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Le tue innocenti bugie
Le tue innocenti bugie
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E-book324 pagine4 ore

Le tue innocenti bugie

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Info su questo ebook

Un'autrice bestseller di New York Times e USA Today

Pretty Series

Lei. Sloane Locke vive in una campana di vetro. Non è strano, visto quello che ha passato, che il padre e i fratelli vogliano proteggerla. Per venti lunghi anni è stata alle loro regole, ha accettato di essere considerata fragile, ma quei giorni sono finiti. Ha fatto un patto con se stessa: le cose cambieranno non appena compirà ventun anni. Così, il giorno del suo compleanno, allo scoccare della mezzanotte, Sloane spiega finalmente le sue ali e si prepara a volare. 
Lui. Oltre a saper creare tatuaggi straordinari, Hemi Spencer ha anche molte altre qualità. Tra queste però non rientra la pazienza. È sempre stato così: ha vissuto da sempre nell’autoindulgenza, fino a… quel tragico incidente. Adesso è tremendamente determinato e ha una sola missione nella vita. Non permetterà a nessuno di ostacolarlo. Loro. Niente nella vita avrebbe potuto preparare Sloane e Hemi a ciò che stanno per scoprire. Nessuno di loro è mai stato davvero onesto con se stesso. Ma quanto in là possono andare due persone che sanno vivere solo nel presente?

L’autrice bestseller di New York Times e USA Today che ha conquistato l’Italia
Autrice della Bad Boys Trilogy

«Ho adorato ogni dettaglio della storia di Sloane e Hemi. Il fatto che il punto di vista fosse alternato mi ha dato modo di esplorare i sentimenti di Hemi e in più parti ho riso e ho pianto. Una splendida lettura!» 

«Volevo sbrigarmi a leggere per sapere che cosa sarebbe successo, ma allo stesso tempo volevo rallentare perché non volevo che finisse! Lo raccomando a chiunque ami le storie d’amore tormentate.»

«Come fa M. Leighton a creare queste storie meravigliose con protagoniste fantastiche? Mi ha sciolto il cuore, l’ho adorato.»
M. Leighton
È nata in Ohio. Ha scritto più di una decina di romanzi e i suoi libri sono bestseller del «New York Times» e di «USA Today». La Newton Compton ha pubblicato la serie Bad Boys: Solo per te, Ti stavo aspettando e Tutto o niente e The Wild Series. Con Le tue innocenti bugie arriva in Italia anche la Pretty Series.
LinguaItaliano
Data di uscita10 apr 2018
ISBN9788822719102
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    Anteprima del libro

    Le tue innocenti bugie - M. Leighton

    Capitolo 1

    Sloane

    «Oddio, non posso credere che lo farai davvero», dice Sarah, la mia migliore amica mentre apro la porta a vetri dello studio di tatuaggi.

    Anche se non lo ammetterei mai, in realtà provo un leggero brivido quando varco la soglia. Non sono mai stata in un posto del genere, quindi non so come siano gli altri, ma questo è un po’ angosciante. La musica è sparata al massimo, il bancone è tutto nero e ogni dispositivo in vista è cromato. Mando giù il mio improvviso nervosismo e mi costringo a proseguire.

    Lo studio si chiama La Macchia d’Inchiostro ed è rassicurante sapere che è tanto raccomandato. E mi è facile capire il perché quando lascio scorrere lo sguardo sull’incredibile materiale grafico che copre le pareti.

    Questo è vero talento!

    «Sloane, sei sicura di volerlo fare? Tuo padre ti prenderà a calci in culo se lo scopre», continua Sarah. Mi fermo di colpo per voltarmi e guardarla in faccia, e lei per poco mi cade addosso. «Cazzo!», esclama fermandosi prima di sbattere con il seno contro il mio. Anche lei si è distratta a guardare i disegni sulle pareti.

    «Tanto per cominciare, papà non può prendermi a calci in culo. Da circa…». Mi guardo intorno nel negozio illuminato al neon alla ricerca di un orologio. Quando ne vedo uno a forma di teschio con le ossa incrociate al posto delle lancette, aguzzo gli occhi per leggere i minuti. «Da sette minuti sono ufficialmente libera dal controllo dell’ottusa famiglia Locke. E questo è il mio primo atto di indipendenza».

    «Direi più di ribellione», sbuffa Sarah.

    «Semantica», dico con un cenno sbrigativo della mano. «A ogni modo, mi farò questo maledetto tatuaggio e nessuno mi fermerà».

    «Sei sicura che sia… innocuo? Insomma…». Leggo la preoccupazione nei suoi occhi, e questo me la rende ancor più cara.

    Io le rivolgo il mio sorriso più dolce. «Non è pericoloso, Sarah, credimi».

    Le faccio un ultimo cenno rassicurante con il capo, mi avvicino al lucido bancone nero e suono il campanello per chiedere assistenza.

    Mentre aspettiamo che arrivi qualcuno, percorro il perimetro del locale ammirando i modelli esposti alle pareti. Il mio animo d’artista mi permette di apprezzare pienamente l’abilità della mano che ha tracciato i disegni a carboncino.

    Una voce profonda interrompe il mio esame. «Posso aiutarti?».

    Mi volto subito per spiegare cosa voglio, ma le parole mi rimangono in gola. Di tutte le opere d’arte appese alle pareti, nessuna è paragonabile a quella che ho sotto gli occhi.

    Vedo i suoi lineamenti in flash separati, come lampi di luce che colpiscono la retina. I tratti spigolosi e virili sembrano scolpiti nella pietra, gli occhi luminosi, gli zigomi alti, una bocca cesellata. Ed è quella bocca che sto guardando quando le sue labbra si sollevano agli angoli. Lo sto fissando. Io lo so e lui lo sa. «Vedi qualcosa che ti piace?».

    Il mio sguardo sale ai suoi occhi. Sono indecifrabili, ironici, e io arrossisco. «No», rispondo automaticamente. Quando noto un sopracciglio corredato di piercing sollevarsi di scatto, mi rendo conto di come deve aver interpretato la mia risposta. «Voglio dire, so già cosa voglio».

    L’altro sopracciglio si alza per raggiungere il primo, e mi sento ardere le guance. Non ho dubbi che ormai siano del colore delle mele mature.

    «Mi piacciono le donne che sanno quello che vogliono».

    Io resto a bocca aperta. Nessuno ha mai flirtato con me, tutti i ragazzi che conosco sono sempre stati terrorizzati dalla mia famiglia, quindi non ho idea di come reagire a battute del genere. A parte arrossire, con mia grande costernazione.

    ’azz!

    Lui scoppia a ridere, chiaramente divertito dalla mia confusione. La sua risata mi fa pensare a seta nera che mi scivola sulla pelle con un movimento leggero e armonioso.

    Devo avere le guance paonazze. Sono sinceramente spaventata dall’espressione che devo avere in questo momento. Non so cosa fare se non distogliere lo sguardo, così interrompo il contatto con i suoi occhi sconvolgenti frugando nella borsa alla ricerca del mio schizzo. Respiro a fondo, fingendomi assorta per riacquistare un minimo di controllo. Quando trovo il disegno, mi avvicino a lui senza parlare e gli passo il foglio piegato in quattro.

    Lui lo prende, i suoi occhi incontrano i miei per una frazione di secondo, poi china di nuovo lo sguardo sul foglio. Continuo a fissarlo mentre lo apre e osserva il disegno per un momento prima di rendersi conto che è capovolto. Dopo averlo voltato per il verso giusto, lo solleva e lo esamina più da vicino. La luce del soffitto gli cade sul viso nascondendo in parte la sua espressione. Le ciglia lunghe e folte gettano un’ombra sui suoi occhi, e la fronte è aggrottata per la concentrazione. Aspetto pazientemente che finisca il suo esame.

    Con un cenno della testa solleva lo sguardo, e i suoi occhi si fermano sui miei. Prima, dal lato opposto della stanza, non riuscivo a vedere di che colore fossero, solo che erano scuri e irresistibili. Ma ora posso vederli bene: sono del blu più intenso che abbia mai visto. Mi trafiggono come lame d’acciaio, lasciandomi senza fiato.

    «È un bel disegno. Chi l’ha fatto?».

    Il mio cuore si gonfia e svolazza nella gabbia toracica. «L’ho fatto io».

    Per un istante vedo un’espressione di apprezzamento sul suo viso, ma scompare in fretta sotto il fuoco di fila delle sue domande. «È in scala? E sono questi i colori che hai scelto?», mi chiede, e si volta per tornare verso il bancone lucido. «A proposito, io mi chiamo Hemi».

    Hemi.

    Che strano nome. «Hemi? Non è un tipo di motore?», dico senza riflettere.

    Quando mi guarda ho l’impressione che sia di nuovo divertito. «Qualcosa del genere».

    Hemi. Come un grosso motore, e capisco perché. Sembra veloce. E potente.

    «Io mi chiamo Sloane. E, sì, lo schizzo è in scala e nei colori che vorrei».

    Hemi annuisce di nuovo e passa dietro il bancone, poi allunga una mano sotto il ripiano per prendere delle carte. «E dove lo volevi?».

    Non so perché, ma sento di arrossire di nuovo. «Ehm, vorrei la conchiglia semiaperta sul lato posteriore del fianco destro, e da lì far uscire delle farfalle che salgono in alto lungo il fianco. Insomma, partendo da dietro farle arrivare sul davanti».

    Lui continua ad annuire, ma si acciglia. «Mmm», mormora di nuovo. «Compiliamo questi moduli, poi ti porto nello studio e diamo un’occhiata. Non ho lavori in corso in questo momento».

    «O-okay».

    Hemi mi spiega cosa devo firmare: esonero di responsabilità, liberatoria e consenso al tatuaggio. È il loro modo di dire: Ehi, se facciamo un casino, sei fregata! Hai diciotto anni o più, e ci hai dato il permesso di lasciare un segno permanente sul tuo corpo. Se non ti piace, cazzi tuoi. Grazie e buona giornata. Tuttavia non esito a firmarli, so cosa sto facendo. Prima, quando sono arrivata, ho avvertito un piccolo brivido, ma ora, dopo aver incontrato Hemi, mi sento in buone mani. Mani calde, abili.

    O forse sono solo abbagliata da questo ragazzo.

    A ogni modo li firmo in fretta, non vedo l’ora di passare alla fase due.

    Faccio scivolare i fogli sul banco verso Hemi, poi poso la penna. Lui li prende, li sistema in una pila ordinata che spinge da parte, e alla fine mi guarda.

    «Sei pronta?», chiede. Forse non lo sa, ma quella domanda racchiude un significato che va ben oltre il fatto di essere pronta a farmi tatuare.

    E anche la mia risposta. Con un unico, enfatico cenno del capo, rispondo: «Sì!».

    Lui indica con la testa la porta da dove è arrivato. «Allora andiamo».

    Si avvia verso la sala sul retro e io mi volto per prendere Sarah per mano, ma incontro una decisa resistenza.

    «Ah, no, no, no! Non mi trascinerai là dentro! Sverrò, sicuro come la morte».

    «Cosa? Sono io quella che verrà punzecchiata un milione di volte da un ago. Perché dovresti essere tu a svenire?»

    «Per solidarietà, ecco perché».

    Chino la testa di lato e la guardo. «Sarah, non essere ridicola. Voglio averti vicino mentre mi fanno il tatuaggio».

    Lei contorce la mano per liberarsi dalla mia presa. «Io ti voglio bene, Sloane, ma questo posto è l’ideale per prendersi l’epatite. Tu sarai su quella sedia, io no. Se svengo finirò con la faccia nel sangue di qualcuno. Quindi no, grazie».

    «Sarah, ti sbagli, non c’è sangue sul pavimento».

    «Come fai a saperlo? Questo è il primo centro tatuaggi in cui sei mai stata».

    «E allora? Guardati intorno, è tutto immacolato, addirittura odora di pulito, e sai che non dev’essere facile con tutti i soggetti ubriachi e puzzolenti che ci vengono».

    «Vedi che mi dai ragione? No, non ci penso neanche. Ti aspetto…», dice, dirigendosi verso una delle sedie in pelle tutte cromate, allineate lungo un tratto della parete, «…qui».

    «Bene, vuoi perderti questo importante momento della mia vita. Non c’è problema, ti voglio bene lo stesso».

    Con un sospiro profondo e sonoro mi volto verso la porta. Hemi è già scomparso nella stanza accanto, così mi avvio per seguirlo a passo lento.

    Sento un ringhio frustrato alle mie spalle. «E va bene!». La dichiarazione è seguita dal clomp clomp clomp di due scarpe con la zeppa che si avvicinano con passo pesante. «Allora se svengo e se – Dio non voglia! – mi becco una micosi sulla faccia, mi dovrai pagare tutte le spese mediche e qualsiasi intervento di chirurgia estetica si rendesse necessario».

    La guardo con un largo sorriso e quando si ferma al mio fianco la prendo sottobraccio. «Non lascerò che la tua faccia tocchi il pavimento, te lo prometto».

    «Non promettere, tu non prometti mai», osserva guardandomi scettica mentre entriamo nella sala dei tatuaggi.

    «No, invece, io non faccio promesse che non sono in grado di mantenere. Questa posso mantenerla».

    Ci fermiamo e ci guardiamo intorno. Ci sono altri due clienti che si stanno facendo tatuare, e sollevano entrambi lo sguardo. Non sembrano sotto tortura, anzi, uno sembra piuttosto assonnato. O ubriaco. In ogni caso, mi fa sentire un po’ più sollevata pensando al dolore per cui ho appena firmato la liberatoria.

    Do uno strattone a Sarah ed entriamo nella sala. Le luci sul soffitto sono forti, ma sono posizionate strategicamente sopra le tre poltrone da tatuaggio reclinabili, lasciando il resto della stanza in un’intima penombra.

    Mi avvicino a Hemi, che mi aspetta in piedi in una nicchia in fondo alla stanza. È occupata da un armadietto con sopra uno specchio, un piccolo carrello e una poltrona da tatuaggio. Mi accingo a salirci sopra, ma lui mi blocca. «Aspetta. Fammi vedere esattamente dove vuoi la conchiglia prima di metterti a sedere. Forse dovrai stenderti sulla pancia, o di fianco».

    Sento il rossore invadermi di nuovo il viso, ma volto il fianco destro verso Hemi e do un colpetto sul punto in cui voglio la conchiglia. «Qui».

    Hemi s’inginocchia accanto a me, allunga una mano e solleva l’orlo della canottiera, poi mi sfiora il fianco con le dita. «Con le farfalle che salgono da qui?».

    Sento i brividi seguire il percorso delle sue dita calde e mi mordo un labbro. Quando mi guarda con quegli incredibili occhi azzurri, annuisco.

    «Okay, allora stenditi a pancia in giù», dice schiacciando un pedale sul pavimento per sollevare il predellino e abbassare lo schienale della poltrona, che si appiattisce in modo da permettermi di stendermi prona. «Ora sali e sbottona gli shorts», dice distrattamente.

    «Cosa?».

    Gli occhi divertiti di Hemi incontrano i miei. «Cos’è che non hai capito?»

    «Vuoi che mi tolga gli shorts? Qui dentro?»

    «No, devi solo sbottonarli e abbassare un po’ la lampo, quanto basta perché io possa raggiungere comodamente l’area dove vuoi il tatuaggio».

    «Ah», rispondo sentendomi un’idiota. «Okay».

    Salgo sulla poltrona, slaccio il bottone e apro la lampo. Allento un po’ gli shorts, poi mi volto per stendermi di pancia; vorrei nascondere il viso tra le braccia conserte, ma mi trattengo. Guardo dritto davanti a me, finché vedo Sarah entrare nel mio campo visivo e lasciarsi cadere sulla sedia di fronte a me, subito ignorandomi a favore del cellulare che stringe in mano. La osservo per qualche istante, ma sono troppo interessata a chi ora si trova all’altra mia estremità per continuare a prestarle attenzione.

    Alla fine volto la testa e appoggio la guancia sulle braccia conserte per guardare Hemi. Ora è seduto davanti a me su uno sgabello con le rotelle, con una lampada orientabile puntata sul mio corpo all’altezza della vita.

    Quando allunga la mano e infila le dita nella cintura dei miei shorts trattengo il respiro. Hemi tira giù la stoffa, la allenta sui fianchi e la abbassa quanto basta per poter accedere comodamente a tutta l’area. L’unica barriera tra lui e la mia pelle è la mia biancheria intima.

    Lo guardo mentre fa scivolare un dito sotto l’elastico di pizzo delle mutandine e le abbassa, senza altre barriere tra noi se non il calore della sua mano. Mi sfiora lentamente il fianco con il palmo, avanti e indietro. Ripete quel gesto più volte, poi guarda di nuovo lo schizzo e con il polpastrello inizia a tracciare una linea sulla mia pelle, come se stesse disegnando un fregio immaginario.

    «Sai», dice sollevando lo sguardo su di me. Il palmo della mano si ferma, ma il pollice continua a tracciare distrattamente un arco sul mio fianco. «Penso che sarebbe meglio disegnare la conchiglia un po’ più in alto, vicino alla vita, e poi disegnare le farfalle che salgono seguendo una curva lungo il fianco con un movimento sciolto e sinuoso, come questo», spiega, passando le dita sopra le mie costole in una languida linea serpeggiante. «Secondo me sarebbe meglio di una linea retta».

    Riesco a immaginare con precisione quanto dice e sono d’accordo. Il problema è che mi risulta difficile pensare e rispondere mentre le sue mani si muovono sul mio corpo.

    «Mi sembra una buona idea. Comunque fai tu, sei tu l’esperto, giusto?».

    Hemi sorride e mi strizza l’occhio. «Ah, questo mi piace proprio». Allunga una mano verso il tavolo alle sue spalle, prende un piccolo kit di preparazione, un pennarello e il mio schizzo. Mi appoggia il disegno sulle natiche. «Questa è la prima volta per te, vero?». Me lo chiede senza guardarmi, così non può vedere il rossore che mi accende le guance. Non ha idea di quanto abbia ragione, sotto molti aspetti. Essere la figlia di un poliziotto e la sorella minore di altri tre, rende qualsiasi ipotesi di appuntamento con un ragazzo a dir poco una sfida. Se poi si aggiunge tutto quello che è successo quando ero piccola, il risultato è una ventunenne vergine, di tatuaggi e anche di tutto il resto.

    «Sì», rispondo a bassa voce.

    A questo punto, finalmente Hemi mi guarda. «Non preoccuparti, mi prenderò cura io di te». E chissà perché gli credo. «Forse dovremo suddividere il lavoro in due o tre sessioni, però. Non voglio stressarti, e ci sono un sacco di farfalle da tatuare. E poi le costole di solito sono un po’ più sensibili e complicate».

    «Allora non finirai stasera?»

    «Non credo. Cominciamo con la conchiglia e una o due farfalle, e vediamo come reagisci, poi possiamo continuare da lì. Non voglio che tu rimanga troppo a lungo sulla poltrona. Puoi fissare un appuntamento e tornare un’altra volta per il resto».

    E quindi rivederlo? Oh, sì, grazie!

    «Mi sembra una buona idea».

    Hemi rimane in silenzio per un attimo, senza il solito sorrisetto sulle labbra e senza lo sguardo ironico. Questa volta sembra solo… intenso. «Sei sempre così accomodante?».

    Prima che io riesca a formulare una risposta concisa o leggera (o stupida), Sarah apre bocca per la prima volta da quando mi sono sdraiata sulla poltrona. «No, accidenti! È testarda come un mulo».

    «Allora è colpa mia». Hemi mi fissa per qualche istante, poi sorride di nuovo. «Sei accomodante solo con me. Mi piace proprio».

    Quello che sento immediatamente dopo, a parte quel maledetto senso di calore sulla faccia, è il freddo contatto del tampone imbevuto di alcol con cui Hemi comincia a preparare la pelle per il tatuaggio. Ma me ne accorgo appena. Tutta la mia attenzione è concentrata sulla mano calda che lui tiene appoggiata sul mio fianco perché io resti immobile. Per tenermi in equilibrio.

    Capitolo 2

    Hemi

    Cerco di ignorare la pelle morbida e calda che, sotto la mia mano, sembra di raso. Cerco di ignorare il modo in cui questa ragazza mi guarda, come se potesse vedermi mentre le abbasso del tutto gli shorts. Cerco di ignorare il fatto che, se lei me li lasciasse togliere, le farei cose che fino alla fine dei suoi giorni la indurrebbero ad arrossire ogni volta che le capitasse anche solo di ripensarci. E cerco di ignorare quanto mi irriti il fatto di non avere tempo per esplorare a fondo una ragazza del genere.

    Sin dalla veneranda età di quattordici anni, quando ho scopato la mia prima cougar, ho sempre preferito donne esperte, e più sono scatenate meglio è. Non ho mai sverginato una ragazza, né voglio farlo, voglio una donna che sappia cosa vuole e che sappia come prenderselo. E che sappia dov’è la porta prima che io esca dal bagno. È questo il genere di donna che ho sempre cercato, l’unico per cui ho posto nella mia vita. E, sino a oggi, l’unico a cui mi sia mai interessato davvero. E allora che cos’ha questa ragazza, con i suoi innocenti occhi castani e il culo perfetto, che mi fa pulsare tanto il cazzo?

    Devi scopare, amico mio!, penso tra me tracciando il contorno di una conchiglia sulla sua pelle chiara e impeccabile. E devi farlo presto.

    Per un attimo rimpiango l’egoista che ero prima che iniziasse la mia ossessione.

    Capitolo 3

    Sloane

    «A che ora sei rientrata ieri notte?», mi chiede mio fratello maggiore Sigmond (noi lo chiamiamo Sig).

    «Tardi».

    «Ah, sì, furbacchiona? Ieri sera, dopo il turno, sono andato da Cuff’s con i ragazzi. Sono tornato che era quasi l’una e mezza e tu ancora non c’eri».

    «E allora? Ho ventun anni, non ti devo nessuna spiegazione».

    Vedo Sig spalancare gli occhi marrone scuro, così simili ai miei. «Accidenti! Siamo permalosi, eh? Non volevo dire niente di particolare, chiedevo soltanto».

    Sospiro. «Lo so. Sono solo stanca, scusa».

    Sig ha appena due anni più di me e mi sono sempre sentita più vicina a lui che agli altri miei fratelli, Scout e Steven. A Sig piace scherzare, e non ha mai fatto il padre quanto gli altri. Se Scout è pesante, Steven è il peggiore. Essendo il più vecchio, lui e papà si sono prodigati per fare in modo che io fossi sempre protetta e al sicuro come una principessa, e che crescessi come una signora, anche senza che ce ne fosse una in casa. Per questo motivo mi tengono d’occhio, terrorizzano i miei potenziali amici e pretendenti e mi puniscono ogni volta che uso la parola c… Ed è per questo che Sarah è la mia unica amica, sono ancora vergine e la mia parolaccia preferita è "’azz". Non che avessi alternative: o mi adeguavo o avrei passato tutta l’infanzia chiusa in casa. Quello che gli uomini della mia famiglia non hanno mai capito è che, signora o no, è difficile sentire quattro poliziotti sboccati tutto il giorno senza diventare sboccati. Ma ho imparato. Finalmente.

    «Passami lo zucchero», dice Sig dandomi una gomitata. Mi sollevo in punta di piedi e allungo una mano nell’armadietto per prendere la zuccheriera. Sig si volta e la fondina della sua pistola mi sfiora il fianco. Mi lascio sfuggire un sibilo di dolore. «Che cos’hai?»

    «Perché?»

    «Hai fatto un rumore strano, come se ti avessi fatto male».

    «No».

    «Sì, invece».

    «Non è niente, la tua fondina mi ha urtato».

    Sig si acciglia, china lo sguardo sulla fondina e poi sul mio fianco. Solleva di nuovo lo sguardo e mi fissa socchiudendo gli occhi. «E allora? Non dovresti sentire dolore. Ti fa male? Perché ti fa male?».

    Vedo la preoccupazione affacciarsi nei suoi occhi, e capisco che non c’è modo di cavarmela senza confessare il misfatto, altrimenti farà uscire di testa tutta la famiglia prima ancora che io abbia finito la colazione.

    «Mi sono fatta fare un tatuaggio», ammetto. Quando Sig apre la bocca per protestare, mi affretto a continuare prima che possa dire una sola parola. «Non voglio sentire i tuoi mugugni. E farai meglio a non dirlo ad anima viva, o quanto è vero Dio, spiffero a Bear ogni segreto imbarazzante che mi salti in mente».

    Questo gli fa drizzare le orecchie. Bear è il partner di Sig sul lavoro, e Sig sa che se gli raccontassi qualcosa che valesse la pena ascoltare, quello non la finirebbe più. Dare a un poliziotto qualsiasi informazione che possa usare per sfottere, ricattare, o comunque mettere in imbarazzo un altro poliziotto, equivale a consegnargli una pistola carica e un bersaglio. Sig lo sa, e lo so anch’io.

    Ha le labbra tirate e capisco di aver vinto. «Sai, Sloane, dovresti davvero stare più attenta».

    «Io sto attenta, Sig, sto sempre attenta. Sono sempre stata attenta, ma questa volta no. È soltanto una cosa che desideravo fare. Voglio godermi al massimo gli anni che ho a disposizione…».

    «Basta», dice alzando una mano. «Non finire nemmeno la frase, non voglio sentirla». Chiudo la bocca di scatto. Avrei dovuto evitare di dire una cosa del genere, rivangare pensieri e ricordi dolorosi. Anche se ho ragione. «Mostramelo».

    «C’è ancora la pellicola».

    «E allora? Credi che non si veda attraverso la pellicola?».

    Con riluttanza, allento i pantaloni del pigiama sopra la pellicola applicata sul fianco. Sig guarda il tatuaggio e un’espressione di disapprovazione gli incupisce il volto.

    «Una conchiglia e due farfalle? Che diavolo dovrebbe significare?»

    «Non è ancora finito, questa è solo la base, poi ci saranno altre farfalle».

    «Dove?»

    «A salire lungo il fianco».

    «Sloane», inizia in tono di avvertimento.

    «Sig», rispondo ricambiando il suo sguardo. «È il mio corpo, la mia vita, la mia scelta».

    «Ma tu sei…».

    «Ma niente. Voi tutti dovete lasciarmi vivere».

    Alza gli occhi al cielo. «Non hai ancora risposto alla mia domanda. Che cosa significa?»

    «Mi sento come se avessi passato tutta la vita in una conchiglia angusta, e ora, finalmente, dopo tutti questi anni, riuscirò ad aprirla e a cominciare a spiegare le ali».

    «Ma lo sai perché loro…».

    «Lo so perché, Sig, e vi voglio bene per questo, ma per me è ora di

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