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Metodo giornalistico applicato alla ricerca sociale a fine scientifico
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Metodo giornalistico applicato alla ricerca sociale a fine scientifico
E-book185 pagine2 ore

Metodo giornalistico applicato alla ricerca sociale a fine scientifico

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Info su questo ebook

Fare giornalismo e fare ricerca: può esserci spazio per una nuova professione, che faccia da “ponte” tra due sponde distanti?
Quello inteso dall’ambiziosa Valentina Vergani Gavoni è un modo nuovo di “notiziare”: il fine non è scrivere un articolo e parlare “alla pancia” del lettore ma raccogliere dati destinati alla ricerca sociale. 
L’occasione le viene offerta dal bando di un progetto focalizzato sull’integrazione dei rifugiati ucraini in Italia e l’attenzione di Valentina si concentra sulle donne ucraine, vittime collaterali del conflitto in corso. Costrette a lasciare il loro Paese, dopo una prima fase di generosa accoglienza, sentono adesso il peso, lo “stigma” della loro condizione. Valentina trascorre molto tempo con alcune profughe ucraine ospiti di un istituto religioso in Brianza, diventando per loro un punto di riferimento, un essere umano capace di ascoltarle, riconoscerle nella loro dignità, aiutarle nelle adempienze pratiche. 
Il suo è un lavoro di incontri e questo libro, cronistoria di un anno di ricerche, interviste e riflessioni, offre al lettore la possibilità di impegnarsi a sua volta in nuovi incontri e nuovi dialoghi. 

Valentina Vergani Gavoni è nata a Milano il 3 aprile 1988. Laureata in politiche e relazioni internazionali alla London Metropolitan University, durante la sua carriera universitaria studia il conflitto siriano e l’occupazione armata israeliana, sui libri e sul campo. Per tre anni consecutivi si divide tra Europa e Medio Oriente. Nel 2018 torna in Italia e un anno dopo decide di diventare una giornalista professionista, si avvicina alla ricerca sociale e applica il metodo giornalistico a fine scientifico. 
Questa è la sua prima pubblicazione.
LinguaItaliano
Data di uscita15 nov 2023
ISBN9788830692459
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    Anteprima del libro

    Metodo giornalistico applicato alla ricerca sociale a fine scientifico - Valentina Vergani Gavoni

    verganiLQ.jpg

    Valentina Vergani Gavoni

    Metodo giornalistico applicato

    alla ricerca sociale

    a fine scientifico

    © 2023 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-8815-5

    I edizione dicembre 2023

    Finito di stampare nel mese di dicembre 2023

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Metodo giornalistico applicato

    alla ricerca sociale a fine scientifico

    Definizione di attività giornalistica:

    «Prestazione di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie volte a formare oggetto

    di comunicazione interpersonale attraverso gli organi

    di informazione, ponendosi il giornalista quale mediatore

    intellettuale tra il fatto e la conoscenza della diffusione di esso, con il compito di acquisirne la conoscenza dell’evento,

    valutarne la rilevanza in relazione ai destinatari e

    confezionare il messaggio con apporto soggettivo e creativo».

    (Corte di Cassazione, n. 15611/2019)

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    UN ESPERIMENTO PROFESSIONALE

    Interdisciplinarità: metodo giornalistico applicato alla ricerca sociale a fine scientifico

    La legge attualmente (2023) impone all’Ordine dei giornalisti italiani di riconosce il lavoro del giornalista solo se viene pubblicato da una testata giornalistica registrata.

    Esiste una differenza tra ESSERE e FARE il giornalista: le competenze professionali che ho acquisito con il master in giornalismo all’Università IULM di Milano mi consentono di applicare il metodo giornalistico fuori e dentro una redazione giornalistica.

    Questo fa di me una giornalista.

    Attualmente (2023) i giornalisti iscritti all’Ordine, indipendentemente dal contratto stipulato, devono lavorare con o per una testata giornalistica.

    Una giornalista come me può essere una dipendente, una collaboratrice interna, esterna o una freelance.

    Può essere una pubblicista, una praticante o una professionista.

    In ogni caso, deve lavorare per o con una testata giornalistica.

    Le mie esperienze professionali – che racconterò in un altro libro – mi hanno però allontanata dal mondo redazionale.

    Ho deciso di uscire dalla redazione per entrare in un’aula universitaria. Ho lasciato alle mie spalle la testata giornalistica per andare incontro alla ricerca sociale. Ho cambiato il fine del mio lavoro giornalistico, camminando sola nel buio.

    Non vedevo la meta e nemmeno il sentiero. Con gli occhi chiusi leggevo nella mia mente la storia di Mary Wollstonecraft, la femminista liberale che ha fatto la rivoluzione a Londra tra il 1759 e il 1797. Nella stessa città dove mi sono laureata in politiche e relazioni internazionali (laurea triennale).

    Immaginavo di essere ancora lì, nella biblioteca della London Metropolitan University.

    Nella mia mente tenevo tra le mani il libro di questa femminista rivoluzionaria che ha combattuto per l’istruzione delle donne costrette da una cultura patriarcale e maschilista a fare solo le governanti. La sua storia mi ha condizionata dal primo giorno che ho iniziato a studiarla, quando ero ancora una studentessa universitaria. Una donna istruita è una donna libera pensava. E io volevo pensarmi libera, anche in Italia… anche nel giornalismo.

    Come posso esistere fuori da una testata giornalistica? mi sono chiesta.

    Ho una laurea, un master e dieci anni di esperienza sul campo in Africa, UK e Medio Oriente. Devo tornare al punto di partenza per tracciare il mio percorso ho detto a me stessa.

    Nel 2012 studiavo Sociologia all’Università degli Studi di Milano Bicocca. Mi ero appena diplomata in Grafica Pubblicitaria, ma ho preferito le Scienze Umane al Marketing.

    A causa di un’infanzia complicata mi sono avvicinata alla psicologia grazie a una professionista straordinaria. Volevo diventare una psicologa ma non ho passato il test di ingresso, così mi sono ritrovata in un’aula universitaria a studiare la società per non perdere l’anno.

    In università ho conosciuto un’associazione di volontariato che partiva per il Togo e stava selezionando volontari per il viaggio. A lezione si parlava di Africa per comprendere le dinamiche sociali, così ho deciso di partire.

    Tornata dal Togo volevo cambiare il mondo.

    Volevo entrare nelle Nazioni Unite, ma questo è un libro a parte.

    Dieci anni dopo la vita mi ha riportata su quella strada. Per entrare nell’Onu e fare il lavoro che ho sempre sognato, però, mi mancavano due anni di ricerca.

    Tradotto in italiano, mi mancava il dottorato.

    In Italia per accedere a quello che in inglese si chiama PHD, è obbligatorio avere una laurea magistrale. Se in UK equivale al master, qui no.

    Anche il metodo giornalistico prevede l’indagine sul campo, la verifica delle fonti e l’analisi dei dati raccolti, quindi ero convinta di avere tutto quello che mi serviva per entrare nel mondo della ricerca.

    Non era così.

    Nei mesi in cui sono stata costretta a costruirmi nuovi obiettivi da raggiungere, ho sbattuto la testa contro ostacoli culturalmente obsoleti.

    Il più difficile da superare è la separazione delle discipline.

    È quella mentalità che limita le competenze, le etichetta e le classifica in base al monopolio professionale.

    Un ottimo modo per garantire diritti e privilegi delle caste, ma che di fatto ostacola l’evoluzione.

    Giornalismo e ricerca sembrano essere separati all’origine e un settore esclude l’altro come se non esistesse un legame.

    Parlare di integrazione disciplinare sembra quasi una eresia.

    La burocrazia dei titoli e l’imposizione di percorsi omologati non consentono deviazioni.

    La paura di perdere diritti e privilegi esclude in automatico il cambiamento.

    Questo è il riflesso di una società ordinaria amministrata da personalità ordinarie.

    La straordinarietà, invece, apre le porte all’innovazione. Genera nuove opportunità e costruisce percorsi mai esplorati.

    Io volevo entrare in quel mondo, quello della ricerca.

    Ero consapevole di non avere possibilità, e non avrei mai pensato di entrarci come giornalista.

    Vivevo e vivo ancora in Lombardia ma il mio compagno è di Modena, quindi stavo cercando un modo per trasferirmi in Emilia Romagna. Dovevo prima trovare un lavoro retribuito e ho iniziato a inviare centinaia di curriculum.

    Non so calcolare nemmeno quanti CV mi hanno rifiutato. Mi sono candidata anche per posizioni di un livello nettamente più basso, ma niente. Ho provato a cambiare settore e ad abbassare le mie aspettative. Ho rinunciato a trovare un lavoro vicino al mio fidanzato e ho cercato un’opportunità lavorativa in tutta Italia. Non è servito a nulla.

    Eppure avevo un master in giornalismo, una laurea triennale in Politiche e Relazioni Internazionali e dieci anni di esperienza sul campo nel mio settore.

    Un giorno Marwa Mahmoud, consigliera comunale di Reggio Emila a cui avevo chiesto un aiuto, mi ha inviato il bando di un progetto di ricerca focalizzato sulla gestione dell’accoglienza dei rifugiati ucraini in Emilia Romagna.

    Federico Zannoni – coordinatore del progetto e ricercatore dell’Università di Bologna – però stava selezionando un’assegnista di ricerca possibilmente ucraina, non una giornalista.

    Sapevo di non avere speranza, ma ho deciso di candidarmi ugualmente.

    Ero demoralizzata. Mi sentivo inutile.

    Anni e anni di studio, sacrifici e lacrime, non servivano a niente.

    Se da una parte ero convinta di valere qualcosa, dall’altra la società mi rifiutava.

    Sono tornata in Italia a 30 anni per fare la giornalista e ho sempre lavorato sottopagata o gratis. Vivere alla mia età mantenuta dalla mamma e dal proprio compagno, è umiliante. Dopo tanti anni all’estero, dove avevo raggiunto la mia indipendenza, sono sprofondata nella depressione.

    Non riuscivo a trovare un lavoro pari al livello delle mie competenze e non riuscivo a trovare qualsiasi altro lavoro perché il mio curriculum era troppo qualificato.

    Non sapevo cosa fare.

    Un pomeriggio di settembre (2022), guardando le mail sul cellulare, ho visto quella di Federico Zannoni. Ho iniziato a leggere il messaggio convinta di non essere stata selezionata. E infatti spiegava la motivazione. Ma non finiva lì.

    Detto questo, volevo dirle che il suo CV mi è piaciuto molto e che, qualora fosse interessata, siamo pronti ad accogliere una sua possibile collaborazione ho letto incredula.

    Ho chiesto conferma a Ugo Savoia – coordinatore del master in giornalismo IULM ed ex redattore del Corriere della Sera – per sapere se qualche collega aveva mai provato ad applicare il metodo giornalistico alla ricerca. Speravo di avere un esempio da imitare, giusto per capire cosa fare. Nella ricerca però ci lavoravano i ricercatori, non i giornalisti.

    I ricercatori applicano il metodo scientifico, non giornalistico e io ero un corpo estraneo.

    Non sapevo davvero da dove iniziare.

    Il ricercatore, con molta onestà, mi ha detto subito che non poteva pagarmi perché non c’erano più soldi. L’assegno di ricerca lo aveva vinto una ricercatrice ucraina che aveva superato la selezione. Era una scelta mia quindi se accettare o no.

    La mia figura professionale non esisteva. Il mio lavoro non lo avrebbe riconosciuto nessuno e avrei lavorato gratis, ancora una volta.

    Quella però era l’unica porta aperta che avevo davanti, così ho accettato.

    Ero pronta a trasferirmi in Emilia Romagna a ottobre, felice di poter andare a convivere con il mio fidanzato a Modena. Nel frattempo lavoravo come hostess per non dipendere totalmente da lui e da mia madre.

    Ho sempre venduto prodotti per aziende diverse, ma capitavano anche eventi sporadici come quello di fine settembre dove richiedevano solo la presenza.

    Pensavo fosse il solito evento organizzato da qualche brand di lusso e invece mi sono ritrovata alla conferenza stampa di Letizia Moratti.

    La coincidenza era suggestiva e io ho pensato bene di sfruttarla.

    "Buongiorno, sono Valentina Gavoni e vorrei

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