importante proprietario della zona che era stato colpito da un ictus mentre si stava recando in Parlamento. Così, al grandissimo dottore di quel grand’uomo venne telegrafato di presentarsi al suo capezzale. Era la prima volta che a Debenham accadeva una cosa del genere, dal momento che la ferrovia era stata inaugurata solo di recente, e noi tutti eravamo piuttosto emozionati per l’evento.
«È arrivato» disse l’oste, dopo aver caricato la pipa ed essersela accesa.
«Arrivato?» chiesi io. «Chi, il dottore?»
«Esatto» rispose il nostro anfitrione.
«Come si chiama?»
«Dottor Macfarlane» disse il proprietario.
A Fettes, intontito e confuso per essersi quasi scolato il terzo bicchiere, ogni tanto cadeva la testa e ogni tanto si guardava intorno inebetito. Però, a quell’ultima parola, sembrò risvegliarsi e ripeté due volte il nome «Macfarlane»: la prima in maniera tutto sommato tranquilla, ma la seconda con un improvviso turbamento.
«Sì» confermò l’oste «si chiama così, dottor Wolfe Macfarlane.»
Fettes tornò sobrio all’istante. Gli occhi gli si aprirono, la voce divenne chiara, forte e ferma, e prese anche a esprimersi con un linguaggio energico e accorato. Rimanemmo tutti basiti da quella trasformazione, come davanti a un uomo risorto dal regno dei morti.
«Chiedo scusa» esordì «temo di non aver prestato molta attenzione a ciò che dicevate. Chi sarebbe questo Wolfe Macfarlane?» E poi, quando ebbe ascoltato l’oste fino in fondo, aggiunse: «Non può essere, non può essere. Mi piacerebbe proprio incontrarlo faccia a faccia».
«Lo conosce, Dottore?» chiese il becchino con un rantolo.
«Dio non voglia!» fu la replica. «Eppure, è un nome particolare. Sarebbe strano che ce ne fossero due. Mi dica, oste, è anziano?»
«Be’» rispose l’oste «di sicuro non è giovane, e ha i capelli bianchi. Però, sembra più giovane di lei.»
«E invece è più vecchio. Più vecchio di anni. Ma» aggiunse con una manata sul tavolo «ciò che vede sul mio volto è il rum, il rum e il peccato. Magari, quest’uomo avrà una coscienza tranquilla e una buona digestione. Coscienza! Ma sentitemi. Magari penserete che sono stato un buon vecchio cristiano per bene, vero? Invece non è così. Non sono mai stato un bigotto, io. Forse, Voltaire lo sarebbe stato al posto mio, ma la materia grigia» lo disse dandosi un colpetto secco sulla pelata «era lucida e funzionante. Io ho visto, non ho fatto deduzioni.»
«Dal momento che lei conosce questo dottore» mi azzardai a osservare, dopo una pausa alquanto spaventosa «devo dedurre che non condivide la buona opinione che ne ha il proprietario.»
Fettes non mi considerò per niente.
«Sì» dichiarò con