I guardiani di Iside
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Giallo - racconto lungo (43 pagine) - Quando i miti dell'antico Egitto riemergono in cronaca nera.
Il commissario Grandi e il suo assistente Tommaso Testi si trovano a indagare su una oscura sequenza di uccisioni di immigrati egiziani, avvelenati da punture di scorpione e orrendamente mutilati, delitti collegati ad antiche leggende della terra dei faraoni.
Una storia inquietante ma anche affascinante, che trasferisce l’Antico Egitto nel cuore di Milano. Un mistero per la cui sorprendente soluzione si dovrà davvero ringraziare il fiuto di Grandi.
Fabio Scaletti (Milano, 1964) è scrittore e critico d’arte. Laureato in filosofia, si è occupato di estetica “sconfinando” nella storia dell’arte. Esperto di Caravaggio e studioso del Rinascimento, tra le sue ultime pubblicazioni, alcune tradotte in varie lingue, ricordiamo: Caravaggio. Catalogo ragionato delle opere autografe, attribuite e controverse (2 volumi, Napoli, 2017), Il Rinascimento nei Musei Italiani (con Claudio Strinati, Reggio Emilia, 2017), Leonardo. Il Genio (Torino, 2018), Raffaello. Il Principe delle Arti (Torino, 2019), Caravaggio. Il Pittore della Luce (Torino, 2020), Michelangelo (Bologna, 2021).
Negli anni Novanta ha ideato la figura del commissario Leonardo Grandi, protagonista di romanzi e racconti gialli in stile inglese ma ambientati per la maggior parte a Milano. Per Delos Digital sono già usciti Delitto alla Statale, Il mostro del Corvetto e Omicidio nella grotta. Ha anche scritto Storia (e filosofia) del giallo, sempre pubblicato da Delos Digital.
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Anteprima del libro
I guardiani di Iside - Fabio Scaletti
Prologo
Se tu dici che mentisci, o dici il
vero e allora mentisci o dici il
falso e allora dici la verità.
Eubulide di Mileto
«C’era una volta, nel Regno delle Due Terre benedette dal Nilo, una coppia di fratelli: Verità e Menzogna. Un giorno, Menzogna chiese a Verità di restituirgli il coltello che gli aveva prestato tempo addietro. Poiché il coltello era stato smarrito, Verità cercò di riparare al danno arrecato al fratello donandogli un altro pugnale, ma Menzogna affermò che il coltello perso era di fattura talmente pregiata e rara da essere insostituibile, e trascinò Verità davanti al giudizio dell’Enneade, il consesso degli dei. Dinanzi alle nove divinità, Menzogna illustrò le qualità del suo preziosissimo coltello, asserendo che la sua lama, la sua impugnatura e la sua guaina erano magnifiche a tal punto che i monti e i boschi celebrati dalle antiche leggende e le tombe di tutti i più grandi re erano nulla al loro confronto. Desiderando in cuor suo una vendetta più che un rimborso, Menzogna chiese che il fratello venisse punito per avergli causato quella perdita irreparabile, e più in particolare suggerì il tipo di pena che auspicava venisse comminata: a Verità dovevano essere strappati gli occhi, dopo di che doveva essere posto al suo servizio come portinaio. L’indole leale di Verità, che non negò la negligenza in cui era involontariamente incorso, non si dimostrò lo strumento migliore per contrastare le astiose accuse di Menzogna, sicché l’Enneade accolse le istanze di quest’ultimo e, riconosciuta la colpevolezza di Verità, comandò l’effettuazione della crudele condanna. Per un po’ di tempo Verità, gravato dalla sua cecità, fu il portiere del palazzo di Menzogna, finché questi decise di cacciarlo e di inviarlo nel deserto, dove era convinto che sarebbe stato sbranato dai leoni che vi dimoravano. Ma Verità, sperduto fra le rocce del deserto, fu tratto in salvo da una dama, che se ne innamorò e più tardi gli dette un figlio. Una volta cresciuto, il figlio di Verità, appresa l’identità della persona che aveva accecato ed esiliato il padre, si mise in viaggio in compagnia di un bue verso le terre di Menzogna. Giunto a destinazione, diede in prestito il proprio bue a un mandriano alle dipendenze di Menzogna. Quest’ultimo, nel corso di un sopralluogo alle proprie mandrie, apprezzò le qualità della nuova bestia e, con il proposito di cibarsene, ordinò al mandriano di ucciderla. Quando il figlio di Verità tornò dal mandriano per riprendersi l’animale, gli venne risposto che egli, come risarcimento, poteva scegliersi uno qualsiasi dei buoi che componevano la mandria di Menzogna. Ma il giovane replicò che nessun bue poteva eguagliare l’esemplare che egli aveva dato in affidamento, perché esso era tanto grande quanto era esteso l’Alto e il Basso Egitto messi insieme, per cui intendeva citare davanti all’Enneade l’autore del misfatto. In sede di giudizio, gli dei obiettarono che non poteva esistere un bue che avesse le caratteristiche esaltate dal giovane, il quale a quel punto controbatté che se non esisteva un bue di quel genere allora non poteva nemmeno esistere un coltello con le incredibili qualità descritte tanti anni prima da Menzogna. Visto il senso di convincimento che le parole del giovane suscitavano nell’animo delle divinità, Menzogna cercò di squalificare ai loro occhi il suo accusatore e dichiarò che il giovane non poteva essere figlio di Verità, che era morto senza lasciare eredi, e giurò solennemente sul dio-sole Ra che se Verità fosse stato trovato ancora vivo lui avrebbe accettato di subire la stessa punizione a cui il fratello, dietro sua indicazione, era stato anni prima sottoposto. I Numi dell’Enneade assodarono che Verità viveva ancora, e che quindi Menzogna aveva sempre detto il falso. Menzogna venne accecato e trascorse la sua vita al servizio di Verità».
Rileggendo ora, a distanza di tempo, l’antico mito di Maat e Gereg, due termini che nella lingua egizia significavano rispettivamente verità e